mercoledì 15 marzo 2023

Il "Saggio" del mese - Marzo 2023

 

Il “Saggio” del mese

 MARZO 2023

Le sfide che incombono sull’intera umanità - emergenza climatica ed ambientale, crescenti ingiustizie sociali e disuguaglianze economiche, tensioni geopolitiche sempre più pericolose, insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo economico, crisi profonda della democrazia – impongono una svolta, generale e radicale.  A poco servono interventi sui singoli problemi se tutto si lega ed impone un’unica strategia capace di tenere insieme ogni specifica problematica. Diventa allora decisiva una rilettura critica dell’intero percorso avvenuto negli ultimi cinquant’anni, quelli che hanno portato al rischio di un punto di non ritorno, esaminando con analogo sguardo d’insieme i processi nei singoli ambiti.  Un buon esempio in questo senso l’ha offerto il libro di Lucio Caracciolo “La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa”, nostro “Saggio del mese” di Gennaio scorso, che, al di là della condivisione nel merito, ripercorreva l’evoluzione degli equilibri geopolitici dal secondo dopoguerra in poi. E già altri precedenti nostri post hanno avuto la stessa ambizione di offrire analoghi spunti di riflessione. Questo spirito è rintracciabile anche nel “Saggio del mese” di questo Marzo 2023, che ripercorre l’evoluzione del paradigma neoliberista dell’economia, della società, delle relazioni sociali e dell’individuo, capace di creare un “dominio” globale. Lo fa intrecciando la ricomposizione di avvenimenti e protagonisti con l’evoluzione di una ideologia divenuta nuova ragione del mondo.




Marco D’Eramo (1947, giornalista e saggista, laureato in fisica teorica ha poi intrapreso studi sociologici presso l’ecole des hautes etudes en sciences sociales di Parigi. Ha scritto per Mondoperaio e per il Manifesto, per il quale è stato corrispondente negli Stati Uniti

Citazione contenuta nella premessa:

…..coloro che vogliono l’uguaglianza si ribellano se pensano di avere di meno pur essendo uguali a quelli che hanno di più, mentre quelli che vogliono disuguaglianza e superiorità si rivoltano se suppongono che, pur essendo diseguali, non hanno di più…….  Aristotele, “Politica


1 – Contro-intellighentsia

Negli ultimi decenni del secolo scorso il ruolo dell’ “ideologia”, divenuta per la sinistra  motivo di vergogna è invece assurto a parola d’ordine per mobilitare una restaurazione capitalistica e conservatrice con una autentica guerra mossa in campo aperto, ed ampiamente vinta. Per meglio capire la ragioni di questa vittoria è necessario ripercorrere l’evoluzione di un “investimento ideologico” capace di tenere insieme, per la costruzione di un sistema di potere totale, teorie economiche, visioni filosofiche e sociali, precise strategie politiche. Occorre allora partire dalla scena politica USA all’inizio degli anni Settanta, e dalla forte volontà dei “potenti dell’economia” di arginare e sconfiggere gli avanzamenti progressisti degli anni Sessanta. Nel giro di pochi anni (a partire dalla nascita della Olin Foundation (John Olin, 1892-1982, magnate di industrie chimiche e belliche), sorgono numerose “fondazioni(enti privati finalizzati a precisi scopi) finanziate con impressionanti elargizioni da imprenditori alla testa di imperi economici e finanziari, con la dichiarata finalità (negli USA è legalmente consentito) di promuovere “azioni di lobby” di sostegno a nuove politiche economiche e sociali. Le azioni messe in campo, mirate a rafforzare un sostegno coordinato, fanno riferimento ad una prima piattaforma programmatica precisata nel documento politico, a firma di Lewis Powell (1907-1998, avvocato specializzato nella difesa delle industrie del tabacco, poi nel 1971 nominato giudice della Corta Suprema da Richard Nixon), con illuminante titolo “Attacco al sistema americano di libera impresa”, di denuncia delle pur timide riforme economiche e sociali avviate negli USA. L’idea di Powell è che il padronato USA deve tornare a fare squadra per incidere sulla politica e per portare avanti una comune linea d’azione basata sulla definizione di un adeguato bagaglio di idee, perché ……le idee sono armi, le uniche armi per combattere altre idee…. (sono anni in cui questa destra americana studia con grande attenzione l’opera di Antonio Gramsci, del tutto dimenticata a sinistra, e la sua teoria di “egemonia culturale”,  la concezione che “per vincere in politica bisogna vincere nel campo dell’idee”) Ed è quanto succede: nel giro di pochi anni lo sforzo congiunto della stragrande maggioranza dei maggiori gruppi economici, delle loro fondazioni (la più prestigiosa è la “Heritage foundation”, nata nel 1973 e tuttora molto attiva), di intellettuali e politici, mette a punto una piattaforma politica (denominata “counter intellighentsia”, traducibile con “controcultura”), presto adottata da Ronald Reagan nei suoi due mandati presidenziali, basata su tre cardini: definizione di teorie di governo dell’economia e della società loro traduzione  in definiti programmi di governo finalizzati ad ottenere un adeguato consenso elettorale. Un ruolo centrale è affidato ai cosiddetti “think tank” (letteralmente “serbatoio di pensiero”, traducibile in “centro studi”, “centro ricerche”),  gruppi di esperti in economia, teorie politiche, cultura sociale [non a caso definiti da Louis Althusser (1918-1990, filosofo marxista francese) “apparati ideologici”] capaci di concretizzare quei tre cardini in programmi politici e in accattivanti proposte elettorali. Nel breve giro di un decennio la speranza di Lewis Powell si concretizza:  la “libera impresa americana” è perfettamente in grado di rispondere all’attacco.

2 – Le idee sono armi

Anche in Europa si erano già manifestati analoghi segnali della volontà di chiudere definitivamente l’era keynesiana (da John Maynard Keynes, 1883-1946, padre della macroeconomia e del ruolo interventista dello Stato sul mercato) e le collegate politiche di welfare (nate nella loro forma più compiuta nel Regno Unito a cavallo della seconda guerra). Nel 1947 nella località svizzera di Mont Pelerin viene fondata una associazione (che prenderà nome da tale località divenendo la “Mont Pelerin Society”, ancora oggi molto attiva) di economisti, storici, filosofi, intellettuali finalizzata a promuovere il libero mercato e le sue logiche sociali. Fra i suoi partecipanti (i costi del convegno fondativo furono interamente finanziati dal Credit Suisse) spiccano quelli di Friedrich von Hayek (1899-1992, economista tedesco) e di Milton Friedman (1912-2006, economista statunitense), che declinavano l’obiettivo comune di cancellare ogni presenza dello Stato nell’economia di mercato con diverse accentuazioni. Von Hayek, considerato il padre nobile dell’Ordoliberismo tedesco (Ordo dal nome della rivista pubblicata dal movimento) affiancava alle teorie economiche una marcata visione filosofica del rapporto individuo-società, mentre Friedman, principale ispiratore del neoliberismo americano (negli anni Settanta sarà a capo di un gruppo di economisti dell’Università di Chicago denominati “Chicago Boys” propugnatori della totale libertà di mercato) era più concentrato sugli aspetti di teoria economica. Ed è proprio dalla successiva sintesi di queste due prospettive che prenderà forma definita il comune bagaglio ideologico del neoliberismo globale. La svolta deve però attendere la fine degli anni Sessanta quando le visioni riformiste socialdemocratiche, messe sotto pressione a destra e a sinistra, segnano definitivamente il passo. Che il vento sia cambiato lo testimoniano proprio i due premi Nobel per l’economia (non casualmente istituito solo a partire dal 1969 non essendo fra quelli originariamente previsti) conferiti nel 1972 a von Hayek e nel 1976 a Friedmann. E’ la consacrazione accademica del forte investimento sul mondo dell’idee, in particolare in ambito universitario, prefigurato da Powell. L’obiettivo di azzerare le idee keynesiane è raggiunto: a partire dagli anni Settanta il pensiero economico mainstream diventa, negli USA come in Europa, quello neo liberista di von Hayek e Friedman, con il suo netto rifiuto di ogni presenza dello Stato, il rilancio della piena libertà di mercato, il ridimensionamento del welfare, la sottomissione all’economia della politica e della democrazia, a formare una complessa visione ideologica incredibilmente definita nel giro di pochi anni. Il “mercato” da puro spazio degli scambi, che nella visione economica classica ancora prevedeva una qualche reciprocità fra i suoi “agenti”, diventa, in questa sintesi ideologica, l’unica dimensione sociale basata sulla piena e libera concorrenza. Si realizza inoltre una fusione ideologica tra dimensione collettiva e individuale: se nel mercato classico a concorrere erano solo le “imprese”, la sua estensione neoliberista ad ogni ambito sociale ed esistenziale implica che ogni individuo, visto nella sua veste di “proprietario di sé stesso”, deve farsi “impresa di sé stesso” per concorrere in un “mercato della vita” che non prevede più aiuti esterni. Non ci sono più capitalisti e lavoratori, si fronteggiano in lotta aperta singoli capitalisti che sfruttano il proprio capitale, vuoi economico vuoi umano. E’ una concezione così radicale da investire ogni aspetto della vita collettiva e individuale: famiglia, relazioni sociali, rapporti d’amore, salute, cultura, religione, presente e futuro, alla stessa stregua degli aspetti più strettamente economici, tutto deve soggiacere alle logiche del mercato così concepito. La “fobia dello Stato”, il rifiuto totale di ogni suo ruolo oltre quello della gestione amministrativa ordinaria, è la sua la inevitabile conseguenza. La costruzione di questa svolta ideologica si accompagna da subito a concrete iniziative “di reclutamento” nelle Università (con finanziamenti a pioggia su docenti e gruppi “amici”), nei media (con l’acquisizione, certo non gratuita, di un loro esplicito appoggio), nel mondo variegato della cultura popolare. Nel giro di pochi anni negli USA, e poi progressivamente in tutto l’Occidente, viene mobilitato un vero “esercito ideologico”, di inarrestabile impatto viste le risorse investite, capace di portare avanti una totale “guerra delle idee” e di imporle alle politiche statali, grazie a vittorie elettorali sapientemente orchestrate e sostenute, già negli anni Ottanta (Ronald Reagan, Presidente USA per due mandati dal 1981 al 1989, Margaret Thatcher, Primo Ministro inglese dal 1979 al 1990, sono i due esempi più significativi). Ma già in precedenza, nel 1973 all’indomani del golpe cileno del 1973, era stata possibile una prima sperimentazione sul campo: il generale Pinochet (capo della giunta militare al potere) affida la ricostruzione dell’economia, dopo la parentesi riformista di Salvador Allende, esattamente ai “Chicago boys” di Friedman (e lo stesso von Hayek fu ospite d’onore nella sua visita all’ “esperimento cileno”). La risaputa spietatezza della dittatura cilena evidentemente non ha certo posto problemi ai “teorici” neoliberisti. L’appoggio alla giunta cilena rappresenta peraltro un unicum non necessario altrove: dalla fine degli anni Settanta il “dominio” neoliberista riesce progressivamente ad estendersi ovunque vincendo con la sola “guerra delle idee”, e riuscendo così, da lì in poi fino ai nostri giorni, ad uniformare le politiche economiche e sociali su scala globale. L’ideologia neoliberista è ormai in grado di aggredire, e indirizzare, ogni aspetto della società. (Un eccellente testo per meglio comprenderla è “La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista” di Christian Laval e Pierre Dardot, editore DeriveApprodi). Inizia dal “concetto di giustizia” un viaggio in alcune delle terre sottomesse dal “dominio

3 – Il mercato della giustizia

Anche il concetto di giustizia viene infatti investito dall’avanzata ideologica neoliberista a partire dagli USA dove viene ripresa ed esaltata la preesistente dottrina “Law and Economics” [per la quale la Legge (Law) deve essere guidata da criteri di efficienza economica (Economics)].  Nata in ambito accademico negli Cinquanta (non a caso nell’Università di Chicago negli anni in cui vi insegnava von Hayek) viene ripresa e portata a compimento da Ronald Coase (1910-2013, economista inglese naturalizzato statunitense, premio Nobel per l’economia nel 1991) per sancire un nuovo paradigma, “giusto è ciò che giova al mercato”. Nel nuovo contesto ideologico non ha più senso la visione classica di giustizia, che definisce ciò che è lecito e ciò che è illecito sulla base di valori astratti, ma ogni comportamento, deve essere giudicato lecito o illecito sulla base delle sue ricadute economiche. Qualsiasi possibile crimine (fatti salvi quelli “passionali” non razionali)  deve cioè essere valutato, e se del caso perseguito, con una vera e propria “analisi di costi e ricavi”. Peraltro le stesso criminale è un “investitore” che valuta il possibile guadagno di una azione illecita in relazione al costo che deriva dal rischio di essere punito. La giustizia deve di conseguenza puntare ad un sistema di pene che accentui questo rischio fino a rendere sconveniente il margine di guadagno. Ma la stessa giustizia (apparati di polizia, magistratura, sistema carcerario)costa”, essendo finanziata dalle tasse, e a sua volta deve quindi sottostare ad un bilancio di costi ed i ricavi, su questa base saranno definiti reato solo quei comportamenti che procurano alla collettività un ritorno economico inferiore al costo per reprimerli. Un esempio, fra i tanti, aiuta a capire: non ha senso punire una fabbrica che inquina se il costo della sua punizione (costi vivi per attuarla più i mancati introiti aziendali che ne derivano) è superiore al beneficio economico che questa garantiva alla collettività. L’analisi costi-ricavi può semmai determinare, sempre con valutazione economica, il livello ottimale di inquinamento. Il concetto di “valutazione economica ottimale” di ogni possibile reato, visto come parametro base del sistema di colpe e pene, è stato progressivamente assunto da molte facoltà di diritto americane grazie ai cospicui finanziamenti di sostegno da parte delle fondazioni padronali (tra il 1985 e il 1989 la Olin Foundation ha finanziato per l’83% tutti i programmi accademici di Law and Economics nelle facoltà di legge americane, non a caso a partire dal 1990 quasi tutte le facoltà di diritto USA, Harvard compresa, li hanno adottati come materia di studio. Ed è questa la formazione giuridica di tutti gli attuali giudici conservatori della Corte Suprema nominati da Donald Trump, cosi come buona parte dei giudici federali. Più complessa sembra essere la ricaduta sui sistemi giuridici europei dove ancora prevale una più consolidata idea di giustizia “classica”, ma corsi di Law and Economics sono ormai presenti in molte università)

4 – Genitori con la pistola (parents trigger) 

Uniformare l’intera umanità all’ideologia neoliberista è l’ambiziosa aspirazione del “Dominio”, ed uno dei passaggi fondamentali è sicuramente quello di agire sul sistema educativo. Il primo obiettivo - dichiarato e diffusamente messo in pratica negli USA, dichiarato ma non altrettanto diffuso in Europa - è quello di “privatizzare” l’offerta educativa (iniziando dai primi cicli scolastici) incentivandola con benefit finanziari come i “voucher educativi”. Ma il grimaldello ideologico più importante è consistito nella esaltazione della “libertà di scelta dei genitori”, della loro piena facoltà di scegliere dove e come educare i propri figli senza dover soggiacere alla scuola pubblica (Milton Friedman vedeva nella riforma totale dell’istruzione pubblica, fino alla sua sostanziale soppressione, il primo fondamentale passo per l’abolizione totale del Welfare). Lo scopo ultimo, non a caso con il convinto appoggio di movimenti confessionali, è quello di impartire ai propri figli una educazione affine ai propri personali valori, una “libertà di scelta” incompatibile con una educazione scolastica pubblica e pluralista. Anche in questo caso negli USA è stato, ed è, determinante il ruolo delle fondazioni (padronali, religiose, di estrema destra, ma anche quelle meno orientate politicamente come la fondazione Bill e Melinda Gates) per sostenere campagne di orientamento dell’opinione pubblica, e di sostegno ad iniziative dal basso di genitori, all’insegna del motto “Parents trigger laws(genitori con il diritto di premere il grilletto). Sono molti gli Stati americani che hanno adottato queste politiche scolastiche anche per i primi cicli educativi (negli USA la formazione universitaria è da sempre già fortemente privata). Anche in questo caso la situazione europea appare, per ora, migliore, ma di certo non mancano campagne di incentivazione e sostegno alla privatizzazione della scuola (ed anche qui non è irrilevante l’impronta di carattere confessionale).

5 – La tirannia della benevolenza  

Il ruolo delle fondazioni, e più in generale dell’esercito ideologico neoliberista è centrale anche nell’orientamento e gestione delle attività benefiche e caritatevoli. L’impressionante “potenza di fuoco” delle fondazioni USA, coniugata con consolidate politiche di defiscalizzazione delle elargizioni (il 2011 rappresenta un caso esemplare, ma tutt’altro che isolato: i 49 (!) miliardi di dollari di elargizioni sono stati compensati con una defiscalizzazione di ben 53 miliardi di dollari grazie ad un di più ottenuto con la detassazione anche dei loro patrimoni) gestisce un formidabile flusso benefico, mosso da scelte esclusivamente private, che sottrae al controllo pubblico importante risorse.  La visione neoliberista della benevolenza si inserisce peraltro in una consolidata tradizione americana. Già alla fine dell’Ottocento era notevole il volume delle attività in capo a fondazioni private, quasi tutte orientate, per una lunga fase, a sostenere in prevalenza attività culturali e artistiche (famosa in questo senso è stata la Carnegie Foundation) con lo scopo di colmare in questi settori il gap con la più consolidata situazione europea. Progressivamente si è di molto ampliato il loro campo d’azione fino a comprendere in prevalenza attività di sostegno sociale. La situazione legislativa USA, a fronte di una defiscalizzazione molto generosa delle donazioni, non si è mai preoccupata di normare questo consistente flusso di sovvenzioni, ad esempio meglio definendo le tipologie di problematiche da sussidiare con la “beneficenza”. Ciò ha consentito all’impressionante volume finanziario di ispirazione neoliberista, iniziato negli anni Settanta (e guarda caso premiato da un significativo aumento della defiscalizzazione), di individuare con totale libertà di scelta a chi destinarlo. Non deve allora stupire che, in aggiunta ai finanziamenti mirati di cui al Capitolo 1, siano sostenute quelle situazioni che, a parità di disagio, meglio si inseriscono nelle logiche neoliberiste di consolidamento del consenso ideologico (o molto più prosaicamente mirate a difendere precisi interessi, come il generoso sostegno a campagne di negazionismo ambientale, climatico, o di negazione dei danni alla salute provocati da attività inquinanti). A differenza dell’Europa, dove vige una minore generosità fiscale ed un maggior controllo sulle destinazioni, le fondazioni USA, pressochè tutte sostenute da potentati economici, quasi sempre di ispirazione neoliberista, rappresentano una vera e propria “mostruosità concettuale” basata sulla concezione privatistica, e mai disinteressata, di ciò che è “bene comune”. Con l’aggiunta del paradosso di uno Stato che finanzia, generosamente, attività che mirano al suo condizionamento se non al suo ridimensionamento

6 – Capitale sive natura   

Una precisa idea di “giustizia sociale” lega tutte queste situazioni. Due affermazioni fra di loro connesse la sintetizzano: von Hayek “la giustizia sociale è una frase vuota”, Margareth Thatcher “There is no alternative” (non esiste alternativa alias TINA). Come si è visto la visione neoliberista dell’individuo come proprietario-imprenditore riduce la società a “relazioni di scambio tra proprietari(la giustizia diventa allora una frase vuota) che, avvenendo in un libero mercato, non consentono altre possibilità relazionali (There is no alternative). Non sfugge certo al neoliberismo che la concorrenza fra individui imprenditori di sé stessi possa produrre disuguaglianze fra “chi perde e chi vince”, ma ogni intervento esterno mirato a regolarle diventa, su queste basi, inaccettabile. Ridurre la giustizia sociale al libero confronto fra “possessori di capitale” fa letteralmente sparire dal lessico politico termini come “capitalismo”, “capitalista”, per non dire di “padrone” e “padronato”, sostituiti da una entità quasi soprannaturale “i mercati(o da acronimi quanto mai indicativi, come HNWI (High Net Worth Individual, individuo ad alto patrimonio netto). Il capitale diventa quindi innominabile, immateriale, praticamente invisibile, come fatto di sostanza divina. Il motto di Spinoza “Deus sive natura” (Dio ossia la natura) si presta in modo esemplare, con una sola correzione, a sintetizzare questa evoluzione concettuale: “Capitale sive natura”, la natura divina del mercato coincide con l’intero ’universo sociale umano. Diventano allora ovvie le due affermazioni di von Hayek e Thatcher, mentre è ben meno ovvia la supina rassegnazione a tutto ciò di buona parte della sinistra occidentale, fin lì portatrice di tutt’altra idea di giustizia sociale. Incapace di ricette proprie per affrontare le oggettive difficoltà dei sistemi di welfare, le politiche “di sinistra” hanno in sostanza fatto proprie le concezioni neoliberiste, tutt’al più limitandone gli eccessi e rafforzando le compensazioni. (fra le tante testimonianze a supporto emerge quella di Mario Draghi che, in qualità di Presidente della BCE, affermò approvando la esemplare gestione della crisi greca del 2012 che “il modello sociale europeo è morto”). Difficile non vedere in questo cedimento ideologico sull’idea di “giustizia sociale” una delle ragioni che di più spiegano il “dominio” neoliberista e la difficoltà delle sinistre a ritrovare una loro ragione d’essere.

7 – Il listino della politica   

La marea neoliberista non poteva non investire la sfera della “politica”, come si è visto per far attivare politiche coerenti ai suoi fini, ma anche incidendo direttamente sulla forma mentis, e sulla prassi, del “politico imprenditore di sé stesso”. Alcuni dati aiutano a capirlo:

Ø USA 1976 = il costo medio per vincere un seggio al Senato era di 609.000 dollari

Ø USA 2016 =tale costo è salito a 19,4 milioni di dollari

Ø USA 2016 = i candidati alla Camera spendono per le elezioni un miliardo di dollari, quelli del Senato 640 milioni, quelli alla Presidenza 1,5 miliardi di dollari

Ø USA 2018 =per le elezioni di midterm e di rinnovo della cariche di molti Stati si passa ad un totale di 10,8 miliardi di dollari

Strettamente connessi a questi impressionanti investimenti, che va da sé attendono di essere messi a frutto, sono i dati relativi alle attività di “lobbying(sistema di rappresentanza di interessi privati portati avanti intessendo relazioni con istituzioni, partiti e singoli politici. Attività del tutto legale negli USA purchè apertamente dichiarata)

Ø USA 1975 = il fatturato totale delle attività lobbistiche si attesta a 100 milioni di dollari ed i lobbysti dichiarati poco più di un centinaio

Ø USA 2018 = si sale a 3,46 miliardi di dollari di fatturato, ed i lobbysti diventano 11.665. più della metà degli ex senatori e il 42% degli ex deputati si riconvertono in lobbysti

Ø EUROPA 2022= sono circa 13.000 i lobbysti iscritti al Registro Ufficiale della UE (con un aumento di circa il 10% solo negli ultimi cinque anni). Mancano dati sul volume del loro giro d’affari

Difficile ancora immaginare la “politica” come un terreno di confronto disinteressato di idee, e non stupisce quindi che, in un simile contesto, la corruzione sia divenuta pratica abituale. D’altronde a “guerra delle idee” ormai vinta il neoliberismo non poteva non condizionare lo stesso modo di intendere, e praticare, l’impegno politico, creando una “prassi politica imprenditoriale” doppiamente funzionale al “dominio”

8 – 9 Arsenico e sortilegi (questo titolo fa riferimento ad un personaggio del Candido di Voltaire che sosteneva di annientare i suoi nemici grazie ad un miscuglio di “preghiere e sortilegi” e di “arsenico”)

 

A = la società del controllo a distanza (i sortilegi)

Sarebbe una forzatura stabilire una connessione diretta fra la rivoluzione tecnologica di fine secolo scorso, quella tecnologica, ed il contemporaneo vincente percorso neoliberista. La genesi degli sviluppi tecnologici, quanto meno nella loro primissima fase, è infatti avvenuta in contesti militari e scientifici, ma è altrettanto vero che la loro successiva applicazione su larga scala si sia ben presto rivelata consona alla ideologia dominante. E allo stesso tempo è ovvio che tecnologie, come quelle ICT (Information and Communication Technologies), capaci in pochissimi anni di modificare l’intera società e gli abituali modi di vivere, fossero ben presto utilizzate dal neoliberismo. Ciò è quindi avvenuto veicolando un immaginario coerente con la sua ideologia ed incidendo sulla dimensione del “potere”, sino a creare un suo nuovo paradigma. La “tecnologia del potere” - per secoli basata sulla figura del “sovrano” e nella modernità poi evoluta nella forma del “potere disciplinare(la concezione della modernità occidentale di un potere non meno totale di quello del sovrano, ma in più capace condizionare, spazialmente  temporalmente, fisicamente, tutti gli ambiti sociali) – ha organicamente assunto, con il supporto delle ICT, la veste di “un ubiquo controllo a distanza”, in grado non solo di “controllare” in modo invasivo e totale, ma al tempo stesso capace di incidere direttamente sulla vita di ogni singolo individuo.  La massa enorme di “data”, ottenuti con il semplice utilizzo dei tanti dispositivi tecnologici, fotografa in modo capillare ogni azione, ogni spostamento, ogni relazione, fornendo così, in aggiunta al “controllo” elementi essenziali per indirizzare  le stesse scelte produttive e di offerta di servizi. I grandi oligopoli ICT hanno in pochissimi anni realizzato, con la complicità dei sudditi, il sogno/incubo di un unico grande “Panopticon(il carcere ideale, progettato nel 1791 dal filosofo inglese Jeremy Bentham, costruito in modo tale da consentire ad un unico sorvegliante di controllare tutti i carcerati). Questa rivoluzionaria “tecnologia del potere”, basata sulla strettissima connessione tra nuove tecnologie e ideologia neoliberista è definibile come “capitalismo della sorveglianza”, un paradigma sociale, economico e politico, in cui è la stessa “vita, individuale e collettiva” ad essere divenuta sia “materia prima gratuita” che sorvegliante di sé stessa. 

B = Non rimettere i nostri debiti come noi non li rimettiamo ai nostri debitori (l’arsenico)  

Alle “preghiere e sortilegi” del controllo a distanza corrisponde, a completare il dispositivo di controllo neoliberista, la “tecnologia del debito”, l’arsenico volterriano. L’uso sistematico del “debito”, privato e statale, è prassi recente che va ben oltre la sua classica presenza nella storia dell’umanità. Ancora per tutto l’Ottocento l’indebitamento, anche per elevati importi, era una fisiologica componente economica, ma con carattere di eccezionalità e mai elevata a sistema di governo sociale. Solo in pieno Novecento il debito diventa invece uno strumento economico ordinario assurto poi nell’era neoliberista a scientifico anche a strumento di controllo politico. E’ infatti in questo secolo che, accanto al suo utilizzo sistemico da parte di imprese ed operatori economici, singoli individui e famiglie iniziano a ricorrere al debito come ordinaria leva economica di lunga durata. Ciò avviene grazie all’introduzione, su larghissima scala, di due strumenti: “il mutuo ipotecario(introdotto negli anni del New Deal americano) e “la carta di credito(comparsa ad inizio anni Cinquanta). Mutuo e carte di credito spiegano, con la loro impressionante espansione, l’esplosione della società dei consumi e del “modello di vita americano(con al suo centro l’abitazione di proprietà) e diventano la “condizione di vita” standard in tutto l’Occidente (ricco). Contrarre un debito è diventato su scala globale la forma abituale per finanziare acquisto di casa, auto, vacanze, cure mediche e quant’altro (negli USA è lo strumento finanziario base per pagare le tasse di iscrizione all’Università), ma al tempo stesso proprio per la sua presenza stabile e duratura nella vita di individui e famiglie offre al “prestatore(il sistema dei prestiti e mutui ormai costituisce per il sistema bancario la voce più rilevante di ricavi, ma al tempo stesso il rischio più alto di eccessiva esposizione) un oggettivo potere di condizionamento.  A partire dagli anni Settanta, con l'esplosione della finanza neoliberista, il debito si è consolidato come sistema capillare di finanziamento ingigantendo il suo potere di “tenere in pugno” sino a trasformarlo in un articolato strumento di “governo e controllo” delle esistenze di intere popolazioni. La capacità dell’individuo “imprenditore di sé stesso” di gestire l’inevitabile ricorso al debito (o anche solo all’anticipo di disponibilità finanziaria) impone,  per restare in spazi di manovra rigidamente prefissati, una costante autodisciplina, che rende obsoleti i sistemi tradizionali di “disciplina sociale” imposta dall’esterno. Ciò che vale nella sfera individuale acquista maggiore rilevanza in quella pubblica. Il “debito pubblico” è ormai divenuta la condizione stabile della economia finanziaria di pressochè tutti gli Stati. Molti dei quali hanno ormai accumulato debiti assolutamente irrisolvibili, e vedono fortemente condizionati i loro bilancio statali [il caso italiano è esemplare: nel 1992 il debito pubblico italiano diventa pari al PIL. Negli anni a seguire il bilancio statale ha quasi sempre segnato un “saldo primario attivo” (il rapporto tra entrate ed uscite al netto della spesa per interessi sul debito). Ciononostante il debito è costantemente aumentato a dimostrazione che il debito pubblico rischia di essere una spirale senza via d’uscita]. Non diversamente dal “debito privato” anche il “debito pubblico”, la sua sostenibilità e la sua valutazione (le tre agenzie di rating  - Standard&Poor’,s Fitch e Moody’s – che le certificano sono società per azioni saldamente sotto controllo di potentati finanziari perfettamente allineati ai criteri neoliberisti) sono diventate un autentico “strumento di potere” utilizzato dagli invisibili potentati economici, per condizionare le scelte politiche ed economiche di tutti gli Stati (non deve stupire se le spaventose politiche di rientro dal debito imposte alla Grecia non siano fatte valere per l’enorme debito pubblico USA altrettanto irrisolvibile)


10 – E vissero tutti termiti e contenti


L “invisibilità” dei centri reali di potere è in effetti la caratteristica della struttura di potere del “dominio” neoliberista. Non esistono più Palazzi d’Inverno o Bastiglie da conquistare, ed i legami sottotraccia del potere non hanno più forma di visibili “catene da spezzare”, ma quella di un “guinzaglio, con forma di debito.”  Ma per quanto invisibile e subdolo è questo il dominio che si deve contrastare per recuperare un’idea di futuro che esso non contempla appiattito com’è sul presente, l’idea di futuro per il dominio neoliberista è semplicemente quello di perpetuarsi all’infinito. Ed il presente neoliberista non contempla il concetto di “limite”, tutti i possibili margini di profitto devono essere sfruttati qui ed ora, il disastro ambientale ad esempio non è contemplato nel vocabolario del dominio. La sola vera possibilità per fermarlo è quella di invertire la freccia del tempo della crescita decelerando produzioni e consumi, ma è una prospettiva inaccettabile per il dominio neo liberista. Il capitalismo si è, fin dal suo sorgere, concepito come un sistema a espansione illimitata, una logica ancor più accentuata da alcuni dogmi dell’ideologia neoliberista: quello della “l’infallibilità dei mercati”, che non contempla, per coerenza, l’idea di essere causa di disastri ed emergenze - quello, collegato, della “irreversibilità” dei processi avviati, la “storia” non può ammonire sull’esito di processi per definizione ottimali – quello, che discende a cascata, della “cancellazione del futuro”, in campo economico. E’ in particolare su questo che si misura il salto di qualità peggiorativo: a differenza del capitalismo produttivo che si muove su tempi lunghi (ad es. progettazione, realizzazione, gestione e ammortamento investimenti) il neoliberismo del capitale finanziario si auto-misura sui risultati del bilancio corrente, persino a costo di truccare le carte. Se una qualche idea di futuro esiste nella concezione del tempo economico neoliberista è esclusivamente quello dell’orizzonte entro cui rientrare dall’eventuale debito. Lo stesso danno ambientale non è conseguentemente visto come una tragedia del presente, ma tutt’al più come un debito da saldare il più in là possibile. La fede ideologica per i propri dogmi e tale da rifiutare ogni eventuale ammonimento contrario, uno su tutti: la rivoluzione neoliberista era incentrata sul ridimensionamento dello Stato, del “pubblico”, le tante crisi strutturali, innescate proprio da questi dogmi, stanno al contrario evidenziando il loro decisivo ruolo per tentare di risolverle (e più in generale il ruolo dello Stato per tutta la fase neoliberista si è sempre dimostrato insostituibile ad es. nella gestione delle relazioni commerciali internazionali, dello scavalcamento dei “corpi intermedi”, delle politiche fiscali e, paradossalmente nello stesso conferimento di settori e attività al “privato”). Non per nulla non sono mai emersi scrupoli nel promuovere esperienze di “Stato forte” là dove necessario per imprimere svolte economiche e politiche accelerate. E non per nulla i teorici neoliberisti ammirano l’efficienza della gestione economica cinese affidata al “partito unico al potere” in uno “Stato decisamente forte”. E pensare che le società a gestione centralizzata e pianificata erano descritte nelle teorie neoliberiste come una sorta di gigantesco “termitaio” che soffoca la libertà di iniziativa individuale. Dimentiche però che è proprio nel “dominio neoliberista” che l’individuo, alla stregua di una termite costretta all’infinita corsa della concorrenza, non gode per nulla di autentica libertà.


11 – Pornografia sociale


Per quanto invisibile nei suoi profili societari il neoliberismo non manca infatti di far sentire il suo peso in ogni ambito sociale. L’elenco delle conseguenze sulla qualità di vita, sulle condizioni ambientali, sul sistema di relazioni sociali, è tanto risaputo quanto impressionante. Non suona allora stonato il pensiero di alcuni teorici neoliberisti che giustificano, essendone consapevoli, questo stato di cose sulla base di meticolose analisi di costi e ricavi che arrivano ad una manifesta fascinazione per il “sistema schiavistico”. Quello che per una normale coscienza umana sembra un crimine senza giustificazioni  diventa una pacata riflessione di un economista come Robert William Fogel (1926-2013, economista e storico statunitense, premio Nobel per l’economia nel 1993 per i suoi studi sulla “cliometria”, ossia la rilettura della storia esclusivamente sulla base dei dati economici), che in suo testo del 1974 riabilita, dal punto di vista dell’efficienza economica (appena velata da un minimo distacco morale) l’economia schiavistica degli Stati confederali USA. Il suo apprezzamento per gli eccellenti risultati della gestione schiavistica, per quanto presentati nei termini asettici del puro dato economico (cliometria), può far rabbrividire, ma a ben vedere non è per nulla distante dalla concezione liberista del “capitale umano” che, portata alla sue estreme conseguenze, non esclude che, proprio in nome della libera scelta, “un sistema libero possa permettere all’individuo di vendersi in schiavitù(affermazione di Robert Nozik, 1938-2002, filosofo neoliberista statunitense). Un altro importante pensatore neoliberista Charles Murray (1943, scienziato politico americano, coordina un think tank conservatore Il suo libro Losing Ground: American Social Policy, 1950–1980, una analisi del sistema di welfare americano, considerato una delle Bibbie neoliberiste) ha riconosciuto che il fondare una riproposizione dello schiavismo sulla base di dati economici oggettivi rappresenta una aperta giustificazione piscologica del razzismo latente in molti americani …. il mio libro (Losing ground) li farà sentire meglio su cose che pensano già, ma che non sanno come dirle …… Difficile non definire tutto ciò una vera e propria “pornografia sociale

12 – Il pensiero circolare del circuito economico

E d’altronde la concorrenza nel libero mercato esaltata fino all’esasperazione non stupisce se è dimentica di ogni rispetto morale ed umano, una dimenticanza giustificata con la neutra oggettività del “calcolo economico matematico”. In economia la definizione di “modelli matematici” è prassi teorica abituale perché utile alla comprensione e gestione di molte attività (azionarie, finanziarie, analisi costi/ricavi ad es.), ma il neoliberismo li eleva a livelli di autentica fede. Tutte le componenti economiche, capitale umano compreso, possono cioè essere sintetizzate, comprese e gestite, in formule matematico-logaritmiche capaci di combinare l’intreccio tra tutti i fattori e tutti i soggetti. Si tratta, come ormai ampiamente dimostrato,  di  una forzatura così smaccata da rasentare, in molti casi, la ciarlataneria (aspetto che non impedisce a molte scuole economiche mainstream di perseverare nella infinita costruzione di modelli economico-matematici fideisticamente immaginati in grado di programmare “scientificamente” tutti i processi economici). L’economia è per definizione, e per processo storico, una attività umana “multifattoriale”, certo fatta di dati e numeri, ma non di meno di stati psicologici individuali e collettivi, di forzature da poteri esterni, del fatidico “caso”. L’ostinazione neoliberista a ridurla a formule e modelli si basa quindi sull’assunto ideologico che tutti i processi economici siano esclusivamente “scelte razionali” finalizzate a realizzare la maggiore utilità possibile. Un assioma, costantemente smentito dal procedere concreto dell’economia, che rischia di arrotolarsi su sé stesso in una sorta di “circolarità(Joan Robinson, 1903-1983, economista statunitense lo spiegava bene riflettendo sul concetto di “utilità”, che definiva un “concetto metafisico”, applicato al “consumo”: utilità è la qualità di una merce che invoglia al suo acquisto, ma al tempo stesso il fatto che essa sia acquistata spiega la sua utilità). L’insistenza neoliberista nell’esaltazione del “calcolo economico matematico” è però ideologicamente rafforzata dal paradigma dell’individuo “imprenditore di sé stesso” e della sua “razionalità comportamentale”. Premesso che il concetto di “l’imprenditorialità” è di per sé una nozione vuota, se assunta fuori contesto storico, appare evidente anche in questo caso la finalità di escludere tutti i fattori emozionali, relazionali, valoriali, politici. Difficile conciliare questa pulsione fideistica a ridurre l’economia a puro dato economico se commisurata con l’impressionante, e vincente, investimento ideologico messo in atto nella “guerra delle idee”


13 – La partita è truccata, però….. + 14 Il momento di imparare dagli avversari


Un ultimo aspetto contraddistingue il pacchetto ideologico neoliberista: la sua evidente propensione “conservatrice”, non diversamente dalle preesistenti forme di capitalismo, anche il neoliberismo ha trovato nel conservatorismo di destra un suo naturale alleato, una sua fisiologica estensione. Questa reciproca attrazione è stata interrotta da transitorie e strumentali concessioni ad alcuni timidi tentativi riformisti intervenute obtorto collo per l’incapacità di trovare da solo, affidandosi alla mitica “mano invisibile del mercato”, vie di uscita da crisi strutturali (quale quella del 2007/2008) provocate dalle sue stesse logiche. La stretta alleanza tra la visione ideologica neoliberista e la difesa dei valori tradizionali del conservatorismo di destra rappresenta quindi un consolidato dato politico.  Non è quindi facile in un contesto come quello attuale che ha le caratteristiche di una “partita truccata(tutte le carte vincenti il mazziere le dà a sé stesso) trovare vie di uscita verso una maggiore giustizia sociale. Dalla rilettura delle modalità che spiegano l’inarrestabile avanzata neo liberista può però emergere qualche indicazione utile a colmare il vuoto ideologico e programmatico di una sinistra (intesa in senso lato) ancora incapace, persi di suoi tradizionali punti di riferimento  (e troppo spesso adagiata su politiche per nulla dissimili da quelle neoliberiste), di ridefinirsi e non meno utile a fronteggiare la suicida logica catastrofista di attendere l’esplosione finale delle tante, emergenze di questa fase storica. Un primo aspetto in questo senso viene proprio  dallo straordinario investimento ideologico messo in atto dal neoliberismo grazie alla “guerra delle idee” di cui si è detto capace di ribaltare il senso dello “scontro di classe fra dominanti e dominati”. Certo chi sta dalla parte dei dominati non possiede la potenza di fuoco neoliberista, ma alla guerra delle idee è sempre più impossibile sottrarsi. La stessa indispensabile, ed urgentissima, necessità di definire per ogni specifica problematica concrete proposte alternative richiede la condivisione più ampia possibile di un diverso sistema di valori. (Marco D’Eramo si limita in questo saggio ad….) Alcuni primi passi in questa direzione possono essere:

*   l’abbandono “dell’eufemismo” dialettico che ancora caratterizza il discorso a sinistra. E’ tempo di tornare a chiamare cose e soggetti con il loro nome, di togliere i veli alla realtà, di smascherare i “bassi interessi” che stanno dietro le ideologiche esaltazioni neoliberiste della libertà, dell’individuo imprenditore motore del progresso.

*   l’investimento strategico, su cui concentrare da subito le forze, sul pieno ripristino di una istruzione pubblica e universale, capace di “ri-alfabetizzare” il sistema dei valori alla base della società (memori proprio della analoga scelta neoliberista)

*   il recupero della dimensione del “conflitto”, della consapevolezza che nessun progresso sociale è stato mai ottenuto senza un cambiamento dei rapporti di forza tra dominanti e dominati.

Già Machiavelli nei suoi “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” scriveva che ……. Nè si può chiamare in alcun modo con ragione una Repubblica inordinata, dove siano tanti esempj di virtù, perchè li buoni esempj nascono dalla buona educazione, la buona educazione dalle buone leggi, e le buone leggi da quelli tumulti, che molti inconsideratamente dannano ……