sabato 21 dicembre 2019

"L'angolo dell'arte" - a cura di Valter Alovisio/Point Zero


“L’angolo dell’arte”
Spazio mensile curato da
Valter Alovisio – Point Zero

Cari amici,

segnalo, come strenna natalizia, questa bella mostra che ho visto a Torino. Si tratta della mostra che si svolge a Palazzo Madama a Torino fino il 4 Maggio 2020 su Andrea MANTEGNA.

PALAZZO MADAMA - TORINO

ANDREA MANTEGNA
 Rivivere l'antico, costruire il moderno

dal 12 Dicembre 2019 al 4 Maggio 2020


Andrea Mantegna – Madonna con il Bambino, san Giovannino e Santi

La grande esposizione vede protagonista Andrea Mantegna (Isola di Carturo 1431 – Mantova 1506), uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano, in grado di coniugare nelle proprie opere la passione per l’antichità classica, ardite sperimentazioni prospettiche e uno straordinario realismo nella resa della figura umana.
La rassegna presenta il percorso artistico del grande pittore, dai prodigiosi esordi giovanili al riconosciuto ruolo di artista di corte dei Gonzaga, articolato in sei sezioni che evidenziano momenti particolari della sua carriera e significativi aspetti dei suoi interessi e della sua personalità artistica, illustrando al tempo stesso alcuni temi meno indagati come il rapporto di Mantegna con l’architettura e con i letterati.
Viene così proposta un’ampia lettura della figura dell’artista, che definì il suo originalissimo linguaggio formativo sulla base della profonda e diretta conoscenza delle opere padovane di Donatello, della familiarità con i lavori di Jacopo Bellini e dei suoi figli (in particolare del geniale Giovanni), delle novità fiorentine e fiamminghe, nonché dello studio della scultura antica.    
Un’attenzione specifica è dedicata al suo ruolo di artista di corte a Mantova e alle modalità con cui egli definì la fitta rete di relazioni e amicizie con scrittori e studiosi, che lo resero un riconosciuto e importante interlocutore nel panorama culturale, capace di dare forma ai valori morali ed estetici degli umanisti.

Andrea Mantegna – Ecce Homo – (Part.)


Il percorso della mostra è preceduto e integrato, nella Corte Medievale di Palazzo Madama, da uno spettacolare apparato di proiezioni multimediali: ai visitatori viene proposta una esperienza immersiva nella vita, nei luoghi e nelle opere di Mantegna, così da rendere accessibili anche i capolavori che, per la loro natura o per il delicato stato di conservazione, non possono essere presenti in mostra, dalla Cappella Ovetari di Padova alla celeberrima Camera degli Sposi, dalla sua casa a Mantova al grande ciclo all’antica dei Trionfi di Cesare.



Andrea Mantegna – Camera degli sposi (Part.)
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Segnalo anche che, in occasione di questa mostra,  il giorno

11 GENNAIO 2020
ORE 17.30
UNIONE CULTURALETORINO – Via Cesare Battisti, 4 
(Infernotti di Palazzo Carignano)

svolgerò una meditazione poetica sul “Cristo in scurto” di Andrea Mantegna 
dal titolo: Dov’è il principio dell’arcobaleno…”









giovedì 19 dicembre 2019

Scuola di AMMIRAZIONE – Valter Alovisio

Scuola di AMMIRAZIONE – Valter Alovisio
A TORINO
nasce la 

Cari amici,
finalmente quella Scuola d’Arte dello sguardo lento che da tanto tempo sognavo si è concretizzata.
L’invito che rivolgo a tutti è quello di guardare (lentamente!) il sito e la programmazione delle attività.
Il primo appuntamento è per  Sabato 11 gennaio 2020, alle ore 17.30, nella storica sede dell’Unione Culturale  di Torino, negli infernotti di Palazzo Carignano.
Valter Alovisio

Sono aperte le ISCRIZIONI


Modalità per farlo 

clicca qui E poi clicca su iscriviti via mail”
quindi
1) - Andare su CALENDAR cliccare per scegliere le EXPERIENCES a cui ci si vuole iscrivere. 
2) Per farlo cliccare sulla singola "experience" scelta e procedere con  l'iscrizione guidata alla stessa sempre tramite il pulsanteiscriviti via mail”

martedì 17 dicembre 2019

Il futuro di internet - Intervento di Aral Balkan


Pubblichiamo, in ovvio stretto collegamento con la conferenza di Massimo Rosso) questo interessante intervento tenuto da Aran Barkal (attivista dei diritti in Internet) al Parlamento Europeo nell'ambito della discussione UE in corso per definire una nuova regolamentazione  europea di Internet. 
L'intervento è in inglese, è possibile seguirlo attivando i sottotitoli in italiano (nella riga di icone sottostante al display cliccare sul terzo pulsante da destra, si apre una tendina ri-cliccando su "sottotitoli" si sceglie l'opzione "italiano").
Per accedere al video cliccare sulla riga sottostante, si apre un link cliccate una seconda volta …..

https://peertube.parleur.net/videos/watch/861c07f7-7e9b-4e64-9765-cf1de592c8a0

lunedì 16 dicembre 2019

Sintesi della conferenza di Massimo Rosso - a cura di Enzo Bertolini


Lunedì 2 dicembre 2019 - ore 20,45

Auditorium Bertotto Scuola Media “Defendente Ferrari”

“Oracoli: dalla TV in bianco e nero agli Algoritmi”


  Relatore:
Massimo Rosso - Direttore ICT della Rai 

L’impatto della Digitalizzazione sul mondo dei Media e l’avvento dei Social Network oggi rendono possibile lo sviluppo di nuove Analitiche, che permettono di correlare  gli Eventi TV e le Discussioni Crossmediali. Dal suo osservatorio privilegiato, Massimo Rosso sta assistendo al passaggio dai Servizi di Business ai Business a Piattaforma e alle nuove evoluzioni delle tecnologie di frontiera nell’ambito dei mass media digitali.
Introducendo questi nuovi paradigmi, spiegherà perché in questa nuova era Valori come Trasparenza e Responsabilità divengano centrali e come investendo su una Formazione votata al potenziamento del Senso Critico si potrà cercare di garantire il controllo dello sviluppo della “Automazione dell’Agire”, possibile con le nuove tecnologie, definite da alcuni “oracolari”.

Massimo Rosso, sviluppa la sua brillante carriera interamente all’interno della Rai, dove entra dopo essersi laureato in Fisica presso l’Università di Torino, percorrendo i vari stadi della professionalità informatica sino a ricoprire il ruolo di Direttore del servizio ICT (Information & Communication Technology). Ha quindi potuto vivere dal di dentro l’evoluzione di uno dei principali attori dei media nazionali. Partendo da questo vissuto, il relatore ci accompagnerà attraverso un racconto atto a farci percepire come si sono sviluppate le tecnologie di comunicazione negli anni e come queste oggi si compenetrino ed interagiscano con il mondo dei Social Media.

Nell’avvio della relazione viene sottolineato il ruolo di Servizio Pubblico svolto dalla Rai e come questo non sia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi Europei, a volte correttamente percepito e compreso dall’utenza. Come questo servizio pubblico sia importante per la garanzia di una informazione il più possibile oggettiva e come l’ambito dei servizi offerti si sia nel tempo evoluto; passando dalle prime esperienze radiofoniche a quelle degli albori della TV in bianco e nero fino a giungere all’attuale portafoglio d’offerta.  Con la digitalizzazione dei contenuti è possibile offrire una vasta gamma di canali digitali su cui veicolare programmi sempre più mirati e specializzati, per giungere a comprendere le più recenti Piattaforme di fruizione via web.

Proprio in questi giorni è iniziata una corposa iniziativa di promozione di RAI Play, condotta da Fiorello, atta a veicolare la conoscenza e l’uso di una tecnologia che consente la fruizione dei contenuti in modalità asincrona e da computer, privilegiando la gestione del tempo che ciascuno vuol dedicare all’informazione o all’intrattenimento.

In questa trasformazione delle tecnologie a supporto, il ruolo della direzione guidata da Rosso, ha assunto via via maggiore rilevanza, partendo da una solida base di competenze tecniche, che per fortuna della nostra Regione si è riusciti a mantenere radicate in modo significativo su Torino, pur nella più ampia dislocazione dei servizi a supporto dell’azienda a livello nazionale.

Altro compito che Rai si è assunta in questa fase di “Digitalizzazione” dei Servizi sia Pubblici sia Privati, è un ruolo di sensibilizzazione e divulgazione delle conoscenze, svolto non in modo convenzionale, ma inserendo nel contesto delle fiction e dei programmi a maggior ascolto, brevi inserti volti a spiegare ed informare sulle novità tecnologiche e sul loro utilizzo e fruizione. Una sorta di Maestro Manzi 2.0 a supporto dell’Agenda Digitale del Paese.

Altro fenomeno di questi anni è il rapido diffondersi degli strumenti che supportano una “Internet Umana” sostenuta dai social media. Ciò comporta un ulteriore cambio dei costumi che sta largamente caratterizzando il modo di vivere dei nostri tempi. Di ciò anche un operatore primario della comunicazione deve tener conto e con questa realtà deve interagire, per rimanere ancorato al cambio delle abitudini di fruizione, pena una sua progressiva marginalizzazione e perdita di ascolto.

Tali tecnologie introducono alcuni pesanti cambi di paradigma.

Intanto la globalizzazione dei messaggi (Un post sui social non è vincolato a criteri geografici di fruizione, ma è immediatamente globale). La rilevanza del passa parola nella rete degli amici (O dei Peer per dirla all’inglese) che prevale sulla comunicazione monodirezionale sulla quale si è fin qui basato il mondo della comunicazione tradizionale (Imprese, Pubblica Amm., Mezzi di Comunicazione tradizionali, Organizzazioni Politiche). La possibilità di un utilizzo contemporaneo di mezzi di scambio informativo tra soggetti, che stimolati da eventi o notizie, intrattengono un dialogo su mezzi Web dando vita ad un nuovo fenomeno denominato “Comunicazione Crossmediale”, che rende il nostro villaggio globale sempre più piccolo e perennemente “on-line”.

Dall’osservazione di tale fenomeno, anche per gli operatori della comunicazione televisiva broadcast ( gli operatori di tv via cavo o satellitare, invece, dispongono di apparecchiature installate presso l’utente che consentono una analisi diretta dei comportamenti d’ascolto), nasce la ricerca di analizzare e comprendere le possibili correlazioni tra quanto viene trasmesso dalla TV e quali conversazioni si sviluppino sui Social Media, quali siano i livelli di influenza e quale le direzioni di apprezzamento o meno che vengono espresse nel mondo Web.

Nascono così le prime sperimentazioni sulle tecnologie di “Sentiment Analysis”, che consentono, analizzando il traffico dei messaggi in rete, di attribuire una interpretazione della reazione del pubblico a quanto visto, arrivando a caratterizzare il tipo di risposta tra opinioni positive, neutre o negative. Non solo questo, ma continuando l’analisi del traffico sui social, si riesce a comprendere anche la rilevanza del tema trattato per l’opinione pubblica. Inoltre i social monitorati possono variare in base alla tipologia di audience attesa per il programma (commenti sulla Comunicazione politica più su Twitter o Facebook, conversazioni su programmi con target giovanile su Instagram, etc), scandagliando così i luoghi virtuali in cui il dibattito/commento si sviluppa maggiormente.

L’ulteriore frontiera tecnologica è quella che consente di passare dall’analisi elementare dell’opinione a nuovi modelli che consentono di approfondire l’analisi. Si può giungere ad interpretare le emozioni che stanno alla base delle conversazioni attivate, ed al livello di intensità con cui tali emozioni sono manifestate. (Odio, Sarcasmo, Ironia, Aggressività, Disapprovazione, Amore, etc).

Di tali strumenti, sono qui illustrati gli obiettivi di comprensione delle reazioni suscitate riferiti all’ambito editoriale proprio di un operatore di mass media.

Estendendo il discorso ad un contesto socio politico allargato, ciò di cui occorre assumere consapevolezza, è che queste sono le stesse potenti strumentazioni alla base della analisi delle reazioni del corpo sociale e che sempre più spesso esse sono utilizzate per comprendere lo stato emotivo della popolazione e, di conseguenza, veicolare i messaggi che maggiormente vengono ritenuti affini sino, al limite, a condizionare la percezione del reale.

Questi strumenti si inseriscono in un cambio di approccio culturale. Stiamo passando da una cultura che si basava sull’analisi del passato per tentare di immaginare gli effetti sul futuro (Feedback), ad un paradigma che analizzando la grande massa di informazioni a disposizione nel web, cerca di cogliere i fenomeni non strettamente correlati che anticipano eventi futuri, anche in modo non deterministico (FeedForward).

Come è stato reso possibile questo cambiamento?

Per prima cosa il mondo è stato riempito di sensori che producono informazioni.  I primi sensori ed i più attendibili sono proprio le persone e le tracce elettroniche che esse lasciano nell’uso quotidiano delle tecnologie digitali. (Carte di Credito, smartphone, telepass, Localizzatori GPS, etc).

La crescita continua ed esponenziale della capacità elaborativa dei computer e della capacità di immagazzinamento delle informazioni (Data Base), hanno poi consentito una elaborazione in tempo reale di questo patrimonio immenso di dati.

In questo contesto si può dire che oggi siamo in grado attraverso strumenti di Intelligenza Artificiale di “Sentire,Comprendere,Processare la realtà” e alla fine di “Attuare la realtà”. Intendendo con questo non solo le capacità di analizzare il contesto in cui ci muoviamo ma, in certi momenti, di ottenere indicazioni, che nei fatti, determinano l’accadere di eventi futuri.

Questo non deve stupire, in quanto i concetti teorici alla base di quanto detto, li troviamo ormai da più di un secolo formulati nelle teorizzazioni della meccanica quantistica e della relatività. Ora ciò che sta avvenendo è che le tecnologie sempre più veloci e sofisticate permettono il concretizzarsi, in pratica, di alcuni di questi fenomeni.

Il concetto di “Presente allargato” in effetti è un esempio di quanto si sta dicendo.

Un piccolo esempio. Disponendo di strumenti di comunicazioni istantanei, nel percorrere un tratto di strada in un verso io colgo che nell’altro senso di marcia si è formata una coda chilometrica. Il mio amico che sta procedendo in quella direzione è convinto di poter raggiungere la sua meta in orario, perché non conosce l’evento coda. Io che procedo in senso inverso so che la coda esiste, in quanto parte del mio passato ma per lui sarà parte del suo futuro. Con un colpo di telefono in mobilità posso, avvisandolo, modificare la sua strategia di viaggio e quindi influenzare il suo futuro. Ovviamente se gli strumenti di elaborazione e comunicazione non fossero così veloci, tutto questo non sarebbe possibile.

Le capacità umane di comprendere il mondo vengono “aumentate” sfruttando la conoscenza del “presente allargato”.

La capacità operativa di agire è sempre più prossima alla capacità analitica di comprensione ed attuazione nel “presente allargato”.

Ovvero disponiamo di strumenti (MACROSCOPIO) che consentono di vedere il mondo nei suoi aspetti economici e sociali che si comportano come anticipatori di Futuro. Attraverso strumenti come questo possiamo traghettare dalla “Previsione Sociale” alla “Anticipazione Sociale”.

Tale realtà deve essere obbligatoriamente affrontata dalle aziende, pena la perdita di competitività ed attrattività della loro proposta (pensate a cosa sta significando l’agire di Amazon verso tutti gli operatori tradizionali di Logistica, o casa significhi l’approccio di Netflix verso i più tradizionali fornitori di contenuti media).

Analogamente, con questi fenomeni devono confrontarsi i Cittadini. Ciò significa far crescere in loro la consapevolezza sulla importanza dei dati, sulle meccaniche di tracciabilità dei comportamenti rilevati attraverso le tracce elettroniche che vengono da loro stessi attivate e sulle quali gli algoritmi di anticipazione sociale agiscono.

Ciò comporta un cambio di prospettiva notevolissimo, a cui molto probabilmente non siamo pronti.

Sicuramente errato, secondo il relatore, pensare che esista un mondo reale ed uno digitale. Oggi esiste un mondo unico fatto di interrelazioni sempre più coese tra reale e virtuale.

Come ben descrive in una suggestiva immagine il filosofo Luciano Floridi, siamo nella zona delle Mangrovie, dove il fiume sfocia in mare e l’acqua non è più propriamente dolce, ma allo stesso tempo non è ancora del tutto salina, e lì si sviluppa una fauna ed una flora peculiare. Allo stesso modo anche noi siamo nel mondo delle Mangrovie e dobbiamo imparare a viverci.

In questo mondo è fondamentale ricomporre la frattura tra Umano e Tecnologico. Se noi pensiamo che siano due cose disgiunte facciamo un grande errore. Così come va ripensata la relazione complessa tra naturale ed artificiale. Altro fenomeno importante è la fusione della cultura scientifica con la cultura umanistica. Ciò è alla base della struttura di questi modelli di funzionamento della società, a cui le istituzioni preposte alla formazione ed all’educazione dovranno prepararci.

In questo senso diviene fondamentale promuovere una educazione critica alla complessità ed allo sviluppo di un forte senso di responsabilità.

Occorre non confondere complessità con complicazione. Ciò che è complicato si può semplificare, e ben venga questa azione. Ma ciò che è complesso non si può banalizzare nel tentativo di ottenere risposte immediate o demagogiche. Questo mondo delle mangrovie è un mondo complesso ed a ciò dobbiamo essere preparati. Occorre andare a sviluppare una educazione critica a questa complessità e riaffermare il senso di responsabilità di ciascuno.

Si sta passando da una cultura di fiducia verso il brand, la marca, ad una fiducia basata sull’algoritmo e sul suo funzionamento. Ma qui si apre un enorme problema di trasparenza e di leggibilità del funzionamento degli algoritmi. A differenza della Legge che codifica in modo esplicito le regole ed il comportamento da tenere, il modus operandi ed i criteri con cui sono scritti gli algoritmi di Intelligenza Artificiale non sono né pubblici né facilmente decifrabili. È di fronte a ciò che si apre un enorme questione etica.

Tra gli attori principali che dominano tali tecnologie, gli Statunitensi hanno di fatto delegato lo sviluppo delle stesse ai privati (le grandi Corporation: Microsoft,Amazon,Google,IBM), mentre l’altro attore , la Cina , ha di fatto nazionalizzato sotto uno stretto controllo statale lo sviluppo tecnologico.

Qui forse si apre una terza via di opportunità per l’Europa: Imporre una questione di sviluppo etico degli algoritmi di Intelligenza Artificiale, a vantaggio della cittadinanza mondiale, ispirata ai valori fondanti della nostra civiltà, che faccia perno sulle caratteristiche di :
·       Azione e sorveglianza umane
·       Robustezza e sicurezza
·       Riservatezza e governance dei dati
·       Trasparenza
·       Diversità, non discriminazione ed equità
·       Benessere sociale e ambientale
·       Responsabilità intesa anche come accountability.

venerdì 6 dicembre 2019

Il "Saggio" del mese - Dicembre 2019


Il “Saggio” del mese

 DICEMBRE 2019



Si verificano, con crescente e preoccupante frequenza, situazioni in cui l’incapacità della “politica” di affrontare e risolvere questioni aperte, anche di decisivo impatto, si manifesta in modo quasi eclatante. E’ il caso del tormentatissimo percorso di definizione di una legge sul “fine vita” che, attesa da anni, era stata esplicitamente sollecitata dalla Corte Suprema nella sentenza emessa un anno fa sulla nota vicenda “Dj Fabo – Marco Cappato”, quando, dichiarando di non poter procedere ad un giudizio motivato visto il vuoto legislativo in materia, aveva concesso un anno di tempo al Parlamento per colmarlo. Un anno passato senza che nulla sia successo salvo il solito sterile gioco di dichiarazioni tattiche che nulla dicono nel merito mirando unicamente a raccogliere “presunti” consensi elettorali e appoggi da parte di istituzioni e corporazioni varie. Siamo purtroppo di fronte ad uno dei più pesanti limiti insiti nei meccanismi della democrazia rappresentativa. Ci sono infatti temi, e quello del fine vita lo è, che scavalcando gli abituali schieramenti politici, non possono, e non devono, essere affrontati, e tanto meno risolti, con il solito normale gioco fra maggioranza ed opposizione. Sono conseguentemente temi che per essere seriamente discussi richiederebbero uno sforzo comune per avviare un ampio e approfondito dibattito collettivo mirato a far emergere, con la massima serenità e chiarezza, tutte le ragioni di sostanza lasciando indietro quelle di banale, e sempre presunta, convenienza politica. E’ lecito dubitare, visti i precedenti, che questo possa avvenire per una questione così delicata come quella del fine vita, e nessun conforto giunge dall’attuale Parlamento che non pare abbia neppure messo in calendario tale discussione. La scelta di questo saggio è quindi mirata ad offrire, nel nostro piccolo contesto, un primo contributo in questo senso. E’ un breve, ma densissimo, testo che con veste più di pamphlet che di vero e proprio saggio, presenta una chiara e netta presa di posizione sul tema. In aggiunta il suo autore è noto, e non da tutti per questo apprezzato, per la sua irruenza polemica. Stiamo parlando di …………….
(Paolo Flores d’Arcais, filosofo e direttore della rivista MicroMega, autore di numerosi saggi che integrano  approfondimento filosofico ed impegno civile e politico)
Si tratta quindi, è bene ribadirlo, di un testo decisamente “schierato” nelle opinioni che esprime in materia e “irruento” nello stile in linea con la cifra del suo autore. Ci è però sembrato opportuno utilizzarlo perché, proprio per queste sue caratteristiche, espone con chiarezza le ragioni che motivano una precisa presa di posizione. La si può condividere, in parte o in toto, la si può criticare e rigettare, ma certamente rappresenta un importante contributo per entrare, finalmente, nel merito di un tema che, in stretta relazione a quanto discusso nella nostra ultima conferenza sulle “ferite” della democrazia, ci invita a riflettere, oltre che sulle sue specificità, sul rapporto fra l’individuo, i suoi orientamenti  e le sue scelte personali, ed il potere ed i suoi meccanismi decisionali.
(come sempre le parti estrapolate integrali dal testo sono evidenziate in corsivo blu)
Prologo
…….amico lettore sul tuo fine vita preferisci decidere tu o preferisci che decida un estraneo, qualcuno che non conosci, scelto dal caso o dai rapporti di forza?…….questo è l’unico interrogativo intellettualmente onesto con cui affrontare il tema……. Sta in questa domanda, all’apparenza persino banale, il nodo, fin qui irrisolto, della libertà di ogni individuo di decidere sulla propria fine vita. La risposta per Flores d’Arcais è scontata …..nessuno può imporre la propria volontà sul fine vita di un altro…… Lo è, da un punto di vista di stretta logica, perché, e non è un paradosso, consente di compierla anche a chi  ritiene di affidare ad altri tale decisione. Se così non fosse, se non fosse cioè una libera volontà esercitata dall’individuo, altri sarebbero, “a prescindere”, i padroni delle nostre vite. Il dilemma, nel suo sviluppo logico, non si dovrebbe quindi neppure porre, perché le due opzioni, io o altri, non sono paritarie se “di istituto” sono altri i padroni delle nostre vite. Delle due opzioni una …..contiene anche la seconda, mentre questa annulla la prima, la mette alla mercé del potere di turno…… Quindi a essere …….logicamente e moralmente…… onesti la domanda neppure si dovrebbe porre. Non si comprende poi perché questo dilemma sia fatto risaltare sulla questione del fine vita mentre, in misura pressoché totale, non vale per tutti gli altri passaggi delle nostre vite: ad esempio sposarsi si o no, avere o non avere figli, avere una vita sana piuttosto che sregolata, farsi prete o suora. Perché la domanda su chi decide si pone in particolare per la morte? Perché la libertà di decidere sul proprio fine vita suscita opposizioni così accanite? Non siamo di fronte ad un vulnus dell’esercizio pieno della democrazia se una maggioranza si arroga il diritto di decidere su una scelta che è, come vedremo, totalmente in capo all’individuo? Non si afferma in questo modo una concezione inaccettabile del potere? Queste sono domande che attendono risposta
Capitolo primo = Logicamente
1 – Come vorremmo morire
Sappiamo per certo, anche se istintivamente rimuoviamo il pensiero, che la morte è ineludibile. Non sappiamo, ed in minima e non diretta parte non decidiamo noi il suo quando e perché, ma almeno il come può essere nelle nostre mani, e alla domanda……..come vorremmo morire? …...tutti, ma proprio tutti, risponderemmo ……..senza soffrire……. Tutti quanti vorremmo poter almeno decidere se e quanta sofferenza, quella che quasi sempre, precede la morte, accettare. E a nostro conforto viviamo oggi in un epoca che molto offre in questo senso. Oggi è possibile parlare di una “buona morte”, esistono infatti modi che consentono di attuare questa decisione. Il nodo non è nell’impossibilità “tecnica” di dire basta quando la sofferenza non ci sembra più accettabile, ma sta in una volontà del “potere” di impedire l’esercizio vero della volontà di non soffrire inutilmente. Ed allora occorre riprendere le domande del prologo: perché avviene ciò? Quali sono le ragioni che portano a negare il diritto del “come vorremmo morire”? Una prima risposta, la più ricorrente è che …….la vita è un bene indisponibile…… Per capirla e valutarla occorre preliminarmente concordare su cosa si debba intendere per “vita”.
2 – Vita biologica e vita umana
Il termine “vita”, lasciato senza aggiunte specificative, ha una valenza molto generale: In effetti da sola indica l’insieme delle forme viventi, vegetali ed animali, che, con un processo evolutivo iniziato con il primo procariota apparso sul nostro pianeta circa quattro miliardi di anni fa, hanno popolato e colonizzato ogni angolo della Terra. Ma non è questa l’accezione di cui ci occupiamo parlando di fine vita. Parliamo ovviamente ed esclusivamente di vita umana, della vita di un animale, l’Homo sapiens, che si è inserito in modo vincente nella lotta globale per la sopravvivenza, anche perché non si è mai posto eccessivi problemi verso le altre forme di vita, animali o vegetali che siano. Si pensi poi alla gratitudine che tutti noi dobbiamo alla scoperta degli “antibiotici”, una formidabile arma di difesa da batteri e germi che porta nel suo stesso nome l’attitudine umana a distruggere le “altre” vite. E’ di vita umana che parliamo dunque, solo ed esclusivamente di vita umana. Un termine che acquista consistenza reale, vera, solo se, uscendo da una sua astrazione teorica, è riferibile all’esistenza di ciascuno. Diventando, come conseguenza “logica”, la vita di ogni singolo, una esistenza quindi singolare, unica, irripetibile. ….ogni volta che una persona muore viene meno un mondo…. Questa singolarità, assolutamente non aggirabile, rappresenta il carattere peculiare della vita umana rispetto a tutte le altre forme di vita. Ed è esattamente sul presupposto della singolarità delle vita umana che si è fondata, come perno millenario della cultura umana, l’idea che solo l’animale Homo sapiens possieda “l’anima”. Affidando quindi a questa misteriosa ed indefinita entità la singolarità della vita umana. Oggi conosciamo la base neurologica di questa “dote” …..cento miliardi di  neuroni collegati da centotrentamila miliardi di connessioni danno vita a tutte le funzioni e capacità motorie e mentali, cognitive ed emotive, compresa l’ancora criptica coscienza……. E’ questa la vita di cui si deve parlare quando riflettiamo sul fine vita
3 – L’irriducibile autonomia
Alla singolarità di ogni vita umana la storia evolutiva di homo sapiens ha poi aggiunto, completandola, un suo inaggirabile carattere relazionale. La vita umana, fin dal suo comparire, si ha solo in un contesto collettivo, di gruppo. Questo aspetto, decisivo sotto ogni punto di vista, ha comportato una conseguenza altrettanto fondante. All’istinto che guida, con forme e gradualità differenti, tutte le forme di vita individuali, l’homo sapiens, per gestire gli aspetti relazionali che lo caratterizzano, ha affiancato un complesso di regole, di “norme” …….ogni comportamento umano è governato dalla norma…… E’ la stessa biologia di Homo sapiens ad esigere una norma che affianchi, surroghi, l’indebolirsi evolutivo del puro istinto. Non chiede però una norma specifica, le regole variano da sempre in relazione ai specifici contesti culturali. Le norme, dal punto di vista evolutivo, vanno tutte bene purché, al di là della loro valenza “morale”,  funzionino  ai fini della sopravvivenza della specie. Ed è la norma quindi che si pone al centro del nostro ragionamento, la norma ed il suo rapporto con la singolarità della vita umana ……con l’irriducibile autonomia di ciascuno…… con l’evidenza inalienabile che ……. la vita umana è sempre e comunque la vita di qualcuno, è sempre la tua o la mia vita……
4 – Tu sei la tua vita
Ne consegue che la vita umana non è mai anonima, deve inderogabilmente …… appartenere…… a qualcuno, non potendo essere di nessuno o di tutti. Ma occorre da subito andare oltre il verbo appartenere che non rende appieno la realtà della vita umana. Per la semplice ed evidente ragione che la singolarità della vita scavalca la semplice appartenenza per completarsi nella “consustanzialità”, nell’essere cosa unica, con l’individuo che vive quella vita ……un “essere tu” è molto più che essere tua…… Il corpo, questo sì, collegato alla tua, alla mia, vita, può essere posseduto, anche se più da morto che vivo. Se infatti si può decidere cosa se ne potrà fare come futuro cadavere: seppellirlo, bruciarlo, riutilizzarne parti ancora valide, non posso da vivo venderlo tutto o in parte. Le norme, se non aggirate in modo farudolento, universalmente non consentono la schiavitù o il commercio degli organi dei vivi, consentendo al massimo il dono, limitato, di alcuni organi non vitali. Ma la singolarità della vita presuppone maggiori diritti del semplice possesso del corpo. La norma può certamente stabilire che essa non può appartenere ad altri, ma ciò non è sufficiente per l’individuo che possiede la sua specifica vita …la tua vita non solo ti appartiene, tu sei la tua vita e con ciò sei la sovranità sulla tua vita…… senza di essa si cessa di essere persona, svanisce la singolarità irripetibile della singola esistenza. La sovranità, la piena sovranità, di ciascuno sulla propria vita è l’unica condizione collegabile alla singolarità della vita umana.
5 – L’inganno del bene indisponibile
In contrapposizione a queste considerazioni che consegnano all’individuo il diritto di decidere sulla propria fine vita, vengono avanzate alcune obiezioni basate su una diversa concezione della vita umana. La prima, come già anticipato, è quella che la giudica …….un bene indisponibile…… ossia un bene di cui non possiamo disporre a nostro piacimento,  di fatto assimilandola, aspetto di per sé già curioso, ad un qualsiasi oggetto patrimoniale. Il concetto di bene indisponibile compare infatti, nel contesto italiano, nella parte del Codice Civile che regola le questioni patrimoniali. Là dove per bene indisponibile si intende un bene appartenente allo Stato e destinato ad un pubblico servizio che, conseguentemente, non può essere oggetto di vendita a privati (finché lo Stato non decide di giudicarlo “disponibile, commerciabile” come frequentemente di questi tempi sta succedendo). Va da sé allora che questo bene non è per nulla indisponibile perché ha un suo padrone, esso è nella disponibilità dello Stato. Ma anche volendo concedere valore a questa sua presunta indisponibilità in nessun altro dispositivo giuridico la vita è definita come tale. Si citano, a sostegno e non a caso, solo due articoli del Codice Penale del 1930, piena era fascista, il 579 ed il 580, che rispettivamente condannano a pene dai sei ai quindici anni chiunque …….cagioni la morte di un uomo col di lui consenso…… e dai cinque ai dodici anni chi …… determina o rafforza l’altrui proposito al suicidio ovvero ne agevola l’esecuzione….. (è il reato contestato a Cappato). Nessuno di questi due articoli definisce però con chiara evidenza la vita come bene indisponibile. Tale affermazione quindi resta una contraddizione in termini per la semplice ragione che essa è alla base della pretesa dello Stato di “disporre” della vita umana. E d’altronde si è in precedenza visto che la vita è tale solo se posta in capo a qualcuno, ad un identificabile individuo, una sua indisponibilità sarebbe pertanto un’astrazione insostenibile. Tale pretesa è quindi inaccettabile anche perché …..con la stessa logica potrebbero essere sottratte le libertà religiose, di orientamento sessuale, e ogni altro aspetto “vitale” in capo all’individuo…….
6 – Non c’è natura che tenga
Una seconda obiezione, collegata alla prima nel tentativo di rafforzarla, tira in ballo la Natura. …….la vita sarebbe un bene indisponibile nel senso che si dovrebbe affidare la propria fine vita alla Natura…… Obiezione quanto meno singolare non solo perché fatta valere per la sola fine vita, ma perché contraddice clamorosamente l’intera crescita culturale umana. Dalla prima erba medicinale usata da Homo sapiens per finire alle più sofisticate terapie che utilizzano macchinari fantascientifici, tutti i tentativi umani di controbattere malattie o ferite sono sempre stati finalizzati a sottrarci al corso “naturale” delle cose …….ogni progresso medico è “contro” la Natura…… Va detto allora che la Natura, quella santificata con la N maiuscola, in effetti non esiste, è una metafora, una ipostasi per giustificare quello che “ancora” non riusciamo a conoscere e a gestire
7 – Vita e libertà
All’inconsistenza delle prime due obiezioni si cerca allora di rimediare chiamando in causa la vita stessa, anche in questo caso declinata con la V maiuscola, la Vita. Sostenendo che le fonti storiche alla base delle nostre democrazie pongono la Vita al di sopra della pretesa di titolarità dell’individuo. Eppure a leggerle bene queste stesse fonti sostengono esattamente il contrario. Nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776) si afferma solennemente che la Vita, proprio quella con V maiuscola, è, alla pari della Libertà e del perseguimento della Felicità, un diritto inalienabile di tutti gli uomini. Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789 la vita, o Vita, non è neppure citata perché essa fa tutt’uno con la libertà. Compare in compenso una fondamentale limitazione della libertà, che molto peso può avere discutendo di fine vita, là dove si afferma che essa consiste in tutto ciò ……che non nuoce ad altri….. Anche la nostra Costituzione italiana non fa un esplicito riferimento alla Vita, e tanto meno in tutti gli articoli dedicati ai diritti compare un qualche richiamo al “diritto alla vita”. Per non dire poi del “dovere” di vivere. E’ quindi possibile sostenere che non esiste nessun appiglio per affermare che queste fonti, alla base delle democrazie che formano le nostre società occidentali, sottraggano la Vita alla titolarità individuale, anzi. Compare semmai in esse un diritto altrettanto inalienabile alla vita ed alla libertà.
8 – L’improponibile argomento Dio
Per quanto sia evidente che tutte le obiezioni al diritto a decidere del proprio fine vita partano da un retroterra religioso va riconosciuto che quasi nessuno ha l’ardire di nominare Dio, ed il suo presunto volere, come ultima e insuperabile istanza in senso opposto.  ……..Dio non viene citato perché non può essere citato……. Salvo che ci si muova in un manifesto regime di teocrazia la Sua presunta volontà non può essere posta alla base di una normale dialettica democratica. Non viene inoltre messo in campo anche perché ormai viviamo, in modo diffuso pressoché universalmente, in società che vedono una pluralità di fedi e di negazione delle fedi, e quindi ……lasciare ufficiale spazio pubblico a Dio non potrebbe che offrire nuovo combustibile al conflitto teologico….. in tempi che vedono ancora troppe guerre dichiarate in Suo nome. Assumendo la democrazia, laica, come base a nessuno è lecito usare Dio, e la sua ipotetica volontà, per fissare una norma che valga per tutti, che agisca “erga omnes”. Ciò detto, riprendendo la considerazione svolta nel prologo, a nessuno, proprio perché titolare della propria vita, può essere impedito di affidare al proprio Dio la propria vita ……perché quando affermi che la tua vita appartiene al tuo Dio sei sempre tu che decidi, non Lui…….. Ma questa è cosa completamente diversa dal sostenere, con pretesa di valenza per tutti, che la vita, in quanto tale, appartiene a Dio, non fosse altro che per il fatto che ognuno, se lo ha, ha il suo.
9 – Sillogismo ricapitolativo
-  La morte è la conclusione della vita, il fine vita è quindi parte della vita, la decisione sulla morte fa parte delle decisioni sulla vita
-  La vita umana è sempre la vita di qualcuno, ha sempre cognome e nome
-  La mia vita allora se non appartiene a me appartiene ad altri perché la vita non può essere di nessuno o di tutti
-  La vita poi non “appartiene” ma è un tutt’uno con il mio “io”, non è alienabile proprio perché non è separabile da me
-  La Vita e la Natura in quanto tali non sono entità reali, ma metafore dialettiche, spesso sono solo surrogati di “Dio”
-  Che non può essere chiamato in causa nel contesto di un vero esercizio della democrazia
Ergo …….il mio diritto alla vita è il diritto di farne ciò che voglio, fine vita compreso, purché non sopprima uguale diritto dell’altro. Ogni di più, o di meno, toglie libertà. Dunque vita umana……
Capitolo secondo = Esistenzialmente
Raccomandiamo vivamente a chi avrà piacere di affrontare la lettura completa di “Questione di vita e di morte” di scorrere con attento coinvolgimento le pagine di questo Capitolo secondo. Eppure non ne tracciamo qui una sintesi analitica. La ragione sta proprio negli argomenti affrontati. Paolo Flores d’Arcais ha dedicato quasi tutto questo Capitolo a ripercorrere numerose vicende “esistenziali”, da qui il titolo del Capitolo, che, avvenute in paesi dove la legislazione in vigore non prevede il diritto alla “buona morte”, raccontano le inaudite sofferenze che donne e uomini, colpiti da malattie senza via di uscita o allo stadio terminale, sono stati costretti a “vivere” proprio per la mancanza di questo diritto. Sono racconti tanto dettagliati quanto sconvolgenti che, per la loro forza, inibiscono una “normale” sintesi”. Crediamo che i lettori del blog di CircolarMente possano, comunque e purtroppo,  supplire con la conoscenza, in qualche modo da loro già acquisita, di situazioni analoghe. Anche senza citarle diamo quindi per scontato che sia comprensibile l’amara constatazione che, su queste basi, Flores d’Arcais fa della totale mancanza di umana “pietà” in chi si arroga il diritto, il potere di decidere sulle altrui vite, e morti. Si conferma in questa mancanza di pietà quanto evidenziato nel Capitolo primo: in ballo non c’è una generale idea della sacralità della “vita”, ma il “controllo” di quella umana da parte di “altri” uomini. Non si spiega altrimenti perché quella pietà che induce tutti ad abbreviare le sofferenze, quando ormai inutili, degli animali domestici che amiamo venga così cinicamente negata quando c’è in gioco una vita umana. Ed allo stesso modo si comprendono le ragioni che inducono Flores d’Arcais ad interrogare Stati e Chiese quando evidenziano contraddittori atteggiamenti verso forme di suicidio. Tanto è negato e condannato per le esistenze del Capitolo secondo tanto è esaltato e celebrato in altri casi……il suicidio per una causa nobile è persino giudicato eroismo…… La storia è infatti piena di santi martiri, di sante che pur di mantenersi pure non esitano a darsi la morte, piuttosto che di eroi che si sono immolati per la patria o per alti valori di umanità. Esemplare, in questo senso, è la vicenda eroica di Salvo D’Acquisto. Carabiniere in servizio durante l’occupazione nazista non esita a dichiararsi colpevole di un attentato da lui mai compiuto pur di salvare ostaggi, innocenti come lui, dalla fucilazione sostituendosi a loro davanti al plotone di esecuzione. A Salvo D’Acquisto è stata, più che giustamente, riconosciuta la Medaglia d’oro al Valore Militare, ed è persino in corso la sua causa di beatificazione. Quindi anche per la Chiesa immolarsi per una giusta causa, anche non strettamente religiosa, è virtù somma. Allah non è meno misericordioso e riconoscente per chi si immola per la Jihad, se uomo sarà in Paradiso con settantadue vergini, se donna sempre in paradiso ma con un solo uomo. Come si usa dire: la domanda sorge spontanea …….se posso sacrificare la mia vita per il bene di un altro perché non posso porvi fine per  quel bene che è la fine della mia sofferenza?...... Una delle più ricorrenti obiezioni al diritto al suicidio, come diritto in capo all’individuo per evitare sofferenze che non hanno più senso e sbocco, consiste nella affermazione del “valore del dolore”. A coloro che lo esaltano, ed in particolare alle prese di posizione ecclesiastiche che, in nome della inviolabile sacralità della vita, lo reputano un mezzo per raggiungere “verità ultime”, Flores d’Arcais ricorda che il dolore non da tutti viene vissuto in questa ottica. Liberi di accettarlo per chi così lo vive, liberi di porvi fine, quando anche le terapie antidolore hanno smesso di avere senso, per chi ritiene di essere il padrone della propria vita. Il richiamo al valore del dolore consente comunque una riflessione, per certi versi inquietante, sul rapporto dolore/morte. La battaglia per la soppressione della pena di morte è ancora molto lungi dall’essere vinta, ma, con eccezioni purtroppo tutt’altro che limitate, in quasi tutti i paesi in cui ancora vige è ormai eseguita con modalità che “tentano” di limitare il dolore. Ma è una conquista di civiltà (?) recente. La storia di millenni ci racconta di esecuzioni comminate con l’aggiunta, abituale e spesso scientificamente messa a punto, di brutali torture. La crudeltà umana ha toccato vette raccapriccianti da questo punto di vista, al punto che la morte diventava per chi le subiva una vera e sospirata liberazione. Molto spesso la vera condanna, la vera pena in effetti non è consistita nella esecuzione, nella morte finale, ma nel dolore infinito della tortura. Il dolore come condanna, il dolore, più ancora della morte, come vera espiazione: quanto di queste concezioni è rimasto nella celebrazione del dolore (va da sé sempre altrui) come “valore”?
Capitolo terzo = Filosoficamente
1 – La vita degna: Sofocle, Montaigne, Kant e Leopardi
Il tema del valore della vita, ossia se essa sia sempre e comunque da perseguire, e quindi da anteporre alla legittimità del suicidio, ha da sempre attraversato il dibattito filosofico occidentale. Sofocle, nel suo “Edipo a Colono”, Leopardi, in diverse annotazioni contenute nello Zibaldone”, sono due esempi dell’interrogarsi al riguardo e della convinzione che la ragione giustamente vede nel suicidio una possibile via di uscita dalla provvisorietà insita nel vivere. Al contrario è nel pensiero kantiano che è possibile misurarsi con il più noto anatema del suicidio. Kant, nel suo “Lezioni di Etica”, riconosce che la vita non va stimata in sé e per sé e che pertanto va conservata solo se nella misura in cui si è degni di viverla. Ma subito dopo chiarisce che il suicidio non rappresenta solo la morte del corpo perché con esso viene ad annullarsi l’entità “persona”. In questa entità si concentrano tutte le qualità che compongono l’uomo e quindi, annullandola, si sopprime la condizione ultima dell’essere persona. Con il suicidio pertanto …….si oltrepassa ogni limite dell’uso del libero arbitrio perché tale uso è possibile solo mediante l’esistenza del soggetto…..  Un ragionamento circolare, secondo Flores d’Arcais, che sfocia in una evidente contraddizione. Nel contrapporre corpo e persona da una parte si crea il presupposto che la persona possieda, anche il corpo, di cui potrebbe liberamente disporre, ma dall’altra che la persona non possa possedere sé stessa ……In tal modo però si presuppone, come premessa, quanto si dovrebbe dimostrare…..ossia il poter  o meno disporre della propria vita……. Molto più prosaicamente Montaigne riconsegna all’individuo l’esercizio pieno, purché consapevole, del libero arbitrio che implica anche l’ultima parola sul proprio vivere. Non diversamente Leopardi, nel suo “Dialogo di Plotino e Porfirio” fa dire a quest’ultimo ……ma con quale barbarie quel tuo decreto impone che all’uomo non sia lecito por fine ai suoi patimenti, ai dolori, alle angosce?……
2 – Un circolo vizioso e la risposta di Hume
Non solo un ragionamento che si attorciglia su sé stesso presentando come dimostrazione quello che doveva essere dimostrato, ma che non dice per quali ragioni il più alto di tutti i doveri sia quello del “mantenimento di sé come persona”. E quando Kant tenta di indicare queste ragioni torna là da dove voleva partire allorché affermava di voler parlare del suicidio in termini di “ragione” e quindi “indipendentemente dall’aspetto religioso”. E lo fa con un’enfasi totale lontanissima dall’esercizio della “ragione”: annullare la persona altro non è, a suo avviso, che un atto di ribellione contro Dio, ed è Dio il nostro proprietario. Hume risponde a Kant  difendendo il suicidio che ……quando circostanze della vita lo impongono può andare d’accordo con l’interesse ed il dovere che abbiamo verso noi stessi ……. Rovesciando in questo modo il sillogismo kantiano: non sono i doveri che costituiscono l’uomo, ma al contrario i doveri per esistere ed essere esercitati devono presupporre un soggetto umano. Flores d’Arcais chiude questo excursus nel mondo filosofico citando ancora Leopardi ed il suo Porfirio ……strano mi riuscirebbe che non avendo la natura o volontà o potere di farmi né felice né libero avesse facoltà di obbligarmi e vivere……
Capitolo quarto = Giuridicamente
1 – Sedazione profonda permanente
Nello stesso campo del Diritto, per quanto siano indispensabili leggi e norme chiare sull’esercizio del fine vita, non mancano già ora alcune importanti indicazioni troppo spesso non pienamente rese operative. Articolo 32 della Costituzione Italiana ….nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge….che non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana….. La Legge 145 del 2001, nel recepire la “Convenzione sui diritti umani e la biomedicina” (Oviedo 1997) cita che …..l’interesse ed il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza….un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato….. La legge 38 del 2010 (Normativa dell’ospedale senza dolore) evidenzia che …..il dolore è un male…… e come tale va il più possibile contenuto se non eliminato …..cure palliative e terapia del dolore costituiscono obiettivi prioritari…… Tre importanti riferimenti giuridici che già aprono rilevanti prospettive sul fine vita. In particolare nelle terapie contro il dolore è ormai assodato il diritto del malato alla “sedazione definitiva permanente”. Lo testimoniano due esempi di accompagnamento alla morte mediante sedazione, di campo completamente opposto, citati da Flores d’Arcais per l’impatto avuto sulla pubblica opinione: il Cardinale Carlo Maria Martini e Marina Ripa di Meana. Diventa una questione di lana caprina distinguere la sedazione profonda, che implica il permanere di semplici funzioni biologiche in una persona “ormai definitivamente priva di coscienza”, da altri interventi definibili di eutanasia. Non sembra quindi privo di ipocrisia il contrasto tra molte delle “pratiche” mediche attualmente già messe in atto, in ottemperanza a precise disposizioni di Legge, ed il rifiuto ostinato di dare spazio ad un esercizio ancor più pieno del fine vita
2 – China pericolosa e casi di confine + 3 – Eutanasia prenatale
In effetti il diritto a morire è già presente nelle norme di Legge e nelle pratiche mediche, più volte la Cassazione, deliberando su casi specifici sempre sollevati dai difensori ad oltranza della vita, ha sentenziato il diritto al rifiuto di trattamenti terapeutici anche quando tale rifiuto, in casi specifici, comporti di fatto la morte certa. Secondo tali difensori rappresenta una china pericolosa questa concessione al malato del diritto di “decidere” se proseguire determinati trattamenti. Si prospettano, secondo queste opinioni, pericolose possibilità di abusi, di volontà pilotate e indirizzate, di coinvolgimento di minori o di persone condizionabili. E’ bene quindi precisare cosa si debba intendere per “decisione”: questa deve essere sempre e comunque: un atto in capo ad una persona ……adulta, presa in piena coscienza e conoscenza, reiterata e costante, che esprima una volontà profonda e non occasionale o legata ad una situazione psicofisica transitoria….. A questa precisione, inderogabile, va poi aggiunta la consapevolezza che esisteranno sempre e comunque “casi di confine” nei quali diventa difficile avere adeguata certezza della reale volontà del soggetto. Una giusta normativa sull’eutanasia deve quindi prevedere l’intervento di più competenze e specializzazioni. Anche per evitare che i “casi di confine” diventino un aggancio strumentale per inficiare l’intera possibilità di ricorrervi. Il caso di confine che più interroga le nostre coscienze è certamente quello dell’eutanasia prenatale. Chi e come può decidere quando la persona coinvolta da malattie devastanti ed incurabili è un neonato, un soggetto fisiologicamente incapace di esprimere la propria volontà? In Olanda è diventata legge la possibilità del ricorso all’eutanasia anche per queste situazioni. I criteri, ancor più rigidi e vincolanti, che la conformano hanno una valenza di indicazione universale e dimostrano come sia possibile, per quanto agghiacciante sia il campo di applicazione, fissare norme precise di comportamento: diagnosi e prognosi certe – presenza di sofferenza ingestibili e insopportabili – più gradi ripetuti di valutazione medica – consenso informato dei genitori – procedura eseguita con la massima attenzione in ottemperanza agli standard medici. Parlare, su queste basi, di Rupe Tarpea e di Sparta può significare soltanto l’intenzione di mistificare ed inquinare il dibattito al riguardo
4 – Il caso Lucio Magri
Lucio Magri, noto politico e uomo di profonda cultura, ha deciso di suicidarsi dopo la scomparsa della sua compagna ed il comparire di una malattia ormai incurabile. Ma è stata soprattutto la sua incapacità di reggere alla solitudine a spingerlo alla lucida volontà di darsi la morte. Come Dj Fabo è stato costretto a recarsi in Svizzera in una di quelle che chiamano “cliniche della morte”. Rispetto a Dj Fabo Lucio Magri per un certo verso era “messo meglio” e per un altro la sua scelta era persino più divisiva. Meglio perché egli poteva muoversi ed in Svizzera è stato accompagnato da Rossana Rossanda unicamente per avere il conforto di una amica e compagna di lotte da sempre. Più divisiva come impatto sull’opinione pubblica perché, per quanto affetto da un male incurabile in stadio avanzato (condizione sine qua non per accedere a tali cliniche), per sua stessa ammissione la vera spinta al suicidio era il vuoto esistenziale: dopo la scomparsa della compagna la sua vita non aveva più senso. …..quando Mara è scomparsa ha portato via con sé tutta la mia voglia di vivere ed ero già pronto a seguirla……può essere solo un simbolo, ma non è poco…… E’ una vicenda, come tantissime altre meno famose e chiacchierate, che apre uno spiraglio sulla diversità delle motivazioni che possono indurre una persona, adulta e consapevole, a volere la propria fine vita. Restano anche per questi casi le domande sulla possibilità per l’individuo del pieno esercizio del suo inalienabile diritto di decidere sulla propria vita nel proprio paese
Capitolo quinto = Cattolicamente
1 – Promessa di laicità di due Cardinali  e un arcivescovo
In questo ultimo Capitolo Flores d’Arcais si confronta con il pensiero che di più ispira le posizioni di condanna dell’eutanasia: quello che fa capo alle posizioni ufficiali della Chiesa Cattolica. Lo fa riprendendo i temi di un confronto che dura da tempo, avvenuto anche in dibattiti pubblici, con tre esponenti di alto livello nelle gerarchia ecclesiastica: i cardinali Elio Sgreccia e Dionigi Tettamanzi, autori dei due manuali di riferimento per la bioetica cattolica, e l’arcivescovo Vincenzo Paglia in qualità di Presidente della Pontificia Accademia per la vita. La premessa che ha ispirato questo confronto è stata quella di misurarsi sul piano della pura razionalità escludendo quindi la variabile “Dio”.
2 – Una canagliesca amalgama ecclesiastica
Alla premessa non sembra tuttavia fare seguito una adeguata rispondenza. La prima risentita replica di Flores d’Arcais nasce come risposta all’equivoco accostamento, talvolta avanzato con termini sfumati ma non meno strumentali, del diritto all’eutanasia alle pratiche naziste di eliminazione sistematica e organizzata di tutte le persone non rispondenti ai canoni ariani di umanità. Accostamento ……immondo….. secondo Flores d’Arcais perché il disegno nazista di una purezza di razza non ha nulla a che vedere con il riconoscimento ……al singolo individuo…… del diritto di decidere …..della propria vita e della propria morte…..Una assimilazione non soltanto insostenibile ma che, esattamente al contrario, dimostra proprio quali rischi si possono correre quando questo diritto, negato al legittimo proprietario della sua esistenza, viene “assorbito” da un “terzo” che si arroga di conseguenza il potere di decidere chi ha titolo di vivere e chi no. Su questo stesso equivoco si muove una seconda contestazione da parte cattolica: l’eutanasia sarebbe un atto deliberato che pone fine alla vita di un malato grave, e quindi una sorta di esecuzione su commissione. Manca in questa definizione un aggettivo quanto mai qualificante: quel malato grave è ……consenziente ed anzi di quel porre fine alla propria vita ha fatto richiesta e spesso supplica…… Non si è quindi di fronte ad una pratica para-nazista di eliminazione, di una scelta generica fra vita e morte, ma di decidere se accettare o meno una precisa ed inequivocabile richiesta avanzata dal diretto interessato. Si collega a queste due critiche una terza affermazione: quella che i progressi della medicina consentono ormai di rendere possibile la sopportazione dei dolori terminali. Una affermazione portata avanti da alcuni polemisti cattolici ma in buona misura accantonata dai tre ecclesiastici, consapevoli che l’esperienza diffusa dimostri invece che le sofferenze che accompagnano molte malattie sono e restano, nonostante le cure palliative, sempre molto grandi
3 – Chi chiede l’eutanasia non sa quello che vuole?
Sono proprie queste grandi sofferenze che, abbandonate le prime equivoche obiezioni, inducono i tre ecclesiastici a sostenere l’impossibilità di penetrare e scandagliare ciò che realmente si agita nell’animo del malato terminale. La risposta di Flores d’Arcais si muove sul piano del realismo interpretativo ……se quello che accade in “interiore homine” è davvero indecifrabile perché mai l’interpretazione dovrebbe essere diversa dalla esplicite e reiterate espressioni rese in condizioni di lucidità e consapevolezza accertate per quanto umanamente possibile?...... Perché mai, in altri termini, il difficile entrare nell’animo altrui, per chi vive dal di fuori quelle sofferenze, dovrebbe condurre a non ritenere valida una volontà espressa ripetutamente ed insistentemente? E’ accettabile, come conseguenza del difficile entrare nel dolore altrui, ritenere che chi richiede l’eutanasia sia soltanto vittima di una situazione che non riesce a dominare e non una persona che pretende di esercitare una chiara scelta su sé stesso? Oppure, come viene ventilato in aggiunta di “tradurre” questa richiesta in una semplice domanda di accompagnamento, di aiuto a non soffrire e non in una consapevole volontà di fine vita? Non si comprende in base a quale diritto di interpretazione e traduzione questa volontà, se espressa chiaramente e ripetutamente, possa essere diversamente declinata. Ed ancora viene chiesto, dal punto di vista cattolico, se la decisione di togliersi la vita sia un vero esercizio di libertà. Domanda retorica secondo Flores dìArcais, perché include in sé la risposta, ossia che proprio quel cumulo di sofferenze privino il malato della facoltà di decidere “liberamente”. Ma così ci si infila, replica Flores d’Arcais, in un circolo vizioso creato strumentalmente ad arte ……se non stati soffrendo non hai motivo di toglierti la vita ma se stai soffrendo non ne hai diritto proprio perché stai soffrendo…… E resta comunque inamovibile il fatto che, al di là dell’essere ritenuto libero piuttosto che condizionato, non esiste altro elemento da assumere come probante che non sia la precisa volontà espressa dal soggetto interessato.
4 – Welby, Montanelli e la dignità
Viene poi contestato l’uso del termine “dignità” o “vita degna” o ancora “qualità della vita” come ragione da molti addotta per giustificare, quando queste vengano a mancare, la propria volontà di fine vita. Si sostiene che ricorrere alla personale definizione del livello minimo di dignità del vivere – quello che, per citare due esempi ben noti all’opinione pubblica, Welby ripetutamente riteneva di aver ormai perso da quando la malattia lo aveva ridotto all’immobilità totale e definitiva, oppure quello che Montanelli personalmente fissava nel non essere più in grado di “andare in bagno da solo – riduca la dignità a valore totalmente soggettivo e quindi stabilito in maniera del tutto individuale. Ma è esattamente quello che deve essere è la replica di Flores d’Arcais: chi altri avrebbe titolo a decidere questo livello minimo? Chi o cosa potrebbe arrogarsi il potere di fissarlo “erga omnes” come indiscutibile “oggettività”? In questo campo ……non ci sono decisioni che possano prese da “entità” che non siano individui…….. e quindi conseguentemente sono sempre valutazioni soggettive. L’unica oggettività resta quella di dare riscontro alle volontà espresse dall’unico titolare della vita in questione.
5 – L’ovvietà della relazionalità
Le obiezioni di matrice cattolica fanno entrare in campo un altro soggetto: il medico, ed il suo ruolo. Secondo queste obiezioni il riconoscimento del diritto all’eutanasia capovolgerebbe il ruolo del medico da “servitore della vita” a “collaboratore della morte”.  Ancora una volta è indispensabile essere chiari sulle definizioni. Flores d’Arcais evidenzia infatti che il medico non è “servitore della vita come astrazione”, ma il servitore di “una vita” ben specifica, della “mia vita”, un servitore quindi ……che non ha il diritto di farmi vivere nel senso della permanenza biologica di alcune funzioni vitali ad oltranza…… E non a caso, come si è visto in precedenza, accanimento terapeutico e terapie senza consenso non sono più praticabili secondo le stesse indicazioni della deontologia medica. Si aggiunge allora, a sostegno dell’obiezione, un ulteriore elemento: decisioni come queste devono essere assunte in un ambito relazionale che coinvolge il malato, la sua famiglia, il medico e l’intera società, la scelta deve essere il frutto di un percorso relazionale che coinvolga tutti questi protagonisti. Nulla da obiettare sull’opportunità di un confronto aperto e sincero sostiene in risposta Flores d’Arcais……ma se questi quattro soggetti palesano criteri differenti quale dovrebbe alla fin fine imporsi?.......Non esiste a suo avviso altra risposta: sulla mia vita l’ultima e definitiva parola non può che spettare a me. Non è peraltro sostenibile, come viene ulteriormente affermato, che assolutizzare l’autonomia del malato implichi una scelta egoistica. Semmai vale l’esatto contrario: sarebbe egoismo che altri impongano il loro punto di vista giocandolo sulla vita del soggetto coinvolto. Se è quanto mai auspicabile  che attorno al malato si sviluppi al meglio un contesto relazionale ed affettivo in grado di dare sostegno, conforto, amore, non può essere cancellata la consapevolezza che ……questa relazionalità ha sempre una sua gerarchia, e la stessa religione chiede di “amare il prossimo tuo come te stesso” non “più di te stesso”…….. Non si può quindi chiedere, o peggio ancora imporre, all’individuo, salvo che questa sia la sua precisa volontà, di rinunciare ad una propria scelta per privilegiare quella di altri
6 -  Solitudine, amore, carità
Ma se così s’ha da fare, è l’ulteriore replica critica, questa maggiore libertà individuale porta però ad una maggiore solitudine, ad un vuoto d’amore. Ma perché mai, risponde Flores d’Arcais ……amare è aiutare la persona amata secondo quanto ci chiede non secondo il nostro desiderio….. Non è certo il riconoscimento dell’autonomia di ogni persona nel momento di scelte così cruciali che implica automaticamente solitudine e abbandono. Se l’accettazione della volontà del soggetto interessato fosse vissuta, come dovrebbe essere, con carità ed amore il momento del fine vita sarebbe il miglior suggello per una esistenza che si chiude con serena dignità
7 – L’alleanza terapeutica e il medico che vorremmo
In risposta ad ulteriori perplessità che da parte cattolica vengono avanzate sul ruolo del medico in casi di eutanasia, quelle che si traducono nella esplicita richiesta del “diritto all’obiezione di coscienza”, Flores d’Arcais precisa che il curare medico, il “prendersi cura” del malato, non può essere altra cosa, quando le cure non hanno più effetto, dal seguire ed eseguire la sua volontà. ……con medici così, davvero alleati, la stessa paura di morire può collassare e spingere a prolungare il proprio vivere le sofferenze proprio contando sulla certezza che il medico alleato rispetterà il momento in cui diremo “adesso non ha più senso”…..
8 – altri “non sequitur”  ecclesiastici
Uno degli argomenti più ricorrenti nell’opposizione cattolica all’eutanasia consiste nel ritenere che tale diritto potrebbe, con tutti i necessari limiti, essere riconosciuto per i malati terminali ma, una volta introdotto, inevitabilmente aprirebbe la strada ad un suo utilizzo ben più ampio e indiscriminato. La replica di Flores d’Arcais è perentoria ……..si tratta di un non argomento per eccellenza……. Il diritto all’eutanasia per i malati terminali dovrà essere riconosciuto con una apposita legge che fisserà modalità e circostanze di applicazione. Altri diversi diritti, alcuni dei quali sono stati affrontati anche in questo saggio, richiederanno  altro consenso e altre leggi …..tale diverso diritto dovrà essere argomentato indipendentemente dal primo…… L’inaccettabile forzatura, troppo spesso avanzata, che al diritto faccia seguito, per il solo fatto di essere stato riconosciuto, il dovere “di morire” è argomento inconsistente sia dal punto di visto logico che da quello giuridico. Un ultimo appiglio, che viene infine usato per scardinare l’intero dibattito, parte dal presunto riconoscimento, in camera caritatis, della titolarità del proprio corpo e della propria vita ma precisando che la natura di tale titolarità non può consistere nell’essere padrone, proprietario, ma nell’essere …….custode amorevole e fedele……. Flores d’Arcais si limita ad evidenziare …….ma custode per conto di chi?...... Questa ultima obiezione rivela infatti a suo avviso che tutte quelle avanzate, peraltro utili anche a chi le rigetta ad arricchire il bagaglio di ragioni a favore del diritto all’eutanasia, si rivelano una sorta di fuoco di sbarramento per celare la vera ed unica ragione ostativa: la vita umana ha un solo ed unico “padrone”: il Dio della fede cristiana e cattolica.
9 – Tettamanzi ammette che solo la fede giustifica il no assoluto all’eutanasia
…..insomma le premesse di dialogo puramente umano, spesso avanzate in buona fede, non reggono le conseguenze logiche ineluttabili in un discorso privo delle incursioni della volontà di Dio……. Al di là quindi della sincera disponibilità al confronto emerge in definitiva la completa e totale ottemperanza a quanto richiamato nell’enciclica “Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II, là dove fa leva su un unico irrefutabile argomento di fede: Dio solo ha il potere di far morire e far vivere, in ottemperanza a quanto citato in almeno tre passi biblici: “Sono io che do la morte o faccio vivere”. Il cardinale Tettamanzi, in un dibattito a due con Flores d’Arcais, riconosce apertamente che ….il no assoluto all’eutanasia o si radica in una prospettiva di fede religiosa o diversamente, almeno in termini assoluti, non regge……. E con questo si torna però all’assunto di partenza già richiamato nel Prologo: riconoscere che la vita, ed il conseguente diritto al fine vita, sta in capo esclusivo all’individuo che quella vita vive non esclude ma permette a chi aderisce ad una visione di fede di essere fedele agli eventuali precetti in materia, allo stesso tempo però pone chi non condivide tale fede di agire diversamente. La questione resta sempre la stessa: la libertà di decidere sulla “mia” vita.
10 – Lo confessa anche il Papa
Che la posizione ufficiale della Chiesa cattolica poggi esclusivamente su considerazione di fede è ulteriormente confermato dal già richiamato richiamo al “valore del dolore”. Nella prospettiva religiosa sofferenza e morte mantengono un loro intrecciato senso. Nelle ufficiali prese di posizioni papali, come testimonia l’Enciclica citata, non c’è spazio per argomentazioni razionali e “laiche”: la morte, ed il modo in cui si muore, altro non è che un passaggio verso la vera vita, quella eterna, un ritorno nella casa dell’unico padrone della Vita. Con tutto il rispetto per chi vive in questa prospettiva di fede nulla cambia in merito alla libertà di pensarla diversamente
11 – Cattolici per il diritto all’eutanasia: Kung, Franzoni e san Filippo Neri
Va detto peraltro che anche nel campo cattoliche si manifestano posizioni differenti …….esiste una difesa cristiana del diritto all’eutanasia…… Hans Kung, da molti considerato il massimo teologo cattolico vivente, in più occasioni si è pronunciato esplicitamente al riguardo sulla base di motivazioni strettamente teologiche. Queste, contestando il richiamo arbitrario di alcuni passi biblici, consistono sostanzialmente nel ritenere che il dono della vita da parte di Dio consegna all’uomo la piena responsabilità di vivere al meglio, in una autonomia basata comunque sulla “teonomia” (Legge di Dio), questo dono. Questa responsabilità, che vale anche per il modo di vivere la morte, deve, per dare senso al dono stesso, restare fino in fondo in capo all’uomo e non essere restituita a Dio nel momento delle scelte più ardue. …….con la libertà Dio ha dato all’uomo anche il diritto alla totale autodeterminazione che non significa affatto arbitrio, ma libertà di coscienza…… Esistono quindi voci che “cristianamente” sostengono che il diritto alla vita non equivale ad una coercizione a vivere.  A quella di Kung si è affiancata quella di Don Giovanni Franzoni, il più giovane vescovo partecipante al Concilio Vaticano II., che cita san Giovanni Moro, indicato dalla Chiesa come modello e patrono dei politici cattolici, che nel suo “Utopia” immagina addirittura che siano i sacerdoti, ed i magistrati, a esortare al suicidio …..coloro per i quali la vita non è che tormento…… Ed in fondo l’eutanasia ha persino il suo santo patrono: san Filippo Neri. Proclamato santo sulla base di miracoli accertati, uno dei quali lo vide posare le mani sul viso di una donna malata terminale, e al tempo, siamo in pieno Seicento, certo non assistita da cure palliative, per far sì che la sua anima fosse finalmente lasciata libera da quel corpo troppo sofferente. Immagine tragicamente poetica, ma è comunque la descrizione di una miracolosa eutanasia.
12 – Già Pio XII…..
Il 24 Febbraio 1957 Pio XII, Papa decisamente conservatore, partecipando ad un congresso di anestesisti, così rispose alla domanda se era religiosamente lecito la soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici ….. se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: si ……..
Si è già visto in precedenza che la sedazione totale, alla quale è ricorso lo stesso cardinale Carlo Maria Martini, è clinicamente parlando una “morte dolce”.
Capitolo sesto = Commiato,
 ovvero perché la tua vita sia tua occorre lottare
1 – La vita è un dono. La vita è sacra. Appunto!
L’eutanasia è un diritto, non un dovere. Codificarlo con una Legge lascia ciascuno libero di agire in coerenza con le proprie idee. Come evidenziato da Hans Kung la vita è un dono ….. come tale appartiene a chi lo riceve …… negarlo significa ridurla ad un prestito, in alcuni casi onerosissimo. La vita è sacra. Lo è non la Vita, genericamente definita, ma vita in ispecie umana. Perché lo sia deve appartenere ad un uomo, e quell’uomo, nella sua interezza, non solo la possiede ma “è quella vita”. …… in realtà la vita è innanzitutto un nudo “fatto”, che non abbiamo scelto, ma che possiamo scegliere, a differenza dell’animale che può solo lasciarsi morire ….. In questi pochi concetti consiste l’inalienabile diritto a scegliere il “mio” fine vita
2 -  Contro i “più eguali”, ribellati
Contro questo diritto non può essere invocato Dio, non può essere invocata la Natura.  ….. e se ci riconoscessimo eguali che ognuno scelga il proprio fine vita andrebbe da sé …… Ma qualcuno ancora insiste a sentirsi “più eguale” ……. come i maiali della Fattoria degli animali di Orwell …… ed insiste ad imporre il suo punto di vista, a sopraffare le volontà e le idee di chi la pensa diversamente. Flores d’Arcais chiude il suo saggio con un accorato invito alla ribellione contro questa sopraffazione.