mercoledì 24 aprile 2024

Per il 25 Aprile - Festa della Liberazione

                                                           “Oltre il ponte”

O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d’aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all’età che tu hai ora

Coprifuoco: la truppa tedesca

la città dominava. Siamo pronti.

Chi non vuole chinare la testa

con noi prenda la strada dei monti


Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte che è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte

Tutto il male avevamo di fronte

tutto il bene avevamo nel cuore

a vent’anni la vita è oltre il ponte

oltre il fuoco comincia l’amore


Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l’oscura montagna

La speranza era nostra compagna

a assaltar caposaldi nemici

conquistandoci l’arma in battaglia

scalzi e laceri eppure felici


Non è detto che fossimo santi
l’eroismo non è sovrumano
corri, abbassati, dai, corri avanti
ogni passo che fai non è vano

Vedevamo a portata di mano

oltre il tronco il cespuglio il canneto

l’avvenire di un giorno più umano

e più giusto, più libero e lieto


Ormai tutti han famiglia, hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio tra i tigli
con te cara che allora non c’eri

E vorrei che quei nostri pensieri

quelle nostre speranze di allora

rivivessero in quel che tu speri

o ragazza color dell’aurora

                                                                             

1959, poesia di Italo Calvino musicata da Sergio Liberovici

 




lunedì 15 aprile 2024

Il "Saggio" del mese - Aprile 2024

 

Il “Saggio” del mese

 APRILE 2024

Il tema della “Libertà”, delle sue declinazioni nell’attuale fase storica, è stato il filo conduttore delle iniziative del nostro programma 2023/2024, iniziato riflettendo su di essa dal punto di vista filosofico. Il saggio di questo mese offre anch’esso una riflessione filosofica sul tema della libertà svolta, con la sua abituale verve poliedrica ed istrionica, da uno dei pensatori più seguiti nell’attuale dibattito filosofico e mediatico

E’ la preoccupazione per lo stato di salute della libertà nell’attuale fase storica che ha mosso Zizek a questa sua riflessione. La libertà, intesa nel suo più ampio significato, è da sempre “oggetto a contendere”, ma oggi il pericolo più grande che sta correndo sembra proprio consistere nella scarsa attenzione e cura che ad essa dedica gran parte di una umanità ad essa così assuefatta da darla per scontata, per acquisita ….. l’illibertà più pericolosa è quella che sperimentiamo in forma di libertà ….. Non è così, la libertà è un concetto, un valore universale ed eterno, che va ben oltre l’essere il predicato di un soggetto, rappresenta una dimensione irrinunciabile dell’animale uomo, mosso da passioni e non da soli istinti, che storicamente si è sempre confrontata con limiti e restrizioni. Per meglio capire se questo rischio vale anche ai giorni nostri è necessario riflettere su di essa risalendo il più possibile alla sua ultima essenza e valutandola nelle sue due fondamentali accezioni: la libertà in generale, quella che si esprime come soggetto a sè, e la libertà umana, ossia la declinazione della prima nella vita sociale.

….. nella libertà non ci sentiamo mai a nostro agio, più siamo liberi più dimoriamo nell’ansia, è una di quelle nozioni ingannevoli che appaiono evidenti, ma nel momento in cui cerchiamo di analizzarle ci troviamo impelagati in ambiguità e contraddizioni ……


lo stile espositivo di Zizek è straordinariamente arricchito da esempi, aneddoti, critiche e appunti vari, che impongono al lettore una costante, e per questo magari anche stancante, attenzione. Va inoltre detto che in questo saggio, già del suo di non trascurabili dimensioni, il tema centrale della libertà, che Zizek affronta risalendo alle origini del moderno pensiero filosofico e psicanalitico occidentale, diventa l’occasione per riflessioni ad ampio raggio su complesse tematiche (rapporto uomo-natura, forme della conoscenza, realtà e sue rappresentazioni, tanto per citarne alcune) non così immediatamente collegabili al tema in sé della libertà. Un esempio fra i tanti è quello della costante citazione dei concetti di “Altro – il grande Altro”  presenti nella teoria psicanalitica di Jacques Lacan (1901-1981, psicanalista e psichiatra francese) per indicare l’insieme di oggetti/soggetti, individuali e collettivi, che intervengono nel percorso di definizione delle nostre individualità, qui non ripresi proprio per l’eccessiva complessità  del tema Si è così dimostrato del tutto impossibile offrire, nell’abituale spazio dei nostri post, una seppure sinteticissima panoramica di un complesso di idee così vasto ed approfondito.  E’ stato quindi inevitabile limitarci ad estrapolare da tale ricchezza espositiva i passaggi più immediatamente collegabili al tema della libertà

PARTE PRIMA – La libertà in generale

Capitolo primo – Il disagio della libertà = E’ davvero possibile una definizione universalistica di libertà ossia del valore che, essendo oggetto di un di più di investimento affettivo, di fatto viene interpretato in modi diversi, non di rado tra di loro persino conflittuali? E d’altronde se una piena libertà implica anche quella di poterla declinare in sensi molteplici, inevitabilmente s’ha da fare i conti con questa sua poliedricità, ma allora come uscire fuori da questo rebus? In inglese questa tensione che attraversa la nozione di libertà è indicata da due termini diversi: freedom e liberty, con la prima, più astratta, a indicare la potenzialità di fare ciò che si desidera e la seconda, più concreta, quella di esercitare la propria freedom entro i confini fissati dalla legalità di turno. A suo tempo già Hegel (1770-1831) uno dei padri del moderno concetto di libertà si era premurato di precisare che, a scanso di equivoci, un conto è parlare di “libertà astratta” e un altro di “libertà concreta”, anche se questa distinzione, a ben vedere, implica che la prima, nel tramutarsi nella seconda, inevitabilmente si auto-restringa. Non deve allora stupire se nel campo larghissimo che separa questi due concetti si è storicamente realizzato un infinito corollario di varianti, alla cui comprensione e valutazione poco aiutano alcune delle formule via via coniate (la mia libertà finisce là dove inizia quella di un altro, la libertà è vuota se disgiunta dalla giustizia sociale, libertà pubbliche e libertà private, e via discorrendo) e d’altronde sono altrettanto varie, e continuamente mutevoli, le consuetudini sociali che definiscono i confini della libertà concreta. E’ questa una situazione, diffusa e consolidata, nella quale il perseguimento, l’esercizio e la difesa della libertà, comunque intesa, richiedono costante attenzione e continue scelte, non fosse altro che per non incorrere nel paradosso dell’illibertà, di cui si è detto in precedenza, per il quale libertà potrebbe persino significare rinunciare ad essere liberi. Per farlo occorre partire da un primo fondamentale aspetto: la libertà sempre si manifesta come una esigenza che emerge in risposta al manifestarsi di una necessità. E’ ancora Hegel a portare alla sua estrema conseguenza questa constatazione: per lui la vera libertà è in effetti il superamento di una necessità, un superamento che per essere realizzato richiede però la conoscenza, ovvero la consapevolezza, delle ragioni che hanno prodotto tale necessità: la libertà altro non è che la piena rimozione di tali ragioni. Questa conoscenza, questa consapevolezza, presuppongono a loro volta un soggetto dotato di una fondamentale dote preliminare: il libero arbitrio, e cioè il potere, insito in sé stesso, di decidere autonomamente il proprio pensare ed il proprio agire. Questa forma pura di libertà è però una dote davvero posseduta dall’uomo?  è una illusoria percezione di sé? o è solo il frutto di un processo evoluzionistico?

Capitolo secondo – Esiste davvero un “libero arbitrio”? = Il secolare dibattito, filosofico e teologico, attorno al libero arbitrio, vale a dire su come la libertà umana possa essere inserita nell’ordine generale della natura, è stato sconvolto dall'irruzione della scoperta neuroscientifica secondo la quale in natura tutto avviene secondo i rigidi canoni del naturalismo deterministico.  A dispetto della sua vantata diversità esistenziale non ne è esente neppure l’uomo, è ormai dato accertato che le sue risposte agli stimoli esterni partono “in automatico(governate in modo inconsapevole dall’ancestrale cervello rettiliano) anticipando la loro gestione volontaria, non solo: questa predisposizione, eredità di una lunghissima evoluzione, interviene, in forma di “predisposizione”, anche nel caso di scelte più complesse, più articolate. Si può quindi affermare che: io faccio quel che voglio, ma quel che voglio è in gran misura determinato. Anche la stessa coscienza (l’idea di sé che muove a capacità di interrompere e indirizzare diversamente un processo già in atto) è in una certa misura condizionata da attività neurali “cieche(è l’opinione di neuroscienziati come Antonio Damasio il cui saggio “Sentire e conoscere” è alla base della Parola del mese di Giugno 2022 “coscienza”). Se resta sempre vero che l’esercizio del libero arbitrio, in qualunque modo si attivi, è soprattutto l’individuale esercizio di retaggi sociali e culturali (oltre che caratteriali), è però certo che in questo nuovo quadro si impone una qualche ridefinizione delle stesse nozioni di libertà, autonomia e responsabilità etica. L’esercizio del libero arbitrio guarda al presente ed al futuro, ma è certamente determinato dal passato, sia quello generale evoluzionistico sia quello specifico socio-culturale, ed è quindi su questo terreno che si dà il calcio d’inizio della partita della libertà, che si apre ad ogni possibile risultato per la semplice ragione che ambedue questi passati non ci consegnano un esito  scontato, la loro eredità è comunque composta da catene causali imperfette che lasciano sempre spazio  alla possibilità di scegliere il nesso che le collega e le determina. Il passato sul quale germoglia il seme della libertà, attraverso il libero arbitrio, non è mai solamente il sedimentato comporsi di concreti “fatti”, ma nel nostro ri-viverlo sempre si evolve in un ordine simbolico di interpretazioni, di rappresentazioni, sempre ri-vedibili, sempre ri-adattabili. In questo senso il libero arbitrio non si manifesta solo come occasionale opportunità, ma è, nell'intricato rapporto con il passato, “l’a priori” di ogni conoscenza per quanto deterministico sia il meccanismo che lo attiva. La stessa negazione della sua attiva funzione è in effetti priva di senso proprio perchè esso sempre resta la pre-condizione di ogni conoscenza … se non si ha il libero arbitrio non si ha neppure la giustificazione per credere di non averlo …. Da ciò discende una conseguenza di non poco conto: se il passato è un aspetto del mondo in qualche modo definitivamente compiuto, esso “comprende avendolo formato” anche il soggetto che lo esamina, vale a dire che una sua osservazione, per quanto ritenuta oggettiva, non sarà mai slegata dall’esercizio del libero arbitrio comunque questo si manifesti. Si può allora ritenere che  intervenire sul presente per indirizzarlo verso un voluto futuro è una operazione resa possibile solamente dall'esercizio del libero arbitrio inteso come reinterpretazione del passato.  La libertà astratta poggia su questa precondizione che va oltre ad ogni meccanismo deterministico….. se anche sappiamo che quel che faremo è in una qualche misura predestinato, dobbiamo prenderci il rischio, soggettivamente, di scegliere tra le possibili predestinazioni quella che ci appare a noi più consona…... Per questa ragione la libertà è, in fin dei conti, una scommessa, un arrischiato salto in avanti inesorabilmente compiuto proprio esercitando il libero arbitrio

Capitolo terzo – Il resto indivisibile e la morte della morte = Comunque possa essersi delineata l’idea, la libertà è per sua natura destinata ad uscire dal mondo delle idee per misurarsi con il mondo reale, a completarsi divenendo concreta prassi ….. è questa la determinazione minima della libertà: sono libero se, nei limiti del mio possibile, decido della mia interazione con l’ambiente che mi circonda ….. E’ quindi la vita reale, non quella pensata, la forma fondamentale della libertà: come organismo vivente interagisco con l’ambiente ed al tempo stesso così facendo, essendo parte di quell’ambiente, di fatto interagisco anche con me stesso sulla base delle risposte di ritorno che da esso ricevo. L’idea di libertà che per completarsi deve tradurre la sua essenza ideale in prassi concreta è quindi costantemente portata a ridefinire sé stessa proprio in relazione alle risposte che l’agire (individuale e collettivo) per conseguirla raccoglie. Questo continuo processo di oggettivazione/ridefinizione della libertà da una parte richiama costantemente in causa il libero arbitrio nei termini di cui si è detto, ma dall'altra rende però  problematica una reale oggettivazione dell'idea di libertà essendo questa sempre filtrata dalla soggettività protagonista del processo. Dal punto di vista filosofico si inciampa così in una insidiosa complicazione che Kant (1724-1804) individuava, e superava, con queste parole: non siamo liberi quando facciamo quel che vogliamo, ma solo quando seguiamo la Legge morale contro le nostre tendenze spontanee che ci rendono schiavi. Emerge cioè a suo avviso la necessità che la libertà superi la dimensione istintiva del soddisfacimento delle nostre esigenze e dei nostri desideri, in sostanza la nostra “natura”, per fondarsi su un corpo condiviso di idee, filosoficamente definite, capaci di darle un orientamento morale. Al contrario di Kant, Schelling (1775-1854) ha negato tale contrapposizione ritenendo invece che spirito (io) e natura (non-io) potessero coincidere in una unità ideale (il “resto indivisibile”, così titola un saggio di Zizek sull’opera di Schelling), la libertà in questa sua idea emerge proprio dal suo fondarsi ed esprimersi in relazione ad una idea di “assoluto” che già del suo va oltre la soggettività. L’idea di assoluto permea anche la concezione di libertà di Hegel che però, in coerenza con il suo procedere dialettico, la fa emergere emerge attraverso un tortuoso percorso: essa è infatti la vera essenza dello spirito, perché nella natura non esiste libertà, ma solo necessità e accidentalità. Ma questa assoluta coincidenza con lo spirito la rende pura astrazione, un nulla che in-sé è un assoluto negativo, ossia un’assenza di vera determinazione. L’unica via di uscita da questa negatività consiste nell’opporsi ad essa dialetticamente proponendo il suo esatto opposto, vale a dire la negazione della negazione (che nella sua forma più pura è definibile come morte della morte) rappresentata dalla coincidenza fra spirito e libertà. Solo da questo incontro/scontro può a suo avviso emergere un divenire che è una nuova unità: quella di spirito e necessità (poggia anche su questa diversa unità l'intera “filosofia dello spirito” hegeliana) che diviene, come sintesi finale, la vera idea di libertà, un’idea che non è solo pensiero logico (la libertà astratta), ma dimensione concreta del vivere nella forma della comunità che assorbe tutte le singolarità, ovvero lo “Stato(la libertà concreta), che è quindi la vera realizzazione della libertà. Un’idea che trova la contemporanea opposizione di Kierkegaard (1813-1855) per il quale, se è vero che la comunità serve per la vera libertà, essa da sola non rende veramente liberi, sempre compete al libero arbitrio individuale il modo di sciogliere questa limitazione.

A conferma dell’originalità del suo stile espositivo Zizek affianca ai “normali” Capitoli di trattazione del tema due “Appendici” che aggiungono considerazioni a margine che spaziano in svariate direzioni

Appendice I

*   La meccanica quantistica, con le sue teorie sul comportamento delle particelle elementari, è un ottimo esempio per meglio mettere a fuoco la difficoltà di definire con esattezza il concetto di libertà. Infatti non diversamente la libertà sfugge ad una sua definizione/individuazione per comparire unicamente quando un osservatore/protagonista è chiamato, da impellenze e necessità, a capire in cosa essa davvero consista e dove può essere così collocata sulla scena di una storia idealizzata

*   il modo in cui Hegel introduce il concetto di libertà in numerosi passaggi della sua elaborazione filosofica richiama una prassi molto diffusa in vari ambiti culturali: la dislocazione, ossia il trasferire un “pacchetto culturale” da un contesto ad un altro. Succede ad esempio in musica con un accordo o una linea melodica e, passando a tutt’altro campo, con l’idea di uguaglianza o di rivoluzione diversamente declinata a seconda del paese in cui si afferma. La dislocazione però non è solo un trasferimento, perché implica sempre una diversità, quelle note evolvono in una differente composizione, e le idee una diversa concretizzazione (l’idea marxista di rivoluzione, intesa come superamento del capitalismo giunto al suo pieno compimento, è stata per certi versi paradossalmente adottata sia in Russia che in Cina in un contesto di arretratezza economica). Allo stesso modo occorre quindi prestare attenzione ai molteplici  significati che il concetto di  “libertà” assume in Hegel

*   Viviamo tempi molto permissivi sotto molti punti di vista. La permissività però non è automaticamente sinonimo di libertà, spesso questa emerge, sapendola individuare, in modi anomali. Uno di questi è raccontato dalla miniserie Netflix “Inventing Anna (inventare Anna)” che racconta la storia vera di Anna una giovane e povera truffatrice che fingendo, nel jet set di New York, di essere una ricca ereditiera è riuscita per anni a vivere di generosi “aiuti” utilizzati per coprire via via quelli già ottenuti. Anna non ha però una vera attitudine criminale, in un certo senso si è così immedesimata con questa immagine di sé da credere di ottenere prestiti da una sé stessa proiettata nel futuro. Rispetta letteralmente la formula lacaniana (Lacan, 1901-1981, psicanalista francese) del “non compromettere il tuo desiderio”. In fondo anche in questo caso, inimmaginabile in tempi “normali”, si può intuire che la libertà più profonda è sperimentata come necessità interna

*   L’arte moderna del Novecento si è caratterizzata con canoni innovativi capaci di raccontare, spesso anticipandoli, le tensioni, le paure, le angosce di tempi troppo veloci e crudeli. E’ stata a lungo osteggiata, prima di venire fagocitata dal mercato come puro business, anche per questo motivo, oltre per le sue provocazioni. Eppure anche il solo fatto di esprimere angoscia e dissonanza è in effetti un atto di liberazione dall’ordine esistente. Neppure tanto incomprensibilmente molta filosofia non l’ha ritenuta tale.

PARTE SECONDA – La libertà umana

Capitolo quarto – Marx non ha inventato solo il sintomo, ma anche la pulsione = La libertà astratta, ovvero il concetto di libertà come dimensione fondante della vita, per divenire, per l’uomo sociale, autentica libertà concreta segue due distinti percorsi: quello delle idee e quello delle condizioni materiali di esistenza. Due filosofi, non a caso fra di loro strettamente connessi, sono assurti a teorici della prima, Hegel, e della seconda, Marx. Non si tratta comunque di una distinzione netta: il concetto hegeliano di Storia, visto come il progressivo realizzarsi dell’Idealismo, è pur sempre anche un’idea di costante progresso materiale, di graduale concreta realizzazione del concetto di libertà, ed al tempo stesso in Marx, nella sua concezione materialistica della Storia, il mondo delle idee è tutt’altro che sottovalutato, sono esplicite in questo senso le sue parole: … pensare è pur sempre un’attività reale, eseguita da individui che vivono, interagiscono e producono in una realtà sociale materiale, pensare è un aspetto della pratica sociale umana. Ciò detto, resta pur vero che è con il corpo dottrinale di Marx che l’idea di libertà viene definitivamente e intimamente calata nel mondo reale, nella sfera delle relazioni economiche e sociali. L’anelito verso di essa nato con l’avvio della Modernità come liberazione dalle catene del potere nobiliare acquista una sua nuova e più definita dimensione nella sua declinazione di lotta di classe. E’ infatti nell’analisi marxiana delle logiche capitalistiche che, anche in questo caso contraddicendo consolidati luoghi comuni, l’anelito verso la libertà, anche individuale oltre che collettiva, trova una sua nuova e specifica definizione: l’essere l’opposto contradditorio della pulsione capitalistica verso l’accumulazione infinita (quando i lavoratori comprendono di essere ridotti a merce, cessano di essere merce, di essere oggetto, per divenire soggetto).  Alcuni teorici marxisti (Lukacs, 1885-1971, filosofo ungherese) hanno completato questa idea di pulsione di libertà di Marx (che in più passaggi ha evidenziato che, proprio per questa ragione, il capitalismo è in sé già liberatorio) elevandola ad una dimensione trascendentale assoluta capace cioè di delineare non solo una diversa struttura economica e sociale, ma anche di dare nuovo e diverso senso alla sfera politica, all’influsso dell’ideologia, alla stessa scienza. L’invenzione marxista della pulsione verso la libertà, vista al tempo stesso come opposizione dialettica alla pulsione capitalistica e come suo completamento storico, ha permeato tutti i conflitti, ottocenteschi e novecenteschi, per l’appropriazione e l’estensione delle libertà collettive, affiancando la visione liberale di libertà che, pur non meno storicamente rilevante come eredità di lungo periodo del preliminare affrancamento dal potere nobiliare, ha puntato innanzitutto alla sfera individuale fino ad essere la base ideale dello stesso spirito capitalistico.

Capitolo quinto – In cammino verso l’anarco-feudalesimo = Il periodo a cavallo del cambio di secolo sta però rappresentando un momento di radicale svolta per questo consolidato rapporto di connessione tra mondo delle idee e condizioni materiali di esistenza. La vita umana e lo stesso concetto di libertà devono infatti misurarsi con l’irruzione di una nuova dimensione: lo spazio virtuale creato dalle nuove tecnologie informatiche, di cui il metaverso (uno spazio virtuale a cui accedere tramite piattaforme digitali in cui si assottigliano fino ad essere quasi impercettibili le differenze con la realtà) rappresenta il più completo paradigma. Si tratta della più ardita ambizione (Meta, ossia oltre, è dal 2021 il nuovo nome di Facebook) di utilizzo delle tecnologie di comunicazione e 3D finalizzate alla creazione di una realtà parallela, che spogliata della sua indubbia fascinazione tecnologica e vista nella sua vera essenza, si rivela una dimensione umana comune posseduta, filtrata e gestita, da privati ….. dei nuovi signori feudali che in questo modo potranno sorvegliare e regolare le nostre interazioni con il mondo ….. In apparenza sembra che si siano riaffacciate, dopo essere incredibilmente evolute dal punto di vista tecnologico, le speranze utopiche che avevano accompagnato la nascita del primo Internet visto come una nuova dimensione capace di aggirare i limiti, fisici e ideologici, imposti dal mondo reale fino a prefigurare una nuova idea di anarchia libertaria (una illusione che ha avuto ben altro esito). Insomma ancora una volta un inno alle mirabilie tecnologiche capaci di creare infiniti spazi di libertà. La domanda resta però sempre la stessa: come si concilia la proprietà privata di questi strumenti con il presunto allargamento di spazi di libertà e democrazia con un mondo nel quale questo effettivo neofeudalesimo si presenta come protettore delle libertà? A questi fondamentali dubbi di ordine politico se ne affiancano poi altri inerenti il potere salvifico della tecnologia, l’idea cioè che tutti i limiti ed i problemi dell’agire umano possano essere risolti affidandoci alle potenzialità delle macchine digitali. Si tratta non solo di un azzardo in sé, di una scappatoia per non affrontare l’essenza delle tante questioni che segnano questi tempi, ma di una autentica mistificazione: ancora una volta occorre tornare al fondamento delle logiche di mercato, siamo infatti semplicemente di fronte ad una trasformazione (l’ultima?) del capitalismo (a sua volta in evoluzione verso una concentrazione neofeudale) che mira a ricorrere sempre meno all’utilizzo del capitale umano. Al di là delle fantasie anarco-edonistiche, con l’ulteriore salto tecnologico (Intelligenze Artificiali e comunicazione diretta tra macchine) diventa possibile immaginare una gestione dell’economia, e quindi della società, sempre più affidata alle macchine con gli umani risarciti, certo non gratuitamente, con scampoli di compensatorio mondo virtuale. Non deve stupire allora che già oggi il mondo delle merci fisiche, che a lungo hanno rappresentato la base della produzione capitalistica (e della sfera dei desideri di massa), siano sempre più sostituite dalle esperienze (in progressivo passaggio al virtuale), ossia da momenti idealizzati di vita, da esse rappresentate (questa nuova fase della mercificazione viene definita “capitalismo culturale” in cui non è più l’immagine a promuovere il prodotto, ma è il prodotto che viene ridotto a veicolo per accedere all’immagine). Inevitabile che in contesto simile la pulsione verso la libertà acquisti nuove forme e si misuri con nuovi limiti e restrizioni.

Zizek dedica la parte finale di questo Capitolo alla accurata analisi dei fenomeni delle “criptovalute” e degli NFT (Non Fungible Token, gettoni di possesso di creazioni virtuali spendibili in un apposito mercato telematico) a suo avviso emblematici di questa svolta tecno-capitalistica

Capitolo sesto – Stato e controrivoluzione = Appare infatti evidente che la svolta tecnologica, esaltata come occasione di nuovi orizzonti di libertà, la sta al contrario riducendo con la sua invasiva capacità di incidere sulla sfera delle pulsioni, dei desideri, decidendo in anticipo per noi che cosa desiderare. Al tempo stesso è divenuta un formidabile strumento di controllo nella veste del capitalismo della sorveglianza, reso possibile dai big data. In questo quadro di una libertà pilotata e limitata è tornato centrale il ruolo del grande assente negli anni del neoliberismo galoppante: lo Stato, messo in sordina dall’ideologia liberista dell’ordine spontaneo della società, mirabilmente creato dal libero gioco del mercato. Il dibattito attorno al rapporto tra Stato e libertà attraversa la scena culturale, politica e filosofica in particolare, fin dal nascere della Modernità, ma risale ben più a monte chiamando in causa la propensione naturale dell’uomo ad accettare una contrazione dei suoi spazi individuali per rafforzare la coesione comunitaria e sociale [è questo il presupposto sul quale poggia l’dea del moderno Stato, il Leviatano, elaborata da Locke (1632-1704)]. Ancora di recente nel suo magnifico saggio “L’alba di tutto” l’antropologo David Graeber (1961-2020, questo saggio è stato presentato in un nostro post del Novembre 2022) ha rilanciato la contrapposizione tra i presunti maggiori spazi di libertà, di impronta anarchica, delle culture e delle società pre-moderne e le restrizioni imposte dagli attuali Stati. Ma è un confronto squilibrato e non sostenibile: non esisteva in tali precedenti esperienze il senso moderno della libertà individuale, il cui spazio, paradossalmente, sembra essere oggi garantito proprio dall’esistenza di una autorità statale che si eleva al di sopra della società civile, nella quale l’esercizio oggettivo della libertà è definito, formalmente e concretamente, dagli spazi concessi da tale autorità, ma non dalla sua assenza. Così come non sembrano condivisibili altre contemporanee concezioni dello Stato ridotto esclusivamente alla funzione di invasivo controllo bio-politico delle nostre esistenze (Zizek si riferisce espressamente alle posizioni assunte dal filosofo Giorgio Agamben sulle politiche di controllo di massa messe in atto durante la pandemia da Covid 19, che liquida come inutile chiacchiericcio). Se è indiscutibile la constatazione che il rapporto tra Stato e cittadini è sempre stato, e tuttora certamente lo è, condizionato da visioni ed interessi specifici, a partire da quelli dei rapporti economici di classe, resta comunque vero, ed i tempi di forte crisi come quello pandemico lo attestano, che lo Stato in quanto tale non può esimersi da quello che resta il suo scopo principale: l’interesse generale dei cittadini per quanto diversamente interpretato e declinato. Non a caso la difesa e l’allargamento di spazi di libertà appaiono ormai inseparabili da una gestione dello Stato che si muova in tal senso. Questa considerazione nulla toglie, anzi, all’inderogabile opposizione al crescente anarco-feudalesimo tecnologico (nella sua versione tecno-populista), ma ribadisce che perché questa sia efficace è allo Stato, al suo ruolo e alla sua corretta declinazione, che occorre guardare.

Analogamente a quanto sopra non inseriamo l’ultima parte di questo Capitolo, quella della “controrivoluzione” dedicata ad una riflessione su un diverso modo di intendere il concetto di “Patria” e ad una rivisitazione dell’ideale comunista perchè, per quanto ricca di interessanti riflessioni, non ci è sembrata immediatamente riconducibile al tema della libertà. La stessa considerazione è valsa per i quattro Capitoli della seconda Appendice che contengono affascinanti ed eccentriche riflessioni su alcuni temi, a nostro avviso così distanti dal cuore del saggio da imporre, nostro malgrado e differentemente da quelli della prima Appendice, di essere semplicemente citati

Appendice II

Temi affrontati:

*   la forclusione (nella teoria psicoanalitica lacaniana indica l'assenza della funzione del Terzo nel rapporto tra soggetto e Altro) del concetto lacaniano di “grande Altro(vedi sopra) troppo frequentemente presente nel dibattito culturale inerente ai rapporti fra soggetti

*   il differente ruolo della vergogna e dello svergognamento nell’attuale comunicazione politica e nella cancel culture  (la pratica, diffusa soprattutto negli USA, di cancellare dalla memoria storica personaggi che hanno, tempi addietro, sostenuto idee o avuto comportamenti che, oggi, non sono più condivisibili)

*   la prevenzione, diffusa soprattutto nei paesi non democratici, verso le forme d’arte definibili, spesso troppo genericamente, come postmoderno (termine usato a partire dagli anni ’60 del Novecento, inizialmente negli Stati Uniti e poi in Europa, per definire le varie tendenze in architettura, in letteratura, in movimenti culturali e nelle arti in genere caratterizzate dal rifiuto dell’ideale di progresso proprio del razionalismo novecentesco)

*   l’uso strumentale, e storicamente non sostenibile, del termine de-nazificare (epurare da concetti e ideologie naziste) abitualmente ed insistentemente fatto dalla propaganda putiniana

FINALE = I quattro cavalieri dell’Apocalisse

Il concetto di libertà, già del suo così complesso e fragile, si misura quindi costantemente con le ragioni di fondo del suo manifestarsi (libertà astratta) e nondimeno con vari contesti storici nei quali è chiamato ad esprimersi (libertà concreta). Ed è indubbio che guardando ai tempi attuali la scontata, e perciò trascurata, libertà di cui gran parte del mondo sembra disporre è chiamata a misurarsi con rilevanti minacce e pericoli che, ancora indossando le vesti dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, sono rappresentati dalle eterne crisi che da sempre attanagliano l’umanità. Ma sarebbe un errore vederle semplicemente come le classiche manifestazioni del male, è alle loro attuali forme che dobbiamo guardare per meglio comprendere le minacce che rappresentano per la libertà: la guerra, con la minaccia atomica all’orizzonte, la fame e le carestie, con la crescente penuria di acqua e cibo, la malattia, con l’irruzione di nuove pandemie, la morte, oggi non più solo quella provocata dai tre precedenti cavalieri, ma ormai anche quella del concetto stesso di uomo minacciato dal controllo digitale di cui si è detto. La loro diversa intensità e modulazione, fino a tempi recenti tenute sotto controllo da scienza, tecnologia, medicina, sembrano aver acquistato maggiore intensità per l’irruzione sulla scena di un quinto spietato cavaliere: l’umanità stessa colpevole di aver drammaticamente alterato l’equilibrio ambientale, già del suo sempre fragile e provvisorio (l’intera storia dell’uomo è potuta avvenire nelle forme che conosciamo grazie ad una “parentesi” di circa ventimila anni, già breve del suo se misurata sui tempi geologici, di favorevole clima equilibrato).  La minaccia del quinto cavaliere non consiste solo nell’aver aggravato quella dei quattro classici cavalieri, ma anche nell’innescare il contesto più pernicioso per la libertà: il caos costante (il crescente squilibrio ambientale e climatico non procede per costanti linee progressive ma con passaggi da una crisi all’altra con diverso grado d’intensità), quello cioè che pregiudica la possibilità di ragionate e stabili politiche e scelte (il riscaldamento globale ci sta insegnando che gli uomini possono essere liberi solo se restano stabili i parametri di temperatura, composizione dell’aria e delle acque, di energia a sufficienza). Vale a dire che i limiti della nostra libertà sono conseguentemente fissati dal suo stesso sviluppo: più ci sentiamo liberi, e capaci di cambiare la natura, più creiamo condizioni naturali che possono cancellare spazi di libertà.  Non solo più ci sentiamo liberi, e capaci, di intervenire sulla stessa natura umana (manipolazione genetica, biotecnologie), più creiamo un uomo nuovo e nuove idee di libertà. In un contesto simile i limiti di funzionamento ed efficacia della democrazia sono inesorabilmente destinate ad esplodere, i vari populismi e sovranismi ne sono un evidente sintomo. Non è individuabile all’orizzonte una mobilitazione, di coscienze ed azioni concrete, all’altezza della posta in gioco, l’intero campo della politica si muove tra egoismi di parte e montante apatia. L’umanità si trova drammaticamente sprovvista di valori e idee adeguati e al tempo stesso di soggetti collettivi capaci di essere i potenziali protagonisti di una svolta: la fine del novecentesco ruolo salvifico della classe operaia ha lasciato un vuoto al momento non colmato. Nulla di cui stupirsi: nell’emergenza ambientale e climatica non esiste una individuabile classe liberatrice, siamo tutti indistintamente chiamati a rispondere a questa sfida in cui sono in gioco al tempo stesso libertà e sopravvivenza. L’umanità non è più chiamata solo a rompere le catene delle classiche schiavitù, oggi il rischio reale è quello di una umanità, tutta asservita a logiche di profitto nella loro versione ipertecnologica, composta da “servi che comandano servi”. Zizek in chiusura richiama una considerazione di Ghandi: il destino del servo è peggiore del destino dello schiavo, perché questi ha solo perso la sua libertà, mentre il servo della libertà è divenuto indegno. Nelle ultimissime pagine del saggio Zizek non smentisce sé stesso e la sua provocatoria abilità espositiva là dove, confermando che il tratto vero del Potere attuale è quello di un autentico “anarco-capitalismo”, la logica di profitto che si muove senza vincolo alcuno, al quale nulla e nessuno sembra opporsi con un minimo di efficacia, suggerisce, come provocatoria iperbole, di recuperare la lacaniana figura del “Grande Altro(quella colpita dalla forclusione di cui sopra) trasformata nelle vesti di un illuminato “Padre-Capo-Padrone” capace, come il barone di Munchausen, di tirare fuori dalla palude l’umanità ormai troppo passiva.




lunedì 1 aprile 2024

La Parola del mese - Aprile 2024

 

La Parola del mese

Una parola in grado di offrirci nuovi spunti di riflessione

APRILE 2024

La Parola di questo mese denomina l’oggetto di uso comune che più simboleggia l’impressionante svolta tecnologica avvenuta in questi ultimi decenni. Ed è un termine entrato così rapidamente nel vocabolario quotidiano da essere ormai usato senza prestargli la giusta attenzione. Eppure come saggiamente ci ricorda Gustavo Zagrebelsky, nell’introduzione del libro che ci guiderà nella sua esplorazione, è sempre più importante colmare questo vuoto di conoscenza. E’ il primo fondamentale passo per un suo più giusto utilizzo, individuale e collettivo

SMARTPHONE

Smartphone = sostantivo inglese, letteralmente “telefono intelligente”, indica un telefono cellulare che, grazie alla presenza di un sistema operativo completo e autonomo, ha le potenzialità di un piccolo computer

La familiarità quotidiana con la sua presenza non è infatti sinonimo di conoscenza delle sue caratteristiche, del suo funzionamento, delle sue potenzialità, e neppure di quanto abbia ormai modificato molti aspetti dei modi di vivere individuali e collettivi, così in profondità da imporre una seria riflessione a tutto campo. Ci aiuta a farla un testo di recente pubblicazione che coniuga altissima competenza tecnica e sensibilità sociale e politica

il cui autore è Juan Carlos De Martin

Professore ordinario presso il Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino, professore associato presso il Berkman Center for Internet & Society dell’Università di Harvard

Dal 2007, anno della sua comparsa, al 2022 sono stati venduti 15 miliardi e 224 milioni di smartphone, di questi circa 7 miliardi sono ancora attivi. Questa dato non significa che l’85% della popolazione mondiale ne possegga uno, il numero di persone che ne dispone è stimato in circa 4 miliardi persone (un altro miliardo e mezzo, sparso nelle zone più povere del pianeta, ancora utilizza un cellulare di vecchio tipo) vale a dire comunque circa la metà della popolazione mondiale. Negli ultimissimi anni le vendite di smartphone stanno conoscendo un rallentamento (nel 2022 ne sono stati venduti “solo” 1,2 miliardi, il valore più basso degli ultimi dieci anni) a dimostrazione che è ormai un dispositivo talmente diffuso da ridurre i suoi acquisti quasi esclusivamente “alla sostituzione”.

Per conoscerlo ne prendiamo uno, lo apriamo per capire quali sono i suoi organi, come sono connessi tra di loro, che ruolo hanno per il suo funzionamento

Anatomia dello smartphone

Lo schermo tattile = E’ la caratteristica che lo differenzia immediatamente dai vecchi cellulari, per la straordinaria differenza della qualità d’immagine (dovuta all’altissimo numero di pixel, l’unità minima che compone la superficie di una immagine digitale, più pixel ci sono più è nitida e precisa), ma soprattutto perché grazie alla tecnologia touch screen (schermo tattile ossia schermo sensibile al tocco) è attraverso di esso che si attua la catena dei comandi funzionali. Questa potenzialità, chiamata “capacitiva”, è resa possibile da una particolare pellicola conduttiva (capace cioè di condurre, trasmettere, calore e elettricità), che ricopre lo schermo vero e proprio (fatto di vetro di alta qualità) che  traduce il contatto di un polpastrello in una coordinata di comando (una caratteristica tecnologica tanto brillante quanto delicata perché richiede che il tocco sia a sua volta conduttivo, il touch non funziona con le unghie ed i guanti e nemmeno con una pelle troppo secca come quella di molte persone anziane). Al di sotto sta poi lo schermo vero e proprio, le cui tecnologie costruttive sono sostanzialmente due: quella a cristalli liquidi (LCD) e quella a diodo-organico (OLED) decisamente migliore e presente solo negli smartphone di gamma alta (sta già prendendo piede una sua evoluzione, la AMOLED, che consente di realizzare schermi flessibili).

La batteria = Come tutti i dispositivi elettronici portatili lo smartphone ha bisogno di una batteria (accumulatori agli ioni di litio) adeguata a reggere il suo consumo energetico (il cui standard è calcolato in un giorno di uso) e di dimensioni contenute. Le attuali batterie consentono alcune centinaia di ricariche prima di iniziare a perdere capacità. Se paragonati a quelli di altri prodotti tecnologici i consumi degli smartphone sono contenuti (alcuni kWh all’anno, per un costo di due/tre euro), l’impatto energetico resta però impressionante stante il loro numero nel mondo

Il sistema-su-un-chip = Chip (letteralmente = scheggia, truciolo e anche patatina fritta) è una parola da tempo entrata nel linguaggio corrente (visto che ogni anno ne sono prodotti circa mille miliardi!), ma non per questo del tutto conosciuta, e d’altronde ha una definizione tecnica parecchio complicata (circuito integrato sviluppato planarmente su un substrato di silicio atto a implementare componenti elettronici, prevalentemente diodi e transistor, con funzioni logiche o di memoria). Quelli usati nello smartphone, chiamati SOC (System On Chip), sono lo sviluppo di un chip speciale, il microprocessore (chiamato anche CPU, unità di elaborazione centrale, collocato su una scheda madre, inventato negli anni settanta dalla INTEL per contenere tutte le istruzioni per far operare un personal computer), e gestiscono tutte le sue funzionalità (elaborazione grafica, elaborazione immagini, memoria di sistema, decodifica video, unità di machine learning, connessione radio, modem integrati, Wi-Fi, Bluetooth, e la tendenza è quella di continuare ad aggiungerne). Lo sviluppo tecnologico del sistema-su-un-chip si gioca sul fronte delle dimensioni: chip sempre più piccoli (più lo sono e più sono potenti, ma anche, va da sé, più costosi) e con sempre più transistors fotoincisi sulle loro superfici (e quindi con più potenzialità di operazioni, i SOC più avanzati, quelli dell’Iphone 14, ne contengono ormai più di 15 miliardi)

La memoria = come per i pc anche lo smartphone ha bisogno di due memorie (componenti elettronici in cui sono archiviati dati e informazioni): una volatile denominata DRAM, più veloce ma più costosa, che serve per l’esecuzione di programmi ed una permanente denominata FLASH, più lenta e più economica, che immagazzina i dati ed i software [La crescita di documenti (foto, audio, email, file) da archiviare ne imporrebbe, con notevoli sovrapprezzi, l’aumento delle dimensioni, ma la tendenza che viene più incoraggiata è quella di ricorrere ai servizi del cloud  (archiviazione su server esterni gestiti da società private) vale a dire diventare clienti (sempre più paganti) per accedere ai propri dati personali]. Completano le componenti solide (hardware) dello smartphone: la macchina video-fotografica, il microfono e l’altoparlante

in effetti esistono anche alcuni “sensori”, dispositivi, denominati anche trasduttori, che convertono segnali di una data natura (acustica, elettrica, meccanica, termica, ecc.) in un segnale di natura diversa. Sono almeno sei quelli più presenti: sensore di prossimità, misuratore di luminosità, accelerometro, giroscopio, magnetometro, radio-navigatore

La macchina video-fotografica (che ha in gran misura sostituito le macchine fotografiche digitali) è ormai divenuta una componente fondamentale dello smartphone (molti acquisti di smartphone sono ormai decisi proprio sulla base delle caratteristiche della componente fotografica). La qualità delle immagini, sempre più di ottimo livello, è data da quella delle sue due componenti: la lente, quasi sempre multipla (però, per insuperabili ragioni di spazio, piccola e a focale fissa e quindi di limitate prestazioni in condizioni di scarsa luce ambientale) ed il sensore ottico. Il microfono, da sempre componente di base per tutti i telefoni portatili, ha a sua volta conosciuto una notevole evoluzione tecnica abbinata a quella dell’altoparlante  (ormai almeno due: uno in alto per le conversazioni telefoniche, ed uno in basso per la riproduzione di audio) che deve garantire il miglior ascolto possibile di musica e di altri prodotti come i podcast (una funzionalità molto utilizzata dagli utenti più giovani)

Connettività senza fili = è la caratteristica fondamentale dello smartphone che solo con essa è operativo. La modalità di accesso alla Rete avviene tramite appositi ricevitori di segnale (di molto ottimizzata con il progressivo miglioramento della velocità di connessione da 3G a 4G ed ora a 5G) ed è garantita, accanto alla consolidata copertura esterna offerta dalle “torri(i ripetitori) che coprono una “cella(con potenza 4G vale, in ambiente urbano, circa un chilometro quadrato)  anche dalla rete locale Wi-Fi, LAN, (che oramai copre il 62% del traffico dati) presente nelle residenze, nei posti di lavoro ed in molti luoghi pubblici. In aggiunta alle connessioni cellulari e WiFi uno smartphone ha almeno due altri tipi di connessione senza fili: il Bluetooth, una rete personale, PAN, che consente di collegarsi ad altri dispositivi analogamente dotati in un raggio di alcuni metri, e la NFC (Near Field Communication) che permette collegamenti molto ravvicinati (come quelli sempre più usati di pagamento su idonei POS). Ed infine non meno importante è la componente software: innanzitutto il Sistema Operativo = costituito dalle istruzioni di base che consentono la gestione operativa di tutte le funzioni dello smartphone, sia quelle automatiche interne sia quelle opzionali, è il sistema operativo che decide che cosa è possibile fare e come lo si debba fare. Sono due i principali sistemi operativi: lo Ios prodotto dalla Apple (arrivato nel 2023 alla versione 17 presente nel 27,6% dei dispositivi) e l’Android della Google (versione 13 del 2022 presente nel 71,8%). Il sistema operativo contiene anche una particolare app (un programma che, aggiunto al software di base, consente di gestire attività di vario genere purchè compatibili con l’hardware posseduto) che, in aggiunta a quelle già preinstallate dal produttore, è quella che consente di scaricare quelle scelte dall’utente, denominata (come un vero e proprio negozio) app store (quello della Apple offre l’acquisto di circa 1,7 milioni di app e circa 460.000 giochi. Nel caso di Android si arriva a circa 3,5 milioni di app).

Gli elementi che lo compongono  = ed è infine utile conoscere i materiali con cui tutti questi organi sono costruiti: per il 40% sono metalli (sono di sessantadue tipi diversi, prevalgono rame, oro, argento, tellurio, cobalto, manganese, tungsteno, ma incidono non poco le cosiddette terre rare), 40% plastica, 20% ceramica e altri materiali

Conclusioni: lo smartphone è quindi a tutti gli effetti un vero e proprio computer portatile, la cui definizione ultima potrebbe essere quella di un oggetto ideato, progettato e costruito da alcuni esseri umani che consente alla restante umanità di fare certe cose, e non altre, e che fissa il modo di farle sulla base di precise scelte di progettazione. Per metterle in luce, per meglio comprenderle, è necessario un secondo passaggio preliminare:

Da dove viene e dove finisce

Il percorso che ha portato alla creazione dello smartphone è stato relativamente lungo e non poco articolato e si è sviluppato in parallelo a quello dei classici telefoni cellulari (che a loro volta hanno conosciuto una notevole evoluzione dalla comparsa, nel 1973, del primo modello, il Motorola DynaTAC, che pesava circa un 1,5 Kg e poteva memorizzare un massimo di 30 numeri telefonici) i cui passaggi più significativi sono:

Ø 1980 = nascono gli HHC (Hand Held Computer) i primi computer “che stanno in una mano

Ø 1984 = entrano sul mercato i PDA (Personal Digital Assistent), alias palmtop, computer tascabili le cui funzioni principali sono quelle di agenda e di rubrica

Ø 1992 = escono due dispositivi molto innovativi: il NEWTON della Apple e il SIMON della IBM, in particolare quest’ultimo è il primo serio tentativo di fondere un PDA con un telefono cellulare (per di più con uno schermo tattile)

Ø 1992 – 1997 = in parallelo le grandi imprese europee produttrici dei classici telefoni cellulari (la svedese Ericsson, la tedesca Siemens, e soprattutto la finlandese Nokia, che hanno una posizione dominante grazie allo standard per la telefonia mobile digitale GSM) cercano di rendere più smart i loro cellulari, ma non investono più di tanto nella ricerca di differenti prodotti tecnologici (una scelta perdente che metterà per sempre fuori gioco l’Europa)

Ø 1998 = debutta il primo lettore MP3, un lettore musicale digitale, piccolo e leggero, con una notevole capacità di memoria

Ø 2001 = il successo del formato MP3 induce la Apple a progettare una sua versione avanzata l’iPOD. In appena tre anni diventa un dispositivo di culto

Ø 2005 = sulla scia di questo successo Steve Jobs, carismatico leader della Apple, investe ingenti risorse per progettare un dispositivo che sappia abbinare le potenzialità di un cellulare, di un lettore multimediale, di un dispositivo di accesso alla Rete (un browser), di alcune funzioni di un pc, gestite da uno schermo tattile all’altezza del compito, il tutto gestito da un esclusivo (non utilizzabile da altri)  sistema operativo

Ø 2007 = il 9 Gennaio Steve Jobs annuncia l’iPhone 1, il primo vero smartphone che contiene davvero tutte quelle potenzialità, gestite dal sistema Ios.  Per gli standard attuali è un modello con limiti considerevoli, ma al tempo innescò una autentica rivoluzione

Ø 2010 = Google, la principale protagonista del WEB che già stava lavorando ad un proprio smartphone, spiazzato dal successo dell’Iphone rafforza la collaborazione con una piccola impresa americana, la Android, per puntare soprattutto sulla messa a punto di un sistema operativo per smartphone, denominato per l’appunto Android, che in alternativa allo Ios della Apple è però “open source” ossia liberamente utilizzabile anche da altri produttori

Ø 2012 = la battaglia è vinta: i vecchi cellulari vanno in soffitta, lo smartphone è lo standard globale, il computer portatile, la macchina che fa tutto ha inglobato il telefono. Ios e Android formano, per quanto diversi, un solido duopolio.

Al culmine di questo percorso (che ha visto l’uscita di scena di brand celebri come BlackBerry, Nokia, Sony, LG, rimasti troppo legati alla vecchia tecnologia) sono tre i produttori ed i paesi rimasti in gioco: gli USA con l’Apple (ma la sua produzione è in Asia, soprattutto in Cina), la Corea del Sud con Samsung (che produce anche in altri paesi asiatici) e la Cina con Xiaomi e altri (fino a pochi anni addietro la cinese Huawei competeva al livello di Apple e Samsung, è stata poi penalizzata dall’amministrazione Trump che l’ha incriminata come rischio per la sicurezza nazionale, giudizio poi confermato da Biden, estromettendola così dal mercato occidentale e restando attiva (molto) solo su quello cinese). Se la Apple ancora mantiene la quota di vendite più elevata, pari al 25% degli smartphone venduti, la Cina, con marchi differenziati, è però ampiamente il primo produttore mondiale con ben il 67% del totale (la sola BBK Electronics, brand del tutto sconosciuto in Occidente, copre il 25% degli smartphone prodotti).  Non meno importante, per completare la conoscenza del mondo smartphone, è l’aspetto della sua riparazione e del suo smaltimento. Come si è visto lo smartphone è un oggetto molto complesso e soprattutto molto chiuso, accedervi per una eventuale operazione (anche solo quella di sostituzione delle batteria) è davvero difficile. Questo comporta che a fronte di un qualche malfunzionamento o della necessità di sostituire qualche componente (oltre alla batteria ad esempio il display) i tempi dell’eventuale intervento sono molto lunghi e sempre molto cari. Condizioni che inducono l’utente, che di esso ormai non può più fare a meno, a disfarsene e a sostituirlo (mediamente ciò avviene intorno ai tre anni di vita). Qualcosa però si sta muovendo (soprattutto in Europa dove è in corso di definizione una più ampia direttiva per promuovere la “riparazione dei beni”, dispositivi elettronici e smartphone compresi) e la pressione di movimenti in difesa dei consumatori sta inducendo i produttori a progettare modelli più accessibili per riparazioni e sostituzioni (Apple ha iniziato a farlo con l’ultimo modello l’Iphone 14 e la Samsung con i modelli di punta della serie Galaxy). Per ora però il numero di smartphone che finiscono nei rifiuti resta impressionante: sono miliardi quelli che ogni anno vengono buttati e che si aggiungono a miliardi di altri dispositivi elettronici (nel 2019, ultimo dato certo, sono stati stimati in 53,6 milioni di tonnellate pari a 7,3 chilogrammi per persona sul pianeta. Nel 2030 se ne prevedono 74,7 milioni, In numeri assoluti è l’Asia a produrne di più, seguita dalle Americhe e dall’Europa che però è quella che ne produce di più pro capite, 16,2 chilogrammi). Che fine fanno questi rifiuti? L’Europa si riscatta riuscendo a riciclarne il 42,5% con il resto del mondo fermo a percentuali molto più basse. I dispositivi non riciclati (pari a oltre 44 milioni di tonnellate, dato 2019) prendono la strada, più o meno legale, dei paesi più poveri del mondo (dove in minima parte vengono riutilizzati), per essere nella quasi totalità avviati ad artigianali siti di recupero dei componenti senza alcun adeguato controllo dell’inevitabile inquinamento atmosferico e delle acque.

Conclusioni: Vale anche per lo smartphone, come per tutti i prodotti soprattutto se tecnologici, la constatazione che l’utente medio è di norma all’oscuro di tutta la filiera che precede l’acquisto e di quella che segue il suo divenire rifiuto. Le conseguenze di questa inadeguata conoscenza sono vieppiù accentuate dal suo essere il dispositivo tecnologico più diffuso e più utilizzato proprio perché predisposto a molti usi. E’ necessario esplorarle.

Le conseguenze

Il potere dello smartphone, ovvero le conseguenze del suo uso così diffuso, pervasivo e frequente, è attestato non solo dalla sua consistenza numerica, ma anche dai modi e dalla frequenza di utilizzo, che possono ovviamente variare molto a seconda del contesto culturale locale, dell’età, della classe sociale, del tipo di occupazione e di relazioni sociali (aspetti che molto incidono anche sulla varietà di app scaricate ed usate), ciò detto alcuni dati, che fotografano la situazione media, molto dicono al riguardo:

Ø nel 2022 nei principali dieci mercati lo smartphone è stato utilizzato, per tutte le sue opzioni, cinque ore al giorno

Ø sempre nel 2022 sono state scattate, utilizzando lo smartphone, 1.720 miliardi di foto, il 90% del totale di quelle postate

Ø attualmente gli accessi a Internet avvengono per il 55% tramite smartphone, per il 42% tramite pc con il rimanente 3% legato ai tablet. E’ opinione acquisita che a breve perlomeno il 75% accederà alla Rete solo più con lo smartphone

Che conseguenze provoca sul nostro organismo un utilizzo così intenso e costante?

Ø sul corpo = già con vecchi cellulari la principale preoccupazione si concentrava su possibili danni dovuti all’esposizione delle onde elettromagnetiche emesse durante una comunicazione telefonica. Premesso che ancora mancano adeguate certezze scientifiche al riguardo (i possibili danni emergono sul lungo periodo e sono accertabili solo con adeguati screening di massa, ancora nel 2000 solo il 12% della popolazione mondiale usava abitualmente un cellulare) è però possibile ipotizzare che lo smartphone non abbia accentuato questo rischio visto che il suo utilizzo come puro telefono si è ridotto rispetto al cellulare essendo mirato ad altri usi. In compenso stanno emergendo, ma anche in questo caso occorre essere cauti mancando adeguati studi, altre possibili problematiche legate al suo peso (i migliori modelli di cellulare pesavano dagli 80 ai 90 grammi, quelli dello smartphone superano i 200 grammi) alla postura imposta dall’uso dello schermo (braccia e mani in posizione di sostegno, testa chinata in avanti, uso intenso del pollice) intensa e ravvicinata esposizione alla luce dello schermo, la sua pulizia (accertata presenza di batteri sulla sua superficie). Sembra purtroppo lecito che, su tempi lunghi, emergano ricadute negative di ordine osteo-muscolare, visive, e malattie trasmissibili

Ø sulla mente = le conseguenze principali sono due: dipendenza e ridotta capacità di concentrazione. Ambedue sono problemi (ormai accertati da diversi studi) che derivano dalla esplicita scelta progettuale (fatta anche con l’apporto di neuro-scienziati e psicologi) di catturare costantemente l’attenzione dell’utente (notifiche sonore e visive, vibrazioni). Lo smartphone non è stato concepito per essere lasciato inutilizzato. Indagini statistiche (fatte negli USA nel 2023 dal Ministero della Salute) hanno accertato che a partire dal 2010/2012 l’utilizzo (spesso non controllato e non seguito da adulti) delle reti sociali tramite smartphone ha provocato, nei bambini di età inferiore ai dodici anni, un preoccupante aumento di vari problemi di ordine psicologico (fino alla propensione al suicidio), accentuati dal collegato fenomeno del cyberbullismo, (non a caso nel 2023 l’UNESCO ha pubblicato uno specifico rapporto al fine di bandire gli smartphone nei primi ordini di scuola)

Non meno significative sono le conseguenze su ambiente e informazione:

Ø sull’ambiente = si è già visto che il consumo energetico diretto (ricarica batteria) di uno smartphone non è particolarmente significativo, ma occorre tenere in debita considerazione gli impressionanti numeri di dispositivi attivi nel mondo ed inoltre i consumi energetici dell’intera sua filiera di produzione, delle infrastrutture della rete e di Internet, dei server che gestiscono la circolazione e l’archiviazione dati, ed anche quelli legati alle attività indotte a cascata. Anche in questo caso è complesso avere delle stime esatte (stante la difficoltà di scorporare il consumo energetico per smartphone da quello totale di tutti i dispositivi elettronici). Una stima molto approssimativa individua una sua incidenza, sul consumo energetico totale (nel quale il solo Internet vale per un 7%) in un range che va dal 3,5% al 5%. Una percentuale che si ribalta su quella della connessa produzione di Co2. (Dell’impatto ambientale derivante da smaltimento e recupero si è già detto)

Ø sull’informazione = Non c’è ormai dubbio alcuno su come e quanto siano cambiate le modalità di informazione nell’era della rivoluzione telematica. Il ruolo della “carta” si è di molto ridotto parallelamente al crescere del “digitale(mediamente a livello globale si stima che l’acquisizione di notizie avviene per il 53% con dispositivi digitali, per il 33% via televisione, per il 7% via radio e appena il 5% con carta), al cui interno lo smartphone è ormai divenuto uno dei principali strumenti di informazione (vale la percentuale di accesso alla Rete rispetto agli altri dispositivi indicata in precedenza). A questo suo utilizzo voluto e consapevole si deve però aggiungere la dimensione delle informazioni che l’utente riceve passivamente ogni qualvolta accede ai vari social ed utilizza le app. Soprattutto attraverso i ben conosciuti e molto invasivi cookies sono veicolate a tutti gli utenti una massa di informazioni sempre più individualizzate (e cioè calibrate da specifici algoritmi sulle base delle preferenze e degli interessi che ogni utente rivela di sé ogniqualvolta accede alla Rete, aspetto che verrà analizzato in seguito) e finalizzate a catturare costantemente la nostra attenzione per puri fini di mercato. Si tratta di un meccanismo opaco e del tutto incontrollato che non ha, questo è certo, alcuna finalità di informazione obiettiva per la residua parte che a questa viene dedicata. L’utente potrebbe cioè non essere informato di fatti, anche importanti, se questi non fossero ritenuti rilevanti, sulla base dei suddetti parametri, dall’algoritmo di turno. L’opacità totale con cui tutto ciò avviene lascia una porta spalancata a dubbi di manipolazione interessata e di controllo di massa. [nel Luglio 2023 le riviste “Science” e “Nature” hanno pubblicato articoli scientifici di valutazione statistica del fenomeno che hanno ridimensionato parte dei timori (l’informazione scorretta viaggia in gran prevalenza tramite deliberate fake news), ma al tempo stesso hanno riscontrato un significativo impatto sulla presunzione degli utenti di essere correttamente informati].

Conclusioni: Queste ultime considerazioni portano ad affrontare infine il tema centrale del potere dello smartphone, di chi è in grado di esercitare potere sulla macchina più importante di questa prima metà del XXI secolo. E quindi capire: chi controlla ciò che serve per costruirlo, chi controlla i suoi principali componenti, chi decide come assemblarli, chi controlla i sistemi operativi, chi decide quali applicazioni possono essere installate, chi ha accesso ai dati (quali e a quali condizioni) e chi ne gestisce i flussi

Chi controlla lo smartphone

Chi controlla l’oggetto fisico?:

Ø elementi e materiali = Come si è già visto gran parte dei materiali necessari alla costruzione dello smartphone e dei suoi componenti sono ritenuti “critici”, ossia materie prime di non semplice approvvigionamento (fanno parte di due appositi elenchi: uno europeo con 30 elementi ed uno americano con 50 elementi, che in buona misura si sovrappongono). Vi compaiono ovviamente le famose terre rare (17 elementi chimici della tavola periodica) ed l’ormai citatissimo litio (essenziale per tutte le batterie ricaricabili, non solo quelle dello smartphone). La questione della loro disponibilità, della loro raffinazione (molte di quelle terre tanto rare non sono, ma è complessa la loro estrazione), della loro commercializzazione e trasporto, è da tempo al centro del dibattito geopolitico e meriterebbe del suo ben altre valutazioni. Limitandoci al quadro generale dei paesi produttori, i loro veri padroni (ovunque è di competenza statale la concessione all’estrazione, primo fondamentale passaggio della filiera) emerge il fatto che tre paesi dei BRICS (inizialmente l’alleanza tra Brasile, Russia, India, Cina, SudAfrica, che si sta allargando in alternativa ai paesi del G7) posseggono ben il 72% delle riserve di terre rare (Cina 37%, Vietnam 18,3%, Brasile e Russia 17,5%). Per quanto riguarda il litio al momento (molti paesi, USA in testa, stanno cercando alternative) ben il 97% è prodotto in soli quattro paesi: Australia 47%, Cile 30%, Cina 15%, Argentina 5%. A fronte del suo 15% estratto la Cina è però il primo produttore di batterie al litio con una quota di mercato di circa il 79%. E’ un quadro in costante evoluzione ed in grado di incidere sull’evoluzione delle relazioni geopolitiche che di certo vede una forte dipendenza della parte ricca del mondo dai paesi emergenti

Ø componenti = il primo, e più essenziale, è il sistema-su-un-chip, che è prodotto da diverse imprese (solo una, la coreana Samsung è in grado di progettarli e di produrli) le quali, Apple inclusa, devono sottostare al monopolio di quella che è definita la “fonderia di silicio”: la taiwanese TEMC che detiene il 90% del mercato dei circuiti integrati di punta. (vero è che sono non poco complessi gli intrecci di mercato perché a sua volta la TEMC dipende da sofisticatissime macchine litografiche olandesi, da prodotti chimici giapponesi, e da specifici software messi a punto negli USA, una situazione paradigmatica della compiuta globalizzazione). Va da sé che USA ed UE stanno tentando, per tutti i tipi di chip, (in particolare l’Europa conta di raddoppiare la sua attuale quota di mercato del 10%) di sottrarsi da questo monopolio

Ø il dispositivo = è lo smartphone che in ultima istanza decide quello che si può davvero fare. A ben vedere sono proprio poche, quelle elementari (volume, luminosità, connessioni), le funzionalità che sono controllate dall’utente, tutto il resto (a partire dallo stesso completo spegnimento) è sotto controllo esclusivo del dispositivo. L’utente deve convivere con un elevato grado di incertezza su tutto quello che il dispositivo (acceso o spento che sia) sta facendo. Questo rimanda a successive domande.

Chi controlla i sistemi operativi? =Non solo non si ha mai completamente sotto controllo  l’attività del dispositivo, ma anche quando l’utente ne avvia un uso consapevole deve sottostare ai vincoli imposti dal sistema operativo. Sono limiti e vincoli che valgono per qualsiasi tecnologia, ma se in generale il mercato offre un ventaglio di scelte, per lo smartphone, ed il suo sistema, si ha a che fare, come si è visto, con un duopolio: Apple o Android. E’ un dato di fatto che incide, oltre che sulle potenzialità di innovazione (in un mercato con più concorrenti è meglio incentivata), sull’enorme potere in capo a due imprese statunitensi di decidere le modalità e le finalità di utilizzo dello smartphone. Un esemplare esempio della pericolosità di questo accentramento di potere è stato globalmente vissuto nel 2020 durante la prima fase della pandemia da Covid-19. Fu evidente, fin dall’inizio, la necessità di tenere sotto controllo la diffusione del contagio mettendo in atto un tracciamento dei contatti e quindi la possibilità di sfruttare in tal senso la grande capillarità degli smartphone. L’idea, condivisa da tutti i principali governi, fu quella di una apposita app che potesse registrare in tempo reale la catena di contatti avuti da una persona contagiata. Furono pertanto avviati contatti con Apple e Google per concordarne la fattibilità. Si trattava (senza entrare più di tanto nei dettagli tecnici) di “entrare” nei due rispettivi sistemi operativi per installare una apposita procedura, però ideata e posta sotto il controllo esterno delle strutture sanitarie statali. Apple e Google, i signori dei sistemi operativi, rispondono congiuntamente (cosa mai successa prima e nascondendosi dietro il pretesto del rispetto della privacy dei loro clienti) che la cosa poteva essere fatta solo mantenendo in capo a loro l’ideazione dell’app. Ed è quello che è successo: in una economia di mercato basata sulla proprietà privata tutti i governi si sono dovuti piegare al volere di due imprese a capo di un duopolio (in Italia l’app così ideata sarà acquisita con il nome di “Immuni”, avrà quasi 22 milioni di installazione, ma a poco servirà per i limiti organizzativi del sistema sanitario)

Chi controlla i negozi di app? = La risposta è sempre la stessa: Apple e Google. Come già visto in precedenza gli sviluppatori di app (a differenza dei loro colleghi che sviluppano software per pc scaricabile dalla Rete senza intermediari), devono anch’essi obbligatoriamente passare dai loro due appstore. La ragione addotta per giustificare questa scelta, garantire la sicurezza degli smarphone, non sta tecnicamente in piedi, sono invece almeno tre le vere ragioni: il ritorno economico, il loro ruolo di intermediazione non è certo gratuito e vale  un 30% del valore dell’app scaricata (il che genera un giro di affari di decine di miliardi di dollari)il diritto di negare l’ammissione  nell’appstore alle app giudicate, a loro piena discrezione, non compatibili con il loro profilo aziendale (sono numerosi i casi di discriminazioni verso app di denuncia sociale e di sostegno a cause “scomode”), ed infine avere un unico punto di controllo consente ad Apple e Google di trattare con governi che desiderano farlo quali app debbano essere vietate in cambio, ovviamente, di ritorni vantaggiosi (il caso della Cina è esemplare: Apple ha ottenuto condizioni molto vantaggiose per produrre lì i suoi smartphone in cambio di un rigido controllo delle app fornibili e del diretto accesso ai dati dei suoi clienti cinesi)

Chi controlla le app? = Non bastasse il rigido filtro dell’appstore le protagoniste del duopolio, i cui smartphone di norma interagiscono direttamente con il WEB attraverso i browser (vedi sopra) preinstallati, hanno assecondato un  cambiamento importante avvenuto nel WEB: moltissimi siti, tra cui tutti i più importanti, hanno sviluppato una propria app per essere consultati (ad esempio anziché consultare google.maps tramite la Rete si scarica l’omonima app, lo stesso per acquistare su Amazon, o per accedere a YouTube o Facebook). E’ una svolta che implica costi non indifferenti (di progettazione e di gestione), ma che si é diffusa rapidamente per alcune specifiche ragioni: di marketing (essere visualizzabili sullo schermo dello smartphone  è un costante richiamo della propria esistenza), di rafforzamento del rapporto con l’utente (l’app offre molte più funzionalità di quelle presenti con il solo accesso via browser), di comodità di gestione del traffico in Rete (l’app usa le risorse dello smartphone e alleggerisce il carico dei server di Rete), ma soprattutto di più ampio accesso ai dati dell’utente, aspetto limitato con l’accesso via browser [si parla di dati personali in senso stretto (rubrica, impegni in calendario, foto, video) e di dati dello smartphone stesso (posizione, dettagli tecnici quali sensori, connessioni, accesso, app installate)]. Ma chi è che controlla queste particolari app? Tornano innanzitutto in ballo Apple e Google: tutte le app installate sui loro smartphone devono passare attraverso un motore WEB (il WebKit della Apple, Blink per l’Android di Google) e con questo (in aggiunta all’ineliminabile filtro del sistema operativo) devono quindi essere compatibili: è un sofisticato rafforzamento del loro duopolio. Un secondo livello di controllo è quello dei creatori delle app che decide quali funzionalità devono essere contenute e che registra tutto quello che l’utente fa. Interviene infine, in questa lunga catena, un ulteriore aspetto: come si è visto le app sono milioni, ma sono poche decine quelle di diffuso successo e sono quindi queste quelle che consentono un autentico controllo dell’utente. Si tratta di un potere enorme che nel vasto universo degli smartphone è concentrato (calcolato sul totale di ore di tempo d’uso) in gran prevalenza su sette app: WeChat (19,5%), TikTok (17%), YouTube (12%), Facebook (9,2%), Chrome (8,1%) Instangram (4,6%). Molte rientrano ancora nel mondo Apple e Google rafforzando così vieppiù il solito duopolio (chi sfugge ad esso, come TikTok non a caso sta conoscendo non poche traversie, replicando la precedente vicenda degli smartphone Huawei)

Chi controlla i dati? = Appare chiaro, da quanto fin qui esposto, che lo smartphone, con la sua incredibile capacità di produrre e gestire dati, ne implica la loro automatica registrazione, il loro immagazzinamento, e, stante la sua connessione senza fili, la possibilità della loro trasmissione. Si presuppone che quest’ultimo passaggio possa avvenire solamente a dispositivo acceso e con consapevolezza dell’utente. Non è proprio così. Anche quando è a riposo lo smartphone si connette alla casa madre in media ogni 4/5 minuti (per consentire la localizzazione), ma soprattutto invia automaticamente dati alla casa madre ad intervalli prestabiliti [su ogni smartphone ogni dodici ore Android invia circa 1 megabyte (mille Kilobyte) di dati ai server Google, Ios “solo” 52 Kilobyte. Sono inviati anche dati delle app presenti sullo smartphone, ma solo se consentito dal sistema operativo]. Nulla che avvenga segretamente, l’accesso ai dati è dichiarato nelle condizioni di acquisto congiuntamente ad un formale impegno (privacy policy) a garantire una loro gestione rispettosa della privacy dell’utente

Apple lo fa con un documento, consultabile tramite link, che spiega con 4.000 parole quali dati vengono raccolti dal sistema operativo Ios e con altre 70.000 quelli raccolti dallo specifico prodotto. Un libro di medie dimensioni fitto di informazioni tecnico-giuridiche. Difficile pensare che qualcuno le abbia lette, eppure in sede di eventuale contenzioso valgono come acquisita informativa. Non molto dissimile è l’informativa usata da Google

I dati in questione sono di fatto tutti quelli che il dispositivo produce e gestisce nel suo funzionamento e spaziano, ad esempio, da quelli relativi ai contatti effettuati a quelli degli estremi di operazioni di pagamento, da quelli di utilizzo di prodotti, servizi ed informazioni, a quelli sullo stato di salute dell’utente (se digitati in qualche comunicazione). L’utente potrebbe in teoria bloccarne almeno una parte (molto usato, perché facile da attivare, è quello della localizzazione), ma la maggioranza degli utenti non è sufficientemente attenta, e magari neppure attrezzata per farlo, a questo aspetto (persino più complessa è la gestione di eventuali rifiuti all’utilizzo dati raccolti per le app installate). Va quantomeno riconosciuto che Google e, soprattutto, Apple stanno introducendo modifiche sui loro dispositivi di ultima generazione per attenuare (almeno in parte) questo impressionante flusso di dati

Conclusioni: Lo smartphone non è solo un dispositivo che può essere utilizzato con rigide modalità, ma è anche una macchina appositamente progettata per catturare, in maniera silenziosa e quasi sempre senza che l’utente ne sia consapevole, quanti più dati riguardanti sia l’utente sia l’ambiente in cui vive. Ciò è utile a rafforzare la dipendenza dal suo pervasivo utilizzo e a monetizzare ogni possibile collegato ritorno economico

Manifesto

Che caratteristiche dovrebbe allora avere uno smartphone ideale, se per ideale si intende un prodotto tecnicamente valido e al tempo stesso attento ai diritti dell’utente, dei lavoratori della sua filiera, dell’ambiente?

Per arrivare al cuore del problema si impone innanzitutto una domanda: è così necessario che l’uomo sia corredato da una macchina, qualunque essa sia, per poter lavorare, studiare, divertirsi, insomma per vivere? Non è una domanda retorica, l’impressionante diffusione e pervasività dello smartphone impone innanzitutto che sia garantito il diritto al suo “non utilizzo”, che tutte le sue funzionalità non siano imposte a tutti come unica modalità di svolgere attività fondamentali, deve cioè esistere la libertà di vivere, in tutte le sue articolazioni, senza di esso. Inoltre, con riferimento alle criticità fin qui evidenziate, le modifiche che dovrebbero essere attuate sono riassumibili in venti punti:

1.  deve essere certificato che tutti i materiali ed i componenti sono stati estratti/prodotti rispettando ambiente e diritti dei lavoratori

2.  analoga certificazione  per assemblaggio, collaudo e trasporto

3.  e per il suo smaltimento finale

4.  la sua progettazione deve puntare alla facilità di riparazione, anche da parte dell’utente, rendendo disponibili, a prezzo equo, pezzi di ricambio e informazioni tecniche

5.  deve inoltre puntare a massimizzare la vita media del dispositivo

6.  e analogamente a massimizzare la riciclabilità di materiali e componenti

questi primi sei punti devono valere per ogni tipologia di dispositivo elettronico,

 quelli seguenti sono specifici per lo smartphone

7.  la batteria deve essere facilmente rimuovibile e sostituibile

8.  il sistema operativo deve assicurare il pieno controllo di sensori e funzioni

9.  deve inoltre garantire la possibilità di trasmettere dati da dispositivo a dispositivo

10.        i produttori devono rendere pubblici i dati tecnici per favorire lo sviluppo di sistemi operativi alternativi

11.        libertà di installazione di qualsiasi sistema operativo compatibile

12.         deve essere facilitato l’uso condiviso (per es. in scuole, associazioni, uso occasionale)

13.        deve essere ridotta il più possibile la possibilità delle app di controllo utente

14.        libertà di installazione di qualsiasi app compatibile

15.        tutti i dati generati dallo smartphone devono restare in locale, salvo specifica autorizzazione dell’utente

16.        le app di contatto utenti non devono memorizzare i metadati (chi ha interagito con chi)

17.        devono inoltre poter accedere solo ai dati utili alla loro funzionalità

18.        sistemi operativi e app devono facilitare la condivisione dati per utenti iniziative collettive

19.        devono inoltre segnalare utilizzi errati o pericolosi

20.        i produttori di sistemi operativi e app devono rendere possibile l’accesso ai propri dati e algoritmi per permettere a ricercatori indipendenti di valutarne la correttezza

(una buona parte di queste regole sono già state attivate da una linea di smartphone, i Fairphone prodotto dalla omonima ditta dei Paesi Bassi)

Alcuni di questi punti richiedono l’adozione di universali norme lavorative e ambientali che inevitabilmente richiederanno anni di impegno e lavoro, altri invece, specie quelli relativi ai software, potrebbero essere realizzati in breve tempo. E’ in ogni caso indispensabile che maturi in modo diffuso e condiviso la consapevolezza che la tecnologia, e tutte le sue realizzazioni, non sono di per sé stessi dogmi indiscutibili …………

la tecnologia, infatti, è per definizione un prodotto umano e come tale può e deve essere discussa nel modo democraticamente più ampio possibile, e cioè sempre e ovunque deve poter essere deciso se, quando e come, una determinata tecnologia può essere adottata