martedì 1 luglio 2025

La Parola del mese - Luglio 2025

 

La Parola del mese

Una parola in grado di offrirci nuovi spunti di riflessione

LUGLIO 2025

Corre una sorta di obbligo per il lessico politico di battezzare ogni cambiamento strutturale, nella società, nelle forme del potere, nell’economia, con un termine capace di sintetizzarne quella che viene ritenuta la sua principale caratteristica. Non poteva sfuggire a questa tendenza la trasformazione avvenuta a cavallo del nuovo millennio con la definitiva e totale affermazione della tecnologia in ogni campo. La Parola di questo mese recupera il termine che, inizialmente riferito principalmente all’aspetto economico e produttivo, si è poi esteso a collegate forme del potere e della vita politica …………..

TECNOCAPITALISMO

Dal punto di vista etimologico è una parola che semplicemente mette in relazione due termini: Tècno (dal greco “τέχνη”, primo elemento di parole composte nelle quali significa “arte, capacità tecnica” o indica comunque una relazione con la tecnica) e Capitalismo (dal latino “caput – testa” e “alere – nutrire”, originariamente introdotto nell’analisi marxista, ma  poi accolto dalla scienza e dalla storiografia economica, con il quale si indica il sistema economico e sociale giunto a maturazione nel 19° secolo e poi evoluto in successive forme) che sono ormai entrati, nell’era della tecnologia spinta, in strettissima simbiosi.

Il termine tecnocapitalismo definisce quindi un sistema integrato di tecnica e capitalismo, ossia un sistema economico in cui l’innovazione tecnologica e l’uso intensivo della tecnologia sono al centro dell’attività economica e della creazione di valore. In questa versione del capitalismo sono diventate vincenti le imprese che più e meglio sanno sviluppare e commercializzare tecnologie innovative (di produzione e di offerta/gestione di servizi) che, avendo ormai l’economia carattere globale, consentono di generare profitti significativi in tempi straordinariamente accelerati.

Tecnocapitalismo, se così inteso, sembrerebbe avere una accezione neutra di semplice fotografia di un dato strutturale economico, ma così non è nel campo delle scienze sociali perché la sua declinazione può variare a seconda della diversa importanza attribuita ad uno dei due termini che lo compongono.

Nell’opinione di chi considera le innovazioni tecnologiche l’aspetto più rilevante tecnocapitalismo indica il ruolo determinante che esse hanno assunto nel conformare l’attuale capitalismo, tale da giustificare l’appellativo diquarta rivoluzione industriale(per indicare la crescente compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico, grazie alla somma dei progressi in Intelligenza Artificiale, robotica, l’Internet delle cose,  stampa 3D, ingegneria genetica, computer quantistici e altre correlate tecnologie) vale a dire una totale trasformazione del modo di produrre e di fare economia non dissimile nella sua portata dalle tre rivoluzioni che l’hanno preceduta (la prima, ottocentesca, data dall’avvento dell’energia a vapore, seguita dalla seconda del passaggio, nel primo Novecento, al motore a scoppio e all’energia elettrica, ed infine la terza, in qualche misura propedeutica a questa quarta, con la prima comparsa, iniziata negli anni Cinquanta, di processi automatizzati e computerizzati).

Al contrario per chi ritiene che il capitalismo, seppur così trasformato, rimanga l’aspetto ancora determinante, tecnocapitalismo non indica nessun reale cambio di paradigma, i mutamenti consentiti dalla tecnologia nell’estrarre valore (profitti) da parti sempre maggiori della vita dell’uomo e della società non hanno modificato ed hanno anzi rafforzato quella razionalità strumentale/calcolante-industriale che è la vera anima della modernità. Vale a dire che il capitalismo, nella sua versione tecno, è apparentemente diverso, ma sostanzialmente non dissimile da quello descritto da Marx e da quello novecentesco, perché sempre si basa sulla divisione del lavoro e sulla sua successiva, per quanto modificata, ricomposizione/integrazione in una struttura organizzata maggiore della semplice somma delle parti precedentemente suddivise.

Per lo scopo di questa Parola del mese ciò che più interessa, al di là della diversa importanza attribuibile ai due termini in questione, è piuttosto meglio capire quanto la consolidata affermazione del tecnocapitalismo stia incidendo sulla società, sulla democrazia e sui modi di vivere. In effetti più ancora della rilevanza assunta dall’insieme delle attività economiche tecnologiche, comunque indubitabile e di straordinario impatto sull’intero sistema capitalistico, ciò che sta ormai da alcuni anni impressionando, è il parallelo fenomeno di concentrazione della loro proprietà in un numero ristretto, molto ristretto, di soggetti, non a caso comunemente definititecnooligarchi” e da alcuni “tecnotitani.

Non è infatti dato riscontrare nell’intera storia del capitalismo una simile concentrazione di ricchezza e di potere di controllo dell’intero ciclo economico, ormai assurta a livelli tali da giustificare ampiamente il parallelismo tra tecnocapitalismo e oligarchia (nostra parola del mese di Aprile 2022), il “governo di pochi”. Non a caso quindi è proprio sulla relazione che il tecnocapitalismo sta implicando fra dimensioni economiche e potere esercitabile che si sono concentrate le attenzioni di media, di analisti politici, di studiosi di scienze sociali,del confronto politico e dell’intera opinione pubblica. Fra le tantissime riflessioni sul tema ci è sembrato interessante ed utile recuperare quella di Lelio Demichelis

(docente di sociologia presso il Dipartimento di Economia dell’Università dell’Insubria-Varese) che da diversi anni sta indagando sul tema con un primo testo “La religione tecno-capitalista

seguito poi da “La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo ed il tecnocapitalismo(nostro saggio del mese di Dicembre 2018)

Merita recuperare alcuni passaggi della sua analisi (prevalentemente dedicata alle ricadute della rivoluzione tecnologica nel mondo del lavoro) che, pur non essendo la traccia principale che seguiremo per approfondire il tema sollecitato da questa Parola del mese, bene inquadrano alcune delle conseguenze che derivano dal potere acquisito dal tecnocapitalismo e dai suoi alfieri. Demichelis non è particolarmente interessato alla diversa declinazione di cui si è detto, sostiene infatti che tecnica e capitalismo sono una cosa sola, perché i loro scopi, solo apparentemente diversi, che consistono per il capitalismo nell’accrescimento infinito del profitto privato e per la tecnica nell’accrescimento altrettanto infinito della propria potenza, sono a tutti gli effetti funzionali e integrati l’uno all’altro. Precisa poi che di conseguenza entrambi, nella loro definitiva congiunzione nell’attuale tecnocapitalismo, puntano a superare ogni limite/ostacolo, a vivere di velocizzazione e di accelerazione continua, a non tollerare alcun dissenso soffocando ogni ricerca di alternative, a verticalizzare le relazioni sociali ed i rapporti di lavoro, a rimuovere quindi i corpi sociali intermedi di mediazione e partecipazione collettiva.

Un’autentica duplice volontà di potenza che inesorabilmente sta incrinando l’essenza stessa della democrazia che, così come è stata sin qui intesa, basa al contrario la sua essenza sul bilanciamento dei poteri al proprio interno, e soprattutto conosce e pratica il concetto di limite perseguendo coerentemente il controllo di ogni volontà di potenza e di ogni eccedenza ed eccesso di un potere sugli altri.

Se così stanno le cose il tecnocapitalismo impone alla democrazia ed ai suoi difensori un’attenzione, finora non sufficientemente messa in campo, per la tematica dei “diritti tecnici”, ossia quelli in capo ad ogni cittadino ogni qual volta è inserito, connesso ed integrato, in apparati tecnologici così saldamente in mano di imprese private che, proprio su questa base, hanno acquisito un impensabile potere economico ed oramai anche politico. In questo senso la finalità della democrazia e della giustizia economica da sole non sono  più sufficienti perché la tecnica che compone il suffisso tecno di tecnocapitalismo è con ogni evidenza diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta essendo divenuta “fine e non più mezzo”, tanto da rappresentare la dimensione capace di inglobare l’intero vivere umano (da qui la “grande alienazione” del titolo del saggio di Demichelis). A suo avviso quindi il tecnocapitalismo, ed i rischi che la sua affermazione sta comportando, rendono insufficiente la democratizzazione del capitalismo se non viene completata con quella della tecnologia ovvero della tecnica in quanto sistema.

A maggior ragione diventa utile, in questo contesto, ricostruire il concreto percorso storico delle idee e delle scelte strategiche che hanno condotto a questo stato di cose, lo faremo avendo come traccia l’interessante testo, di recentissima uscita, “Tecnocapitalismo. L’ascesa dei nuovi oligarchi e la lotta per il bene comune

la cui autrice è Loretta Napoleoni (economista e saggista)


Anche per questo saggio (una ricostruzione molto articolata del complesso intreccio di fattori economici, sociali, culturali, politici che hanno costituito il percorso di trasformazione complessiva dell’attuale capitalismo globalizzato) ci limitiamo qui a riprendere le parti più specificamente dedicate all’affermazione, all’interno di tale contesto generale, del tecnocapitalismo:

Cyberpunk = agli inizi degli anni Novanta l’onda da non molto montata delle tecnologie ICT (Tecnologie di Informazione e Comunicazione) ha già prodotto un considerevole numero di imprese di straordinario successo del settore (in primis Microsoft, Apple, IBM e INTEL, quelle che hanno messo a punto le prime innovazioni hardware e software per presto divenire le big company del settore, ma restando ancora lontane dal costituire un tecnocapitalismo compiuto) le più grandi delle quali si sono ampliate anche grazie alle costanti acquisizioni di startup (imprese di recente nascita) che hanno messo a punto, in brevissimo tempo con le geniali intuizioni dei loro creatori, prodotti innovativi vincenti. Vendendo la loro esclusiva alle big company, in questo modo divenute ancora più big, imprenditori di poco più di trent’anni, con in cassaforte patrimoni multimilionari, sono liberi di reinventarsi nuovi ruoli sul mercato. Molti di loro, condividendo passioni e caratteristiche culturali, spesso sono accumunati anche da visioni di lungo respiro che vanno da idee sociali libertarie ad altre più conservatrici se non elitarie, fanno comunque gruppo ed iniziano a concordare strategie di mercato nel settore. In quello che al tempo è stato auto-definito un contesto cyberpunk (genere narrativo che in chiave fantastica critica il controllo capillare dell'individuo da parte di una società oppressiva) prendono consistenza due concetti che in breve caratterizzeranno quella scena imprenditoriale e culturale: la convinzione che sia la tecnologia e non la politica a proteggere le libertà individuali e che essa, per potersi muovere efficacemente, deve proteggersi dai controlli e intrusioni del vecchio sistema di potere. Questo secondo aspetto viene concretamente tradotto, per le loro necessità comunicative, nello sviluppo di sistemi crittografati (sistemi che, a partire dal lancio su vasta scala del sistema “PGP, Pretty Good Privacy, buona e bella privacy”, consentono solo a chi condivide una chiave di accesso di decifrare la comunicazione), un passo fondamentale che aprirà, da lì a poco, le porte all’ecommerce ed alle criptovalute.

Alcuni commentatori hanno fatto notare che nel cerchio, tutt’altro che esteso, dei nerd cyberpunk è stata rilevata un’alta incidenza di soggetti affetti dalla sindrome di Asperger, una sindrome (che colpisce di più i maschi delle femmine) dello spettro autistico, che comportaabilità sociali limitate, propensione all’ossessione, interesse per i sistemi, amore per i numeri, rifiuto del confronto privilegiando il pensiero individuale”. Può sembrare una nota di colore, ma il fatto che ne siano in qualche modo coinvolti molti dei personaggi (tutti maschi) emblema del tecnocapitalismo, (a partire da Elon Musk) qualche riflessione aggiuntiva la sollecita

Bitcoin = Questa ossessiva ricerca e messa a punto di sistemi criptati di comunicazione da subito viene estesa alle modalità di gestione delle comuni attività economiche on-line, incluse quelle finanziarie, compresa una più libera circolazione del denaro, che non tarda a tradursi nell’idea di crearne una ad hoc, naturalmente virtuale. A differenza dell’e-commerce (la vendita di prodotti, di ogni tipo di prodotto, on-line, la cui architettura viene rapidamente messa a punto per presto divenire uno dei settori più rilevanti del tecnocapitalismo) questo secondo obiettivo si presenta però di non facile soluzione, troppo forte e rigido è infatti il potere ed il controllo esercitato dalle autorità monetarie statali e troppo complesse le stesse articolazioni di sistema che devono garantire il massimo di efficienza, di privacy e di controllo, a lungo gli sforzi messi in campo non sortiscono risultati concreti.

La svolta si realizza solo nel 2008, in non casuale coincidenza con la più grave crisi finanziaria del capitalismo globalizzato che sottopone tutte le monete nazionali, o di aree comuni come l’euro, a tensioni pesantissime (la moneta tradizionale è tecnicamente definita uno strumento “fiat”, per indicare che, non essendo più ancorata dal 1971, fine degli accordi di Bretton Woods,  al valore di un metallo come l’oro, essa ha un valore basato esclusivamente sulla fiducia del mercato). Un personaggio di nome Satoshi Nakamoto (un evidente nome di fantasia) del tutto sconosciuto (e tale ancora è) segnala al gruppo dei cyberpunk di aver messo a punto un sistema di gestione telematica di una moneta, chiamata “Bit-coin(nostra Parola del mese di Febbraio 2018), che garantisce piena efficienza di transazioni monetarie ed assoluta riservatezza. Il successo, complice la crisi finanziaria, è immediato, l’era delle criptovalute è iniziata (il tempismo della nascita del Bit-coin ha suscitato non poche domande, troppo elevata era infatti la competenza, informatica e finanziaria, necessaria per creare uno strumento così raffinato. Sono da subito circolate voci secondo le quali dietro Satoshi Nakamoto si siano in effetti mossi soggetti di altissimo livello dello stesso mondo finanziario “ufficiale” interessati a creare nuovi spazi di manovra per investimenti e profitti. Un’ipotesi che, se confermata, rafforzerebbe l’opinione di molti che fin da subito il successo dei cyberpunk sia stato “benedetto” da una parte del potere).

Non interessa qui entrare nel merito del funzionamento tecnico (molto complesso) del Bit-coin piuttosto che individuare il suo vero creatore o valutare l’universo delle cryptovalute da lì in poi evoluto (se ne contano ormai più di diecimila), ciò che merita evidenziare è il fatto che il percorso verso la definitiva affermazione del tecnocapitalismo conosce con questa svolta un fondamentale passo in avanti: l’idea di una economia ed una società alternative a quella classica, al tempo ancora non poco venata di idealismi vagamente libertari, poggia ora, sfondato il muro della dittatura finanziaria e monetaria, su una base più solida sulla quale diventa possibile, tecnicamente e ideologicamente, costruire altre progettualità.

Mondo cripto – NFT = La criptovaluta creata da Satoshi Nakamoto (che con il tempo ha dimostrato, a differenza di molte altre, di possedere buone doti di affidabilità e di controllabilità, grazie al suo rigoroso sistema delle block-chain, letteralmente catena di blocchi ossia una costante verifica, consegnata nelle mani degli stessi utilizzatori, di tutta la trafila delle transazioni) ha infatti fornito, al di là della sua specifica utilizzazione, un’architettura informatica adattabile anche ad altri usi. Buona parte dei quali hanno formato una sorta di mondo cripto che per un certo periodo ha mantenute ferme le due iniziali filosofie di base cyberpunk: autonomizzazione dalle istituzioni statali e rafforzamento ed ampliamento delle libertà individuali.

Qualcosa si è però molto presto incrinato in queste speranze libertarie e nelle prospettive gestionali da loro prodotte, ed è esattamente in questa frattura che si sono sviluppati i germi della nascita del tecnocapitalismo, ossia di un individualismo imprenditoriale che individuava nella tecnologia della Rete, e nella sua pervasività sempre più diffusa, una dimensione ottimale di mercato nella quale conquistare nuove posizioni egemoniche (quelle conquistate da quelli che Loretta Napoleoni definisce i nuovi tecnotitani ), mantenendo al tempo stesso, ma a questo punto per tutt’altri fini rispetto a quelli originari, anche l’ideologico obiettivo di scavalcare le funzioni di controllo e regolamentazione statali fino a prevedere e ad esaltare nuove forme di potere (i nuovi tecnoligarchi). Due esempi lo testimoniano in modo esemplare: con un brevissimo salto temporale, ma con uno sconvolgente salto logico rispetto alle iniziali illusioni libertarie (ancora evidenti nel 2008), si arriva alla nascita di OpenAI nel 2015 e alla clamorosa esplosione del fenomeno NFT nel 2021.

OpenAI (un modello linguistico informatizzato di grandi dimensioni strutturato su una rete neurale, una replica tecnologica del cervello umano) nasce nel 2015 grazie ai finanziamenti di un gruppo di investitori (accomunati dalla fiducia nelle potenzialità, di vario genere, dell’Intelligenza Artificiale AI), quasi tutti provenienti dall’ambiente nerd cyberpunk, con lo scopo, dichiarato come “umanitario, di sviluppare una forma, accessibile per tutti, di intelligenza artificiale a sussidio di esigenze di vario tipo. Solo quattro anni dopo, nel 2019, avvia una partnership con Microsoft (che investirà miliardi di dollari per sostenere lo sviluppo delle versioni di ChatGPT, il nome dell’AI di OpenAI) che manda in soffitta la finalità filantropica per elaborare raffinate strategie di applicazione (estendibili ad ogni ambito produttivo ed economico) per ricavare lauti profitti. Al di là dell’acceso dibattito attorno all’AI, alle sue possibili applicazioni, ai rischi di una sua incontrollata estensione ed ai dubbi sulla sua ragione d’essere, è centrale evidenziare, in questo approfondimento sull’attuale tecnocapitalismo, questo cambio radicale di paradigma, culturale ed economico, attuato dai suoi protagonisti che si è presto tradotto in una sua fideistica esaltazione che va in tutt’altra direzione rispetto alla iniziale finalità umanitaria. Appare sempre più evidente il suo ruolo centrale nelle strategie tecno-capitalistiche tale da giustificare il timore dell’avvento di un capitalismo ipertecnologico fondato unicamente sul capitale.

Non appare dissimile la finalità ultima del nascente mondo degli NFT , Non Fungible Token (letteralmente “Gettone non replicabile”, è la registrazione su una blockchain, come quella dei Bitcoin, del possesso esclusivo di un oggetto digitale, il token, che può essere rivenduto piuttosto che reso accessibile previo compenso di norma in criptovalute) che, nati per certificare opere d’arte create appositamente come NFT, si stanno rapidamente estendendo nel mondo della Rete (sono nate applicazioni perlomeno stravaganti, ma di enorme successo, con un giro d’affari incredibile, come “Criptokitties” un gioco di allevamento virtuale di gattini, che rendono legittimo l’interrogarsi su quale umanità stia nascendo nell’era della Rete). Sono ormai molti i commentatori che pronosticano la loro evoluzione, non solo più nella forma di proprietà di oggetti virtuali, come modo standard di commerciare, sfruttando specifiche blockchain, tutto ciò che richiede una prova della proprietà e che può essere scambiato sul mercato.

Il quale assumerebbe in questo modo una dimensione sempre più ancorata unicamente ad una Rete slegata dalle istituzioni statali e dal loro potere di controllo e regolamentazione.

L’ascesa dei tecnotitani = Non sono meno significativi altri esempi, come quelli di Uber (la modalità di gestione del trasporto automobilistico che mette in contatto diretto utente e autista) e di Airbnb (analogo rapporto diretto tra affittuario e locatore di affitti brevi), che rendono legittima questa previsione. L’intero comparto delle attività economiche che rientrano nell’alveo, sempre più variegato, del tecnocapitalismo  evidenzia, per spiegare il suo successo, la rilevanza, economica e politica, dell’aspetto temporale: l’intero sistema di norme e convenzioni che fino al loro avvento regolavano il funzionamento di settori significativi del mercato è stato letteralmente sconvolto e reso inefficace dalla loro capacità di affermarsi e consolidarsi ad una incredibile velocità di rimodulazione. Il mercato tecnologico viaggia ad una velocità impensabile per le tradizionali attività legislative di controllo e per i classici modelli di gestione contrattuale del lavoro.

Non soltanto il tecnocapitalismo possiede caratteristiche intrinseche alla sua conformazione che gli consentono una buona dose di impermeabilità a controlli e regolamentazioni (spesso favorita da una complice ignavia della politica), ma il suo indubbio successo economico è ormai tale da catturare l’attenzione interessata dell’alta finanza e degli investitori istituzionali (fondi pensione, compagnie assicurative e banche) che, salendo sul carro del vincitore, non poco  contribuiscono alla sua crescita. Si realizza infatti, negli anni immediatamente successivi alla crisi strutturale del 2008, il paradosso che buona parte dei flussi finanziari (creazione di nuovo denaro pagata con debito pubblico) attivati per soccorrere i classici settori economici sono, attraverso questi stessi, dirottati, come finanziamento speculativo, verso quelli tecnologici che, solo pochi anni prima, i Cyberpunk avevano immaginato come alternativi allo Stato ed al vecchio capitalismo. E’ anche grazie a questo flusso di ingenti finanziamenti che le big company del settore – Microsoft, Apple, Amazon, Ndivia, Alphabet (ex Google), Meta (ex Facebook) – sono sistematicamente in grado di fagocitare ogni impresa, ogni nuova attività, che si presti a rafforzare il settore.

L’avidità capitalistica dei nuovi padroni del vapore (tecnologico) è talmente insaziabile da mettere in atto anche uno sfruttamento scientifico, ma di certo non meno pesante, del proprio personale (la “gig economy” del lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo) ipocritamente mascherata anche con la studiata capacità di presentarsi sul mercato con la candida e progressista veste della “sharing economy (economia condivisa)”, una economia “della gente” che dovrebbe realizzare, a dar credito al racconto di comodo, la fusione tra gli interessi dei produttori e quelli del consumatore/utente. La realtà racconta tutt’altra storia.

La fine dello Stato-nazione = La rivoluzione tecno-capitalistica avviene negli USA sulla base della combinazione dei fattori, culturali – scientifici – tecnologici, di cui si è detto, realizzando un sistema di potere economico molto concentrato, di natura oligopolistica, con una formidabile potenza di fuoco: negli anni della pandemia la capitalizzazione azionaria delle citate big company è arrivata a valere oltre 4.000 miliardi di dollari superando il PIL della Germania, la quarta economia mondiale.

Non può certo stupire che una tale potenza abbia cancellato ogni possibile concorrenza (con la sola eccezione della Cina, la recente affermazione della AI cinese DeepSeek è emblematica di una capacità tecnologica non inferiore a quella tecnocapitalista), in particolare quella, quanto mai già timida del suo, del vecchio continente (alla UE allo stato attuale non resta altra arma che quella, non poco spuntata, di tentare di contenere, normandola e tassandola, tale invadenza). In questo scenario il trasferimento di sovranità reale alle tech companies dai vecchi Stati nazione, la dimensione istituzionale entro la quale non a caso si era formato e sviluppato il capitalismo classico europeo, è diventato inevitabile. Con la cancellazione di fatto, in un arco temporale incredibilmente compresso, della dimensione spaziale realizzata grazie alla dimensione globale della Rete, il tecnocapitalismo ha allentato oltremisura tutte le storiche relazioni tra territorio, popolazioni e Stati.

L’avvenuta affermazione planetaria di Google Maps (adottata persino dagli eserciti di molti paesi del mondo per controllare il territorio anche nascondendo agli occhi altrui, previ lauti compensi, installazioni strategiche) e quella in corso di Starlink (la costellazione di satelliti creata da Elon Musk per sistemi di comunicazione) sono solo alcuni degli esempi più significativi del potere di controllo degli spazi fisici, economici, politici e, non ultimi, esistenziali

I baroni dello spazio = A completare la rassegna degli spunti più significativi offerti dal saggio di Loretta Napoleoni recuperiamo quelli relativi ad altri due fondamentali aspetti costitutivi dell’attuale tecnocapitalismo (che, essendo fra di loro strettamente connessi, aggiungono elementi di riflessione anche sulla stessa correlazione, più o meno bilanciata, fra tecno e capitalismo): l’adesione incondizionata al mito della  crescita infinita, proprio delle logiche capitalistiche, e la nuova corsa alla conquista dello spazio, esaltazione prometeica della potenza tecnologica.

A dare sostanza alla prima considerazione, in aggiunta a quanto già esaminato in precedenza, interviene l’evidente assenza nel mondo dei tecnotitani/tecnoligarchi, di attenzioni verso le innegabili ricadute che la rincorsa di una crescita economica sempre più insostenibile sta avendo sulla salute di un pianeta dalle risorse finite. Ogni qual volta l’emergenza ambientale e climatica ha evidenziato l’inconciliabilità fra sostenibilità e ricerca ossessiva del profitto, gli alfieri del tecnocapitalismo si sono fatti notare per la loro assenza se non per una incondizionata difesa della redditività. Non a caso, nell’incredibile campionario delle innovazioni tecnologiche costantemente promosse per quasi tutte le attività umane, praticamente nessuna si prefigge l’obiettivo di soluzioni di mitigazione ambientale, di utilizzo consapevole e mirato delle risorse terrestri, di messa a punto di sistemi energetici alternativi. 

Semmai la consapevolezza, indubbiamente presente nelle loro strategie di lungo periodo, dell’inconciliabilità della crescita infinita con un pianeta dalle risorse finite viene semplicemente declinata nel loro superamento realizzato con una sorta di fuga dalla Terra stessa. Ciò sta chiaramente avvenendo con la messa a punto di progetti che guardano, andando oltre i limiti fisici terrestri, allo sfruttamento dello spazio che circonda la Terra con la realizzazione di strutture artificiali collocabili ben oltre il cosiddetto ““LEO, Low Earth Orbit(l’area compresa tra i 240 e 800 km di distanza dalla Terra, nella quale è attualmente concentrata la maggior parte dei satelliti terrestri in orbita), per intercettare corpi celesti ricchi di minerali e per spostare produzioni ad alto impatto, piuttosto che, ancora più ambiziosamente, alla “terrificazione di altri pianeti(la trasformazione delle loro condizioni ambientali), a partire da Marte (nelle intenzioni a lungo termine di Musk la sua conversione a casa stabile perlomeno di una parte dell’umanità, facile capire quale, è già ben più di un sogno utopico).

Si tratta di programmi che richiedono impressionanti investimenti per la messa a punto di tecnologie che li rendano possibili, a dir poco avveniristiche, ma la logica che li sostiene è evidente: se il pianeta Terra rischia di non bastare più a sostenere l’irrinunciabile crescita, la soluzione è quella di trasferire altrove il business.  E’ questa la convinzione che anima tecnotitani quali Elon Musk, Jeff Bezos, Paul Allen, Richard Branson, soprannominati per questa loro aspirazione i “Baroni dello Spazio”.

In quella che per ora, se si guarda ai suoi aspetti più fantascientifici, ha ancora i tratti di una utopia tecnologica, si stanno concretamente realizzando programmi di colonizzazione della LEO che, anche grazie al fattivo coinvolgimento di organizzazioni pubbliche come la NASA (che da anni ha attivato una joint venture con la SpaceX di Elon Musk), già trasferiscono su satelliti parti significative di attività come la gestione della Rete ed i programmi di comunicazione sensibile (oltre a Musk con Starlink, la società per la gestione della sua costellazione di satelliti, si è aggiunto Jeff Bezos con il progetto Kuiper con identici obiettivi. Secondo la Satellite Industry Association entro il 2030 potrebbero esserci in orbita qualcosa come 100.000 veicoli spaziali di natura commerciale tenendo conto che, a confermare che lo spazio è ormai diventato una concreta dimensione economica e tecnologica, la stessa Cina sta muovendo importanti passi in questa direzione. Sarà interessante capire come saranno gestiti i rischi di incidenti causati da tale sovraffollamento). La pericolosa forza vitale del tecnocapitalismo non si misura quindi solo sulla sua attuale già realizzata pervasività, ma rischia davvero di accentuarsi ogni oltre limite con la sua espansione egemonica nello spazio.

Chiudiamo questa Parola del mese con una citazione dal testo di Loretta Napoleoni che bene riassume i rischi che derivano da questa preoccupante concentrazione di potere economico, tecnologico e sempre più anche politico, definita “tecnocapitalismo” : ……. I tecnotitani, alias Baroni dello Spazio, potrebbero essere considerati i pronipoti dei capitalisti d’industria artefici della Rivoluzione industriale, ma diversamente da loro, che dovevano fare i conti con la forza lavoro umana, non devono affrontare questa dialettica grazie al ruolo sempre più centrale della tecnologia. Se questo capitalismo riuscirà ad espandersi anche nel cosmo, la sua potenza sarà ancora di più un problema per la democrazia e per l’umanità in generale perché inevitabilmente cresceranno disuguaglianze, abusi, rischi di guerre.




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