venerdì 15 agosto 2025

Il "Saggio" del mese - Agosto 2025

 

Il “Saggio” del mese

 AGOSTO 2025

L’idea iniziale era di “provare” a riassumere un testo ormai divenuto, grazie ad una innovativa relazione fra gli aspetti più strettamente biologici con quelli del comportamento sociale, un classico di riferimento negli studi dell’evoluzione darwiniana dell’uomo. Ci sembrava infatti che il suo affrontare, riportando ancora più indietro l’orologio dell’evoluzione, i percorsi di formazione delle società umane, bene si collegasse con i temi affrontati nel libro “L’alba di tutto(sintetizzato in tre “Saggi del mese” di Settembre, Ottobre e Novembre 2024) relativamente a quanto avvenuto a partire dal neolitico superiore. L’interesse verso questo testo era inoltre accentuato dal fatto che, come ben evidenziato nell’introduzione di Telmo Pievani, il suo autore Edward O. Wilson, (purtroppo recentemente scomparso) è unanimemente considerato uno dei più importanti studiosi evoluzionistici contemporanei

[Edward Osborne Wilson, 1929/2021, biologo a lungo professore ad Harvard, si è occupato di vari temi di ricerca, quali la mirmecologia (la branca dell'entomologia che studia le formiche), la biodiversità e la sua distribuzione attraverso la formulazione della teoria della biogeografia insulare. È noto in particolare per la fondazione del programma di ricerca della sociobiologia. È autore di numerosi saggi, due dei quali hanno ottenuto il Premio Pulitzer per la saggistica. Da molti considerato il Darwin moderno]

Il testo in questione è “La conquista sociale della Terra”

nel quale Wilson mostra come, dagli insetti sociali all’uomo, l’evoluzione sia stata sospinta non solo dall’egoismo genetico, ma anche dallo sviluppo di comportamenti sociali cooperativi. Peccato però che il clima “agostale” (di cui si è già detto per la “Parola del mese”) poco si conciliasse con un testo tanto corposo quanto complesso (soprattutto nelle parti più tecnicamente biologiche), per cui alla lettura non ha fatto seguito, come da prassi, la rilettura mirata ad una sua sintesi. Una soluzione è però venuta dall’incontro con un successivo testo di Edward Wilson che, riprendendo in forma decisamente più sintetica i temi de “La conquista sociale della Terra”, ci è sembrato un compromesso accettabile tra clima agostale e complessità dell’analisi ed è quindi divenuto il “Saggio del mese” di questo Agosto 2025


Anche questo saggio è preceduto da una introduzione di Telmo Pievani che evidenzia in particolare la capacità di Wilson di rimodulare le proprie idee sulla base del progressivo affinarsi delle teorie evoluzionistiche sempre più convinte del continuo alternarsi di fasi di “evoluzione rilassata” con quelli definibili come improvvisi ed imprevedibili “salti evolutivi” inserite in un procedere con “un percorso a mosaico” all’interno del quale anche le svariate specie ominine (una vasta famiglia, almeno 25 specie, che comprende homo sapiens e altre specie estinte note attraverso i loro resti fossili) hanno seguito distinti sviluppi ramificati che, iniziati milioni di anni fa, hanno poi portato all’avvento vincente di homo sapiens

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PROLOGO

Sono sostanzialmente tre le domande alle quali occorre rispondere per cercare di comprendere, dal punto di vista evoluzionistico, la condizione umana: chi è l’uomo? che cosa l’ha creato nelle sue forme attuali? che cosa potrebbe diventare? La successione non è casuale, per rispondere alla terza domanda è infatti necessario aver risposto alle prime due.

Peccato però che le discipline umanistiche, sul versante laico, e le religioni, su quello spirituale, non si siano mai adeguatamente interrogate sul passato profondo umano e pre-umano, a differenza della scienza e della sua assistente, la tecnologia, che su questi temi da tempo hanno costruito discipline obiettive sempre più convincenti (per quanto i nodi irrisolti siano ancora moltissimi e per molti di essi sarà sempre davvero difficile trovare adeguati riscontri oggettivi). Le prime infatti si sono mosse avendo come orizzonte retrospettivo massimo la nascita della cosiddetta “civiltà umana” e le seconde si sono limitate a difendere la supremazia della propria versione mitologica.

QQQuesto sguardo corto è una delle conseguenze del modo stesso in cui ha avuto origine l’umanità, ossia nel “tribalismo”, vale a dire la dimensione sociale non a caso alla base di tutte le religioni organizzate e di tutte le culture. Questa dimensione si è ovunque costruita e rafforzata grazie alla condivisione di racconti  ritenuti però immodificabili per la loro capacità di cementare l’unione sociale.

La prima vera frattura in questo millenario percorso culturale è intervenuta solamente nel 1871 con “L’origine dell’uomo” di Charles Darwin che ha definitivamente spostato il tema delle origini dell’uomo nell’ambito della scienza suggerendo che egli, ben lungi dall’essere al centro della creazione di vita sulla Terra, altro non è che una creatura che discende da scimmie antropomorfe africane e che quindi va collocata in un lungo e variegato percorso evolutivo che ha deciso le sue caratteristiche biologiche e culturali.

Dalle prime indicazioni darwiniane ha poi preso avvio la scienza della ricostruzione filogenetica (il processo di ramificazione delle linee di discendenza nell'evoluzione della vita), quella che guiderà, nelle sue risultanze fondamentali, questo testo partendo da una prima fondamentale domanda: quale forza ha dato vita alla vita (umana)?

1 – IN CERCA DELLA GENESI

Non tragga in inganno il termine genesi che qui Wilson usa non per addentrarsi nella complessa origine della vita sulla Terra, ma per seguire, da lì in poi, i percorsi graduali con cui tutte le varie forme vitali che hanno sin qui popolato il pianeta si sono via via sviluppate. La sua attenzione è in particolare mirata ai meccanismi evolutivi che di più e meglio aiutano a capire come anche la genesi di Homo Sapiens possa essere compresa solo se collocata in questo generale percorso, presentandoli, ben consapevole della loro complessità, nei loro tratti fondamentali

Per tentare di rispondere alle prime due domande di cui si è detto non è infatti sufficiente risalire a diecimila anni fa, momento canonico di inizio della civiltà umana, ma neppure a trecento/duecentomila anni fa quando Homo Sapiens si è definitivamente distinto tra le altre specie ominine, ma è indispensabile ripercorrere, per quanto a grandi linee, l’intero percorso evolutivo pre-umano partendo dalla sua stessa “genesi”. Sarà esattamente questo il tema del successivo Capitolo 3, che per essere meglio compreso richiede però di richiamare preliminarmente i più importanti meccanismi biologici  alla base di tutti i salti evolutivi:

Ø ogni parte del corpo e della mente umani ha una base materiale che, come per tutte le forme di vita terrestri, obbedisce alle generali leggi della fisica e della chimica

Ø l’evoluzione di tutte le forme di vita consiste in un cambiamento nella frequenza e nella interrelazione dei geni che la formano (selezione genetica). Ciò è avvenuto in stretto rapporto con i vari contesti ambientali che si sono via via succeduti sulla Terra.

Ø ed è proprio la specificità del contesto ambientale il fattore decisivo per indurre/sollecitare/accompagnare la selezione genetica favorendo, nella feroce lotta per la sopravvivenza vitale, alcune specifiche varianti di geni (gli alleli, una variazione della sequenza di componenti delle molecole di DNA che possono differire tra loro per una sola coppia di basi oppure per diverse migliaia)

Ø tale selezione, la forza motrice dell’evoluzione biologica di tutte le forme di vita, interviene sia a livello dei singoli individui sia del gruppo omogeneo che essi formano (popolazioni) e può essere riassunta in un’unica frase sintetica: la mutazione propone, l’ambiente dispone

Ø vale a dire che se i caratteri determinanti di una mutazione si rivelano, nell’ambiente circostante, favorevoli per la sopravvivenza e la riproduzione dei singoli individui, gli alleli che la costituiscono si moltiplicheranno nella popolazione fino a divenire quelli prevalenti, al contrario quelli che invece si rivelassero sfavorevoli saranno destinati a scomparire

Ø consiste in questo meccanismo l’essenza della trasmissione ereditaria dei geni che consegna alle generazioni successive il patrimonio genetico vincente (sempre sottoposto ad ulteriori mutazioni nel costante procedere dei cambiamenti ambientali)

Ø questi passaggi evolutivi avvengono quindi senza interruzioni in singoli individui ed in ogni popolazione con una velocità altamente variabile: si passa da mutazioni che possono intervenire nel giro di una sola generazione

come per il “biscit del Nilo”, uno dei “pesci polmonati” in grado di vivere sia in acqua che sulla terra, una specie simile a quelle che quattrocento milioni di anni fa sono divenute definitivamente terrestri dando origine agli anfibi. In un esperimento biscit della stessa covata sono stati divisi in due gruppi: uno cresciuto solo in acqua e uno solo sulla terra. Dopo soli otto mesi sono stati messi a confronto e sono state rilevate evidenti mutazioni comportamentali e persino già anatomiche

ad altre che richiedono tempi molto lunghi

come per la crescita delle dimensioni del cervello umano dai circa 900 centimetri cubi dell’Homo Abilis ai circa 1400 centimetri cubi di Homo Sapiens, che ha richiesto un milione di anni

ad altre ancora che non si realizzano mai

come le specie dei Cycas, una pianta legnosa simile alle palme, e dei coccodrilli di fatto mai mutate negli ultimi cento milioni di anni, tanto da meritare l’appellativo di “fossili viventi

Ø si tratta comunque di tendenze che, essendo a loro volta determinate da alcuni specifici geni, possono subire cambiamenti con il loro mutare. Si tratta del fenomeno genetico della “plasticità fenotipica”, quello che definisce l’entità del cambiamento osservabile in un fenotipo (il carattere determinato da un gene)

Ø la plasticità fenotipica risulta particolarmente attiva nei geni che presiedono all’apprendimento (alla base dell’imprinting), un aspetto decisivo per meglio comprendere le diverse velocità assumibili dalla sola evoluzione biologica

Ø questa caratteristica si collega inoltre a quella della flessibilità dei geni che interviene in particolare nella selezione di gruppo, in base alla quale l’evoluzione delle popolazioni/colonie (società avanzate comprese) dipende dai caratteri ereditati dalla popolazione/colonia nella sua interezza e non soltanto da quelli dei singoli individui che la compongono (che tuttavia restano “il bersaglio” finale della selezione)

Sono soprattutto questi ultimi elementi quelli che di più possono aiutare nell’esplorazione del percorso evolutivo nel quale rintracciare “le origini profonde delle società umane

2 – LE GRANDI TRANSIZIONI DELL’EVOLUZIONE

La storia dell’evoluzione della vita terrestre, suddivisibile in una prima fase solo biologica, seguita da una seconda caratterizzata anche da elementi sociali e poi culturali, procede da miliardi di anni ed è riassumibile, assumendo come suo esito finale Homo Sapiens, in sei sostanziali transizioni:

1.  origine della vita, convenzionalmente datata 3,8 miliardi di anni fa

L’ipotesi più accreditata, peraltro basata su adeguate evidenze, la spiega con l’assemblaggio spontaneo di componenti molecolari e composti chimici presenti in sorgenti vulcaniche nei fondali oceanici.   

2.  “invenzione” della cellula complessa (eucariote) circa 1,5 miliardi di anni fa

le prime forme di vita, sostanzialmente isotopi stabili e biofirme molecolari (assimilabili ad archebatteri composti da una sola cellula “procariote” priva di nucleo nella quale il DNA si muove libero nel citoplasma) conoscono una prima evoluzione in altre già più complesse (perché costituite da cellule “eucariote”, più grandi e con un ben definito nucleo che contiene il DNA). L’evoluzione cellulare (con la nascita di mitocondri, membrane nucleari, ribosomi, ad altri “organuli”) è essenziale per il successivo formarsi di (micro)organismi già più complessi

3.  “invenzione” della riproduzione sessuata e, con essa, di un sistema controllato per scambiare DNA e moltiplicare le specie avvenuta attorno a 600 milioni di anni fa

vale a dire l'unione (meiosi) di due cellule specializzate con diverso corredo cromosomico che nasce evoluzionisticamente come risposta all'esigenza degli organismi di disporre di una più ampia variabilità delle loro dotazioni genetiche indispensabili per superare la selezione naturale. La riproduzione sessuata non è quindi mirata alla crescita della popolazione, ma ad incrementare la variabilità genetica

4.  origine degli organismi formati da più cellule a seguire in costante espansione da lì in poi

la riproduzione sessuata, che pur non priva di contro indicazioni dal punto di vista evolutivo è divenuta la forma più diffusa di strategia riproduttiva (affiancando così alla selezione naturale la non meno decisiva “selezione sessuale”), è alla base della progressiva creazione di tessuti ed organi specializzati che hanno via via caratterizzato l’incredibile varietà delle forme di vita vegetali e animali intrecciate in un sistema di relazioni evolutive a volte non poco sorprendenti

Prima di entrare nel merito delle due ultime transizioni è opportuno evidenziare che in tutte le forme di vita attualmente esistenti (corpo umano compreso) sono rintracciabili tracce, più o meno marcate, di tutte queste prime quattro fondamentali transizioni: in tutte si trovano sostanze chimiche e molecole (nell’uomo circolano nella porzione liquida del corpo che vale l’80% del suo peso) e microrganismi unicellulari (in prevalenza batteri, che sono dieci volte più numerosi delle cellule che contengono il DNA umano, indicativamente simili a quelle/quelli che esistevano nel mare primordiale), cellule eucariote (le cui antenate risalgono alla seconda transizione), tessuti ed organi. Ed è solo a partire dalla quinta transizione che intervengono (comunque sempre in un rapporto di costante interrelazione con l’evoluzione strettamente biologica) altri fattori evolutivi, quelli alla base di quella che è correttamente definibile “sociobiologia

5.  origine delle società collocabile in circa 200 milioni di anni fa

il termine “società” va qui inteso nella sua accezione più ampia, e cioè nella sua valenza di indicare la “formazione di gruppi composti da singoli soggetti biologici appartenenti ad una data specie”. Le società, così intese, si caratterizzano per un alto livello di cooperazione e divisione del lavoro che ha rappresentato un fattore fondamentale per il loro successo evolutivo segnato soprattutto dalla successiva loro evoluzione in forme di eusocialità (il prefisso eu significa, vero, bello, giusto, ossia il grado più elevato della socialità in cui la cooperazione, l’altruismo e la divisione del lavoro tra i membri della colonia/popolazione si esprimono ai massimi livelli)). Tra gli ominini africani antenati di Homo Sapiens forme di socialità sono emerse con Homo Habilis però non prima di due milioni di anni fa. Di norma la compiuta realizzazione di una “società” è un passaggio evolutivo che si è realizzato grazie alla combinazione di molti e molto variegati  fattori fra gli altri spicca quello della “capacità di comunicazione” che, a seconda della specie e della sua fase evolutiva, può consistere anche solo in segnali chimici, suoni di varia natura, posture e movimenti, espressioni facciali.     

6.  origine del linguaggio avvenuta al contrario in tempi evoluzionisticamente molto brevi a partire da circa 150 mila anni fa

La sesta transizione riguarda invece  Homo Sapiens ed in misura però molto minore altre specie di ominini (con buona probabilità i Neanderthal, per altre la questione è ancora aperta). La capacità di usare un autentico “linguaggio”, ossia suoni articolati in modi codificati per indicare specifici oggetti, per chiarire situazioni, per illustrare idee ed intenzioni, per trasmettere messaggi, fino a elaborare pensieri astratti slegati da immediate necessità concrete (successivamente ulteriormente evoluti in simboli scritti aventi medesimi scopi) rappresenta la svolta evolutiva che ha consentito ad Homo Sapiens di perfezionare a livelli molto alti la sua specifica eusocialità. La stessa concezione del tempo, inteso come relazione tra passato-presente-futuro, indispensabile per una più sofisticata articolazione sociale è strettamente connessa, in termini di logica, all’invenzione del linguaggio

3 – IL DILEMMA DELLE GRANDI TRANSIZIONI E LA SUA SOLUZIONE

Il definitivo avvento delle società umane, la condizione evolutiva che ha consentito ad Homo Sapiens di imporsi come specie egemone, pone alcune domande che esulano dal ristretto ambito biologico per allargarsi, in svariate direzioni, in quella che viene definita “cultura umana” (scientifica ed umanistica). In questo capitolo Wilson, completato il sintetico excursus delle sei epocali transizioni, inizia a riflettere su alcune di esse, in particolare sulla convenienza evolutiva del raggrupparsi in società entrando quindi nel merito della “sociobiologia

Se nelle prime quattro transizioni l’aspetto strettamente biologico resta, come già evidenziato, l’unico da prendere in considerazione a partire dalla quinta transizione si presentano domande più complesse che chiamano in causa considerazioni di altro genere:

Ø come è potuta emergere la propensione alla cooperazione che a sua volta chiama in causa quella all’altruismo?

Ø come si collegano queste propensioni con la longevità degli individui e delle popolazioni?

Ø come si è reso possibile conciliare la competizione della capacità riproduttiva con il mantenimento del fitness (lo stato di benessere) individuale?

Ø in sintesi: quale logica evolutiva, e quale concreto processo che ne è conseguito, possono spiegare la scelta di alcuni organismi di puntare sul raggruppamento sociale?

Per meglio comprendere il tema in questione Wilson precisa che queste domande troveranno ulteriore valenza se riferite alla specifica sesta transizione di Homo Sapiens, in essa infatti acquista definitiva rilevanza l’intreccio fra le due componenti sociobiologiche: quello più culturale applicabile alle dinamiche strettamente sociali e quello più biologico che sempre chiama in causa i meccanismi della crescita e della riproduzione delle cellule che formano tutti gli organismi viventi. Wilson precisa che fra questi due aspetti esiste una costante correlazione e rispondenza che è indispensabile approfondire. In particolare la sua attenzione si concentra sulle ragioni evolutive che hanno premiato comportamenti “altruistici”, alla base della propensione alla socialità, che hanno avuto aggio sulle biologiche tendenze egoistiche cellulari (un esempio biologico dell’importanza di questo meccanismo è rappresentato dalle cellule dell’epidermide, dei globuli rossi e dei linfociti, che sono evoluzionisticamente progettate per morire al fine di consentire la riproduzione di quelle nuove, quando adottano, pur essendo attivamente collocate in un organismo complesso basato su una coordinata cooperazione cellulare, un comportamento egoistico che le induce a privilegiare la propria riproduzione mettono a serio rischio l’equilibrio cellulare dell’organismo. Non a caso è una delle cause dell’insorgere di forme cancerogene).

L’elemento di fondo che tiene insieme queste domande è l’interrelazione che si è evoluzionisticamente venuta a creare tra le sollecitazioni messe in atto dalla nascita e dall’evoluzione della cooperazione sociale tra organismi complessi e la loro “ordinaria” evoluzione biologica. Prima di entrare nel merito è necessario considerare un elemento fondamentale: i tempi dell’evoluzione biologica e quelli dell’evoluzione culturale.

Appare infatti evidente, ripercorrendo le tempistiche delle sei fondamentali transizioni, come le prime quattro abbiano richiesto tempi straordinariamente lunghi (inizialmente articolati su miliardi di anni e poi, ma solo a partire dalla terza, su milioni di anni) mentre quelli delle ultime due si siano contratti a “solo” qualche centinaia di migliaia di anni. Questa significativa differenza è spiegabile con l’evidenza del fatto che la selezione biologica naturale è un motore molto potente (anche se molto spesso sia a malapena rilevabile), ma che per potersi esprimere al meglio, e con tempistiche conseguentemente più compresse, deve aver raggiunto un certo livello di “complessità biologica”. La complessità delle forme di vita è quindi un punto di arrivo che al tempo stesso, proprio perché è sempre e comunque provvisorio, è divenuto il punto di partenza di una maggiore articolazione della vita terrestre. 

Le stesse nascite delle società e del linguaggio umano (quinta e sesta transizione) vanno quindi collocate in queste dinamiche.

Per poter meglio comprendere come si siano potute manifestare ed evolvere è pertanto alla straordinaria varietà delle attuali forme di vita che occorre guardare, in ognuna di loro, (come già evidenziato) sono rilevabili tracce del generale percorso evolutivo. Esse esemplificano infatti tutti i livelli entrati in gioco nella complessità evolutiva e possono quindi aiutarci a comprendere anche quella determinata dalla eusocialità.

4 – SEGUIRE LE TAPPE DELL’EVOLUZIONE SOCIALE NEL TEMPO

Uno sguardo attento all’attuale vita terrestre può, come primo passo, cogliere che esistono (al di sopra delle colonie batteriche, che torneranno comunque in scena a breve) forme di aggregazione non stabili, saltuarie, perché determinate da esigenze episodiche di ordine nutritivo, difensivo, sessuale. Alcuni esempi di questi gruppi organizzati più elementari sono gli sciami di insetti (ad esempio moscerini chironomidi) che si formano nel periodo della riproduzione (autentici ammassi di individui in preda a frenesie sessuali), i “lek” (una forma di corteggiamento che vede i maschi esibirsi in rituali nell’ambito di colonie anche molto numerose che si formano per l’occasione) di gallinacei, altre specie volatili, otarie. Rappresentano uno stadio evolutivo in cui il raggruppamento, seppur determinato da esigenze episodiche, inizia a significare una consolidata predisposizione alla concentrazione tale da poter rappresentare una opportunità di successivo sviluppo associativo se sollecitato da specifiche pressioni ambientali.

Esattamente quelle alla base del secondo stadio evolutivo verso l’eusocialità, quello rappresentato da gruppi stabili che si formano per precise finalità di difesa e di ricerca del cibo. Ne sono esempio i banchi di pesci (come le acciughe) e gli stormi di uccelli (come gli storni). Questi raggruppamenti sono finalizzati, all’insegna del “numero è salvezza”, ad una sorta di “lavoro cooperativo” basato sul principio della “modularità(la tendenza di organismi biologici complessi ad una aggregazione persistente fatta di più parti, più sottogruppi, più moduli).

La modularità rappresenta quindi un livello superiore di cooperazione che già implica una approssimativa suddivisione del lavoro (una qualche forma di modularità è persino rintracciabile in organismi primitivi come i batteri, alcune colonie di essi usano infatti il cosiddetto “quorum sensing”, un sistema di informazioni mediante segnali chimici che permettono di comprendere la densità e lo stato di salute della popolazione a cui appartengono)

La modularità è la caratteristica evolutiva che ha consentito il successivo affermarsi di forme associative sempre più complesse, più stabili ed organizzate, spesso persino gerarchizzate, divenute quelle proprie di organismi fisiologicamente molto più sviluppati e dotati di un cervello di maggiori dimensioni, quali i mammiferi sociali, organismi complessi in grado di pianificare le proprie azioni tenendo conto del contesto, delle caratteristiche specifiche del gruppo a cui appartengono e di quelle dei singoli individui che lo compongono.

Si tratta quindi di un passaggio evolutivo fondamentale, ma ancora non sufficiente per l’avvio di una vera eusocialità.

5 – LE TAPPE FINALI VERSO L’EUSOCIALITA’

Nessuno dei raggruppamenti inscrivibili nel secondo stadio (sciami, stormi, banchi, branchi, mandrie, greggi, mute), per quanto capaci di raffinati comportamenti organizzati di gruppo, dà infatti prova di aver evoluzionisticamente acquisito i due fattori fondamentali per esprimere una più avanzata evoluzione sociale: la gestione sociale della riproduzione e quella, alla prima strettamente intrecciata, del lavoro necessario alla ottimale sopravvivenza della popolazione.

A differenza dei raggruppamenti del secondo stadio, l’intelligenza sociale propria dello stadio evolutivo dell’eusocialità è il risultato che risulterà vincente, di un definitivo rafforzamento della cooperazione infra-gruppo (quasi sempre coesistente in modo dialettico con la competizione inter-gruppi) raggiunto dal perfezionamento del pensare e dell’agire in maniera altruistica e cooperativa, in particolare proprio in queste due forme di gestione sociale.

Questo definitivo salto evolutivo si è inizialmente affermato (a conferma che l’evoluzione non deve essere ridotta ad un biologico procedere lineare verso un non meglio precisabile alto) in organismi fisiologicamente meno complessi, appartenenti alla classe animale degli insetti, quali formiche, api, vespe, coleotteri e termiti, anche se, dato quanto mai rilevante, sul totale di oltre un milione di specie di insetti quelle eusociali sono soltanto all’incirca ventimila). Soltanto in questo ristretto numero di specie è infatti avvenuto che alcuni membri di una colonia abbiano iniziato ad agire in un modo altruistico superiore a quello che comunemente costituisce i legami parentali.

L’evidenza che il salto verso l’eusocialità sia stato compiuto da un numero molto ristretto di specie si accompagna ad un altro aspetto straordinario che si collega, spiegandolo, al fatto che in esso siano state coinvolte specie non in cima alla scala evolutiva fisiologica: l’origine delle società eusociali è un evento molto recente nel lungo percorso evolutivo della vita sulla terra ,(lo è in particolare in quello stesso degli insetti che, iniziato circa 415 milioni di anni fa, a quarta transizione compiutamente avvenuta, vede la comparsa di esperienze accertate di colonie eusociali solamente 200 milioni di anni fa).

Sono due aspetti, fra di loro intrecciati, che pongono domande non semplici, ma fondamentali per comprendere gli stessi meccanismi dell’evoluzione:

Ø perché l’eusocialità è così rara?

Ø perché è comparsa così tardi nella cronologia evolutiva?

Wilson risponderà a queste domande nel successivo Capitolo 6 recuperando quanto, a partire da Darwin, è stato finora messo a fuoco dalle teorie evoluzionistiche, ben consapevole che tali evidenze devono essere considerate sempre provvisorie perché sono costanti le scoperte che consentono di riscrivere quanto ritenuto acquisito. Come tutte le discipline scientifiche anche l’evoluzionismo, ferma restando la sua idea di base, è materia viva in continuo aggiornamento).

Per meglio affrontarle è bene fissare, seppure molto sinteticamente, alcuni aspetti fin qui emersi dallo studio dell’evoluzione verso l’eusocialità della classe degli insetti:

Ø tale evoluzione si è articolata, attraverso successive fasi molto complesse, attorno alle modalità di procreazione e di allevamento delle nidiate per chiudersi, come risultato finale, con il superamento delle relazioni esclusivamente parentali e la formazione di colonie strutturate su una divisione dei compiti

Ø per poi completarsi biologicamente, nell’arco di circa duecento milioni di anni, grazie ad una mutazione degli alleli differenziata a seconda delle funzioni assunte che ha rafforzato la propensione all’accettazione, definibile di ordine social-culturale, dei ruoli

Ø un processo biologico che, via via che il livello di organizzazione della colonia diventa più importante, si rafforza ed è divenuto quello predominante (fino a fissare un genoma complessivo specifico della singola colonia) e tale da consentire, a livello genetico (mutazione degli alleli), il superamento degli istinti egoistici

Ø si è così creata una sorta di “superorganismo” il cui genoma corrisponde a quello della casta riproduttiva (le “regine”) mentre quelle operative (i diversi tipi di “operaie e guerrieri”) sono di fatto un’estensione del suo fenotipo

Ø allo stadio attuale dell’evoluzione, in aggiunta a quelle ormai compiutamente eusociali, sono molte le specie di insetti che si trovano in una delle fasi propedeutiche allo stadio finale che è quindi evoluzionisticamente alla loro portata

6 – SELEZIONE DI GRUPPO

La risposta alle due domande del Capitolo precedente si colloca nel solco tracciato dalle intuizioni di Charles Darwin (messe a punto nelle sue due fondamentali opere “L’origine delle specie” del 1859 e “L’origine dell’uomo” del 1871) alla base del concetto di “selezione di gruppo”. La sua teoria, al tempo più di tanto non adeguatamente suffragata da riscontri oggettivi, riteneva che la scelta, dettata dall’altruismo, di alcuni individui di una popolazione (sempre intesa in senso lato) di limitare volontariamente le proprie aspettative egoistiche per favorire quelle collettive poteva avere un ruolo evolutivo positivo se tale sacrificio faceva ottenere adeguati vantaggi alla popolazione nel suo insieme. Gli studi comportamentali sul campo, le rilevazioni biologiche e le analisi del Dna, hanno successivamente confermato tale intuizione fornendo così importante supporto alla ricerca sociobiologica.

Su queste basi Wilson ritiene quindi che la risposta a tali quesiti sia unica e che consista, nella grande difficoltà a livello biologico che caratterizza la tappa finale verso l’eusocialità.

A suo avviso la propensione verso il rafforzamento strutturale del “vivere in gruppo”, adottando progressivamente forme di gestione collettiva del ciclo della riproduzione, della cura delle nuove generazioni, dell’intero ciclo del lavoro che ne consegue, ha richiesto tempi evolutivi lunghi per riuscire a fissare negli alleli della popolazione coinvolta il gene dell’altruismo, un passaggio però ineludibile perchè un comportamento sociale avanzato implica, per realizzarsi compiutamente, un cambiamento importante del codice genetico. Vale a dire che la lotta contro i geni egoistici è stata vinta tardi e in un numero ristretto di casi proprio perché le propensioni biologiche acquisite dalle lunghissime precedenti fasi dell’evoluzione non erano così facilmente modificabili.

In altre parole la sequenza dell’evoluzione della socialità inizia con individui che sono formati per condurre una vita solitaria (di norma ogni organismo, a partire dalle singole cellule, compete, anche con i membri del proprio stesso gruppo, per cibo, spazi vitali, partner sessuale) e termina, ma solo dopo una dura battaglia ed in tempi relativamente molto recenti, con le prime colonie eusociali avanzate.

Ma, tornando alle intuizioni di Darwin, in cosa è allora consistito il vantaggio evolutivo delle scelte altruistiche alla base dell’eusocialità? La risposta, anche in questo caso suffragata da molti studi, consiste nella constatazione che le società strutturate, proprio grazie alle loro modalità strutturate di funzionamento, sono quelle più numerose e meglio organizzate, quindi quelle che riescono a meglio disporre dell’arma vincente nella lotta per la sopravvivenza: la forza del numero che si muove in modo ordinato all’unisono.

Questo è l’aspetto evolutivo che, in estrema sintesi, emerge dalla lunga/breve storia dell’eusocialità nella classe degli insetti, resta da capire quanto di ciò che l’ha caratterizzata è rintracciabile nell’evoluzione di specie animali di grandi dimensioni, ovvero quali altri elementi possono essere intervenuti per raggiungere ottimali livelli di eusocialità?

7 – LA STORIA UMANA

Negli ultimi quattrocento milioni di anni (e più precisamente dopo la scomparsa dei dinosauri di circa sessantacinque milioni di anni fa) sono diverse centinaia di migliaia le specie di questo tipo. Di tutte queste, pur riconoscendo la complessità delle relazioni dei raggruppamenti inscrivibili nel secondo stadio di cui si è detto, solo la specie Homo Sapiens ha raggiunto i livelli di organizzazione sociale elaborata ed intelligente che la contraddistinguono. Per individuare le ragioni che spiegano questa evidenza è opportuno ripercorrere il percorso evolutivo che ha portato alla sua comparsa ed affermazione

Ø La storia umana ha le sue origini fra cinque o sei milioni di anni fa quando da una singola specie di scimmia antropomorfa derivarono due distinte specie con autonome linee filogenetiche: una porterà agli attuali scimpanzè e bonobo ed una a Homo Sapiens.  

Ø mentre scimpanzè e bonobo non sono mai riusciti a farlo compiutamente già circa 4,4 milioni di anni fa il più antico predecessore umano, Ardipithecus ramidus, inizia a camminare con postura bipede, primo elemento significativo di specifica evoluzione

Ø da questo primo antenato ha inizio la discendenza della famiglia di ominidi definita Australopitecine (che progressivamente acquisiranno anatomie più umanoidi) composta, nel lungo periodo che va da 3,5 a 2 milioni di anni fa, da quattro specie (A. afarensis, A. deyiremeda, A. bahrelghazali, A. platyops,) che hanno convissuto con un processo di ibridazione chiamato “radiazione adattativa” che ha alternato concentrazione e differenziazione dei patrimoni genici

Ø anche quella verso Homo Sapiens è una “evoluzione a mosaico o evoluzione composita” con  un procedere evoluzionistico a rami intrecciati privo quindi di una sola linea progressiva

Ø l’intreccio di questi due processi porta alla comparsa in scena dei primi veri rappresentanti del genere Homo: Homo habilis, Homo rudolfensis, Homo ergaster, tutti africani, Homo georgicus, i cui fossili sono stati invece scoperti in Georgia, protagonisti di un fondamentale stadio evolutivo: il passaggio ad una dieta alimentare molto più ricca di carne e progressivamente al cibo cotto grazie all’acquisito controllo del fuoco avvenuto circa 1 milione di anni fa. Due fattori decisivi per la crescita esponenziale del cervello umano, per l’avvio di una particolare divisione del lavoro collettivo. Altri elementi di decisivo impatto per una evoluzione differenziata

Ø 500 mila anni fa (lungo linee evolutive separate ma anche segnate da alcuni incroci) si assiste allo stadio finale dell’evoluzione della famiglia Homo composta da Homo antecessor, Homo gautegensis, Homo erectus, Homo heidelbergensis, Homo floresiensis, Homo rhodesiensis, Homo denisoviano, Homo neanderthalensis

Ø da 300 mila a 200 mila anni fa, lungo una linea che lo collega in successione a Homo abilis, Homo ergaster, Homo antecessor, fa la sua comparsa Homo Sapiens

Lungo tutto questo articolato percorso si è rivelata determinante la propensione al “vivere in gruppo”, condizione indispensabile nella lotta per la sopravvivenza, che ha di conseguenza esaltato il ruolo biologico della selezione di gruppo per quanto sempre interconnessa con quella individuale, rendendo cruciali la dimensione e le caratteristiche del “gruppo(con caratteristiche sostanzialmente non dissimili da quelle attuali degli scimpanzè/bonobo). Per entrambi infatti il gruppo è costituito da alcune decine di membri (spesso legati da legami parentali che li intrecciano con altri gruppi) uniti dall’esigenza di difendere o allargare i propri spazi vitali anche con il ricorso a comportamenti aggressivi di natura territoriale.

I reperti fossili evidenziano però che questa comune aggressività tribale ha progressivamente visto, ma solo per Homo Sapiens, una organizzazione più complessa a livello di gruppo e individuale, che si è espressa in modo significativo nella formazione di alleanze più o meno stabili fra gruppi propedeutica alla nascita di organizzazioni sociali (capaci di sovrapporsi alle relazioni parentali) sempre più stabili e codificati.

Tracce evidenti di comportamenti aggressivi sono rintracciabili lungo l’intera evoluzione della famiglia Homo e di Sapiens fin dalla sua comparsa. E’ interessante evidenziare che le ricerche antropologiche raccolte nell’Alba di tutto, che si sono concentrate sulle popolazioni sapiens di cacciatori/raccoglitori (altrimenti detti “foraggiatori”) attive da circa 70.000 anni fa hanno confermato queste pratiche considerate alla base dei processi di schismogenesi (nostra parola del mese di Ottobre 2024) che attestano come le singole culture umane siano nate ed evolute anche grazie al confronto, anche violento, con quelle vicine

Nell’intreccio che si è nel lungo periodo venuto a creare tra postura eretta, alimentazione e collegato sviluppo cerebrale, rafforzamento ed ampliamento dei legami sociali sovra-parentali, si è infine inserita in tutta la sua valenza la sesta transizione, quella della “nascita del linguaggio”, con la sua rivoluzionaria capacità di rafforzare “l’intelligenza sociale”.

Si possono soltanto avanzare ipotesi sulle esigenze e sulla modalità del suo comparire, ma le forme di linguaggio presenti negli attuali residui sparuti gruppi di cacciatori/raccoglitori consentono alcune idee. E’ stata infatti notata una grande differenza fra le “conversazioni diurne”, incentrate sulle esigenze pratiche di vita, dalle “conversazioni notturne” davanti ad un fuoco basate su racconti di storie e di miti incubatrici del pensiero astratto. E’ recentemente uscito il saggio “Il cervello narrativo” di Fritz Breithaupt che analizza lo stretto rapporto fra questa predisposizione umana al racconto e la stessa evoluzione neurale

Questa, seppur sinteticissima ricostruzione della storia umana, consente una risposta alla domanda finale del precedente Capitolo 6:

Ø rispetto a quello delle società eusociali degli insetti, il percorso evolutivo degli Homo, troppo frazionato ed instabile, non ha consolidato una analoga evoluzione nelle modalità di procreazione e di strutturazione dei ruoli sociali e lavorativi

Ø nel patrimonio genetico di Homo sapiens, l’anello evolutivo finale degli Homo, non è quindi rintracciabile una evidente affermazione dei geni altruistici costretti ad una costante concorrenza con quelli egoistici a segnare un equilibrio sempre fragile

Ø il consolidamento della collaborazione sociale è di conseguenza una conquista non garantita dal punto di vista biologico e genetico

Ø gli evidenti successi evolutivi di sapiens sono infatti spiegabili con l’incidenza dei fattori culturali resi possibili da una sua interazione sociale più articolata ed intenzionale

Ø a questa stessa restano allora consegnate le scelte fra egoismo ed altruismo, ed il nostro stesso futuro evolutivo





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