La
Parola del mese
Una parola in grado
di offrirci nuovi spunti di riflessione
SETTEMBRE 2025
A proposito di “parole”:
quale parola potrebbe meglio sintetizzare le finalità che hanno sempre animato
la nostra quindicennale attività? quale termine, meglio se di poche lettere,
può riassumerne lo scopo che, richiamato nel nostro statuto, consiste nel “promuovere attraverso
il dibattito una cittadinanza attiva fornendo elementi di conoscenza e
riflessione per leggere il nostro tempo in costante e rapida trasformazione”?
Di certo se ne potrebbero individuare più di una, ma recentemente ci siamo
imbattuti in un articolo che nel titolo ne citava una che, con una piccolissima
forzatura, ci è sembrata adatta allo scopo. Forse non è molto conosciuta, ma a
ben vedere anche questa caratteristica di originalità è stata un tratto che ha
ispirato molte delle nostre “Parole del mese”. Quella di questo Settembre 2025
è …….
PAIDEIA
Paideia = voce
dotta recuperata dal greco pai-dè-ia che, derivata di pais = bambino/ragazzo,
significava ‘educazione dei ragazzi”, è poi progressivamente passata ad indicare
in senso più lato “educazione, formazione, specie adottata con
riferimento ad un contesto specifico, ad una determinata fase storica”.
Al di là del suo significato originario
di educazione del ragazzo paideia è però poi semanticamente
evoluta nel suffisso “-pedia” presente in molte parole composte
per indicare letteralmente, “formazione, istruzione, informazione”, ma
non più riferita al solo contesto educativo in senso scolastico, ma ad un più generale
contesto di conoscenza (si pensi ad esempio al significato di enciclopedia, termine formato oltre che dal
suffisso pedia
dal prefisso enciclo anch’esso derivato dal greco “en kyklos ossia in
circolo” per indicare tutte le informazioni comprese nel cerchio della
conoscenza).
La piccola forzatura di cui si è detto,
che meglio si chiarirà strada facendo, trova peraltro una sua ragione d’essere
nello stesso modo con cui la cultura greca del V secolo ha esteso il
significato di paideia portandolo oltre i confini di
una ristretta educazione scolastica.
La paideia dei Greci già nella sua declinazione originaria pensava ad uno sviluppo etico e spirituale dei ragazzi mirato a renderli
cittadini completi grazie al loro pieno ed armonico inserimento nella società.
Era cioè una formazione che non si esauriva nella dimensione della scuola, ma
che si completava, valendo per ogni percorso di formazione e conoscenza, solo aprendosi a tutta la
polis, alla città essendo basata sulla convinzione che l’individuo può
realizzarsi solo con un pieno inserimento nella comunità.
Per meglio comprendere il bagaglio di
concetti e valori che di conseguenza si sono associati nel concetto di paideia,
in questa sua accezione ampia, può essere utile ripercorrere, a volo d’aquila,
il suo utilizzo in ambito culturale, soprattutto filosofico, partendo quindi dalla
Grecia del V secolo per fermarci alle soglie della Modernità europea, Lo
facciamo, per l’originaria parte greca, seguendo la traccia di un volume curato
da Giuseppe
Cambiano (1941, è stato a lungo professore ordinario di
Storia della Filosofia Antica presso l’Università di Torino, sua città natale,
e successivamente professore emerito della stessa disciplina presso la Scuola Normale Superiore di Pisa)
pubblicato nell’ambito della imponente collana “Storia della civiltà europea” a
suo tempo coordinata da Umberto Eco
Se infatti nella Grecia omerica
l’educazione tradizionale puntava, attraverso i modelli degli eroi dell’Iliade
e dell’Odissea, a formare cittadini capaci sia di combattere che di saper
parlare in pubblico, è per l’appunto nella Grecia del V secolo che si precisa
in modo organico cosa si debba intendere per paideia, trasformandola in un
termine dotato di contenuti intellettuali più complessi.
Come quelli rintracciabili nelle scuole
dei sofisti che l’arricchiscono con l’importanza di conoscenze del mondo e
della realtà naturale includendo quindi quelle matematiche ed astronomiche. Non
meno importante era la conoscenza di informazioni storiche sulle antiche
tradizioni delle città. Ma soprattutto il nucleo dell’insegnamento sofistico
consisteva nel perfezionamento delle proprietà di linguaggio per usarle al
meglio nel dibattito pubblico tenendo sempre in debito conto le circostanze in cui
i discorsi vengono pronunciati e delle caratteristiche emotive e intellettuali
di ciascun tipo di pubblico a cui i discorsi sono indirizzati.
Ma è con la filosofia
socratico/platonica che la padeia si allarga definitivamente (pur
mantenendo una sua specifica rilevanza nel campo specifico dell’educazione) a comprendere i modi di formazione
della cultura della polis. Per farlo, così emerge dai dialoghi
socratici riportati da Platone, essa riteneva essenziale liberare le menti dalle
false credenze e dagli errori dovuti a superficialità ed ignoranza mediante un
confronto sincero ed approfondito, la “socratica confutazione”, fino a
considerarlo la vera condizione per realizzare una vera paideia
dell’intera polis.
Lo spirito di cittadinanza e di
appartenenza costituivano infatti un elemento fondamentale alla base
dell'ordinamento politico-giuridico delle città greche. L'identità
dell'individuo era intessuta con l'insieme di norme e valori che
costituivano quella del popolo intero. In questo contesto la paideia
oltre che un processo educativo e di socializzazione si elevava ad una acquisizione
di un vero e compiuto “ethos politico”.
All’idee socratiche Platone, meno
fiducioso della solidità delle istituzioni democratiche ateniesi vista la
tragica condanna a morte di Socrate e
per questo più concentrato sui valori etici, aggiunge poi la prospettiva di una
paideia filosofica (che
concretamente ispirerà la sua Academia) considerata
come il culmine della formazione, in una versione comunque non priva di accenti
elitari, delle
figure adatte al governo della polis perché ispirate non dalla sete di potere, ma
dal sapere e dalla ricerca della verità.
Può far sorridere, pensando ai
contemporanei attacchi populisti al ruolo delle cosiddette élite, che già
allora altri filosofi come Isocrate e Senofonte abbiano, riflettendo in modo
critico sull’utilità della platonica paideia filosofica (e
quindi con ben altre argomentazioni rispetto a quelle populiste) espresso perplessità sull’eccesso di
importanza attribuita da Platone al ruolo sociale e politico degli “uomini colti”,
dei “maestri”, (termine questo che verrà successivamente
ripreso).
Anche Aristotele riprenderà questa
distinzione per porre, sempre riflettendo sull’eredità platonica, una questione
ancora oggi dirimente: chi e come può concretamente disporre del sapere degli
uomini colti? soltanto altri uomini
altrettanto colti o anche i profani? vale a dire: quale forma di paideia può essere
offerta a questi ultimi affinchè possano formare un proprio giudizio su
discipline e questioni dotate di un alto grado di complessità?
Aristotele risponde esprimendo la
convinzione che in ogni ambito del sapere esistano due competenze …… ad una conviene il
nome di scienza dell’oggetto, all’altra quello di una certa paideia
…… (da un suo scritto intitolato “sulle parti
degli animali”) ossia
una formazione, di tutti i cittadini, che sappia preparare dei pepaideumenos
(colui
che è stato formato) fornendo
loro elementi di conoscenza sufficienti per esprimere una minimante adeguata “krinein (capacità critica)” nel giudicare e discriminare quanto è
detto e fatto (va detto, per completezza, che anche in
Aristotele è presente un certo elitarismo, egli resta convinto che il culmine
della paideia sia il vivere filosofico, a suo avviso diventare uomini
nel senso pieno della parola non significa soltanto diventare buoni cittadini).
E’ bene ricordare che il valore eterno
della cultura greca va comunque rapportato, con una giusta contestualizzazione,
ad una società tutt’altro che priva di profonde ingiuste divisioni, la paideia infatti riguardava solo i maschi, le
donne ne erano totalmente escluse, e i cittadini pepaideumenos erano solo quelli liberi, ossia coloro
che avevano titolo al diritto di proprietà, una parte ristretta di una
popolazione in gran misura composta da schiavi
E’ stato opportuno soffermarsi sullo
sviluppo del concetto greco di paideia
perché tali concezioni, seppure con diverse accentuazioni e modulazioni
determinate dal mutare dei nuovi contesti storici, hanno successivamente attraversato
tutta la cultura europea fino ai giorni nostri. Così è avvenuto durante tutta
l’epoca romana che ha mantenuto le idee platoniche e aristoteliche fino ad un
loro esito compiuto nel concetto latino di humanitas, messo a punto da
Cicerone e posto al centro di una formazione culturale che mirava a portare a perfezione
le proprietà distintive dell’uomo, sia intellettuali che morali (non
di meno di quella greca anche la società romana è sempre stata segnata da nette
divisioni sociali, l’humanitas ciceroniana
era di fatto preclusa alla grande maggioranza del popolo).
La paideia filosofica
romana, che si consoliderà accentuando la sua valenza etica come reazione al progressivo
decadimento della civiltà imperiale, già assume del suo una crescente
connotazione spirituale che troverà uno sbocco quasi naturale nell’affermazione
della religione cristiana. Il cui messaggio universale, che per la prima volta guarda
in particolare agli umili ed agli emarginati, implica l’estensione di una nuova
idea di paideia che, non più esclusivamente rivolta ad élite
ristrette, indica un modello di formazione religiosa, ma con evidenti ricadute
sociali e civiche, basato sul modello di vita indicato da Cristo, la paideia
Christi, propedeutica, come una sorta di propaideia, alla completa adesione alla dottrina
cristiana come mostrano, in diverse maniere ma con unica finalità, nel Medio
Oriente greco Origene e nell’Occidente latino Agostino.
Questa idea universalistica di paideia,
per quanto più religiosa che filosofica e civica, attraverserà tutto il Medioevo
tenendo vivo l'ideale di formare integralmente una persona completa, retta, che
nella fede trova la via per bene inserirsi nella società.
La sostanziale coincidenza fra fede e
formazione, pedagogica e civile, che attraversa i secoli del Medioevo trova nel
successivo Rinascimento una svolta significativa: nel generale ritorno ideale
alla Grecia classica “rinasce” anche un’idea di paideia che accetta la sfida
del muoversi in un mondo non più così unicamente determinato dalle certezze
della fede. Si riaprono spazi per domande scientifiche, si accetta
consapevolmente l’imperfezione della conoscenza, l’influenza della cultura
umanistica è riconsegnata alle “humanae litterae” in filo diretto con la
cultura classica greca e romana, legando insieme la paideia
greca e la virtus latina.
Il soggetto dell’educazione e della
formazione non è più il cristiano in quanto tale, ma, in una idea di cultura
che comunque mantiene al centro quella delle fede, torna ad essere il cittadino.
Anche le intenzioni utopistiche rinascimentali mantengono però un tratto
fortemente elitario, nel concreto agire sociale il titolo di cittadino vale ancora
solo per gli strati privilegiati e nobiliari. La paideia resta una prerogativa
davvero di pochi.
E saranno proprio sommovimenti in
ambito sociale che, prendendo culturalmente le mosse dalla scuola Illuministica
e nella concreta vicenda storica dalla Rivoluzione Francese del 1789, sconvolgeranno
da lì a poco l’intera l’Europa fino ad imporre una svolta radicale nel concetto
di paideia,
nella sua accezione più strettamente pedagogica e in quella più ampiamente
sociale.
A questa svolta si accompagna,
sostanzialmente nello stesso periodo di fine Settecento, una analoga
esperienza, giocata però su un terreno quasi esclusivamente culturale, avvenuta nel contesto tedesco dal primo
Settecento, della paideia tradotta nel termine bildung che
ha identico significato di “educazione, formazione”. Il termine/concetto di
bildung (che, prendendo le mosse dal recupero del pensiero di Kant
e poi evolvendo, lungo una traiettoria di costante approfondimento segnata
dalle attenzioni di Fitche, Hegel, Schiller, Schelling, Max Weber, Thomas Mann,
fino ai giorni nostri alla scuola di Francoforte e ad Hans Gadamer) tenta di conciliare due entità
fondamentali della modernità tedesca: individuo e società. La formazione del
cittadino, per la cui realizzazione il sistema educativo è fondamentale, deve
investire, guardando alla sua globalità, ogni individuo ponendolo nella
condizione di disporre, assorbendola, della “grande massa di materiale che gli viene
offerta dal mondo che lo circonda”. Questo investimento trova la sua
ragione d’essere nel ritorno che ogni individuo, in tal modo realizzato, deve
assicurare alla società, alla nazione.
Come anticipato, su un versante che
coniuga, rispetto a quello tedesco, più strettamente teoria e prassi, l’Illuminismo
e la Rivoluzione Francese del 1789 danno l’avvio a sommovimenti sociali così
profondi da innescare una rivoluzione copernicana anche per quanto riguarda i
processi di formazione del cittadino all’interno della quale il classico
concetto di paideia non sembra però più ricevere le stesse attenzioni.
Ciò avviene perché il rapporto tra individuo cultura/sapere e potere, viene
interamente giocato sul piano dei mutati rapporti di forza tra strati, e poi
“classi”, sociali. Ciò che infatti diventa determinante, prima ancora del “cosa” e del
“come”
deve costituire oggetto di formazione, fin qui al centro di tutte le idee di paideia
presa in esame, è il “per chi”, il “per cosa” e “per quale fine”,
segnando così una netta e definitiva separazione fra educazione scolastica vera
e propria e formazione generale del cittadino.
Da una parte con il progressivo
affermarsi e consolidarsi del ruolo del laico Stato moderno, e con esso
dell’educazione pubblica, avviata proprio dalla Rivoluzione Francese sull’onda
delle idee illuministiche, l’aspetto più propriamente pedagogico della paideia trova
infatti compimento organico nella nascita e nello sviluppo di articolati
sistemi scolastici (nei nostri programmi di Circolarmente sono,
fin dal suo inizio, molte le iniziative dedicate a queste problematiche perché
ritenute fondamentali per lo stato di salute generale del paese)
Dall’altra l’idea della paideia costante del cittadino viene assunta
in ambito propriamente politico, diventando obiettivo e compito di
organizzazioni sindacali e partitiche e quindi conseguentemente condizionato
dalle specifiche finalità politiche di parte.
Questa nostra carrellata
dell’evoluzione storica del concetto di paideia si ferma qui alle
soglie dell’avvento della Modernità europea. Da qui in poi inizia un’altra
storia, quella che porta ai nostri giorni passando attraverso fasi storiche
molte diverse per poi concludersi nell’attuale contesto iper tecnologizzato in
cui tutte le relazioni sociali si sono fatte quanto mai complesse e la sfera
della cultura e del sapere incredibilmente ampia ed al tempo stesso molto
specialistica.
Una fase nella quale un nuovo
consapevole concetto di paideia, di cui oggettivamente si è a
lungo persa traccia, è inevitabilmente chiamato a confrontarsi con nuove,
variegate ed impegnative, difficoltà per restare coerente allo spirito greco di
fornire a tutti una adeguata conoscenza della realtà e delle sue complessità
capace di meglio sostenere un loro auspicabile ruolo di cittadini attivi.
Consiste proprio in questa
constatazione la piccola forzatura di cui si è detto in apertura e la scelta di
paideia
come Parola del mese dettata dalla speranza che il nostro modesto agire come
associazione che si è sempre sforzata di fornire informazione, approfondimenti,
spunti di riflessione, momenti di confronto su tante tematiche e questioni, sia
riuscita in qualche misura a coprire l’oggettivo deficit della nuova e sempre
più necessaria paideia.
Un certo conforto in questo senso ci
viene fornito dal constatare che di essa, proprio in questa sua nuova accezione, si torni
recentemente a parlare in modo esplicito. Un primo interessante esempio è
venuto dall’articolo, richiamato in apertura, comparso su La Stampa di
Mercoledì 9 Luglio scorso a firma di Daniele Francesconi (docente
in Storia del pensiero politico presso la Scuola Superiore di Pisa, autore di
numerosi saggi su temi filosofici. Attualmente è Direttore del Festival di
filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo)
che qui riportiamo nella sua versione
integrale:
“Ispiriamoci
alla“paideia”
greca per riconciliare sapere e potere”
Quando Platone scrive La Repubblica dedica una parte consistente
dell’opera alla paideia ovvero il ciclo di
educazione cognitiva e civile che serve per formare buoni cittadini e buoni
governanti. La paideia era un insieme di pratiche pre-esistenti, fondato su profondi
meccanismi rituali, ma Platone sente un’urgenza particolare per rifondarla.
Vent’anni prima Atena ha messo a morte Socrate e per il suo allievo più
importante è indispensabile pensare una forma di educazione che impedisca che
in futuro i filosofi (termine con cui si riferisce ai sapienti di ogni genere)
possano venire mandati a morte. Il conflitto tra sapere e potere (un dissidio
che percorrerà la storia e che oggi torna a superare abbondantemente i livelli
di guardia) può essere ricomposto solo attraverso l’educazione. ”Fast forward” (veloci
avanti) e siamo alla fine del Settecento. La Rivoluzione
industriale sta mostrando che la serializzazione del processo produttivo separa
ciò che sappiamo dal prodotto del nostro fare, spersonalizza i risultati del
lavoro e, in prospettiva, genera alienazione. Un’avanguardia di filosofi,
scienziati e poeti (e anche alcune autrici) a Jena, in Germania, ridefinisce
una parola chiave, la “Bildung”, ossia
l’educazione, che alla lettera significa “mettere in forma”. Per superare la
scissione determinata dalla modernità industriale occorre riconnettere
filosofia e scienza, poesia e vita, lavoro e opera: occorre capire la dinamica
delle contraddizioni e trovare una nuova composizione che renda gli umani
nuovamente padroni di sé stessi. Anche per Goethe, Schiller, Schelling ed Hegel
(per dire solo i principali protagonisti) l’unica risposta è l’educazione. E
oggi? La rivoluzione tecnologica determina un’accelerazione che trasforma non
solo i processi produttivi, ma le nostre stesse procedure cognitive.
L’Intelligenza Artificiale Generativa sembra scindere il sapere in sé stesso,
al punto che è esperienza comune chiedersi cosa sia generato (pensato?) dagli umani
e cosa dalle macchine. E’ un problema? No, a condizione che anche in questo
caso, come nei due precedenti che hanno segnato la storia della nostra cultura,
lavoriamo nella prospettiva di una nuova idea di educazione che ricomponga la
scissione. Per questa ragione di fondo il Festivalfilosofia 2025 dedica la sua
25° edizione al tema paideia, una parola antica per segnalare una questione
attualissima e contemporanea. Parte dunque dalla constatazione che si è
interrotta, o si sta interrompendo, una trasmissione. Diversamente da quanto
accadeva in televisione nei tempi d’oro dell’analogico, questa trasmissione non
“riprenderà il più presto possibile” a meno che non troviamo una soluzione più
evoluta. Non bisogna essere terrorizzati, la storia è piena di discontinuità, e
il programma del festival proverà a far vedere che la filosofia può ancora
avere un ruolo nel situare le traiettorie storiche e formulare, se non
risposte, almeno buone domande. L’interruzione è a più livelli. Riguarda le
generazioni e le loro relazioni all’interno delle famiglie, dove abitualmente
si è compiuta una educazione nel senso basilare del termine. Investe la scuola,
cioè la più altamente codificata delle istituzioni di apprendimento. Si
ripercuote sulla relazione tra ricerca scientifica e ricerca applicata,
modificando drasticamente l’idea stessa che abbiamo finora avuto di
“formazione”. E, non da ultimo, riguarda la cultura. Sono cambiati i media, è
cambiata la funzione del sapere. La cultura, che in fondo è il più potente
sistema di trasmissione di significati che l’umano abbia saputo escogitare,
deve ripensarsi. Un vasto programma di lezioni cercherà di creare risonanze tra
queste domande, tutte interconnesse e tutte senza risposta definitiva. Il che è
un bene perché vuol dire che niente è perduto. Attingerà a forme e figure della
funzione di insegnamento (da Socrate a Confucio, dai guru indu a Gesù) per
capire cosa siano i maestri e come si possa mettere a frutto il loro influsso,
meglio ancora emanciparsi. Farà il punto su alcuni nodi relativi alla funzione
della scuola e alla sua presenza nel discorso pubblico: la persistenza della
povertà educativa, la relazione tra merito e uguaglianza, il divario tra
cultura scientifica e cultura umanistica. Allargherà lo sguardo alla sfera
pubblica, dove, appunto, è urgente ridefinire la funzione della cultura senza
nostalgia, ma anche senza abdicare alla sua autonomia
E
dunque il Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo (fra
i suoi tanti relatori spiccano i nomi di Enzo Bianchi, Massimo Cacciari,
Maurizio Ferraris, Umberto Galimberti, Nicola La Gioia, Michela Marzano,
Stefano Massini, Massimo Recalcati, Marcello Veneziani) avrà proprio paideia
come tema centrale che affronterà riflettendo sulla sua applicazione pedagogica
e sulla sua valenza sociale e politica. Pur nella consapevolezza di come sia
impensabile che solo da iniziative come queste possa innescarsi una vera svolta
nel rapporto tra sapere e potere, conforta quindi che torni a farsi sentire la
consapevolezza della necessità di una maggiore e migliore trasmissione di
conoscenza a tutti i cittadini al fine di dare sostanza alle loro opinioni e
orientamenti e di rafforzare e migliorare, su queste basi, i meccanismi decisionali collettivi.
Sono,
anche, questi gli obiettivi che CircolarMente ha cercato di raggiungere,
perseguendo così, nel nostro contesto, una nostra paideia
affidata ai tanti relatori che si sono succeduti nelle iniziative portate
avanti in tutti questi anni.
Chiudiamo
questa Parola del mese recuperando la definizione di paideia
data da Jacques Delors (1925/2023, politico ed economista
francese, Presidente della Commissione Europea, uno dei padri fondatori
dell’Unione Europea)
nell’ambito di un congresso dell’UNESCO. A suo avviso essa poggia su quattro
pilastri:
Ø
imparare a conoscere
Ø
imparare a fare
Ø
imparare a vivere
insieme
Ø
imparare ad essere
Solo con il loro perseguimento, da
mantenere per tutto il corso della vita di tutti, la Polis, da intendere in
senso ampio, potrà sperare nella sua sopravvivenza.
Nessun commento:
Posta un commento