venerdì 19 novembre 2021

Il "Saggio" del mese - Novembre 2021

 

Il “Saggio” del mese

 NOVEMBRE 2021

C’è un “non detto”, perché dato per scontato, per immutabile, nella quasi totalità delle riflessioni economiche e politiche, comprese quelle al centro dell’attuale dibattito sulla ripresa post-pandemica (Recovery Fund/PNRR) e sulla “green economy”: che tutto quanto realizzabile in campo economico/produttivo non possa non avvenire che seguendo le logiche della “economia di mercato capitalistico”, il sistema economico e produttivo che ha progressivamente uniformato l’economia globale, in particolare nella sua recente concezione ideologica “neo-liberista”. Vale a dire la narrazione che, dagli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso, è riuscita ad imporre globalmente l’idea che l’economia non possa che essere “capitalistica”, essendo l’unica forma che abbia una sua coerenza interna perché poggia su vere e proprie “leggi economiche”. In parole povere il famoso TINA (There Is No Alternative, non c’è alternativa) di thatcheriana memoria. La svolta neo-liberista, fin qui ampiamente vincente, sembra avere di fatto azzerato l’ampio dibattito che ha accompagnato il capitalismo fin dal suo sorgere spesso sottoponendolo ad un esercizio critico capace di evidenziare le sue intrinseche contraddizioni. Il fronte dei suoi oppositori, da sempre sostanzialmente diviso fra chi ne sollecita il totale superamento piuttosto che la sua, più o meno radicale, riforma, sembra infatti essersi rassegnato a restare una flebile voce. Non mancano, nel campo delle teorie economiche, voci autorevoli che tentano di riaprire i giochi visti gli evidenti guasti prodotti dalla globalizzazione neoliberista, come ad esempio quelle dei premi Nobel per l’economia Paul Krugman e Joseph Stiglitz, di Thomas Piketty e di Mariana Mazzuccato. Ma ancora adesso, nella decisiva fase in cui il mondo intero è chiamato a delineare un modello di sviluppo capace di rimediare ai danni pandemici e soprattutto di affrontare la crisi ambientale e climatica alla radice della sua genesi, il “non detto” e “Tina” non sembrano conoscere adeguate opposizioni. Il saggio scelto per questo mese di Novembre ha invece lo scopo opposto di rompere questo silenzio e di far comprendere che, al contrario, alternative possono esistere. Che è cioè possibile vedere nell’economia di mercato capitalistico un “normale” prodotto del divenire storico, e quindi come tale “normalmente” modificabile, se non persino superabile, come qualsiasi altro ogni fenomeno storico umano.

il cui autore è Fred Block  (1947 - sociologo americano, professore di di sociologia presso l'Università della California Block , editorialista e saggista, considerato come uno dei principali sociologi economici e politici del mondo, legato al pensiero di Karl Polanyi ed in stretto rapporto di collaborazione con Mariana Mazzucato)

che per perseguire questo scopo si propone, come evidenziato nel sottotitolo, di rendere manifesta “l’illusione” che a suo avviso caratterizza il capitalismo neoliberista. E’ evidente il richiamo al titolo dell’opera di Sigmund Freud “L’avvenire di un’illusione”, che si riferiva però al ruolo della religione. E come per Freud anche per Block il termine “illusione” non intende necessariamente qualcosa di falso, ma piuttosto una forma di pensiero ….. accettata per convenzione, non sottoposta alla critica della ragione libera, e come tale tramandata ……

L’illusione capitalistica, inquadramenti generali

La natura dell’illusione capitalistica

Per “illusione capitalistica” si deve intendere …… quell’insieme di credenze e supposizioni che costituiscono le fondamenta della retorica attorno al discorso pubblico sulla politica economica nel dibattito contemporaneo …. Il collante che tiene unite queste credenze e supposizioni consiste nell’idea che il capitalismo sia un sistema autonomo e totalmente autosufficiente, perché basato su una logica, e su correlate leggi, capace di una forte tenuta e stabilità. Questa idea si articola su quattro concatenati corollari:

*   l’economia capitalistica è dotata di una autonomia tale da permettere piena manovra alla sua logica. Questa autonomia va intesa come baluardo invalicabile per il potere politico pubblico

*   esiste quindi una tensione costante fra democrazia, come sistema di individuazione del potere politico, e capitalismo

*   gli individui devono però far prevalere, sempre e comunque, il proprio interesse personale ed il diritto alla ricchezza

*   questa atomizzazione degli interessi crea un sistema micro-economico in gran misura soggetto a casualità e quindi, a maggior ragione, impermeabile a forme di eccessiva regolamentazione

Una possibile definizione di capitalismo, che punti ad estrapolare i tratti comuni nelle tante versioni che si sono succedute e che sia capace di sintetizzare quanto sopra, può allora limitarsi ad essere quella di ….. un sistema economico/sociale nel quale i detentori della proprietà privata competono tra loro sul mercato …… Ne deriva allora una sorta di  ……. determinismo economico ….. in cui l’intero sistema di relazioni sociali è definito, determinato per l’appunto, dalla componente economica. Se la natura dell’attuale illusione capitalistica, nella forma assunta negli ultimi quattro/cinque decenni, può essere così sintetizzata diventa da subito evidente la sua totale incongruità con il reale percorso storico che vede il capitalismo, sia a livello globale sia a livello dei singoli paesi, essere al contrario un ……. sistema totalmente privo di carattere unitario e di logica interna ….. Eppure il risultato con il quale dobbiamo ancora oggi misurarci è il prevalere diffuso, anche nel campo dei potenziali oppositori, dell’opinione esattamente opposta a quanto attestato dalla realtà: …… il capitalismo è unitario, un unicum organico dotato di immutabile e invincibile coerenza interna

Le origini dell’illusione

Dove e quando questa illusione si è formata?  chi ne è stato l’artefice? Sul dove e quando non ci sono dubbi: negli USA nella seconda metà del secolo scorso. Preceduta dalla paradossale evoluzione del termine “capitalismo”. Negli USA, diversamente dal contesto europeo in cui la più solida tradizione marxista lo aveva da tempo inserito a pieno titolo nel vocabolario economico e politico, questa parola ha conosciuto un lungo, e per molti versi incomprensibile, ostracismo probabilmente perché da sempre troppo strettamente associata al “pericolo comunista”. Ancora nei primi anni Sessanta gli stessi nascenti movimenti di rivolta giovanile ritenevano opportuno non citarla esplicitamente per timore di innescare sordi pregiudizi. Non a caso quindi la sua riabilitazione non è stata opera della sinistra americana ma, per l’appunto paradossalmente, di un gruppo di intellettuali di destra con in prima fila l’economista Milton Friedman (1912-2006, economista statunitense), a ragione considerato uno dei padri fondatori del neoliberismo, l’editore Malcom Forbes (1919-1990), proprietario del “Forbes magazine”, e dell’intellettuale Irving Kristol (1920-2009). Nell’ambito del più generale processo neoliberista di riaffermazione dei valori puri del mercato il termine “capitalismo” venne di fatto provocatoriamente recuperato proprio per riaffermare la sua intrinseca validità. A Marx che aveva scientificamente definito la struttura capitalistica dell’economia di mercato si replicava che proprio la natura strutturale del capitalismo messa in luce da Marx lo rendeva il miglior sistema economico e sociale ed il termine che la definiva meritava quindi di essere orgogliosamente citato. E’ evidente che l’affermarsi della “illusione capitalistica” è stato un processo articolato nel quale sono via via confluite, fra i tanti fattori costitutivi, elaborazioni teoriche, scelte politiche, affermazioni elettorali, manipolazioni mediatiche, debolezze del fronte opposto, ma se si deve collocare, temporalmente e geograficamente, con una certa esattezza simbolica la sua nascita è a questo specifico passaggio che si deve guardare. Perché è già qui, nella sua dichiarazione di intenti e nelle motivazioni messe in campo, che si può individuare la rivendicazione, divenuta poi vincente, di essere un sistema strutturato, unitario, coerente, infallibile e quindi insostituibile

L’illusione di una unità autonoma e coerente

Le presunti inattaccabili basi sui quali poggia l’avvenuta affermazione, a destra come a sinistra, dell’illusione capitalistica richiedono di essere analizzati in modo specifico, ad iniziare dalla convinzione che…. la parola capitalismo rimandi ad una teoria sociale che considera l’economia di mercato una entità autonoma e coerente …… e come tale in grado di sviluppare una propria strutturale logica interna, tale da indirizzare uniformemente tutte le attività economiche, produttive, finanziarie. Questa convinzione è però totalmente smentita dalla concreta evoluzione storica, la quale dimostra, al contrario, che il mercato non è mai stato una entità così a sé stante da risultare impermeabile a quanto succede negli altri ambiti della società. …. ogni operazione di mercato si fonda su un combinato disposto di azioni che guarda all’interesse economico ma che, incidendo su tutti gli aspetti del vivere individuale e sociale, risente delle norme e delle consuetudini che li regolano …… Il mercato non è quindi, a puro titolo esemplificativo, per nulla impermeabile ai sistemi giuridici, ed al loro normare le relazioni umane comprese quelle economiche. E tanto meno può esserlo dal generale quadro dei rapporti di forza sociali capace di orientare l’andamento dell’economia in direzioni diverse determinando le logiche che lo ispirano. Quand’anche fosse possibile un certo grado di impermeabile autonomia questa, nel concreto processo storico, si è da sempre articolata in differenti forme ispirate dalle specifiche logiche economiche operanti in ogni singolo contesto. E quindi. …. se i singoli mercati, come la storia attesta, non condividono nella pratica reale la stessa logica diventa impossibile invocare l’esistenza di un unico, unitario ed autonomo sistema economico ….. In realtà non di sistema autonomo e coerente si deve parlare ma della fortissima influenza che questa separatezza del mercato, tanto vantata quanto non riscontrabile nella realtà, ha avuto, ed ha, sul suo rapporto con la sfera “Stato”, il quale, in linea generale, effettivamente si è sempre mosso troppo condizionato dal presupposto, di essere …… sostanzialmente esterno al sistema economico …..  Un presupposto che ha natura totalmente teorica essendo il frutto di un lungo processo di elaborazione – che prende avvio dal pensiero filosofico  di John Locke (1632-1704, filosofo inglese) per completarsi e rafforzarsi in successive teorie, ad esempio, in quelle economiche di Friedrich von Hayek (1899-1992, economista tedesco) uno dei padri putativi dell’attuale neoliberismo - di una precisa concezione dei rapporti economici, visti come una dimensione spontanea, insita nella natura umana, tale da precedere l’esistenza stessa dello Stato. Uscendo però dal mondo delle opinabili idee e tornando ad uno sguardo sul concreto procedere dei processi economici emerge un quadro decisamente diverso, nel quale gli attori economici sono ispirati, più che da presunte istintuali verità ideali, dalle specifiche culture e contesti nei quali concretamente operano. Un esempio eclatante in questo senso viene dal caso della Russia dopo il collasso del sistema sovietico nel 1991 allorquando, in un paese totalmente privo di familiarità con le logiche del mercato, le istituzioni economiche mondiali decisero di adottare una “terapia shock” di rapida introduzione dei meccanismi di mercato, quelli stessi maturati nel paesi occidentali con lunghi e complessi processi di assimilazione. (un modo di procedere riscontrabile non solo in campo economico, si pensi alle tragiche conseguenze della “esportazione della democrazia” in paesi con culture del tutto diverse) Il risultato, ben noto, è stato il violento formarsi di un mercato oligarchico con un livello di disuguaglianza economica senza pari nel mondo, reso possibile non dall’affermarsi spontaneo di logiche “autonome e coerenti” ma dal vuoto di potere politico e soprattutto dal crollo di tutte le relazioni sociali. L’esemplare vicenda russa chiama in causa l’attuale intero sistema capitalistico globale, che la narrazione a sostegno dell’illusione capitalistica descrive come una sorta di …… organismo vivente in grado di raggiungere e dominare ogni angolo del pianeta …. Ma a questo aspetto, divenuto peraltro innegabile negli ultimi decenni, non corrisponde affatto una sua caratteristica di “autonomia e coerenza”. Quasi mai l’economia globale ha seguito percorsi lineari e a sé stanti, fin dal primo suo delinearsi è sempre stata caratterizzata dall’esistenza di una potenza egemone. L’Inghilterra prima, gli USA dopo - la Cina domani? - si sono costituiti come detentori del potere di fissare regole, spazi di competenza, forme dei poteri locali, rotte commerciali, l’intera gamma dei fattori che definiscono un sistema di mercato. (non a caso le attuali contraddizioni a livello globale derivano anche dalla incertezza dovuta alla mancanza di una solida leadership, ovvero dalla lotta fra Usa e Cina per esserlo) Che dire inoltre della impressionante influenza che sulle logiche di sistema sta determinando la continua corsa alle innovazioni tecnologiche capaci non solo di rappresentare il vero nuovo deus ex machina dell’intera impalcatura economica, ma di imporre nuove logiche di sistema strettamente connesse a nuovi decisori globali? Basta pensare al crescente peso dell’economia “immateriale” che si muove, mossa da proprie logiche interne, lungo percorsi che non rispondono più a quelle classiche di “autonomia e coerenza”, peraltro, come si è visto, del tutto presunte. In conclusione …..non appare per nulla suffragata da riscontri storici reali l’illusione di concepire l’economia di mercato come un’entità naturale, preesistente alla nascita dello Stato moderno, slegata, in quanto autonoma e coerente,  dall’insieme delle relazioni sociali e delle sue istituzioni e procedure, in grado quindi di funzionare secondo immutabili logiche interne indipendenti dai sistemi produttivi.

L’illusione che la democrazia sia una minaccia per l’economia

Dalla prima illusione discende, come inevitabile corollario della presunta autonomia funzionale, il difficile rapporto del capitalismo con la democrazia. Così è stato, superato e vinto il contrasto con l’ancien régime, fin dagli albori della nascita del mercato capitalistico con il prolungato ostruzionismo verso l’estensione del diritto di voto a lungo ritenuto privilegio di censo esclusivo delle classi alte. La ragione che spiega questa diffidenza è sempre consistita nel timore che l’estensione dei diritti democratici potesse portare a governi e politiche che, rispondendo al volere della maggioranza, potessero limitare l’autonomia stessa del mercato, mentre, opinione rimasta immutata fino ai giorni nostri, secondo la vulgata capitalistica …… i governi e le istituzioni rappresentative dovrebbero rispondere ai bisogni dell’economia di mercato, non agli elettori ….. Non si è peraltro trattato di sola teoria, l’intero percorso storico del capitalismo è costellato di prevaricazioni e di restringimenti, anche pesanti, delle pratiche democratiche. Un corollario contemporaneo di questa tesi consiste, ad esempio, nella diffusa ostinazione ad imporre per via legislativa il pareggio di bilancio, piuttosto che, come nel caso della crisi del debito pubblico greco, esempio fra i tanti citabili, nell’imposizione dello smantellamento pressochè totale del welfare. Eppure anche in questo caso ….. le evidenze storiche mostrano che la democrazia non è per nulla ostativa allo sviluppo economico e dello stesso mercato capitalistico….. Con l’unica eccezione dell’attuale regime politico ed economico cinese, per il quale peraltro la scommessa su quali sviluppi avrà nel futuro è ancora tutta da giocare, nessun paese a democrazia limitata, se non cancellata, è riuscito ad assicurare una crescita costante ed un benessere diffuso. Il soffocamento dei diritti democratici ha sempre comportato una asfissia degli stessi rapporti economici piuttosto che, per quelli sottoposti ad autentiche dittature, l’inevitabile sbocco in situazioni di aperto conflitto, basti pensare a fascismo e nazismo, o di inarrestabile insofferenza popolare, come nell’URSS. Esiste inoltre una fondamentale prerogativa della democrazia, quella di essere ….. un importante freno per le derive oligarchiche del mercato …...  Ancora una volta infatti la storia ci consegna una innegabile constatazione ….. l’esistenza di due distinti sistemi di mercato …… Ambedue coerenti con la classica struttura del capitalismo, ed indipendentemente dagli specifici contesti spaziali e temporali, si manifestano come un fisiologico sviluppo delle logiche del mercato. Il primo è quello espresso dalle tendenze innovative del mercato, dalle imprese che, giocando su nuovi sistemi produttivi piuttosto che su nuovi prodotti, puntano a conquistare fette di mercato, il secondo, rappresentato invece da quelle che, già godendo di posizioni predominanti, tentano di consolidare questo vantaggio anche ricorrendo a pratiche ostative al libero manifestarsi della concorrenza. Il primo, proprio per le sue caratteristiche innovative ed espansive, richiede il pieno esercizio della libertà di mercato e quindi un collegato regime di ampia democrazia, il secondo al contrario, proprio per la sua necessità di ricorrere a strumenti di consolidamento della status quo, mira ad una sostanziale restrizione dei margini di manovra sul mercato e ad un sistema politico funzionale a queste tendenze conservative. Tecnicamente definibile come “mercato oligarchico” è comunque destinato, sul lungo periodo, ad esprimere minore tassi di crescita a causa del suo limitato interesse agli investimenti innovativi e del collegato inevitabile blocco della stessa leva della domanda. Il pieno esercizio della democrazia rappresenta allora una fondamentale barriera alle tendenze oligarchiche ed il contesto ottimale per la salute generale del mercato e per le sue possibilità di sviluppo. Il contrasto tra questi due sistemi di mercato sembra essere, al di là di ogni illusione capitalistica, una tendenza insopprimibile, lo dimostra chiaramente la parabola delle imprese tecnologiche e della Rete: nate come espressione di una rivoluzionaria innovazione, anche ispirata da uno spirito libertario e anticonformista, si sono rapidamente trasformate, avendo raggiunto livelli incredibili di quote di mercato, in autentiche oligarchie capaci di cannibalizzare ogni nuovo salto tecnologico e di condizionare pesantemente i poteri politici nazionali e sovrannazionali. A dispetto dell’illusione della inconciliabilità fra mercato e democrazia, il pieno realizzarsi di quest’ultima rappresenta l’unico freno alle degenerazioni oligarchiche e la dimensione ottimale per una piena dinamicità economica

L’illusione che l’avidità sia un bene

Un’altra consolidata illusione capitalistica è rappresentata dalla convinzione che l’economia di mercato funzioni al meglio in condizioni di completa libertà di iniziativa degli individui nel perseguimento dei propri interessi economici. Un autentico assioma che, collegandosi alla precedente illusione che il mercato capitalistico sia un sistema coerente e autoregolato, lo ritiene in grado di riportare automaticamente all’interesse generale ogni comportamento individuale finalizzato al profitto. Per i soggetti economici non deve quindi sussistere altro compito che non sia quello di massimizzare i profitti e perché ciò avvenga lo Stato deve astenersi dal porre limiti e freni a tale finalità. Esistono almeno due filoni di argomentazioni contrarie a questo assunto divenuto una delle bandiere dell’attuale neoliberismo. Il primo, che si muove sul piano teorico, consiste nelle numerose, ed influenti, prese di posizione che, nello stesso campo capitalistico, hanno criticato questa esaltazione dell’avidità. A partire da Adam Smith (1723-1790, economista e filosofo scozzese) celebrato, per il suo saggio “La ricchezza delle nazioni” come il “santo patrono” del libero mercato, il quale completa, a formare un unicum non separabile, questa sua fondamentale opera con un altro saggio, “Teoria dei sentimenti morali”, in cui sostiene che premessa imprescindibile per l’ordine sociale è la condivisione diffusa di valori morali che pongano un freno a sentimenti come avidità, eccesso di ambizione e presunzione. Ancora più articolata è la presa di posizione di Max Weber (1864-1920, sociologo, filosofo ed economista tedesco) che con la sua definizione di “capitalismo razionale” pone al centro delle dinamiche sociali uno spirito capitalistico fortemente permeato di motivazioni etiche derivanti dallo spirito protestante e calvinista. Il secondo filone, che ancora una volta si basa sui concreti processi storici, avvalora queste prese di posizione teoriche evidenziando i gravi guasti allo stesso corretto e lineare procedere del mercato là dove vengano a mancare, o non siano fatti adeguatamente rispettare, limiti normativi all’eccesso di massimizzazione dei profitti. Nel nutrito elenco di crisi economiche innescate proprio dal comportamento “avventuriero” (con questo termine Max Weber definisce la forma di capitalismo alternativa a quello “razionale”) di imprese e soggetti economici ossessivamente concentrate sulla realizzazione di guadagni, tanto elevati quanto rischiosi, spicca sicuramente quella del 2007/2008. Questa crisi sistemica globale, che ha evidenziato tutte le profonde contraddizioni ed ingiustizie del neoliberismo e dalla quale ancora oggi l’economia mondiale stenta a riprendersi, è stata innescata dall’incontrollato proliferare di speculazioni finanziarie, quando non autentiche truffe, basate sulla consapevole vendita di “titoli deteriorati”. Questo incontrollato fenomeno ha avuto luogo anche grazie ai cambiamenti permissivi introdotti, sulla spinta pressante del neoliberismo a partire dagli anni Ottanta, nei sistemi politici e giuridici finalizzati proprio a rimuovere ogni possibile ostacolo alla massimizzazione dei profitti, cancellando la precedente severa impalcatura politica e giuridica alla base della straordinaria ed irripetuta “età dell’oro capitalistica” del trentennio 1950-1960-1970. Sullo sfondo di questa rivoluzione involutiva aleggia l’idea, già vista in precedenza, che Stato ed istituzioni … debbano assecondare i bisogni dell’economia di mercato ….. non applicando ad imprese e soggetti economici quelle norme di limitazione delle sfere d’azione e di rispetto di codici etici che sono peraltro applicate all’insieme di tutte le altre categorie professionistiche. Un autentico paradosso illusorio che la storia ha ben messo in evidenza: …. in nome dell’efficienza economica i teorici del libero mercato ad oltranza hanno creato le condizioni per spingere l’economia verso l’improduttività ….  Nessun dato economico, nessuna analisi comparata, ha infatti evidenziato nei decenni successivi i “trenta gloriosi 1950-1960-1970”, quelli di maggior peso della regolamentazione globale del mercato, un pari sviluppo ed aumento dell’efficienza e della redditività economica. L’attuale persistente prevalere dell’assoluta fede neoliberista nella “teoria della casualità”, e della collegata visione “microeconomica” che vedono nel mercato nulla di più dell’insieme delle azioni individuali, mosse dal proprio tornaconto economico nel gioco domanda/offerta, non è in nulla confortato dai reali riscontri economici. Questo approccio “bottom–up, dal basso verso l’alto”, negando ogni possibile ruolo regolatore alle istituzioni politiche e sancendo così il diritto all’avidità individuale di prevaricare sull’interesse generale, è alla base non solo del disastro ambientale e della accresciuta ingiustizia sociale, ma anche del declinante andamento dell’economia globale. Ogni qual volta l’economia, e la politica ad essa succube, non si pongono domande sulle finalità etiche del loro procedere ci si incammina inesorabilmente sulla strada della predazione e della stessa perdita di produttività

L’illusione di un sistema immutabile

Non meno inaccettabile è l’illusione che il capitalismo sia dotato di logiche, meccanismi, ed istituzioni in grado di restare, nella loro intima essenza, immutabili nel tempo. E cioè che esso sia così strutturalmente fondato sulle sue fondamentali caratteristiche di base – proprietà privata, produzione e vendita di beni e servizi in un mercato concorrenziale nel quale gli operatori economici puntano a realizzare il massimo possibile del tornaconto economico – da restare sostanzialmente stabile e inalterato nel tempo. Secondo questa illusione possono sì mutare forme dei processi produttivi, tecnologie, ampiezza dei mercati, ma, vigendo una sorta di parallelismo con lo sviluppo biologico, non muterebbe il DNA originario del mercato capitalistico. Ancora una volta chiamando impropriamente in causa la visione marxista dello sviluppo delle organizzazioni sociali definite dalla forma di possesso dei mezzi di produzione, la successione degli stadi economico/sociali avrebbe sin qui seguito un percorso evolutivo che ha nel capitalismo il suo apogeo storico. All’interno di questa visione evoluzionistica si preciserebbe e prenderebbe poi forma quella, non a caso definita “essenzialismo”, che individua nella formazione di società complesse quelle caratteristiche, per l’appunto “essenziali”, capaci di definire una sorta di codice genetico socio-economico di quello stadio evolutivo. Entrambe queste concezioni non hanno retto allo sviluppo sia delle teorie evoluzionistiche sia di quelle di formazione e sviluppo del DNA: basandosi da tempo  le prime su un percorso casuale a balzi, tutt’altro che lineare, le seconde su meccanismi molto complessi di costante accensione/spegnimento dei geni molto influenzati dalle relazioni fra organismo ed ambiente. Non esistono quindi, anche accettando questo forzato parallelismo biologico, condizioni tali da sancire una inattaccabile immutabilità temporale. E tanto meno sembra possibile fondare questa presunta immutabilità sulla genericità degli assiomi di base che definirebbero tale essenza ultima del capitalismo, Se si analizzano obiettivamente le forme storiche di organizzazione del mercato capitalistico si colgono differenze strutturali nel modo di organizzare la proprietà privata, ed in quello di realizzazione dei profitti, così marcate da rendere improponibile l’illusione di una sua immutabilità temporale. Allo stesso modo l’organizzazione dei processi produttivi, soprattutto con l’introduzione spinta delle recenti innovazioni tecnologiche, è mutata in modo considerevole inserendo nel classico rapporto imprenditori/dipendenti un terzo decisivo soggetto, “le macchine”, capace di incidere in misura decisiva. Ma anche restando al solo rapporto lavoratori/capitalismo non è proprio possibile negare l’evoluzione radicale avvenuta nel suo modo di articolarsi. Certo la conflittualità antagonista fra i due soggetti è un dato costante, ma i due classici modi con i quali il capitalismo ha da sempre impostato le sue strategie produttive, uno più autoritario e coercitivo ed uno più collaborativo e dialogante, si sono alternati, temporalmente e geograficamente, in forme così diversificate da impedire la constatazione di immutabilità. Sostenere che entrambi questi modi sono compiutamente definibili come “capitalistici” rischia di non cogliere una loro diversità così profonda da delineare due sistemi sociali del tutto alternativi. Si pensi, ad esempio, a come il sistema produttivo “capitalistico” si è concretizzato nel corso del tempo in Germania, e nei paesi del Nord Europa, piuttosto che negli USA, molto più conflittuale quest’ultimo e molto più cooperativo, nelle stesse forme giuridiche di “proprietà dei mezzi di produzione” (nei Consigli di Amministrazione di buona parte delle imprese tedesche siedono con titolo di voto rappresentanti dei lavoratori), il primo. Limitarsi a definire entrambi capitalistici non rende giustizia ad una diversità di fondo che è maturata in modo quanto mai significativo a partire dal secondo dopoguerra. Esiste inoltre un’altra ragione, persino più strutturale, per diffidare del concetto di immutabilità del sistema capitalistico: legata alle recenti innovazioni tecnologiche essa consiste nella forma complessiva della società collegabile a quella della produzione. Il concetto di società “post-industriale” non rende pienamente il mutamento di fondo avvenuto. Se nella successione storica i termini di “società agricola” e di “società industriale” rendevano immediatamente evidente i modi di produrre e le forme dell’economia, quello di “post-industriale” non offre la stessa chiarezza identificativa. Se è pur vero che, al momento, il processo di trasformazione è ancora in una fase di completamento, e se quindi è ancora prematura una definizione compiutamente esaustiva, nell’ambito delle scienze sociali si sta consolidando quella di “società dell’abitare”. Ovvero di una società che si definisce e si articola nel legame con il territorio in cui si abita e in cui si consuma la quasi totalità del tempo di vita, e dove non necessariamente insistono i luoghi di produzione. Non si tratta di un normale fenomeno di pendolarismo, ma piuttosto di forme di produzione, va da sé pienamente rientranti nel termine “capitalismo”, che, in aggiunta a quelle tecnologicamente trasferibili via Rete ed a quelle, definibili come “pesanti” ormai suddivise su scala globale, si sviluppano proprio in relazione al territorio sul quale insistono. E’ il vastissimo mondo dei servizi, delle attività para-artigianali, delle piccole e medie industrie di prodotti a scala locale, di assistenza e manutenzione, della agricoltura a km zero, delle imprese di sviluppo e ricerca. Questi piccoli mondi capitalistici stanno sempre più riempendo il termine generico di “post-industriale” e, soprattutto, definiscono un “sistema capitalistico” completamente differente da quelli che lo hanno preceduto. E che possono contribuire a dare forma diversa anche al terreno di scontro che da sempre accompagna lo sviluppo storico del sistema capitalistico: quello del “potere di classe”. Sullo sfondo di un quadro delle disuguaglianze economiche e sociali che hanno raggiunto livelli inaccettabili, con una percentuale incredibile di ricchezza concentrata nelle mani di percentuali risibili di popolazione, si stanno definendo risposte globali che, accanto alla lotta per una diversa giustizia sociale collegata a quella ambientale, guardano proprio alla loro concretizzazione nei luoghi, nei territori, della “società dell’abitare”. Sarà anche questa, al termine del suo percorso, una testimonianza della inconsistenza dell’illusione di un capitalismo immutabile.

L’illusione di un ordine globale organizzato dal capitalismo

L’ultima illusione, fortemente coltivata e vantata dal capitalismo, è la logica conseguenza delle altre fin qui esaminate. Un sistema di mercato perfettamente autonomo dal resto del contesto sociale, coerente nelle sua logiche, capace di muoversi anche in assenza di democrazia, basato sull’interesse privato, il sentire più diffuso e condiviso nel mondo, e quindi geneticamente destinato all’immutabilità eterna, possiede tutti i titoli per ambire ad essere l’ordine globale. E’ un concetto perfettamente espresso da Thomas Friedman (1953, saggista ed editorialista per il New York Times) con un paradosso neanche tanto ironico ……. non esistono due nazioni in cui sia presente McDonald’s che si facciano guerra …… Una affermazione quanto meno azzardata se solo si pensa ai conflitti, purtroppo non solo commerciali, che da secoli vedono coinvolti paesi “capitalistici”, ma che merita comunque di essere valutata nel dettaglio. La storia, ancora una volta maestra di vita, insegna che il mercato, inteso nella sua accezione più ampia di circolazione di merci, non è mai stato in grado di organizzare, da solo, l’insieme delle relazioni sociali ed ancor meno quello delle relazioni economiche sul piano globale. Come già evidenziato in precedenza l’illusoria fiducia nella capacità del capitalismo di essere autonomo e coerente ha da sempre comportato l’errata negazione del ruolo delle istituzioni, e delle specifiche leggi che le ispirano. Un errore che è ancora più grave se riportato su scala globale. Un fenomeno, diffuso in tutte le economie, è un esempio illuminante del nesso contraddittorio tra interessi privati e relazioni tra nazioni: la fuga dei capitali. Di norma non appena un determinato paese accentua la pressione fiscale, ovvero al contrario la riduce, si assiste ad un intenso movimento di capitali in entrata piuttosto che in uscita. Una situazione perfettamente lineare per le logiche capitalistiche ma capace di comportare pesanti ripercussioni sulle singole situazioni nazionali, non a caso quindi la storia racconta di accordi e di regolamenti finalizzati a porre sotto controllo i movimenti transnazionali di capitali evitando così, grazie al ruolo delle istituzioni, storture ed eccessi speculativi. Si tratta cioè di un sistema di regole che consente agli stessi singoli sistemi capitalistici nazionali di svilupparsi e che, così facendo, evidenzia l’incapacità delle logiche capitalistiche, lasciate libere di esprimersi, di produrre un efficace ordine globale. Sullo sfondo di questa illusione sta in effetti l’errata convinzione, per certi versi avvalorata dallo stesso marxismo, che il capitalismo si sia progressivamente espanso sino a condizionare l’intero sistema economico globale unicamente grazie allo spontaneo emergere, per emulazione delle nazioni capitalistiche vincenti, delle logiche di mercato. Dimenticando il ruolo di imposizione forzata, ovvero di condizionamento oppressivo di ogni possibile alternativa, messo in atto, fin dal sorgere del sistema di mercato, dalle nazioni economicamente egemoni; si pensi alle politiche  in questo senso dell’Inghilterra prima e degli USA poi attuate, non raramente con pressioni violente, non per un ideale di ordine capitalistico globale ma per i propri interessi nazionali. L’intero percorso storico di affermazione globale del sistema di mercato capitalistico si è in effetti articolato attorno a tre interdipendenti processi: nascita ed affermazione di imprese finalizzate al profitto, il consolidarsi attorno ad esse delle istituzioni nazionali, ed infine il sistema di regole, in costante evoluzione, volte a regolare i rapporti economici internazionali. L’intreccio delle relazioni fra questi tre processi, distinti e correlati al tempo stesso, è inevitabilmente molto complesso e molto variabile. Il suo concretizzarsi fino ai giorni nostri evidenzia la sostanziale impossibilità, sulla base delle attuali logiche di mercato, di costruire un ordine globale minimamente armonico, coerente e quindi duraturo, mettendo invece in luce una successione continua di stadi, molto differenziati tra di loro, determinati dal contingente peso specifico di queste tre componenti. La stessa evoluzione dei movimenti di opposizione al capitalismo è stata analogamente molto condizionata da questo complesso intreccio tanto da dimostrarsi, smentendo l’errata profezia di Marx, incapace di muoversi secondo logiche realmente globali. In questo quadro che smentisce completamente l’illusione capitalistica di essere ordine globale sulla sola base delle proprie logiche, ma che al contempo ha finora constatato l’incapacità delle varie opposizioni al capitalismo di offrire una alternativa capace di raccoglierle in un orizzonte unico, una possibilità di effettiva svolta può però essere fornita dal carattere di inaggirabile globalità dell’emergenza ambientale e climatica. Questa battaglia può essere vinta solo attuando comuni programmi di trasformazione delle modalità produttive, dei sistemi energetici, e dell’intero sistema delle relazioni economiche globali, offrendo così un comune terreno di elaborazione ed attuazione di reali cambiamenti. Se non è per nulla scontato che questo possa avvenire nel campo delle logiche capitalistiche, se molto sarà deciso dall’evoluzione della crescente contrapposizione fra USA e Cina per la conquista dell’egemonia mondiale, al contrario il fronte variegato di chi propone possibili concrete alternative appare da subito obbligato a muoversi in tale direzione

Oltre le illusioni  

…. rifiutare questo universo di illusioni è sempre più urgente …… lo è per la valenza delle svolte non più rinviabili in materia di compatibilità ambientale e di giustizia sociale, e lo è, a maggior ragione, perché l’illusione capitalistica è stata finora un elemento di freno in tutte le politiche economiche nazionali e globali, per ultime in quelle che sono seguite alla crisi sistemica del 2007/2008. Nelle quali, accanto alle prevedibili pressioni da parte dei centri di potere economico, allo scontato allineamento della quasi totalità dei ceti politici e di governo, e alle indicazioni ottusamente rigorose dei modelli teorici mainstream delle scuole di pensiero neoliberista (analizzate nel nostro “Saggio del mese” di Agosto 2021 dedicato a “Il mercato rende liberi” di Mauro Gallegati), non è emersa, nonostante l’evidenza delle cause della crisi, alcuna volontà di  uscire dagli schemi consolidati. Va da sé che questo rifiuto non può da solo tradursi automaticamente in scelte concrete, ma acquisirlo in modo chiaro e diffuso può eliminare un determinante condizionamento ideologico. E quindi tempo di avere piena consapevolezza che il capitalismo, in quanto tale, non è un sistema economico e sociale così coerente, autonomo, ed immutabile, da non poter essere profondamente cambiato nei suoi presupposti di base. Le logiche di fondo che lo ispirano non sono solo caratterizzate dalle presunzioni illusorie qui esaminate ma sono ormai insostenibili rispetto alla loro compatibilità ambientale. L’insieme delle illusioni capitalistiche ha infatti come inevitabile sbocco concreto quello di una crescita quantitativa infinita, un trend manifestamente impossibile e distruttivo. Denunciare l’illusione capitalistica è un aspetto decisivo per passare ad una idea di crescita qualitativa, che punti ad una maggiore giustizia distributiva strettamente connessa ad una idea di “benessere” che non può più coincidere con la sola produzione di beni materiali. Non mancano poi elaborazioni, che discendono da questa denuncia, in grado di fornire indicazioni concrete per le scelte di più rilevante impatto, ad esempio quelle di: 

*   trasferire la creazione di credito finanziario unicamente in mani pubbliche, nazionali e sovranazionali, consegnandolo successivamente a banche di sviluppo che puntino ad equilibrare il flusso di ricchezza tra paesi ricchi e paesi poveri

*   riformare radicalmente le regole del commercio mondiale

*   iniziare a creare un piano di reddito garantito globale finalizzato ad omogenizzare i livelli salariali di base, sia a livello locale che globale,

*   modificare radicalmente le politiche fiscali introducendo sistemi di tassazioni con forte carattere di progressività

*   sostenere innovazioni produttive finalizzate ad una reale sostenibilità ambientale coinvolgendo, su scala globale, i territori come primi protagonisti della svolta. 

Questo patrimonio di elaborazioni per essere tradotto in scelte concrete richiede però che in tutti i momenti decisionali prevalgano atteggiamenti disponibili al cambiamento, e questo può avvenire solo se si sarà realizzato davvero il rifiuto dell’illusione capitalistica.

…… una società costruita attorno a mercati che si autoregolano non è mai esistita. Ogni società fondata sul libero mercato è un complesso ibrido, costituito da soggetti privati e da enti ed istituzioni pubbliche, a realizzare un delicato compromesso tra la facoltà di perseguire l’interesse privato ed il diritto di porre limiti a tale facoltà. E’ quindi possibile scegliere quale modello di sviluppo intraprendere e ricostruire un’economia di mercato compatibile con i valori della democrazia, dell’uguaglianza e della sostenibilità ambientale. Fuori dalla maglie strette dell’illusione capitalistica si prospetta un mondo di possibilità percorribili ……

P.S. = il saggio di Fred Block è del 2018 (pubblicato in Italia solo nel 2021) ed è pertanto precedente alla crisi pandemica ed alla recente accelerazione del dibattito sulle politiche legate all’emergenza ambientale. Le sue osservazioni acquistano comunque maggiore valenza in questa decisiva fase che impone scelte radicali, coraggiose, e davvero innovative.



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