domenica 21 febbraio 2021

Quale termine per definire il Potere globale?

 

Quale termine può meglio definire

l’attuale sistema di potere globale?

Ovviamente, nessun termine può da solo pienamente definire un sistema complesso composto da innumerevoli componenti in continua e correlata evoluzione, ma è pur vero che la necessità di “battezzare” un qualche processo storico è da sempre una esigenza sentita, ed a nostro modesto avviso condivisibile, per “capire meglio di cosa stiamo parlando”. La scelta del termine che abbia questa valenza sintetica si fa poi ancora più ardua quando lo si riferisce ad un contesto storico contemporaneo ancora in corso di completamento. Ed è esattamente questo il caso della denominazione che meglio dovrebbe fissare la caratteristica fondamentale del  sistema di “Potere” che si è conformato a cavallo del nuovo millennio caratterizzato da un quadro economico ormai pienamente globalizzato, ma da tempo sottoposto a forte fibrillazione, dalla crescente irruzione di nuove forme di produzione e ricchezza legate al formidabile sviluppo tecnologico, dalla collegata crisi della “democrazia” e del ruolo dello “Stato”, dalla profonda trasformazione delle comunicazioni e delle informazioni. In diversi saggi presentati in questo nostro blog in qualche modo dedicati all’analisi dell’attuale sistema globale il termine usato per definire l’attuale potere mondializzato è quello di “plutocrazia”. Lo usa ad esempio Massimo Salvadori nel suo saggio “Progresso”, nostro ultimo post, è uno dei cavalli di battaglia di Noam Chomsky, padre nobile della sinistra USA, ed ancora più esplicitamente utilizzato, tanto da essere il titolo del suo saggio,

da Chrystia Freeland (politica e giornalista canadese, decimo vice-Primo ministro del Canada dal 20 novembre 2019 e ministro delle finanze dal 2020).

L’opinione della Freeland, maturata prima dall’esterno come giornalista economica del Financial Times e poi dall’interno come autorevole membro del governo canadese, è netta: il potere globale è oggi saldamente nelle mani di un ristrettissimo ceto di “ricchi”. Non a caso il sottotiolo del suo saggio cita: “L’ascesa dei nuovi super-ricchi globali e la caduta di tutti gli altri”  E d’altronde Il termine “plutocrazia” significa esattamente questo: la combinazione di plùtos, ricchezza e, krateìn, potere, indica il predominio di individui o gruppi che, grazie alla disponibilità di enormi capitali, sono in grado d'influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici ed economici. Non è un termine nuovo, anzi si può sicuramente dire che lo ricopre, o meglio lo ricopriva, una patina di muffa essendo entrato nell’uso politico come termine dispregiativo a cavallo tra Ottocento e Novecento, per essere poi molto usato nella ipocrita retorica propagandistica fascista contro le nazioni forti dell’Occidente di allora. Tanto da restare a lungo confinato alle classiche immagini del “capitalista”, figura peraltro strettamente connessa ad una ricchezza che ancora teneva insieme finanza e produzione, banca e fabbrica

Oggi i vari Salvadori, Chomsky e Freeland usano il termine “plutocrazia” per riferirsi ad un nuovo ceto di ricchi

e a livelli di ricchezza mai raggiunti nella storia: Marco Crasso, il più facoltoso dell’antica Roma, aveva una rendita annua pari al reddito di 32 mila cittadini romani. John D. Rockefeller, simbolo dell’opulenza americana degli anni Cinquanta, guadagnava quanto 116mila concittadini, oggi i vari Jeff Bezos, Bill Gates, Mark Zucherberg, Elon Musk, Carlos Slim, tanto per citarne alcuni, detengono la stessa ricchezza di decine di milioni di persone. E, aspetto tutt’altro che secondario, non possiedono fabbriche, non fanno più “produzione”. Generalmente non sono “figli di papà”, non hanno ereditato ricchezze già create, sono quasi tutti persone che i soldi li hanno fatti da sé. Uomini (le donne sono pochissime, e quasi sempre mogli o figlie) che generalmente provengono dalle migliori università. Valgono in termini numerici una fascia della popolazione ristrettissima: mediamente lo 0,1%, che ad esempio negli USA consiste in 16 mila famiglie le quali, dall’1% del PIL statunitense posseduto nel 1980 sono passate a possederne il 5%. Questa élite internazionale, che accomuna i super-ricchi americani, medio-orientali, europei, ma anche russi e cinesi, ha costruito impressionanti ricchezze sfruttando fondamentalmente i due fattori caratterizzanti questi ultimi decenni: il mondo globalizzato e l’innovazione tecnologica. Peraltro il loro numero è così ridotto da giustificare l’utilizzo parallelo di un altro termine che non modifica la base del loro potere, sempre legata alla ricchezza posseduta, al “plutos”, ma accentua questo dato numerico: “oligarchia”, vale a dire il “potere di pochi”. Ma, indipendentemente dal loro numero e dalle modalità di accumulazione delle loro ricchezze, è indubbio che il peso di plutocrati, o oligarchi che dir si voglia, si faccia ampiamente sentire in tutti gli ambiti ed in tutti i processi di decisione politica ed economica. Questo nuovo significato di plutocrazia”, perfettamente adattato ai nostri tempi, deve però già misurarsi con una nuova significativa variante specificativa: “info-plutocrazia”.   Per oltre diecimila anni il mondo ha vissuto cambiamenti non meno drastici di quelli attuali ma sicuramente molto più lenti, tanto da richiedere più generazioni per completarsi dando così tempo per meglio comprenderli e definirli. L’attuale processo di digitalizzazione delle relazioni socio-economiche, ossia il ‘Capitalismo immateriale’, ha tempi rapidissimi. Le regole base di comportamento della dimensione immateriale, sono assai diverse da quelle della dimensione materiale ed i suoi protagonisti di vertice hanno imparato altrettanto in fretta a gestire al meglio, per loro, questa nuova regolamentazione. Facendo diventare prevalente il possesso ed il controllo delle “reti” rispetto a tutte le altre modalità di creazione di ricchezza. Tutte le attività economiche realizzate da produttori – capitale e lavoro – devono ormai appoggiarsi per lo sbocco finale sul mercato a pochi intermediari monopolisti/oligopolisti che estraggono la maggior parte del valore dal controllo della intermediazione e della informazione informatiche. Siamo nell’ambito della più generale “plutocrazia”, ma ci sono le condizioni oggettive per evidenziare al suo interno un predominio che potremmo chiamare a buon titoloinfo-plutocrazia” sicuramente destinato ad accentuarsi nel prossimo futuro.  Completiamo questa panoramica semantica, che non ha certo la pretesa di addentrarsi nel merito delle questioni di fondo che investono ben altre sfere che quella terminologica, con un termine che ci viene suggerito da Fabio Armao, (docente di Scienze Politiche all’Università di Torino e nostro gradito relatore nel 2018 per una conferenza dal titolo “Nuove forme di criminalità organizzata e delinquenza giovanile”)


che ha recentemente pubblicato un saggio con titolo:

Armao concentra la sua attenzione su un aspetto tutt’altro che secondario dell’attuale temperie. E’ indubbio che uno degli aspetti dell’attuale sistema di potere globale consista nel superamento della dimensione dello “Stato nazionale” e nella correlata difficoltà di istituzionalizzare nuovi organismi adeguato al contesto globalizzato, e questo tratto implica una sorta di caos planetario, al cui interno si confrontano/scontrano le opposte visioni del mercato occidentale ed orientale, che non appare al momenti avere un sicuro vincitore. E’ la situazione ideale per una componente del sistema di potere mondiale tanto potente quanto trascurata: la criminalità organizzata di alto livello. Usando le parole di Armao si può sostenere che questo ……. restringersi del ruolo delle istituzioni statali non determina un vuoto di potere. Semmai dà origine a nuove forme di aggregazione sociale, e a un vero e proprio nuovo tipo di regime politico che abbiamo chiamato “oikocrazia(letteralmente oikos significa “casa”, ma per estensione può indicare la “famiglia”, il “clan”) , basato sul ritorno del clan al centro del contesto sociale …….  Una sorta di ritorno a vincoli precedenti all’appartenenza nazionale e statale che, per Armao, può accompagnarsi alla stessa “plutocrazia” in un ridisegno delle strutture di potere in cui i possessori di ricchezze, lecite ed illecite, agiscono, e vieppiù  si arricchiscono, sulla base di logiche da “clan”. E’ una presa d’atto che anche il “lato oscuro” della società ha titoli per proporsi come modello di gestione del potere su scala globale. Non sarebbe una brutta idea immaginare, non appena la pandemia lascerà spazio alle nostre iniziative “normali”  di avere nuovamente Armao come relatore per farci meglio illustrare la sua idea di “oikocrazia





domenica 14 febbraio 2021

L'idea di progresso - Saggio di Massimo Salvadori

 

Ancora qualche appunto attorno all’idea di “PROGRESSO”

“Progresso” è stata la nostra “parola del mese” di Luglio 2020. Guidati dal breve saggio dello storico Aldo Schiavone

 con titolo omonimo


abbiamo avviato una riflessione su un concetto, un’idea guida, che da tempo, dopo avere a lungo ispirato la moderna civiltà occidentale, sembra essere seriamente messa in discussione. Due sono i fattori più recenti che, in aggiunta a quelli di più lungo periodo, spiegano la sfiducia, lo scetticismo, che ormai aleggiano attorno alla sua presunta inarrestabilità: alla ormai consolidata consapevolezza che la direzione assunta dal “progresso”, in primo luogo economico e produttivo e soprattutto nelle forme assunte con la globalizzazione, sia la causa principale delle sempre più drammatiche emergenze ambientale e climatica si è infatti aggiunto lo shock pandemico che da più di un anno ha seriamente incrinato la presunzione umana di avere ormai “sotto controllo” l’intera gamma degli elementi, natura compresa, che concorrono al progredire umano. Ma più in generale l’intero Occidente, con il nostro paese in prima fila, da alcuni decenni convive con la sensazione che la freccia del tempo, che dal secondo dopoguerra sembrava puntare costantemente in avanti, in alto, abbia invertito la sua direzione. Il saggio di Schiavone, pur riconoscendo il peso dei tanti problemi e delle tante contraddizioni, però ancora sostiene una fiducia incrollabile nell’idea di “progresso” che giudica essere il vero motore dell’intera storia umana. A suo avviso l’inarrestabile corsa in avanti di scienza e tecnica sempre più consentono all’uomo, dotandolo di potenzialità straordinarie, di immaginare una sua definitiva uscita dal “naturale” creando così, a condizione di una “politica” all’altezza del suo ruolo di governo dei processi umani, le condizioni per una umanità socialmente più giusta e più rispettosa dell’equilibrio ecologico del pianeta. Una visione, quella di Schiavone, decisamente ottimistica ed incoraggiante. Alla quale fanno da contraltare opinioni di tutt’altro segno, molto meno convinte che l’idea di “progresso”, così come si è fin qui manifestata e cresciuta, possa avere ancora identico valore e futuro. Fra le tante, all’interno di una riflessione destinata, anche per noi di CircolarMente, a restare centrale, presentiamo quella di un altro storico: Massimo Salvadori


che, con la sua abituale straordinaria dote di sintesi, ci guida in modo critico a ripercorrere, fino ai dubbi e alle lacerazioni attuali, l’intera storia dell’idea di progresso


seguendola nelle sue diverse declinazioni da parte delle varie correnti di pensiero, filosofico e politico, che hanno segnato la modernità occidentale. Ci limitiamo, in questo post, a riassumere per “appunti” la ricostruzione storica di Massimo Salvadori ritenendola una traccia utile per l’indispensabile preliminare conoscenza di come è storicamente evoluta un’idea che deve essere sicuramente ridefinita e adattata agli attuali contesti globali.

*   A lungo l’idea di “progresso”, e questo stesso termine, non ha avuto riconoscimento nella cultura occidentale, essendo stata inizialmente un concetto totalmente estraneo alla classicità greco-romana e successivamente intesa come un possibile miglioramento di carattere spirituale pienamente assorbito nella visione salvifica del cristianesimo

*   Alcuni germogli di una visione del futuro orientata verso un certo progredire si affacciano in Europa all’indomani della peste nera del Trecento e crescono, ma in modo ancora incerto, sotterraneo, indefinito, nei due secoli successivi così funestati da continue guerre e dai conflitti religiosi

*   Bisogna attendere la rivoluzione scientifica del Seicento per trovare alcuni meno timidi accenni alla possibilità che l’umanità orienti l’insieme delle sue azioni verso un complessivo progredire assunto come guida e finalità ultima

*   Ma è solo con il settecentesco Illuminismo che si afferma con più pienezza la convinzione che sia data all’umanità la facoltà di evolvere ad uno stadio di vita qualitativamente superiore, di realizzare un perfezionamento continuo ed indefinito delle sue realizzazioni grazie all’armonico sviluppo del pensiero, della ricerca scientifica, della crescita economica, del rafforzamento delle istituzioni politiche e sociali, e dell’etica pubblica e privata

*   Fin da subito questa convinzione è stata però percepita in due modi diversi e persino conflittuali: da una parte come un ideale a cui aspirare superando i tanti ostacoli e le tante difficoltà al suo procedere, dall’altra invece come una tendenza naturale talmente insita nella stessa natura umana da essere solo temporaneamente contrastata da impedimenti e rallentamenti

*   La prima, al meglio rappresentata dalle opere di Voltaire (1694-1778) e Diderot (1713-1784), vede nel progresso un obiettivo a cui tendere raggiungibile, uscendo dal buio della condizione precedente, solo con una convinta soggettività delle scelte politiche e morali, e caratterizza l’intera parabola dell’Illuminismo per cedere, solo al suo culmine, spazio alla seconda convinzione, ben espressa dal pensiero di Condorcet (1743-1794),  che il progresso sia ormai divenuto un insopprimibile tensione umana garantita dalla stessa necessità storica

*   Queste duplici e contrapposte visioni, che accompagneranno, seppure in forme diverse, l’intera evoluzione storica del concetto di progresso, trovano un primo più organicamente definito completamento nel positivismo ottocentesco che, erede dell’Illuminismo, ne rappresenta però un evidente superamento accentuando la sua seconda interpretazione

*   Se l’Illuminismo settecentesco, figlio di una società preindustriale che deve ancora liberarsi dal giogo dei secoli bui, individua il motore del progresso nella razionalità intellettuale tesa a mostrare la via di percorsi riformisti ovvero rivoluzionari, l’ottocentesco positivismo (maggior esponente Auguste Comte 1798-1857), nato sulla spinta della crescente industrializzazione, consegna alle scienze sociali il compito di far comprendere l’opportunità di non frapporre ostacoli al libero manifestarsi di leggi oggettive incorporate nella stessa macchina dello sviluppo

*   E’ già propria del positivismo la convinzione, che ritroveremo a lungo nella storia dell’idea di progresso, che il connubio fra scienze sociali – ricerca scientifica – tecnologia – industria – ingegneria istituzionale sia in grado di sprigionare una potenza tale da garantire una costante evoluzione verso ere migliori, che sia ormai possibile pianificare scientificamente il futuro dell’intera società umana

*   Questa convinzione, comune all’intero pensiero positivista, permea l’ottocentesca concezione dell’idea di progresso ma, a sua volta, si divide in due opposte linee di pensiero in relazione al crescente evidenziarsi delle fratture sociali connesse alla stessa industrializzazione

*   Se da una parte infatti si pone il liberalismo borghese che ideologicamente colloca il progresso nel quadro dei meccanismi di mercato e del libero manifestarsi dell’individualismo, all’opposto l’“organicismo” (corrente di pensiero che fonda su basi biologiche la teoria sociologica e studia la società sul modello di un organismo vivente). al cui interno ha peso importante il primo socialismo utopico (Saint Simon 1760-1825 e Charles Fourier 1772-1837), punta su una organizzazione collettivista della società

*   Una divisione che nel corso dell’Ottocento si accentua con il perfezionarsi del pensiero economico capitalista e con il correlato sviluppo teorico dell’idea di socialismo. La profonda fede in un inarrestabile procedere in avanti di tutta umanità, la certezza che la freccia del tempo punta verso un futuro migliore resta comunque patrimonio comune fortemente condiviso

*   Non diversamente si pone lo stesso pensiero marxista che, in modo più evidente in Engels (1820-1895) che in Marx (1818-1883) , ha un qualche legame con il positivismo e con la correlata certezza in un costante progredire umano reso possibile da scienza e tecnologia, ma soprattutto con la profonda convinzione che dalla scienza potessero derivare anche le leggi di tutti i processi sociali, economici e politici. Non a caso il marxismo si auto-definisce socialismo scientifico.

*   Va da sé però che il nucleo filosofico idealistico di Marx è per moltissimi aspetti cruciali del tutto diverso e persino opposto a quello del positivismo. La base scientifica del materialismo non pregiudica, ma al contrario sollecita, in un visione rivoluzionaria del procedere storico, il ruolo del proletariato come soggetto storico chiamato a realizzare l’idea di progresso socialista

*   I decenni di fine Ottocento e inizio Novecento vedono, sulla sfondo un crescente conflitto di classe, stabilizzarsi un quadro che vede l’originaria comune idea di progresso essere interpretata e vissuta in modo apertamente conflittuale dalla sua declinazione borghese e capitalistica e dal campo vasto del socialismo all’interno del quale emerge sempre più una grande diversità di accenti

*   Non mancano però in questo quadro ed in questo stesso periodo correnti di pensiero e importanti voci di intellettuali, Nietzsche (1844-1900) in primis, che, nell’ambito di un rifiuto dell’intero percorso della modernità, sempre più sviluppano profonde critiche verso le illusioni salvifiche dell’idea di progresso, facendo emergere, seppure ancora in ristretti ambiti intellettuali, un primo radicale dubbio sul suo ruolo come motore della storia umana

*   Ben altre e tragicamente ben più concrete saranno da lì a breve le vicende storiche che nella prima metà del Novecento porranno radicalmente in crisi quello che sembrava l’inarrestabile corsa in avanti dell’umanità all’insegna del costante progredire. I due conflitti mondiali, ed il tormentatissimo breve periodo che li separa, rappresentano una cesura irreversibile sia per le certezze del progresso capitalistico sia per la contrapposta visione del movimento socialista

*   Le tragedie storiche della prima metà del Novecento sono una evidente controprova della fragilità dell’idea sette-ottocentesca di progresso che nel campo liberal-borghese si è ormai in gran misura appiattita nella visione economico-tecnicistica capitalistica. Rare, e in gran parte inascoltate, sono le voci, come quella di Max Weber (1864-1920), che ancora tentano di mantenere alti gli ideali progressisti del primo liberalismo classico

*   L’idea di progresso come afflato ideale e universalistico resta invece ferma e salda nel campo vasto del socialismo internazionale, ma con due sue declinazioni che sempre più si divaricano fino a divenire così irrimediabilmente antagoniste da lacerare i movimenti popolari che la sostengono: da una parte l’idea riformista di un progresso “possibile” e dall’altra quella rivoluzionaria di un progresso “necessario”

*   Ambedue inizialmente accomunate da quell’idea del progredire umano che lega strettamente la scienza, quella del materialismo marxista ormai divenuto l’ideologia dominante del movimento operaio internazionale, ad un sentire salvifico nell’avvento di un “regno dell’uguaglianza” ovvero, per usare la formula di Saint-Simon, in una sorta di “nuovo cristianesimo”, devono però misurarsi con l’evidenza della incredibile vitalità del capitalismo di risorgere dalle proprie crisi

*   La soluzione che si consolida nelle fila dei sostenitori del “progresso possibile” è quella di una netta scissione fra teoria e pratica. Da una parte non si abbandonano, perlomeno nelle dichiarazioni d’intenti, le certezze nell’avvento di una nuova umanità dall’altra ci si concentra sempre più su conquiste magari parziali ma capaci di consolidare l’avanzata

*   Una componente importante del movimento internazionale si definisce esattamente su questa possibile uscita dal capitalismo attraverso un percorso di riforme sempre più importanti, fino a considerare, nella concreta pratica politica, il socialismo come una possibilità, non dissimile dall’originaria idea illuministica di un progresso, da realizzare gradualmente

*   A questa visione “riformista” si contrappone quella “rivoluzionaria” che, continuando a ritenere inevitabile il formarsi di una crisi irreversibile del capitalismo, ritiene, non diversamente dalla concezione del secondo illuminismo dell’ineluttabilità del progresso, che il movimento socialista internazionale debba rafforzarsi per puntare alla definitiva “spallata” che spalancherà le porte alla nuova società e al pieno realizzarsi di un progresso reso “necessario” dal naturale evolversi storico

*   La prima guerra mondiale rappresenta per entrambe un momento di svolta vissuto in modo così contrapposto da sancire la definitiva rottura tra queste due anime del progresso socialista e l’avvio di due distinti percorsi che a lungo resteranno inconciliabili

*   Il primo conflitto, con il collegato dilemma dell’interventismo, sancisce infatti da una parte la crisi del fragile internazionalismo riformista che, appiattendosi su logiche nazionalistiche, avrà a lungo un peso rilevante sulle relazioni tra i singoli partiti socialisti e più in generale sulle distinte articolazioni nazionali dell’idea di progresso. Dall’altra, con l’imprevisto realizzarsi della rivoluzione russa, consegna ad una componente del movimento rivoluzionario, fin lì tutto sommato marginale, in particolare rispetto a quella tedesca, un ruolo di paese guida che influenzerà, fino al termine della sua parabola, l’intero movimento comunista internazionale

*   La particolarità della vicenda sovietica consiste infatti nel realizzarsi di un inaspettata occasione rivoluzionaria, con un esito vincente in buona misura spiegabile proprio con il  contesto bellico che mette a nudo l’inconsistenza del regime zarista, preparata da un partito, quello bolscevico di Lenin (1870-1924), che coniuga strettamente un’idea di progresso, entro la quale coesistono idealità utopiche, il recupero del ritardo russo sulla via dell’industrializzazione e risposte concrete al dramma sociale zarista, con il ruolo di guida affidato alla lucida regia rivoluzionaria delle avanguardie comuniste

*   L’esperienza storica attesta però che questa idea di progresso, inglobata in un sistema di comando di tipo piramidale con al suo vertice una sorta di inedita figura di inamovibile pontefice, non poteva non confluire in un regime totalitario venendo così ridotta ad una sorta di mito ideologico tanto irrealizzato quanto oppressivo

*   Negli stessi decenni, fra le due tragiche guerre, in cui si compiono queste distinte parabole negative delle due idee di progresso socialista e comunista, si manifesta, in forte loro contrapposizione, quella del fascismo e del nazionalsocialismo nazista che, sulla base di un comune sentire ideologico, puntano ad invertire la freccia del tempo: è il ritorno un passato mitizzato l’orizzonte a cui deve puntare il progredire umano

*   Il rifiuto della modernità progressista si lega, in nazismo e fascismo, ad una idea di futuro, quello del Reich millenario piuttosto che del nuovo Impero romano, basato sul recupero delle presunte radici di una civiltà originaria legata a una forte identità razziale ed alla guerra totale a tutti gli altrettanto presunti nemici contaminanti la purezza del popolo. Una visione quindi del futuro tanto statica quanto basata sulla rigida separazione delle razze e sul dominio di quella giudicata pura ed eletta. Un tentativo, tanto folle quanto spietato, di riportare indietro le lancette della storia costato carissimo all’intera umanità

*   Nei decenni fra le due guerre, che vedono il consolidamento totalitario del comunismo sovietico, con al centro la sua idea di un progresso ineluttabile e “necessario” ma conquistabile solo grazie al ruolo egemonico del Partito, e la contrapposta follia nazista e fascista di invertire la freccia del tempo, appare evidente che per entrambi l’idea di progresso ha comunque i caratteri di quello che è stato definito un “assalto al cielo” piegato però alle ragioni superiori della nazione, della razza piuttosto che della classe, del partito

*   In questi stessi decenni nel resto dell’Europa proseguono alcune esperienze che restano invece coerenti con l’opposta idea di un progresso reso “possibile” dalla costante introduzione di riforme economiche e sociali. E’ lo spirito che anima il sorgere delle più compiute socialdemocrazie e che trova sponde importanti nelle strategie di riforma del capitalismo portate avanti da alcune componenti del liberalismo borghese, a partire dal pensiero economico di John Keynes (1883-1946). In netto rifiuto del comunismo totalitario e delle dittature fascista e nazista punta a coniugare giustizia sociale e libertà individuali in una sintesi rappresentata dall’espressione corrente di “progresso dell’umanità”

*   All’indomani della sconfitta di nazismo e fascismo restano sul campo a fronteggiarsi due contrapposte idee di progresso: quella “comunista”, sempre fortemente condizionata dal ruolo egemone dell’Unione Sovietica, e quella del mondo occidentale, per molti versi variegata, ma strettamente legata, e non diversamente condizionata dal ruolo del “mercato”

*   Sono gli anni della “guerra fredda” durante i quali progressivamente emerge, per svariate ragioni interne ed esterne, per il modello sovietico l’impossibilità, l’incapacità, di reggere il confronto. L’inevitabile vittoria del modello di progresso occidentale si accompagna però con il crescente manifestarsi di contraddizioni e degenerazioni che, a campo di battaglia ormai libero, non tardano ad esplodere apertamente

*   In particolare appare sempre più chiara, oltre al peso delle spietate logiche di profitto, la mancanza di orizzonti ideali non appiattiti su visioni economiche e produttive. Quell’idea di “progresso dell’umanità”, di un progresso unico ed unificante, al “singolare” viene così inesorabilmente sostituita da una pluralità di “progressi”, fra gli altri quello delle scienze e della tecnica, con al loro interno un lungo elenco di singoli campi: medicina, genetica, piuttosto che informatica e telecomunicazioni, che perseguono specifici percorsi sempre meno unificati da una comune visione d’insieme

*   Alcuni indubbi successi delle esperienze socialdemocratiche costituiscono per alcuni decenni un certo freno all’egemonia del mercato, ma l’avvento della globalizzazione neo-liberista, sorta proprio come netto rifiuto di questo “freno”, si impone, anche grazie all’arrendevolezza delle stesse socialdemocrazie, come l’unica ideologia in grado di orientare tutti i vari progressi ma, coerentemente con il proprio spirito, puntando esclusivamente verso individualismo, crescita economica e profitto fini a sé stessi, consumismo sfrenato, aumento delle disuguaglianze, assoggettamento totale e distruttivo di natura e ambiente

*   Paradossalmente la globalizzazione neoliberista rappresenta da un certo punto di vista l’indubbia dissoluzione dell’idea di un progresso ideale ma al tempo stesso, più ancora di Illuminismo, positivismo, socialismo, sembra essere l’idea che di più ha realizzato, pur stravolgendole, alcune delle loro stesse finalità: il cosmopolitismo del sapere, dei saperi, il predominio di scienza e tecnica, l’internazionalizzazione dell’economia e della politica

*   Un altro valore che ha accompagnato, seppure in modo contraddittorio, l’intero percorso dell’idea di progresso fino a questa sua ultima controversa declinazione globalizzata è quello della “democrazia”.

*   Il rapporto tra progresso e democrazia non è mai stato scontato e lineare: l’illuminismo propugnava convintamente il progredire ma non altrettanto l’allargamento dei diritti affidando al sovrano illuminato il compito di guidare lo sviluppo. Ben poco contavano sulle masse considerate culturalmente troppo arretrate. Rousseau (1712-1778) è rimasto solo nel suo ideale democratico.

*   Non diversamente il positivismo affidava la missione dell’avanzamento principalmente al ruolo delle coscienti avanguardie.

*   Bisogna attendere la cesura del 1848 per vedere innestata l’idea di democrazia sul tronco del progresso. Ed ancora con diversità non indifferenti: da una parte l’idea interclassista liberale di un suo allargamento controllato verso un suffragio universale, dall’altra l’ideale rivoluzionario di un progressivo superamento delle istituzioni democratiche borghesi. Da un lato Mazzini (1805-1872) dall’altro Marx ed Engels. In posizione ancor più estrema e defilata l’anarchismo senza Stato di Proudhon (1809-1865) e Bakunin (1814-1876)

*   Era però forte la comune convinzione che il Progresso, comunque inteso, non potesse non poggiare sulla partecipazione attiva delle masse, ed è su questa profonda convinzione che si concretizza il loro attivo coinvolgimento nelle istituzioni sotto le diverse e distinte bandiere di partito

*   Partecipazione democratica e riformismo sociale sono così diventati, e lo sono rimasti a lungo in quasi tutto l’Occidente, la concreta attuazione della stessa idea di Progresso

*   La fine del secondo conflitto sancisce il superamento della tragica notte della democrazia che torna ad essere, molto di più e molto meglio di prima, la dimensione “naturale” del confronto politico affidato alla “democrazia dei partiti” nel ben definito ambito dello “Stato Nazionale” all’interno del quale sono rimaste strettamente intrecciate tutte le componenti e tutti i poteri che concorrono alla realizzazione del progresso

*   La globalizzazione neoliberista cancella e azzera questo intreccio alla base del rapporto fra democrazia e progresso ridimensionando prima ancora dello “Stato democratico” ma lo “Stato tout court”

*   La democrazia, il sistema dei partiti, lo stato nazionale dimostrano ormai di non essere più in grado di controllare, di incidere sui centri globalizzati del potere che dominano la direzione dello sviluppo

*   La globalizzazione neoliberista procede, al momento senza adeguate opposizioni, con un avanzamento che non sembra quindi conoscere ostacoli e limiti, tanto si dimostra capace di egemonizzare, sino al punto di svuotarne valore e significato, le idee di progresso e di democrazia, da rendere legittime alcune domande: la globalizzazione neoliberista ha dissolto, assieme agli strumenti democratici, solo l’idea di progresso sin qui conosciuta o ha cancellato l’idea stessa di un progresso? Dobbiamo allora rinunciare a questa idea e che mondo può essere quello che fa a meno del progresso?

*   Queste domande implicano che per ridare all’idea di progresso il ruolo di ideale regolativo dell’agire umano, quello che per più di tre secoli ha avuto attraverso interpretazioni diverse, contraddizioni ed errori, sia necessario che l’umanità ridefinisca il suo modo di concepire il rapporto tra presente e futuro

*   La grandissima maggioranza degli uomini è certamente mossa dall’aspirazione a migliorare le proprie condizioni materiali e spirituali, ma deve comprendere che questo suo legittimo istinto ha in questi secoli implicato un modello di sviluppo che, coniugato con la correlata impressionante crescita demografica, appare oggi non più sostenibile

*   L’accrescimento delle forze produttive avente come suo unico limite quello delle sue possibilità intrinseche in un pianeta dalle risorse finite si è trasformato in una trappola micidiale. L’attuale presente dell’umanità, se mantiene questa filosofia dello sviluppo, questa specifica idea di progresso, rischia seriamente di non avere futuro

*   Il percorso storico dell’idea di progresso può essere valutato con giudizi differenti, sembra però possibile azzardare una valutazione di merito sulle due diverse opzioni già presenti nella sua originaria concezione illuministica: l’attuale presente ha definitivamente svuotato di senso l’idea del “progresso necessario” ed impone di ridefinire quella di “progresso possibile” essendo consapevoli che  i troppi modi impropri di usare la scienza, la tecnologia, e le risorse materiali, incanagliscono i rapporti tra gli uomini e scatenano squilibri all’interno del mondo naturale

*   Questa consapevolezza deve quantomeno indurre da subito a rimediare alla svolta negativa evidenziata in precedenza: è tempo di recuperare una rinnovata idea di “progresso” che inglobi e dia senso e direzione ai pur esaltanti settoriali “progressi”