domenica 12 agosto 2018

Il saggio del mese - Agosto 2018


Il “saggio” del mese


Agosto 2018





Di certo non occorrono molte parole per evidenziare quanto il tema del “lavoro” sia centrale nelle culture, e soprattutto nella vita reale, di tutto il pianeta. Non a caso quindi il “lavoro” è argomento affrontato, con specifiche attenzioni, in tutte le discipline umane: dalla sociologia alla narrativa, dalla politica alla filosofia, dal cinema all’economia, dalla psicologia alla statistica, dalla demografia alla storia, dal diritto alla religione, dalla antropologia alla medicina. Domenico De Masi (Professore emerito di Sociologia del Lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma, autore di moltissimi saggi e pubblicazioni)) con il suo ultimo libro “Il lavoro nel XXI secolo” (titolo che richiama, non casualmente crediamo, il saggio di Thomàs Piketty “Il Capitale nel XXI secolo) offre ai lettori e, speriamo, ai tanti “addetti ai lavori” che di lavoro discettano con poca competenza “vera”, un percorso ambizioso di sintesi e di lettura “olistica” di questa tematica. Nelle oltre settecento pagine -  che non debbono spaventare poiché, a dispetto della vasta competenza scientifica, De Masi scrive con stile semplice, lineare e coinvolgente – viene infatti presentato un viaggio nel mondo del “lavoro” che, coniugando passato presente e futuro, e andando ben oltre la specifica competenza sociologica, offre diverse chiavi di lettura del tema. Lo scopo, apertamente dichiarato, non è tanto quello di offrire una “summa” di quanto è finora stato, per quanto di fatto questo saggio lo sia, quanto quello di proporre, su questa base, una proposta, una “visione” proiettata verso gli scenari a venire in grado di aiutarci nell’affrontare “l’emergenza lavoro” esplosa con la globalizzazione neo-liberista, la crisi del 2008 e i grandi cambiamenti dell’innovazione tecnologica. Impossibile nelle poche righe disponibili per questa presentazione offrirne una sorta di sintesi ragionata, per consentire a tutti noi quantomeno una panoramica dell’ampiezza e della qualità del lavoro di De Masi presentiamo, nel modo più articolato possibile, il piano dell’opera, accompagnandolo per ogni Capitolo da un brevissimo riassunto delle considerazioni di fondo che legano i singoli paragrafi
Parte Prima
Cosa è il lavoro
De Masi inizia, giustamente, cercando di capire cosa si è inteso definire, nella storia culturale umana, con il termine “lavoro”. E lo fa, con una scelta in qualche modo originale, partendo dal suo significato nelle grandi religioni.
Capitolo primo = Genesi
In che modo nella Bibbia il Dio creatore consegna all’uomo il lavoro
Capitolo secondo = L’interpretazione cattolica del lavoro
Con un notevole salto temporale, giustificato dalla sostanziale immutabilità della visione biblica fino all’avvento della modernità, si passa alla dottrina cattolica del lavoro letta attraverso le encicliche che l’hanno via via definita: dalla Rerum Novarum del 1891 alla Centesimus annus del 1991
Capitolo terzo = L’interpretazione protestante del lavoro
Nel novero delle tante, e profonde differenze, fra cattolicesimo e protestantesimo quella del lavoro ha assunto, anche per i percorsi storici quasi opposti che ha prodotto, un ruolo preminente. La celebre interpretazione weberiana dell’etica protestante dal lavoro fa ovviamente da guida
Capitolo quarto = L’interpretazione laica dalla parte dei datori di lavoro
Il lavoro come “merce” nelle concezioni dei padri nobili della borghesia e delle teorie liberali classiche
Capitolo quinto = L’interpretazione laica dalla parte dei lavoratori
La visione conflittuale del lavoro dai primi socialisti utopisti al marxismo
Capitolo sesto = Altre interpretazioni
Uscendo dall’ottica occidentale si affronta cosa intendono per “lavoro” le altre culture e religioni: India e induismo, Cina tra Confucio e comunismo, il Giappone buddhista, taoista e iper-moderno, l’altro “lavoro” del mondo mussulmano
Capitolo settimo = Lo sguardo sociologico
La multidisciplinarietà del lavoro alla prova del ramo della sociologia specificamente dedicato al tema – testo base di partenza  il “Trattato di sociologia del lavoro” di Friedmann e Navile del 1961 – il lavoro come “costrizione” e come “ambiguità” (alienazione – sei aspetti base del lavoro: teorico/fisiologico/morale/sociale/economico/meta-lavorativo – lavoro come attività di gruppo – il lavoro secondo un dizionario: quello redatto dall’indimenticabile Luciano Gallino che nel 1978 pubblica il “Dizionario di Sociologia”, che contiene in particolare una sequenza storica che dal 1767 al 1970 evidenzia l’intreccio tra cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e la qualità di vita dei lavoratori misurabile su quattro parametri: ergonomia/complessità/autonomia/controllo
Parte Seconda
Il lavoro nella società preindustriale
Ma al di là di cosa si è inteso con “lavoro” come è stato effettivamente svolto e vissuto nella storia di homo sapiens? Chi lavorava e chi no, come si lavorava, come era considerato il “lavoratore”? Giustamente De Masi suddivide questo lungo excursus storico, che prende le mosse ancora una volta dal racconto biblico, in due parti: la società preindustriale e quella industriale
Capitolo ottavo = L’ottavo giorno della creazione
Il Creatore completato il sesto giorno il suo “lavoro” il settimo giorno si concesse un meritato riposo, ma prima affidò ad Adamo ed Eva il compito, a partire dall’ottavo giorno, di continuare l’opera creatrice di modellamento della terra: nell’ottavo giorno quindi l’umanità inizia a lavorare
Capitolo nono = Le opere ed i giorni
“Le opere ed i giorni” è il titolo dell’opera di Esiodo che sintetizza la cultura greca fino al VII secolo a.C..In economia fin lì vigeva il sistema del baratto, a partire dal VI secolo si affermano la moneta ed il commercio, il lavoro che li sosteneva era considerato dai Greci un castigo divino non diversamente dalla cultura ebraica e poi da quella cristiana. Meglio far cadere su spalle altrui questo castigo
Capitolo decimo = Spartani, professionisti della guerra
E lo si può fare come gli Spartani riservando al alcuni il mestiere della guerra e ai vinti, gli iloti, l’onere del lavoro
Capitolo undicesimo = Ateniesi, professionisti della democrazia
Oppure come gli Ateniesi imponendo la supremazia delle leggi, con al centro democrazia diretta, educazione, formazione professionale, virtù riservate però solo ad alcuni, ai cittadini liberi, che potevano inoltre godere della “skolé”, l’ozio creativo, grazie al fatto che il lavoro fisico pesante era affidato a schiavi, accanto a commercianti, artigiani, contadini e pastori. E grazie al fatto che il “lavoro domestico” era affidato alle donne, anch’esse escluse dalla skolé. Il connubio fra chi pensa e chi fa genera e sviluppa la “techné”, la tecnica
Capitolo dodicesimo = La schiavitù in Grecia
L’apparente contraddizione tra democrazia della polis e schiavitù merita ovviamente un supplemento di riflessione
Capitolo tredicesimo = Romani, professionisti dell’Impero
La concezione greca trova nella cultura romana la sua esaltazione e trasformazione in “sistema”, scelta indispensabile per sostenere la prima “globalizzazione”
Capitolo quattordicesimo = Liberti e schiavi
La divisione giuridica romana del lavoro si basava su tre posizioni: gli “ingenui”, nome che non deve trarre in inganno, ossia i cittadini romani liberi, i liberti, ex schiavi, e gli schiavi
Capitolo quindicesimo = Il plebeo, il soldato, il gladiatore, il sacerdote, l’ozioso
Il mercato globalizzato dell’impero affina però alcune figure sociali anche sotto l’aspetto del lavoro
Capitolo sedicesimo = Da schiavi a servi
La fine dell’Impero romano, la crisi del suo mercato globalizzato spezzettato in economie locali autarchiche, l’affermarsi del cristianesimo come religione “di Stato”, implicano il declino della schiavitù così come era stata fin lì intesa. L’avvento della “servitù” impone un cambio di paradigma che è l’antesignano del lavoro dipendente. Poco cambia in effetti per le condizioni reali del lavoro. Ma è da qui in poi, con un percorso che attraverserà tutto il feudalesimo, che iniziano a mutare gli stessi concetti di spazio e tempo del lavoro. La servitù implica la misura del suo tempo ed il rapporto con uno spazio definito entro cui svolgersi, sono i parametri su cui da qui in poi si fonderà la “produttività. Cresce il ruolo della “bottega”
Capitolo diciassettesimo = Il fervore dell’invenzione
Ed è nella bottega che si afferma il “lavoro come arte”, nel passaggio tra Medioevo e Rinascimento la “techné”, sviluppata da “inventori” e da artigiani bottegai, inizia ad avere un ruolo ed un peso importanti. Alcune invenzioni, il mulino ad acqua ad esempio, stravolgono la “produzione” ed il modo di lavorare: La suddivisione del lavoro inizia ad essere più sfumata, più articolata, nascono nicchie professionali e “mestieri”. Inizia ad affermarsi con le “corporazioni” un associazionismo diffuso basato appunto sul “mestiere”
Capitolo diciottesimo = Instauratio magna
Il fermento degli ultimi secoli prima dell’esplosione dell’industrializzazione non a caso investe la stessa concezione religiosa del lavoro, favorendo la differenziazione fra cattolicesimo e protestantesimo (capitolo secondo e terzo). Idee nuove certo, ma la miseria è quella antica. La fine, positiva in sé, della schiavitù e della servitù crea una figura nuova nel mondo del lavoro: il disoccupato, il senza lavoro. E con esso le istituzioni sociali che lo affrontano e lo gestiscono, reclusori compresi
Parte Terza
Il lavoro nella società industriale
Inizia con la rivoluzione industriale la moderna concezione del lavoro, la sua gestione ed organizzazione, la divisione in classi che ne consegue, il modo diffuso con cui il lavoro viene vissuto, subito, accettato, esaltato, alienato, rifiutato, combattuto. L’intera società si è da allora fondata su di esso. Questo è quanto è avvenuto fino ai nostri giorni. Sono temi enormi attorno ai quali è cresciuto a dismisura il dibattito culturale in senso lato. Impossibile darne conto compiuto in una sola opera. De Masi, inevitabilmente e giustamente, lo affronta a volo d’uccello cercando cioè di cogliere le più importanti linee guida che lo hanno caratterizzato.
Capitolo diciannovesimo = I due pilastri teorici della società industriale
Difficile peraltro tracciare una linea netta di demarcazione tra un prima ed un dopo, la stessa data di nascita della “industrializzazione” è da sempre discussa e opinabile, così come è una probabile forzatura far coincidere automaticamente industrializzazione e capitalismo. Tutto ciò fermo restando è possibile sostenere, come fa David Landes nella sua opera “Prometeo liberato” del 1969, che la metà del 1700 rappresenti un riferimento imprescindibile, non a caso il sottotitolo dell’opera è “Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa Occidentale dal 1750 ai giorni nostri”. E’ infatti la tecnologia a sancire da quel momento il passaggio dall’economia prevalentemente agricola a quella industriale. Ma accanto alla tecnologia centrale è stata la rivoluzione culturale attuata dall’Illuminismo, che sgombra il terreno dai lacci della tradizione conservatrice. Sviluppo umanistico e progresso tecnologico sono i due pilastri dell’industrializzazione. E’ interessante in questo quadro leggere la definizione di lavoro dell’Encyclopédie…….l’occupazione giornaliera cui l’uomo è condannato per il suo bisogno e al quale egli deve, allo stesso tempo, la sua salute, la sua sussistenza, la sua serenità, il suo buon senso e la sua virtù….. Parallelamente l’economia si afferma come disciplina tanto autorevole quanto a sé stante
Capitolo ventesimo = Il lavoro meccanizzato
La società industriale, ed il lavoro ad essa connesso, con la collegata definitiva affermazione della borghesia come classe dominante si afferma, come è noto, inizialmente in Inghilterra attraverso sconvolgimenti, tra loro collegati, nell’agricoltura, nella demografia, nel commercio. Il vapore, come fonte energetica primaria, lancia i suoi sbuffi sull’intero ordine sociale, creando un sistema integrato con al centro una dimensione, spaziale e temporale, fin lì inesistente: la fabbrica
Capitolo ventunesimo = Il lavoro sfruttato
In poco più di cinquanta pagine De Masi condensa, con le caratteristiche evidenziate in precedenza, i processi produttivi, economici, sociali e politici, e le collegate elaborazioni teoriche, attivati dall’industrializzazione. Impossibile offrire una sintesi discorsiva anche solo della traccia seguita; crediamo sia sufficiente citare i titoli dei singoli paragrafi:……. classismo illuminista – classismo liberale – classe agiata – i calcoli di Babbage – la fabbriche salubri e ariose di Ure – lavoratori indocili e meccanizzazione – la New Lanark di Owen – cooperazione e socialismo – l’età meccanica di Carlyle – le scimmiette di De Quincey – l’Inghilterra di Engels – lavoro ripugnante – ignoranti, altezzosi, tirannici – la Napoli di Jessie White Mario – ribellione e animalità – dall’individuo al movimento – dall’Inghilterra al mondo – l’albero e i rami del socialismo – la parabola cartista – Francia: il Quarantotto e la Comune – la Fabian Society – Germania: massimalismo e minimalismo – welfare: sicurezza ed equità
Capitolo ventiduesimo = Il lavoro studiato
La diffusione del “lavoro” come dimensione produttiva, sociale ed esistenziale ha progressivamente implicato che il “lavoro” in quanto tale diventasse l’oggetto di analisi e ricerche, scientifiche ed umanistiche fra di loro intrecciate, che hanno via via coinvolto tutti quei diversi approcci citati in apertura. Questo fervore indagatore si è, in sintesi, articolato sulla base di alcuni “paradigmi”: quello liberale, quello riformista, quello comunista, quello burocratico, quello cattolico, quello critico, con evidenti aspetti distintivi piuttosto che comuni fra di loro
Capitolo ventitreesimo = Il lavoro organizzato
L’inarrestabile progressione tecnologica, l’elettro-meccanica in primis, coniugata con la “scienza del lavoro” di cui al capitolo precedente, consente agli inizi del XX secolo una ulteriore e sconvolgente trasformazione. Ciò avviene negli USA che soppiantano così l’Inghilterra nel ruolo di paese guida. Attorno al modo di produrre si è infatti via via definita una autentica “scienza della produzione e del lavoro”. Ogni suo aspetto è valutato, soppesato, perfezionato, incastonato in una successione “scientifica” di gesti e procedure. Frederick Winslow Taylor ed henry Ford sono i due nomi simbolo di questa evoluzione, che ha nella “catena di montaggio” la sua concretizzazione ed in alcuni “principi” i suoi capisaldi teorici: il principio gerarchico, quello dell’unità di comando, quello di eccezione, della divisione infinitesimale del lavoro, quello dell’accentramento, quello della selezione e dell’addestramento. Che si trascinano dietro anche una visione “paternalistica” delle relazioni umane, altro aspetto che, in questo quadro complessivo, diventa decisivo ed istituzionalizzato. Si alternano e si intrecciano nella successiva evoluzione del lavoro organizzato alcuni nuovi paradigmi che variano in relazione al porre al centro dell’interesse il singolo lavoratore, piuttosto che il gruppo, piuttosto che l’intera organizzazione: il paradigma sistemico, quello comportamentale, quello decisionale, e quello sociotecnico. Con il lavoro organizzato si completa l’occupazione totale degli spazi individuali e collettivi di vita, ormai se il lavoro, quel lavoro, manca, si sposta, si trasforma, è l’esistenza stessa, le sue forme e le sue motivazioni, che, giusto o sbagliato che sia, rischia di venire a mancare
Parte Quarta
Il lavoro nella società post-industriale
Ed è esattamente quello che da alcuni decenni sta avvenendo, l’orizzonte entro il quale il pianeta intero, unificato dalla “globalizzazione”, deve muoversi. Questa ultima parte del saggio di De Masi, qui ancora presentata come piano dell’opera, è quella che sicuramente merita maggiore attenzione per capire le future possibili prospettive. In relazione a prossime iniziative di Circolarmente dedicate al “lavoro” sarà utile una sua ripresa più dettagliata .
Capitolo ventiquattresimo = la grande transizione
Raymond Aron in piena guerra fredda sostenne che capitalismo e socialismo (quello reale) sono due specie dello stesso genere: la società industriale. Ma in quegli stessi anni, quelli quindi del pieno affermarsi dell’industria come perno dell’intera società, di tutte le società, iniziano ad affermarsi tensioni intellettuali, sociali e politiche, tendenze in ambito produttivo, scenari di disgregazione dall’interno di quello che pareva un monolite indistruttibile. Gli anni sessanta mettono in campo fermenti diffusi che in modo trasversale raccolgono l’insoddisfazione latente verso il modello fabbrica ed il collegato modello di relazioni sociali. Qui in Italia lo “Statuto dei Lavoratori” del 1970 sancisce il punto più alto della protesta e delle rivendicazioni e al tempo stesso l’inizio del declino del modello di organizzazione del lavoro fordista. Un analogo e contemporaneo processo caratterizza tutte le società industriali occidentali. Sta in questo zenit l’avvio, con una transizione di alcuni decenni, del passaggio alla società post-industriale, un passaggio che, riprendendo quelle intuizioni e quelle premonizioni del secondo dopoguerra, è condotto come reazione, suggerito da soluzioni tecnologiche, guidato da un “nuovo” liberismo, operato delle classi dominanti, inglobato nei modi diffusi di pensare anche degli strati bassi della società. L’esplosione del terziario, l’avvento della sfera economica dei servizi, sanciscono il cambio di paradigma. Il totem del lavoro industriale si frantuma in mille rivoli, una delle conseguenze è l’impossibilità di una “risposta” univoca di massa, perché la massa stessa dei lavoratori è stata frantumata in una pluralità di soggetti indotti a muoversi con ottiche individualistiche. A fronte di tensioni inevitabili di grande portata la transizione al lavoro post-industriale avviene pertanto in un clima di conflitto esorcizzato.
Capitolo venticinquesimo = I fattori del mutamento
E’ fuori di dubbio che la globalizzazione fosse da tempo nello “spirito” del modello capitalistico, certo è però che il profondo mutamento del quadro politico internazionale degli anni ottanta apre scenari di espansione “globale” senza limiti. L’attuale accezione del termine “globalizzazione” intende però non solo la creazione di un mercato planetario ma anche, grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, una globalizzazione di modelli, comportamenti, atteggiamenti psicologici individuali e di massa, seppure con una certa diversità di approccio fra le varie aree. L’elettronica, che sta alla base dello sviluppo del web, è a sua volta figlia del crescente utilizzo di nuovi materiali, la cui relativa “leggerezza” fa da contraltare simbolico della “pesantezza” dell’acciaio su cui poggiava l’industrializzazione. Altri fattori che incidono sul cambiamento e sulle sue caratteristiche sono le biotecnologie, le tecnologie ottiche, i big data, l’intelligenza artificiale, in particolare nella versione della automatizzazione, della robotizzazione. Inevitabili sono le conseguenze sulle logiche di mercato, sulle tipologie di merci e dei relativi processi produttivi, sui comportamenti dei consumatori. Altrettanto inevitabile e di forte impatto la ricaduta sulle modalità, tipologie e concetto stesso di “lavoro”. Non è un caso, una coincidenza, come già evidenziato nel Capitolo Ventiquattresimo, che l’ideologia dominante alla base del mutamento sia ispirata da una sorta di “rivincita” delle classi dominanti. La inarrestabile disuguaglianza, figlia del mutato quadro, non sembra produrre le reazioni tipiche delle fasi storiche precedenti, i conflitti, là dove si manifestano, sembrano “senza classi”. Stentano però a definirsi e ad affermarsi nuovi soggetti sociali in grado di catalizzare innovative strategie alternative
Capitolo ventiseiesimo = Metamorfosi del mercato
Sullo sfondo dei cambiamenti strutturali del mercato del lavoro si muovono alcuni fattori che, accanto a quelli più specifici della produzione, svolgono già ora, e sempre di più lo faranno nel futuro, un ruolo importante: demografia, ecologia, longevità, androginia, ubiquità, tempo libero, etica, estetica, cultura. Difficile prevedere quali “figure sociali” si muoveranno in questo nuovo contesto, ma è prevedibile che quella del “prosumer” (produttore e consumatore insieme) acquisti sempre più rilevanza. La professionalità, il mestiere, non potranno più caratterizzare l’individuo per l’intera sua vita. Dando per scontato che l’intensificarsi dei cambiamenti tecnologici (la “nuova età delle macchine”) renderà tutti potenzialmente “in soprannumero”, acquisterà sempre più valore la profezia di Keynes della opportunità di sostituire la “perizia nel lavoro” con la “perizia nella vita”. Sono, su queste basi, già ora ipotizzabili undici tesi  (a giudizio di chi scrive provocatoriamente “ottimistiche”) sul lavoro nel XXI secolo:
1 – il progresso tecnologico offrirà una potenzialità di liberazione dalla “fatica del lavoro”
2 – per una lunga fase sarà comunque inevitabile un surplus crescente di manodopera
3 – si porrà sicuramente il problema di gestire diffuso “tempo libero” dal lavoro
4 – economia e statistica non potranno nascondere a lungo questa nuova “disoccupazione”
5 – la sbornia di prodotti inutili lascerà il posto a “meno ma meglio”
6 – alle macchine il lavoro fisico e buona parte di quello intellettuale, all’uomo quello creativo
7 – saranno inevitabili nuove forme di welfare
8 – al nuovo sicuramente si arriverà passando attraverso il “lavorare meno lavorare tutti”
9 – occorrerà una lunga fase di preparazione al nuovo “ozio creativo”
10 -  in Occidente in particolare sarà necessario “uscire” dalla ideologica “vita per il lavoro”
11 – nel resto del mondo sarà necessaria l’operazione opposta
Capitolo ventisettesimo = Metamorfosi del lavoro
Per quanto votato all’ottimismo questo quadro non nasconde lo scoglio della necessità di “riconvertire” l’ideologia manageriale del lavoro, e, in logica progressione, il superamento della logica del “profitto” come motore del mercato, creando una miscela di competizione, cooperazione, solidarietà, primato motivazionale del “non profit”. In fondo l’essenza più vera e pura del Marx filosofo.

a cura di Giancarlo Fagiano

mercoledì 1 agosto 2018

La parola del mese - Agosto 2018


La parola del mese

 A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni



AGOSTO 2018



RESPONSIVITA’



Con questa “parola del mese” chiudiamo, almeno per ora visto che alcune delle iniziative previste nel prossimo programma di CircolarMente sicuramente offriranno spunti per riprendere questi temi, un percorso di riflessione sulla “intelligenza”, sui meccanismi della comprensione e della conoscenza, su “mente e cervello”, sull’evoluzione della scienza, della tecnologia, e del concetto stesso di “cultura”. Questo percorso è iniziato alcuni mesi addietro sulla base delle sollecitazioni fornite dalla conferenza di Roberto Saracco per poi aprirsi a questa ampia gamma di argomenti attraverso “La parola del mese”, “Il saggio del mese”, ed alcuni post e commenti. Lo spunto per questa “parola del mese” è venuto dalla lettura di un interessante libro che non verrà però proposto come “Il saggio del mese” proprio per non appesantire questo percorso già così ricco e articolato. Ma “Dai batteri a Bach – Come evolve la mente” del filosofo statunitense Daniel Dennet (Raffaello Cortina Editore 2018 – pag.520) è una lettura che merita sicuramente di essere raccomandata. Daniel Dennet, docente di filosofia ad Austin e autore di numerosi saggi sulle scienze cognitive, da anni è protagonista di un contenzioso, di altissimo livello intellettuale, con John Searle, anch’egli filosofo statunitense, sui meccanismi di funzionamento della mente. Questo disaccordo di fondo non poteva che generare due visioni opposte sulle possibilità di successo dell'intelligenza artificiale, delle quali abbiamo fornito una breve sintesi nella “parola del mese” del mese scorso “Intenzionalità”.  Questo ultimo saggio di Dennet, che rappresenta la summa della sua ricerca, a tutto campo, sui misteri della “mente” e che offre, al di là della soggettiva condivisione delle sue opinioni, comunque basate su argomentazioni molto accurate, spunti di riflessione decisamente interessanti, è chiuso da una postfazione di Maurizio Ferraris. Che, ponendosi in un certo qual modo, a metà strada fra le posizioni di Dennet e di Searle, sintetizza la sua personale opinione sulla differenza tra “intelligenza umana” e “intelligenza artificiale” introducendo un particolare utilizzo della parola, del concetto,  di “responsività. Della quale peraltro non esiste una definizione univoca, queste che seguono sono quelle reperibili in alcuni vocabolari on-line:

responsività s. f. [dall’inglese responsivity) = Nella rivelazione delle onde elettromagnetiche, la risposta (generalmente una differenza di potenziale o una intensità di corrente elettrica) di un rivelatore per potenza radiante incidente unitaria. Non necessariamente un rivelatore con alta responsività è adatto alla rivelazione di basse intensità, essendo a tal fine determinante anche il livello di rumore (dal Vocabolario Treccani)

responsività (sensitive responsivness) = definizione di Ainsworth , si ha quando il genitore è responsivo, capace cioè di rispondere in modo adeguato e contingente ai bisogni del bambino e di leggere questi bisogni (Vocabolario di psicologia)

responsività s.f.i 1ª metà XX sec. = capacità dell’organismo di adattare all’ambiente le proprie funzioni vitali (dizionario De Mauro)

E si parla di “responsività” anche in campo medico e farmacologico riferendosi alla capacità reattiva di un organismo verso una malattia piuttosto che verso le proprietà di un farmaco.

In sostanza quello che sembra accumunare queste diversi utilizzi del termine è proprio la “proprietà reattiva” ad un fattore esterno, la capacità di “rispondere” a sollecitazioni esterne, così come pare esprimere la stessa definizione dell’aggettivo collegato

responsivo aggettivo. [dal latino tardo responsivus, derivato di respondēre «rispondere»] = Che è, che vale di risposta.

Tornando al suo particolare utilizzo da parte di Maurizio Ferraris, ovvero al significato di responsività nell’ambito delle tematiche che ci hanno condotto alla sua scoperta, riportiamo alcuni stralci della sua postfazione al saggio di Dennet che meglio possono far capire la sua valenza in un ambito filosofico cognitivo:

……….qual’è il tema fondamentale di questo libro profondo e labirintico? …..a mio avviso è il processo che dalla competenza, il saper fare qualcosa, ciò che abbiamo in comune con i batteri, conduce alla comprensione, il capire cosa facciamo e il trovarci un senso, ciò che probabilmente è una proprietà soltanto degli umani……(condivido e sviluppo) la nozione centrale di Dennet, quella della “competenza senza comprensione” che accomuna gli oggetti tecnici e, nella maggior parte delle loro prestazioni, gli animali, umani e non umani……(insisto, ancora in sintonia con Dennet) sul carattere meccanico dell’intelligenza umana, contrariamente a quanto ritengono molti filosofi non c’è differenza tra l’intelligenza artificiale, che si limiterebbe e “manipolare segni” e l’intelligenza umana, che avrebbe delle speciali caratteristiche, in particolare “la comprensione”…….(mi discosto da Dennet) e cerco di spiegare a cosa vada ricondotta la differenza, che malgrado tutto ci appare evidente, tra l’umano e l’artificiale, e la riconduco non a una diversa intelligenza, bensì al fatto di essere un organismo complesso, soggetto in forma essenziale a processi entropici e perciò dotato di un senso, di una direzione (dalla nascita alla morte) che presiede alla genesi del significato, dell’autocoscienza, della capacità di avere dei fini  e di prendere delle decisioni (intenzionalità) e di essere soggetto a responsabilità morale. Chiamo questo insieme di prestazioniresponsività” ……..E’ in questa responsività (la cui forma basica è la sensibilità, mentre quella più filosoficamente manifesta è la ragione in quanto facoltà dei fini) che va ricercata la differenza decisiva tra anima e automa, che non consiste in un qualche supplemento di anima spirituale, bensì nella natura animale che ci caratterizza in quanto organismi……siamo anime in quanto siamo animali e siamo anime più complesse degli animali non umani perché disponiamo, in noi e soprattutto fuori di noi, di automi molto potenti che si chiamano linguaggio, cultura, tecnologia………….