mercoledì 1 febbraio 2017

La parola del mese - Febbraio 2017


LA PAROLA DEL MESE 



A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni





FEBBRAIO 2017  

Linguaggio

(o più precisamente: linguaggio umano – Darwin - noi)



dal Vocabolario Treccani on line

1. Nell’uso antico o letterale, e talora anche nell’uso comune odierno, lo stesso che lingua, come strumento di comunicazione usato dai membri di una stessa comunità:

2 In senso ampio, la capacità e la facoltà, peculiare degli esseri umani, di comunicare pensieri, esprimere sentimenti, e in genere di informare altri esseri sulla propria realtà interiore o sulla realtà esterna, per mezzo di un sistema di segni vocali o grafici (inteso in senso generico, senza riferimento a lingue storicamente determinate)

3  Facoltà di esprimersi attraverso altri segni, sia gesti sia simboli. In particolare l’insieme dei mezzi espressivi e stilistici, diversi dalla parola, che sono peculiari delle varie arti

4. Modo individuale di esprimersi, sia per un uso particolare della lingua, considerato sotto l’aspetto formale, sia per l’uso di un proprio codice linguistico, Proprietà anche di una classe d’individui, di un determinato ambiente professionale o gruppo sociale.

5. In diretta o implicita contrapposizione al linguaggio verbale, costituito dalle lingue storico-naturali sono presi in considerazione in diverse scienze e tecniche varî tipi di linguaggio formati da cifre, lettere, simboli, codici usati convenzionalmente, sulla base di norme prefissate, per esprimere teorie o concetti in modo non ambiguo o per esplicitare e rendere suscettibili di analisi le connessioni formali di un sistema logico

Da Wikipedia on line

Il linguaggio, in linguistica, è quell'insieme di suoni, gesti, movimenti che possono portare attraverso processi mentali a significati ben precisi. Questo è presente in molte specie animali tra le quali l'essere umano ed è usato per comunicare con uno o più destinatari.

La capacità di linguaggio orale, nell'uomo, si è sviluppata a seguito di mutamenti strutturali della cavità orale. In particolare l'arretramento dell'ugola ha reso l'essere umano capace di esprimere una gamma sonora variegata, capace di garantire una non generica nomenclatura del mondo.

Il linguaggio verbale basato sulla doppia articolazione è una prerogativa dell'uomo, senza il quale esso non sarebbe tale. Non esiste infatti in nessun altro essere vivente un linguaggio simile per complessità e livello di elaborazione.

Esistono due differenti teorie sull'origine del linguaggio umano, la prima che parla del linguaggio come innato, l'altra come una abilità appresa. Un'altra incertezza è se le tante lingue moderne derivino da una comune lingua originaria (ipotesi monogenetica) oppure da diversi ceppi primordiali (ipotesi poligenetica). Non c'è dubbio, comunque, che le lingue esistenti sono il risultato di un processo di differenziazione avvenuto nel corso dei millenni.

Il primo a dimostrare che il linguaggio rappresenti una risorsa importante nello sviluppo intellettivo, vista la sua funzione mediatrice tra l'ambiente e l'essere umano, fu Ivan Pavlov, che effettuò lunghi studi ed esperimenti sulle percezioni e rappresentazioni mentali, oltre che sulle elaborazioni dei segnali, dai quali si formano i concetti.

Importanti ricerche in questo ambito furono realizzate da Jean Piaget, il quale sostenne la presenza di due fasi fondamentali di sviluppo: la prima è quella del linguaggio egocentrico (0-6 anni), costituito, per lo più, da ecolabile e monologhii, animismo e attribuzione ai nomi degli oggetti di una concretezza non reale; la seconda fase si espande nel linguaggio sociale, che prevede dialoghi e comunicazioni bilaterali.

Berstein elaborò la teoria che indicava nello stretto legame fra ambiente (familiare) e orientamento, influenzato dal ceto e dalla tipologia professionale, il tipo di linguaggio, forbito, ricco oppure povero e concreto, sviluppato dagli individui.

Noam Chomsky afferma che le analogie strutturali che si riscontrano nelle varie lingue, fanno ritenere che vi sia una grammatica universale innata fatta di regole che permettono di collegare il numero limitato dii fonemi che  gli organi vocali della specie umana sono in grado di produrre. I biologi evoluzionisti hanno avanzato una teoria, che darebbe un fondamento evolutivo alla predisposizione umana alla lingua, basandosi su due concetti:

  1. In primo luogo, tengono conto dei vantaggi evolutivi e quindi presuppongono una naturale selezione della specie umana che era in grado di comunicare a scapito degli ominidi precedenti.
  2. In secondo luogo, si tiene conto di come dei disturbi grammaticali che si riscontrano in alcuni individui siano a carattere ereditario e quindi abbiano fondamento genetico.

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Anche inserendo altre fonti avremmo ottenuto lo stesso risultato: il linguaggio viene definito, in tutte le sue articolate espressioni, come lo strumento di base per la comunicazione. Si ha cioè linguaggio là dove esiste una volontà/esigenza di comunicazione. Ma è sempre stato così? Il linguaggio è nato e si è sviluppato per rispondere a questa volontà/esigenza? La questione appare controversa. Inserito in una ottica evoluzionistica il linguaggio umano sembra essere sorto, nella sua forma universale attuale, per una diversa ragione e finalità. Proviamo a spiegarla molto sinteticamente e restando, inevitabilmente, sulla superficie di una materia quanto mai complessa e “fragile”: la bio-linguistica, per porci alcune domande e riflessioni che vanno oltre questo specifico aspetto scientifico. Il linguaggio umano ha da sempre rappresentato un rebus per l’evoluzionismo darwiniano, alle prese con un “salto” che sembrava sfidare la tradizionale impostazione gradualistica. Al primo significativo adattamento delle teorie darwiniane che, fermo restando il loro impianto di base, ha visto definirsi una concezione di evoluzione “per balzi”, l’evoluzionismo “stocastico”, si sono aggiunte decisive scoperte nel campo delle neuroscienze. Su questo impianto pluri-disciplinare si è venuta a delineare una spiegazione, per primo avanzata come mera ipotesi dal neurologo Henry Jenison (nel 1973) e poi più compiutamente definita da due fra i maggiori esperti nella materia: Noam Chomsky, leggenda vivente per quanto controversa della linguistica, e Robert Berwick, linguista computazionale. Secondo questa tesi, al tempo stesso evoluzionistica e discontinuistica, il linguaggio umano è, sulla base della precedente lenta evoluzione di un complesso di facoltà sempre più specificamente umane, una acquisizione recente databile all’incirca a 80.000 anni fa quando, in una ristretta finestra temporale, un vero e proprio “balzo”, un gruppo di ominidi africani, gli stessi che nella forma definitiva di “homo sapiens” partirono dall’Africa alla colonizzazione dell’intero pianeta, subì un piccolo ri-cablaggio del cervello che consentì le operazioni fondamentali del pensiero, in seguito esternalizzate attraverso il sistema senso-motorio. Come strumento interno per il pensiero e non per necessità di comunicazione l’homo sapiens avrebbe (inconsapevolmente) messo a punto la strabiliante capacità di creare un lessico, sempre più vasto e articolato, fatto di insiemi fonici che traducevano in vocaboli, e poi in “segni”, la capacità di “pensare”, e di assemblare gerarchicamente questo lessico in una sintassi, una grammatica, in grado di rappresentare concetti via via più complessi. Affidiamo a chi è più competente in materia di noi (facile esserlo) il compito di integrare, precisare, correggere, l’aspetto più strettamente scientifico della questione, a tutti noi invece, ed è questa la vera ragione della scelta di “linguaggio” come parola del mese, in questa specifica accezione, la “sfida” a dire cosa pensiamo del senso ultimo dell’esistenza del linguaggio e del suo rapporto, non solo generativo, con il pensiero, con il “dialogo interiore”. E’ possibile “pensare” senza disporre di parole che diano sostanza al suo espandersi? Se si posseggono poche parole si pensa di meno e peggio? Chiamando in causa Joyce ed il suo “Ulisse”, ossia ad un flusso all’apparenza inarrestabile di parole/pensieri, quanto contano il lessico, il vocabolario, e la sintassi, la grammatica? O più prosaicamente, come diceva Nanni Moretti, “chi parla male pensa male”?


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