lunedì 30 marzo 2020

Coronavirus e scienza - Articolo di Massimo Sandal


Stiamo ormai ripetendo, in tanti e ovunque, che dopo la pandemia covid19 “nulla sarà più come prima” e quindi che è da subito indispensabile riflettere su cosa sta realmente accadendo per capire le direzioni verso le quali sarà opportuno indirizzare il cambiamento per non affidarlo al caso o, peggio ancora, a interessi e finalità non collettivi. Uno dei temi sicuramente al centro dell’attenzione è il ruolo della scienza, la sua capacità di spiegare cosa sta succedendo, e soprattutto di come uscirne fuori prevenendo l’insorgere di nuove tragedie come questa che stiamo vivendo. Sono domande e aspettative legittime che non possono però essere affidate alla sola scienza, occorre che il contributo che da questa può e potrà venire sia da subito messo a fattor comune con tutte le discipline che incidono sulla vita umana. Se questa è una delle prime consapevolezze che emergono dalla reazione alla pandemia resta comunque centrale il contributo scientifico. E’ quindi importante capire come la scienza, tutta a partire dai suoi settori più immediatamente coinvolti, si sta attrezzando per rispondere alle domande che in questa fase le sono volte. E’ un problema di conoscenze ma è anche un problema di “metodo scientifico”. Pubblichiamo questo interessante articolo che, restando nella specifico coronavirus, fornisce un primo quadro di come il mondo della scienza si sta muovendo al riguardo



Come la pandemia sta cambiando
il mondo della ricerca scientifica

Articolo di Massimo Sandal (ricercatore in biologia molecolare, specializzato in dinamica delle proteine. Collabora con Le Scienze, Wired e altre testate) rivista online La Tascabile

Il mondo dopo la pandemia non sarà il mondo di prima. Cosa ci aspetta oltre questo orizzonte non lo sappiamo; qualsiasi scenario, anche il più ottimista, prevede comunque una civiltà che, dopo aver frenato di colpo, ripartendo impara un nuovo stile di vita. Varrà anche per la ricerca scientifica. Retorica vuole che la scienza sia l’arma per vincere questa battaglia: è vero, ma negli ultimi decenni la scienza biomedica è stata un’arma spuntata. Tanto potente quanto lenta, frammentata e litigiosa. L’impatto del nuovo coronavirus l’ha arruolata di colpo su un unico fronte, e la sta costringendo a spogliarsi di molti dei comportamenti tossici e delle lungaggini che la frenavano. Su Micromega, Andra Meneganzin ha descritto in dettaglio come la pandemia stia stravolgendo i meccanismi di pubblicazione dei risultati scientifici. Aprendoli come la saracinesca di una cantina buia:
………In presenza di un’emergenza sanitaria, la comunicazione e la collaborazione tra i ricercatori non può permettersi di seguire il “business as usual”, con gruppi di ricerca che custodiscono per sé importanti dati di rilevanza pubblica in attesa che vengano pubblicati ufficialmente su una rivista ad alto fattore d’impatto, dopo i tempi flemmatici di una revisione tra pari, e nel timore che una condivisione precoce acceleri il lavoro di gruppi concorrenti…………Nell’ultimo mezzo secolo o poco più la peer review o revisione dei pari, nata tra 1600 e 1700 come scrematura editoriale più o meno formale, ha acquisito lo status di rituale sacro della ricerca scientifica. Due o tre colleghi che soppesano uno studio e decidono se val la pena pubblicarlo, a volte anche basandosi su criteri non del tutto scientifici come l’impatto o la novità, sono diventati una necessaria ceralacca d’affidabilità. Un sigillo, appunto, fragile: i casi di studi che hanno passato la peer review e si sono dimostrati errati o palesemente fraudolenti sono ormai migliaia, a partire dal famigerato articolo di Andrew Wakefield su Lancet che suggerì l’infame falsa correlazione tra autismo e vaccini. Mentre viceversa peer review significa ritardi anche di mesi o anni nello scambio delle informazioni tra ricercatori, ritardi che sono sempre stati inefficienti e che ora non sono più tollerabili. Pochi ricercatori, prima, avrebbero ammesso esplicitamente che la peer review, almeno nelle scienze biomediche, fosse più un rituale sociale rispetto a una sana procedura di controllo (nonostante alcuni articoli provassero puntualmente a denudare il re). Di fronte alla COVID-19 queste reticenze sono sparite. Il grosso della ricerca sulla COVID-19 passa attraverso i preprint o addiritura direttamente i social network: articoli, sequenze genomiche, dati epidemiologici, ipotesi, strutture molecolari, tutto viene scambiato in tempo reale in rete. Gli archivi di preprint, ovvero quelli che raccolgono gli articoli in corso di pubblicazione formale, allo scopo di rendere più accessibile la ricerca, sono diventati strumenti di lavoro a tutti gli effetti. Qualora si cerchi comunque il vaglio della revisione dei pari, questa ora viene completata in tempi assolutamente risibili: dai mesi richiesti di norma si è passati alle 24-48 ore. Il risultato è un’esplosione di letteratura scientifica senza precedenti: nel giro di pochi mesi sul covid si sono accumulati 673 articoli (mentre scrivo, alla mezzanotte del 21 marzo) sugli archivi di preprint. Si dice che questo abbia generato confusione, visto il ritmo assolutamente ingestibile con cui informazioni nuove e contraddittorie rimbalzano di ora in ora. È vero, ma in realtà è come se guardassimo un filmato accelerato di come funziona la scienza. La crescita di una pianta è un fenomeno impercettibile e sereno normalmente, ma appare frenetica e caotica se accelerata. La costruzione del consenso scientifico è sempre confusa davanti all’ignoto, in circostanze normali, e la peer review non allevia significativamente questi dolori di crescita: semplicemente ora è tutto eviscerato davanti ai nostri occhi, in un momento in cui non badiamo ad altro. L’apertura di questo processo è forse il momento in cui per la prima volta il pubblico si rende conto, nel bene e nel male, di quale sia il procedimento della scienza, al di là dei manuali di filosofia. Vero è che invece gli scienziati dovranno imparare a comunicare al pubblico in modo diverso, e dovranno farlo in collaborazione con chi si occupa professionalmente di comunicazione della scienza. Ammettendo e comunicando in modo equilibrato l’incertezza e il rischio, dando l’idea di essere un gruppo collaborativo (seppur magari in disaccordo) e non una scolaresca litigiosa, bilanciando l’apertura delle informazioni e la cautela, tutte cose che purtroppo non abbiamo visto accadere al momento, in Italia. Che i ritmi accelerino si vede anche nei tempi con cui vengono allocati i fondi per la ricerca. Dalle procedure lente ed elefantiache di ieri, si passa ora a tempi impressionanti per la rapidità, come mi racconta Paola Storici, ricercatrice al sincrotrone Elettra di Trieste e ora impegnata sul fronte contro il nuovo coronavirus:
……..È impressionante. In Europa hanno aperto una call per progetti di ricerca su coronavirus/COVID-19, la scadenza originale già brevissima era di tre settimane. Alla fine hanno fatto la valutazione in due settimane, e in queste due settimane hanno anche deciso di aumentare i fondi da 10 a 49 milioni di euro. Procedure burocratiche che richiedevano mesi ora avvengono in 24, 48 ore. Nel giro di una settimana abbiamo fatto un kick off online, in cinque giorni si son firmati i documenti ufficiali……….
E se è così ora, perché non può esserlo, magari non in modo così esasperato, anche dopo la COVID-19? La pandemia sta svelando quanto tempo abbiamo perso e quanto possiamo evitare di perderne in futuro. Se la scienza accade davanti al pubblico, pubblicando man mano che viene fatta o addirittura saltando le pubblicazioni e rilasciando direttamente i dati grezzi, il pubblico, magari anche scienziato a sua volta ma di altra specializzazione, è in grado di partecipare. Un esempio è il fenomeno degli epidemiologi più o meno improvvisati che sembra saturare la discussione in questi giorni: vogliamo tutti sapere quando sarà il picco, quando inizieremo a vedere la luce, che cosa fare per uscire dall’incubo, e chiunque abbia un minimo di confidenza coi numeri cerca disperatamente quindi di divinarli. Cercando di capire qualcosa dall’andamento di dati che, oggi sappiamo, sono in gran parte poco significativi.  Ma questo fenomeno a sua volta porta la scienza a rispondere. In Italia ad esempio alcuni epidemiologi stanno cercando di reagire, aggregandosi spontaneamente per portare previsioni epidemiologiche affidabili e serie a contrasto della nube di astrologi dell’esponenziale. Un fenomeno forse unico di counter-citizen science. È il caso per esempio di StatGroup-19, quintetto formato da quattro ordinari e un associato di statistica: Fabio Divino (Università del Molise), Giovanna Jona Lasinio (Sapienza – Università di Roma), il Gianfranco Lovison (Università di Palermo), Antonello Maruotti (LUMSA – Roma), e Alessio Farcomeni (Tor Vergata – Università di Roma). Quest’ultimo mi racconta così le origini del progetto:
………..Abbiamo notato sui social network diversi ricercatori che, sia pur eccellenti nel loro campo, sono esperti in tutt’altri argomenti, e che hanno fornito al pubblico previsioni fatte male, andamenti completamente inattendibili. Purtroppo con ampia visibilità sui media. A livello governativo fortunatamente ci si è avvalsi di eccellenti esperti, come ad esempio il Consiglio Superiore di Sanità (uno dei principali organi che hanno suggerito le misure attualmente in atto). Purtroppo anche il decisore ogni tanto si è rivolto a ricercatori non esperti in materia, ad esempio un report del ministero dell’Economia, su cui è stato basato in parte un recente decreto, prevedeva il picco epidemico per il 18 Marzo in Italia. Il report utilizzava una tecnica non molto credibile, e inevitabilmente i fatti lo hanno smentito.  Il nostro progetto originario era quello di mostrare l’andamento previsto a breve termine dei positivi giornalieri. Abbiamo tentato di costruire una tecnica di previsione affidabile per i casi positivi. L’abbiamo validata e pubblicata su Facebook e ha fatto un po’ di scalpore, perché per molti giorni di seguito è stata molto accurata, e spesso abbiamo avuto un errore inferiore all’1%. Abbiamo fondato una pagina Facebook  (StatGroup-19) e un blog, dove mostriamo anche semplici descrittive e facciamo post più divulgativi per spiegare quali sono i parametri epidemiologici di vero interesse (ad esempio, il parametro R0), come interpretarli, cosa aspettarsi.  Ci interessa essere utili al decisore e al grande pubblico, sia in termini di modellistica previsiva che di interpretazione corretta del fenomeno. Speriamo che le nostre previsioni, se sono buone (e solo se sono buone), verranno usate dal decisore. Stiamo anche preparando delle note tecniche per pubblicazione, ma ci preme soprattutto essere utili al di fuori dell’accademia in questo momento.
Il che non sarebbe possibile se intanto i dati non fossero aperti, accessibili a tutti:
……….Bisogna fare un plauso alla Protezione Civile che fa una bella politica di open data, rilasciando ogni giorno numerosi dati al pubblico, in forma direttamente machine readable, utilizzabile dai software. Questo ha stimolato molti ricercatori a lavorare sul problema. Come ricercatori, sentiamo tutti il bisogno di comprendere. Penso sia una cosa positiva, e che possa portare alla circolazione di buone idee, che magari possono essere messe in forma di articoli scientifici e sottoposti in seguito a peer review…………..
Una collaborazione partita in modo completamente informale, e che si sviluppa fuori dalle formalità accademiche, come racconta ancora Farcomeni:
………Le cinque persone che fanno parte di StatGroup-19 non hanno mai collaborato tutte insieme, e io non avevo mai collaborato con nessuno degli altri. Ci conoscevamo e ci stimiamo, tutto qui. Fabio Divino ha aperto una chat di gruppo e siamo partiti da là. Stiamo lavorando con un passo, con dei tempi, completamente diversi da quelli della ricerca classica. Nelle classiche collaborazioni con medici, biologi, economisti, ricevo dei dati e posso permettermi di ragionare per settimane, di tentare varie strade, di cercare soluzioni eleganti, di fare molte prove. Qui no. Dobbiamo semplificare alcune cose, lavorare in modo più grezzo a volte, ma ogni giorno miglioriamo il nostro approccio e presentiamo, cercando di essere chiari, previsioni per i giorni successivi…….
Fare scienza nell’epoca della pandemia significa mantenere il distanziamento sociale, il che cambia drammaticamente le prassi di una disciplina tanto sociale come è la scienza. In quest’ambito, un’altra rivoluzione epocale che potrebbe protrarsi anche ad allarme finito è la fine dei congressi scientifici. Per esempio una delle più grandi conferenze scientifiche del mondo, il congresso di fisica dell’American Physics Society che doveva aver luogo dal 2 al 6 marzo a Denver, è stato annullato di colpo  a sole 48 ore dall’inizio. 
Mentre la comunità scientifica sta correndo ai ripari cercando di organizzare meeting online, è interessante notare come anche questo fosse qualcosa che era già nell'aria, che il coronavirus ha precipitato. I congressi sono dei bei momenti di socializzazione e di networking per i ricercatori, ma richiedono uno sforzo economico e logistico non indifferente sia per gli organizzatori sia per i partecipanti, sono eventi a cui è difficile partecipare ad esempio per i disabili o i non neurotipici, e a causa dei trasporti hanno un’impronta ecologica rilevante. Se i ricercatori dovessero rendersi conto che è possibile farne in gran parte a meno potremmo vedere, anche dopo la pandemia, una scienza che fa rete in modo diverso, sfruttando al massimo le tecnologie da remoto. Il che potrebbe anche portare a una diversa fruizione e rapporto col pubblico: un congresso scientifico da remoto, se reso disponibile in streaming, diventa accessibile anche fuori dai circuiti dell’accademia e permetterebbe ad esempio di confrontarsi col pubblico generale, magari prevedendo perfino eventi e sessioni apposite. Questa crisi ci sta finalmente insegnando che le fiabe muscolari della competizione come unica via per la prosperità funzionano solo in un mondo già prospero a priori, in cui la competizione sia libera non di ottimizzare, bensì di sprecare risorse. Perché in realtà è solo la collaborazione che permette di allocare efficientemente mezzi e persone. Per questo contro la COVID-19 stanno nascendo progetti come Crowdfight COVID-19 oppure il COVID-19 Pandemic Shareable Scientist Response Database, in cui le esigenze dei ricercatori che lavorano specificamente sulla COVID-19 sono messe in contatto con le abilità e la disponibilità di volontari – di varie discipline e gradi di esperienza – che possono fare da volontari per aiutare i ricercatori attualmente impegnati in prima linea sulla malattia. Più in generale anche l’atteggiamento della ricerca sta mutando. Da una continua, ossessiva competizione tra laboratori, che spesso sgomitano su uno stesso problema tenendo nascoste le proprie carte nel terrore di vedersi sconfiggere dall’avversario, si sta passando alla collaborazione e al libero scambio di dati, come testimonia nuovamente Paola Storici:
…………Ci è stato dato un mandato assoluto di collaborare. Chiunque di noi abbia un punto di contatto potenziale o un modo di collaborare con un altro partner è obbligato a farlo. Tutto è pubblico e tutto va convogliato verso lo stesso obiettivo. Se competizione c’è, è nel mostrare di fare del proprio meglio, ma è una competizione sana, positiva. Forse questa cosa farà bene a tutti, nel mondo accademico. La pandemia ci obbliga a collaborare: non potranno più esserci sgambetti tra colleghi, perché chi fa lo sgambetto alla fine resterà indietro. Il vero valore alla fine verrà fuori da chi avrà saputo mettere a sistema tutte le eccellenze giuste, cioè tutti i risultati utili per arrivare prima al risultato, perché l’obiettivo è uno solo: la cura…………..
Allo stesso modo, la frantumazione delle carriere accademiche in anni e anni di contratti a breve termine e corse all’inseguimento del prossimo assegno di ricerca sta mostrando la corda. Uno sforzo continuativo e collaborativo richiede che le competenze possano avere tempo di restare su un unico progetto. Richiede che vi sia il tempo di portare fino in fondo progetti di ampio respiro. Se non vogliamo per forza portare tutti i giovani ricercatori a posti permanenti, dobbiamo almeno consentire il travaso indolore di competenze e persone invece di farle annegare l’una contro l’altra. Sempre Paola Storici: …………….Bisogna avere più stabilità nella ricerca perchè oggi ci sono molte persone che, a un’età diciamo così ragguardevole, non sono sicure del loro futuro. A quarant’anni, stanche del precariato continuo, molti si mettono a fare altro, dopo aver coltivato anni di competenze fantastiche che a quel punto vanno perdute. In accademia abbiamo un sacco di piccoli progetti di ricerca iniziati e poi lasciati per strada perché la persona che li seguiva va via, non sai più come continuarli e questa è una dispersione di risorse enorme. Al momento fanno contratti di un anno. Come fai a mettere in piedi un progetto con un contratto di un anno? Non parlo solo di Italia, vedo le stesse cose dappertutto. La ricerca deve permettersi di fare cose a lungo raggio. Io non sono per una logica di posto fisso a tutti i costi: puoi benissimo creare un sistema dinamico per cui dopo cinque anni se non hai prodotto niente, beh, arrivederci. Però può succedere che non avevi prodotto niente di ciò che interessava specificamente a me, ma invece di sprecare quel lavoro vai da qualcun altro a cui interessa di più, porti le tue competenze e risultati altrove. Certo perché questo accada in futuro, fondamentalmente, serviranno più finanziamenti………
Più specificamente, servirà anche attivare un pensiero a lungo termine sulla pandemia e sui rischi esistenziali futuri. Sapevamo che la famiglia dei coronavirus era una bomba pronta a esplodere. SARS e MERS ci avevano già dato un’idea, anche se fummo in grado di controllarli. E invece abbiamo buttato tempo, come ricorda Alessio Farcomeni:
…………..Nel 2002-2003 c’è stata l’epidemia di SARS, che è un altro coronavirus molto simile a quello attuale. In quel frangente ci furono numerosi investimenti per trovare un vaccino per la SARS. Una volta contenuta l’epidemia gli sforzi, anche in termini di finanziamento della ricerca, sono cessati. È stato detto: il vaccino per la SARS non serve più. Se avessimo trovato un vaccino per la SARS, trovare il vaccino per la COVID-19 sarebbe oggi stato molto più semplice, perché avremmo avuto già molta della tecnologia e delle conoscenze necessarie. La SARS è stata una occasione persa…………
È evidente che bisognerà evitare di ripetere questo errore. La risposta immediata alla pandemia richiede ora un enorme sforzo di ricerca applicata, ma le soluzioni a lungo termine stanno nella ricerca di base, senza la quale non c’è nessun fondamento su cui lavorare per le applicazioni. Prevenire il prossimo spillover richiederà di comprendere finalmente a fondo e in dettaglio le interazioni tra umanità ed ecosistemi, valutare in profondità il nostro impatto sulla biodiversità. Una disciplina che finora era considerata da molti un antipatico lusso, l’ecologia, ora è questione di vita o di morte. Controllare sul nascere, o addirittura prevenire, le prossime pandemie richiederà di conoscere in dettaglio non solo le specie ospiti dei virus come pipistrelli e pangolini, ma anche l’enorme diversità biologica ed ecologica dei virus stessi. Già da qualche tempo stanno cercando di partire, a questo proposito, progetti di mappatura dettagliata, come il Global Virome Project, che vuole catalogare e raccogliere informazioni sull’enorme numero di ceppi virali nell’ambiente capaci di passare all’uomo – secondo le loro stime, da 631.000 a 827.000 virus. In generale, dopo la pandemia si spera che saremo più consapevoli di come la nostra sopravvivenza sia intrinsecamente connessa a tutta la rete biologica del pianeta. Non esiste alcun social distancing tra noi e il resto dei viventi, non esiste alcuna parte della biosfera che non abbiamo alterato: e a ogni azione corrisponde una reazione. Questa realtà, di cui ecologi e virologi erano già consapevoli, e che stavamo iniziando a comprendere tutti attraverso la crisi climatica, ora ha cambiato le nostre vite. Alla scienza dopo la pandemia dobbiamo quindi chiedere di darci un quadro per capire, anche, qual è il nostro posto nel mondo, nel nostro mondo. 

venerdì 27 marzo 2020

"Virus: è arrivato il momeno dell'audacia" - Articolo di Alessandro Baricco


Pubblichiamo per chi non ha già avuto modo di leggerlo l’articolo di Alessandro Barico “Virus, è arrivato il momento dell’audacia” apparso ieri su La Repubblica. Non contiene, (parere del tutto personale) spunti originali di riflessione, ma ha il pregio di raccogliere, mettendoli insieme nella cornice del richiamo all’audacia, molti pensieri che già sono condivisi in modo diffuso attraverso i vari canali di contatto che ci confortano in questi giorni di necessaria clausura. Lo fa poi con un apprezzabile, vista l’aria pesante che circola fuori casa, tono di rilassante leggerezza, appena appena corretta da una nota del compiaciuto gigioneggiare da tempo diventato sua cifra fissa (secondo parere personale). Ultima annotazione introduttiva: ai punti 4 e 10 si legge del possibile nuovo rapporto masse-elite, il tempo dirà se così è davvero e quali sviluppi potrà avere, al momento (terzo parere personale) sembra, sentendo, vedendo, leggendo i vari Baricco, Recalcati, e compagnia cantante, che questa maggiore vicinanza si stia realizzando perché le masse, con le inevitabili eccezioni, sono, sotto la spinta di questa emergenza, salite di qualche gradino, ma anche perché, al contempo, le elite, alcune perlomeno, sembrano averne discesi alcuni facendoceli così vedere ad una altezza non così elevata, come invece questi tempi richiederebbero

Virus, è arrivato il momento dell'audacia

Articolo di Alessandro Baricco – La Repubblica 25 MARZO

Con la prudenza ci stiamo dando un sacco da fare. Ora dobbiamo    passare ad altro: pensare, capire, leggere il caos e prendersi il rischio di dare a tutti qualche certezza: questo è il mestiere degli intellettuali.

Devo averla già raccontata, ma è il momento di ripeterla. Viene da un bel romanzo svedese. C'è la regina che decide di imparare ad andare a cavallo. Monta in sella. Poi chiede sprezzante al maestro d'equitazione se ci sono della regole. Ed ecco cosa risponde lui: "Prima regola, prudenza. Seconda, audacia". Bene, direi che con la prudenza ci stiamo dando un sacco da fare. Possiamo passare all'audacia. Dobbiamo passare all'audacia. Se sei un medico, non so cosa possa voler dire essere audaci in questo momento, quindi non mi permetto di dare suggerimenti. Però so esattamente cosa significhi essere audaci, in questo momento, per gli intellettuali: mettere da parte la tristezza, e pensare: cioè capire, leggere il caos, inventariare i mostri mai visti, dare nomi a fenomeni mai vissuti, guardare negli occhi verità schifose e, dopo che hai fatto tutto questo, prenderti il rischio micidiale di dare a tutti qualche certezza. Al lavoro dunque, ognuno nella misura delle sue possibilità e​ del suo talento. Io in questo momento non sono particolarmente in forma, ma niente mi impedirà di scrivere qui alcune cose che so. È il mio mestiere.

1. Il mondo non finirà. Né ci ritroveremo in una situazione di anarchia in cui comanderà quello che alle elementari stava all'ultimo banco, non capiva una fava però era grosso e ci godeva a menarti. Sveglia, quelli sono romanzi. Torniamo in noi. E noi - noi umani - siamo una specie di agghiacciante pazienza, intelligenza e forza: siamo gente che è riuscita a convertire il creato nel proprio parco di divertimenti grazie a una delle operazioni più violente e ciniche che si potessero immaginare; non solo, ne siamo anche consapevoli: abbiamo dato un nome al bottino di una simile razzia, antropocene, e siamo arrivati ad essere talmente sicuri di noi stessi da iniziare a pensare recentemente di restituire a parte del creato una sua libertà. Siamo quelli lì. Da sempre combattiamo con i virus. Spesso ci hanno messo in ginocchio. Si dà il caso però che in quella posizione scomoda diventiamo ancora più pazienti, cocciuti e furbi.

2. Stiamo facendo pace col Game, , con la civiltà digitale: l'abbiamo fondata, poi abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo facendo pace con lei. La gente, a tutti i livelli, sta maturando un senso di fiducia, consuetudine e gratitudine per gli strumenti digitali che si depositerà sul comune sentire e non se ne andrà più. Una delle utopie portanti della rivoluzione digitale era che gli strumenti digitali diventassero un'estensione quasi biologica dei nostri corpi e non delle protesi artificiali che limitavano il nostro essere umani: l'utopia sta diventando prassi quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che stavamo cumulando per eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice fighetteria intellettuale. Ci ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a correggere perché lo faremo senza risentimento. ​

3. Chiunque si è accorto di come gli manchino terribilmente, in questi giorni, rapporti umani non digitali. Capovolgete questa certezza: vuol dire che ne avevamo un sacco, di rapporti umani. Mentre dicevamo cose tipo "ormai la nostra vita passa tutta dai device digitali", quello che facevamo era ammassare una quantità indicibile di rapporti umani. Ce ne accorgiamo adesso, ed è come un risveglio da un piccolo passaggio a vuoto dell'intelligenza. Non dimenticate la lezione, per favore. Anzi, aggiungetene un'altra: tutto questo ci sta insegnando che più lasceremo srotolare la civiltà digitale più assumerà valore, bellezza, importanza e perfino valore economico tutto ciò che ci manterrà umani: corpi, voci naturali, sporcizie fisiche, imperfezioni, abilità delle mani, contatti, fatiche, vicinanze, carezze, temperature, risate e lacrime vere, parole non scritte, e potrei andare avanti per righe e righe. L'umanesimo diventerà la nostra prassi quotidiana e l'unica vera ricchezza: non sarà una disciplina di studi, sarà uno spazio del fare che non ci lasceremo mai rubare. Guardate la furia con cui lo desideriamo ora che un virus l'ha preso in ostaggio, e vi passerà ogni dubbio.

4. Una crepa che sembrava essersi aperta come una voragine, e che ci stava facendo soffrire, si è chiusa in una settimana: quella che aveva separato la gente dalle élites. In pochi giorni, la gente si è allineata, a prezzo di sacrifici inimmaginabili e in fondo con grande disciplina, alle indicazioni date da una classe politica in cui non riponeva alcuna fiducia e in una classe di medici a cui fino al giorno prima stentava a riconoscere una vera autorità anche su questioni più semplici, tipo quella dei vaccini. Una classe dirigente che non sarebbe mai riuscita a fare una riforma della scuola è riuscita a chiudere in casa un intero Paese. Cosa diavolo è successo? La paura, si dirà: e va bene. Ma non è solo quello. C'è qualcosa di più, qualcosa che ci aiuta a capirci meglio: nonostante le apparenze, noi crediamo nell'intelligenza e nella competenza, desideriamo qualcuno in grado di guidarci, siamo in grado di cambiare la nostra vita sulla base delle indicazioni di qualcuno che la sa più lunga di noi. La nostra rivolta contro le élites è temporaneamente sospesa, ma questo ci può aiutare a capirla meglio: noi crediamo nell'intelligenza, ma non più in quella dei padri; vogliamo la competenza ma non quella novecentesca; abbiamo bisogno di qualcuno che decida per noi, ma ci siamo immaginati che non venga da una casta imbambolata da se stessa, stanca e incapace di rigenerarsi. Riassumo. Volevamo una nuova classe dirigente, continuiamo a volerla: possiamo aspettare, adesso non è il momento di fare casino. Ma ricominceremo a volerla il giorno stesso in cui questa emergenza si ricomporrà.

5. È probabile che l'emergenza Covid 19 finirà per rivelarsi come un crinale storico di immensa importanza. Provo a dirla così: è la prima emergenza planetaria generata dall'epoca del Game, della rivoluzione digitale, e l'ultima emergenza planetaria che sarà gestita da una élite e da un'intelligenza di tipo novecentesco. Lo vedete il crinale? La vedete la contraddizione? Capite perché in questo momento capiamo poco, fatichiamo molto, ci smarriamo facilmente? Ci hanno sfidato a un videogame, e noi abbiamo mandato a combattere degli scacchisti. Siamo esattamente in bilico tra un mondo e l'altro. È una posizione scomodissima. Dovete rendervi conto che anche solo senza smartphone, l'ottanta per cento di quello che vi vedete accadere attorno non sarebbe successo (flusso di informazioni, costruzione di storytelling, maree di paura che vanno e vengono, sopravvivenza in situazione di lockdown quasi totale, velocità delle decisioni....): e tuttavia la gestione di tutto questo è in mano, inevitabilmente, a una razionalità novecentesca. Faccio un caso pratico, così ci capiamo. Il Novecento aveva il culto dello specialista. Un uomo che, dopo una vita di studi, sa moltissimo di una cosa. L'intelligenza del Game è diversa: dato che sa di avere a che fare con una realtà molto fluida e complessa, privilegia un altro tipo di sapiente: quello che sa abbastanza di tutto. Oppure fa lavorare insieme competenze diverse. Non lascerebbe mai dei medici, da soli, a dettare la linea di una risposta a un'emergenza medica: gli metterebbe di fianco, subito, un matematico, un ingegnere, un mercante, uno psicologo e tutto quello che sembrerà opportuno. Anche un clown, se serve. Probabilmente agirebbero con un solo imperativo: velocità. E con una singolare metodologia: sbagliare in fretta, fermarsi mai, provare tutto. Attualmente, invece, il nostro procedere segue altre strade. Ci guida, nel modo migliore possibile, una éite che, per preparazione e appartenenza generazionale, usa la tecnologia digitale ma non la razionalità digitale. Non possiamo certo fargliene una colpa. Ma questo è il momento di capire che se molto di quello che vi circonda stamattina vi sembra assurdo, una delle ragioni è questa. Grandi Maestri di scacchi che giocano a Fortnite (vinceranno, ma capite che lo stile di gioco alle volte vi sembrerà piuttosto surreale).  

6. Rimanete a casa, perdìo. Lo devo ripetere? Ok, lo ripeto.

7. Rimanete a casa, perdìo. Con tutto quel che c'è da leggere...

8. L'emergenza Covid 19 ha reso di un'evidenza solare un fenomeno che vagamente intuivamo, ma non sempre accettavamo: da tempo, ormai, a dettare l'agenda degli umani è la paura. Abbiamo bisogno di una quota giornaliera di paura per entrare in azione. Adesso il virus copre il nostro intero fabbisogno, e infatti chi è più spaventato dagli immigrati o dal terrorismo o da Salvini o dagli effetti dei videogame sui figli o dal glutine? Ma anche solo venti giorni fa ne avevamo una gran bisogno, di quelle paure. Le coltivavamo come orchidee. In alcuni momenti di carestia ci siamo fatti bastare un'emergenza meteo o una possibile crisi di governo (capirai). Sappiamo ormai giocare solo coi pezzi neri: se prima la paura non muove, noi non abbiamo strategia. Volevo invece ricordare - e farlo proprio in questi giorni - che noi siamo vivi per realizzare delle idee, costruire qualche paradiso, migliorare i nostri gesti, capire una cosa di più al giorno, e completare, con un certo gusto magari, la creazione. Cosa c'entra la paura? La nostra agenda dovrebbe essere dettata dalla voglia, non dalla paura. Dai desideri. Dalle visioni, santo cielo, non dagli incubi.

9. (Questa è delicata. Astenersi perditempo). A nessuno sfugge, in questi giorni, il dubbio di una certa sproporzione tra il rischio reale e le misure per affrontarlo. Ce la possono spiegare come vogliono, ma la sensazione resta: una certa sproporzione. Non voglio infilarmi in quei paragoni che poi ti portano a raffrontare i morti di Covid 19 con quelli causati dal diabete o dalla scivolosità ella cera da pavimenti. Ma resta, ineliminabile, il dubbio che da qualche parte stiamo scontando una certa incapacità a trovare una proporzione aurea tra l'entità del rischio e l'entità delle contromisure. In parte la possiamo sicuramente mettere in conto a quell'intelligenza là, quella novecentesca, alle sue logiche, alla sua scarsa flessibilità, alla sua adorazione per lo specialismo. Tuttavia la faccenda non si risolve lì. Se io cerco di guardare dentro quella sproporzione che tanto ci infastidisce e interroga, alla fine trovo qualcosa che adesso è dura da dire, ma come dicevo è il momento dell'audacia, quindi bisogna dirla. C'è un'inerzia collettiva, dentro a quella apparente sproporzione, un sentimento collettivo che tutti contribuiamo a costruire: abbiamo troppa paura di morire. È come se il diritto alla salute (una fantastica conquista) si fosse irrigidito in un impossibile diritto a una vita perenne, che d'altronde nessuno ci può assicurare. Ora, il rapporto con la morte, e con la paura della morte, è una cosa innanzitutto individuale, una faccenda che ognuno si gestisce da sé (io per esempio me la cavo da schifo). Ma in seconda battuta la paura della morte è anche un sentimento collettivo che le comunità degli umani sono da sempre attente a edificare, limare, correggere, controllare. Per dire, la civiltà di mio nonno, che ancora aveva bisogno delle guerre per mantenersi in vita, stava attenta a tenere alta una certa "capacità di morte". Noi siamo una civiltà che ha scelto la pace (in linea di massima) e dunque abbiamo smesso di coltivare una collettiva abitudine a pensare la morte. Come comunità la combattiamo, ma non la pensiamo. Invece, la meraviglia di una civiltà di pace sarebbe proprio riuscire a pensare la morte di nuovo, e accettarla, non con coraggio, con saggezza; non come un'offesa indicibile ma come un movimento del nostro respiro, una semplice inflessione del nostro andare, forse la cresta di un'onda che siamo e che non smetteremo mai di essere. Non è che un individuo da solo, possa arrivare spesso a certe leggerezza di sentire: ma una comunità sì, lo può fare. Delle comunità, in passato, sono state capaci di portare a morire milioni dei loro figli per un ideale, bello o aberrante che fosse: perché una comunità non dovrebbe essere capace di portare tutti i suoi figli a capire che il primo modo di morire è avere troppa paura di farlo?

10. Molti si chiedono cosa accadrà dopo. Una cosa possibile, mi tocca registrarlo, è che non ci sarà un dopo. Non nel senso che moriremo tutti, no, ovviamente no, l'ho già detto. Ma in questo senso: ci stiamo accorgendo che solo nelle situazioni di emergenza il sistema torna a funzionare bene. Il patto tra gente e le élites si rinsalda, una certa disciplina sociale viene ristabilita, ogni individuo si sente responsabilizzato, si forma una solidarietà diffusa, cala il livello di litigiosità, ecc., ecc. Insomma, per quanto possa sembrare assurdo, la macchina smette di perdere i pezzi quando supera i duecento chilometri orari. Quindi è possibile che si scelga, in effetti, di non scendere più sotto quella velocità: l'emergenza come scenario cronico di tutto il nostro futuro. In questo senso il caso Covid 19 ha tutta l'aria di essere la grande prova generale per il prossimo livello del gioco, la missione finale: salvare il pianeta. L'emergenza totale, cronica, lunghissima, in cui tutto tornerà a funzionare. Non so dire francamente se sia uno scenario augurabile, ma non posso negare che una sua razionalità ce l'ha. E anche abbastanza coerente con l'intelligenza del Game , che resta un'intelligenza vagamente tossica, che ha bisogno di stimoli ripetuti e intensi, che dà il meglio di sé in un clima di sfida, e che tutto sommato è stato inventata da dei problem solver,  non da dei poeti.

11. Ultima. Non me ne intendo, ma ci vuol poco a capire che tutto quello che sta succedendo ci costerà un mucchio di soldi. Molto peggio della crisi economica del 2009, a fiuto. Vorrei dire una cosa: sarà un'opportunità enorme, storica. Se c'è un momento in cui sarà possibile redistribuire la ricchezza e riportare le diseguaglianze sociali a un livello sopportabile e degno, quel momento sta arrivando. Ai livelli di diseguaglianza sociale su cui siamo attualmente attestati, nessuna comunità è una comunità: fa finta di esserlo, ma non lo è. E' un problema che mina alla base la salute del nostro sistema, che sbugiarda qualsiasi nostra ipotetica felicità e che si divora qualsiasi nostra credibilità, come un cancro. La difficoltà è che certe cose non si riformano, non si ottengono con un graduale, farmaceutico miglioramento, non si migliorano un tantino al giorno, a piccole dosi. Certe cose cambiano con un movimento di torsione violento, che fa male, e che non pensavi di poter fare. Certe cose cambiano per uno choc gestito bene, per una qualche crisi convertita in rinascita, per un terremoto vissuto senza tremare. Lo choc è arrivato, la crisi la stiamo soffrendo, il terremoto non è ancora passato. I pezzi ci sono tutti, sulla scacchiera, fanno tutti male, ma ci sono: c'è una partita che ci aspetta da un sacco di tempo. Che sciocchezza imperdonabile sarebbe avere paura di giocarla.

lunedì 23 marzo 2020

Video-conferenze Scuola di ammirazione - Valter Alovisio




L’angolo dell’arte”
Valter Alovisio – Point Zero



Cari amici,

la SCUOLA DI AMMIRAZIONE comunica che da oggi sul sito


si trovano delle lezioni, organizzate in forma di videoconferenze, che si possono vedere, scaricare e condividere liberamente. La goccia scava la pietra, scriveva Lucrezio.

Ho pensato così di offrire un piccolo contributo sociale per rendere più lieve questo tempo difficile in cui tutti noi viviamo

E’  sufficiente linkare l’indirizzo.

E’ mia intenzione continuare, condizioni permettendo, a pubblicare altre lezioni.

Vi consiglio quindi di seguire periodicamente sul sito gli aggiornamenti.

 L’augurio è di poterci vedere presto tutti di persona.

Un abbraccio,

Valter Alovisio

Questionario Politecnico Torino sulle COMUNITA' ENERGETICHE


Questionario del Politecnico di Torino


 sulle COMUNITA’ ENERGETICHE


Abbiamo ricevuto da Maria Valentina Di Nicoli, dottoranda di ricerca in “Sviluppo urbano e regionale” presso il Politecnico di Torino, la cortese richiesta di rispondere ad un questionario che intende monitorare il “ruolo del cittadino” nella creazione di “Comunità energetiche”, finalizzato a comprendere l’interesse e l’opinione verso queste proposte che sono in fase di realizzazione nel nostro paese. E’ esattamente il progetto che pochi giorni fa, il 20 Marzo scorso, in un post che abbiamo pubblicato con titolo “Mettiamo in Comune le nostre energie” l’Assessore Fiorenza Arisio, ci illustrava presentando la decisione del Comune di Avigliana di aderirvi convintamente. Chi di noi fosse interessato al tema e disponibile a rispondere al questionario fornendo così preziose indicazioni con una piccola frazione del tanto tempo libero di cui disponiamo in questi giorni di forzata, ma indispensabile, clausura casalinga,  può farlo cliccando su questo seguente link


questionario politecnico torino

sabato 21 marzo 2020

Appello per una risposta europea alla minaccia del coronavirus


Pubblichiamo, invitandovi ad aderire, il seguente appello che chiama l’Unione Europea ad assumere un ruolo più attivo ed incisivo nelle politiche da attuare per fronteggiare la grave pandemia da coronavirus. Va detto che questo appello, immediatamente sottoscritto da molte importanti personalità di tutta Europa, alcune delle quali sono qui sotto citate,  risale a qualche giorno addietro e che nei giorni successivi la UE ha in effetti avviato importanti e diversificate misure in tale direzione, la più importante delle quali ci sembra sia la decisione della BCE di stanziare un fondo di ben 750 miliardi di euro per finanziare interventi mirati a sostenere le finanze pubbliche degli Stati aderenti ed anche a fornire coperture per le attività private. In calce a questo appello riepiloghiamo alcuni di questi interventi, purtroppo come troppo spesso succede sono poco conosciuti anche per la scarsa informazione che i media dedicano alle attività UE, che sembrano rispondere in modo adeguato alle critiche di lentezza, se non di immobilismo, mosse nei suoi confronti. Critiche che peraltro sono presenti in questo stesso appello ma che, a fondamentale differenza da quelle strumentali di stampo populista e sovranista, sono ancora una volta ricondotte alla incompiuta realizzazione di una vera Unione Europea dotata di una maggiore gamma di reali poteri di intervento su tutte le tematiche che dovrebbero essere di competenza di una vera e computa istituzione sovrannazionale

Tutti i cittadini sono invitati a firmare questo appello, che è stato promosso dai filosofi Roberto Castaldi e Daniel Innerarity e firmato nel primo giorno da oltre 1500 personalità provenienti dal mondo accademico, dalla società civile, dalla comunità imprenditoriale, dalle istituzioni di tutta l'UE ed oltre.
Tra i firmatari vi sono alcuni tra i più importanti accademici europei dei loro settori, figure rilevanti della società civile, molti dei quali avevano ruoli rilevanti nelle istituzioni, tra cui Romano Prodi (ex presidente della Commissione e ex Primo Ministro italiano), Enrico Letta (ex Primo Ministro italiano), José Luis Rodríguez Zapatero (ex Primo Ministro della Spagna), Enrique Baron Crespo (ex Presidente del Parlamento Europeo), Pascal Lamy (ex Commissario e Direttore generale dell'OMC), Anna Diamantopoulou e Ferdinando Nelli Feroci (ex Commissari europei) e molti altri ex ministri, membri di istituzioni europee e nazionali, ecc.

 UNA RISPOSTA EUROPEA ALLA MINACCIA DEL CORONAVIRUS
PER MOSTRARE CHE LA UE
 È UNA VERA COMUNITÀ, CON UN DESTINO COMUNE
Noi, cittadini europei, siamo consapevoli che il Covid-19 è una minaccia comune, in grado di colpire un paese alla volta, ma destinato a cambiare il nostro modo di vita e i nostri sistemi economici come in una guerra. Noi, cittadini europei, siamo preoccupati da questa minaccia; ed ancor più dalla cacofonia, l’egoismo e l’autodistruttiva miopia di differenti, non coordinate, risposte nazionali. E dalla mancanza di visione dei nostri leader europei, che fingono di non sapere che, data la nostra reciproca interdipendenza, abbiamo bisogno di una politica europea unica, con misure di contenimento rigide della pandemia, ed un piano a livello di UE per far ripartire l’economia europea una volta passata l’emergenza. Noi, cittadini europei, denunciamo che l’attuale UE è una Res Publica incompleta, quindi non sufficientemente attrezzata per affrontare questa sfida, con le poche competenze che ha per affrontare la pandemia. Prendiamo quindi atto con soddisfazione della decisione della Commissione di fornire 25 miliardi per la lotta contro questa minaccia, ed allo stesso tempo di consentire maggiore flessibilità ai bilanci nazionali. Ma non è abbastanza.
Chiediamo alla Commissione ed al Parlamento Europei di proporre, ed ai governi nazionali di adottare (ad iniziare dalla riunione dell’Eurogruppo del 16 marzo, e da un Consiglio Europeo straordinario da convocare subito dopo) le seguenti azioni urgenti, utilizzando anche le clausole passerella e le formule semplificate per la revisione dei Trattati previste dal Trattato di Lisbona:

1.    Fare della salute pubblica e del contrasto all’epidemia una competenza concorrente della UE, soggetta alla procedura legislativa ordinaria, e fornendo alla Commissione i poteri necessari per coordinare la risposta all’epidemia.

2.    Allargare lo scopo del Meccanismo Europeo di Stabilità per finanziare il rafforzamento immediato dei sistemi sanitari europeo e nazionali per affrontare la pandemia, che minaccia anche la stabilità economica e finanziaria della UE.

3.    Abolire l’obbligo di pareggio di bilancio della UE e creare un Safe Asset europeo da emettere per il finanziamento di un piano pan-europeo per la promozione della ripresa economica e della coesione sociale alla fine dell’emergenza.

4.    Spostare le questioni fiscali alla procedura legislativa ordinaria ed adottare nuove risorse proprie – come la tassa (e le tariffe) sulle emissioni di carbonio, sul digitale, sulle transazioni finanziarie – per finanziare il bilancio europeo (o lo strumento budgetario dell’area euro, se la decisione potesse essere adottata unicamente a quel livello).

5. Adottare immediatamente il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, portando il bilancio almeno all’1,3% del PIL europeo, come richiesto dal Parlamento Europeo, sulla base dell’attuale struttura del finanziamento del bilancio; e con la previsione di raggiungere il 2% con le nuove risorse proprie per assicurare la fornitura di cruciali beni pubblici europei.

6.  Trasformare la prevista Conferenza sul Futuro dell’Europa in una vera e propria Convenzione Europea per stilare un nuovo Patto Costituzionale fra i cittadini europei e gli Stati membri.

Noi, cittadini europei, riteniamo che questa sia un’ora cruciale per la UE. La percezione collettiva della UE sarà influenzata per anni dalla risposta a questa crisi. È il momento di mostrare che la UE è una comunità di valori con un destino comune, l’assicurazione sulla vita per i suoi cittadini e gli Stati membri di fronte ad un mondo turbolento ed a minacce politiche, economiche e sanitarie globali. È venuto il tempo per compiere passi coraggiosi e comuni per sconfiggere la paura. È il tempo per l’unità europea, non per le divisioni nazionali.

ADERISCI ANCHE TU - SOTTOSCRIVI L'APPELLO
Per farlo è sufficiente cliccare sul seguente link


che consente di accedere al sito del “Centro studi, formazione, comunicazione e progettazione sull’Unione Europea e la global governance – CesUE” , anticipiamo per opportuna preventiva conoscenza la schermata da compilare 


I CAMPI CON L'ASTERISCO ( * ) SONO OBBLIGATORI                                                                                                                                                                                                                                              
NOME (*)


COGNOME (*)



EMAIL (*)


NAZIONALITA'


PROFESSIONE


COME SEI VENUTO A CONOSCENZA DELL'INIZIATIVA?

   

 Vediamo nel dettaglio le singole misure di cui sopra (aggiornate al 16 marzo):
SANITÀ
 COORDINAMENTO TRA COMMISSIONE E AUTORITÀ NAZIONALI = 
La Commissione europea interagisce giornalmente, tramite videoconferenza, con i 27 ministri nazionali della Salute e degli Interni.Il 17 marzo i leader dell'UE si sono riuniti in videoconferenza per discutere le misure da attuare per contenere la pandemia di coronavirus. I 27 hanno avallato la chiusura delle frontiere esterne dell’Unione, la riallocazione di fondi UE per 37 miliardi di euro e la piena flessibilità prevista dal patto di stabilità. Si tratta sulla chiusura delle frontiere interne.
 AGENZIA EUROPEA PER LA PREVENZIONE E IL CONTROLLO DELLE MALATTIE = 
L’agenzia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) fornisce alle autorità nazionali linee guida, dati, analisi del rischio e raccomandazioni anche in caso di epidemia come il coronavirus..
MASCHERINE E DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE = 
 La Commissione europea ha adottato tre tipi di misure:
  • ·   Dialogo con i produttori per arrivare rapidamente ad un aumento della produzione di mascherine e dispositivi di protezione individuale. La Commissione europea ha inoltre avviato una procedura accelerata congiunta di appalto per l'acquisto di queste forniture e formulando una raccomandazione sui dispositivi protettivi sprovvisti di marcatura CE.
  • Blocco alle esportazioni di mascherine e dispositivi medici al di fuori della Ue. La Commissione europea ha disposto che le esportazioni di mascherine e altro materiale protettivo per il personale medico non possa essere esportato al di fuori dell’Unione europea, a meno di un’esplicita approvazione dei governi nazionali. L’obiettivo è che i prodotti presenti in Europa debbano essere messi a disposizione dei sistemi sanitari dei Paesi Ue.
  • Condivisione del materiale disponibile tra i Paesi Ue. La Commissione europea ha imposto agli Stati membri di rimuovere le barriere alla circolazione di mascherine e altri dispositivi di protezione individuale all’interno dell’Unione europea.
LIMITARE I VIAGGI NON NECESSARI VERSO L’UNIONE EUROPEA = 
 La Commissione europea ha deciso di restringere temporaneamente i viaggi non essenziali da Paesi terzi verso l’Unione europea. 
 ECONOMIA
 “WHATEVER IT TAKES” = 
Nella sua riunione del 17 marzo, l’Eurogruppo ha dichiarato di essere pronto a prendere tutte le misure necessarie (“whatever it takes”) per azioni coordinate a sostegno dell’economia dopo lo shock del Coronavirus. Ciascun paese dell’Eurogruppo si è impegnato a mobilitare l’1% del PIL e a fornire liquidità per cifre pari al 10% del PIL sotto forma di garanzie o rinvio di pagamenti fiscali.
 37 MILIARDI PER LA LOTTA AL CORONAVIRUS = 
 La Commissione europea propone di destinare 37 miliardi di euro nell'ambito della politica di coesione per la lotta contro il coronavirus e per aiutare sistemi sanitari, imprese e lavoratori colpiti dall’emergenza.
 LIQUIDITÀ ALLE IMPRESE = 
Nelle prossime settimane 1 miliardo di euro sarà riorientato dal bilancio dell'UE come garanzia per il Fondo europeo per gli investimenti, al fine di incentivare le banche a fornire liquidità a PMI e imprese a media capitalizzazione. I finanziamenti così mobilitati, per un totale di circa 8 miliardi di euro, permetteranno di aiutare almeno 100 mila PMI europee e imprese a media capitalizzazione.
FLESSIBILITÀ DELLA DISCIPLINA PER GLI AIUTI DI STATO = 
Le norme dell'UE in materia di aiuti di Stato consentiranno eccezionalmente agli Stati membri di agire in modo rapido ed efficace per sostenere i cittadini e le imprese, in particolare le piccole e medie imprese, che incontrano difficoltà economiche a causa dell'epidemia di COVID-19. La Commissione europea applicherà la massima flessibilità e approverà le misure nazionali supplementari di sostegno all'economia.
 FLESSIBILITÀ DEI CONTI PUBBLICI = 
Massima flessibilità sulle spese eccezionali che i Paesi UE sosterranno per contenere l'epidemia, ad esempio nel settore sanitario per misure di soccorso mirate a imprese e lavoratori. Inoltre la Commissione propone di sospendere l'aggiustamento di bilancio in caso di grave recessione economica nella zona euro o nell'UE nel suo complesso.
 MORATORIA DEI DEBITI   = 
La Commissione europea provvederà a fornire sospensioni dei debiti ai debitori colpiti dalla crisi.
 L’AIUTO AGLI AGRICOLTORI = 
Su richiesta delle autorità italiane, la Commissione europea prorogherà di un mese il termine per la presentazione delle domande degli agricoltori italiani che hanno diritto a un sostegno al reddito nel quadro della politica agricola comune (PAC).
 FONDO DI SOLIDARIETÀ = 
La Commissione Ue propone di estendere l'ambito di applicazione del Fondo di solidarietà dell'UE includendo la crisi della sanità pubblica, al fine di mobilitarlo in caso di necessità per gli Stati membri più duramente colpiti. Nel 2020 sono disponibili fino a 800 milioni di euro. 
 FONDO DI ADEGUAMENTO ALLA GLOBALIZZAZIONE = 
Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione potrebbe anch'esso essere mobilitato per sostenere i lavoratori autonomi e chi ha perso il lavoro alle condizioni stabilite nel regolamento vigente e futuro. Nel 2020 sono disponibili fino a 179 milioni di euro.
 RICERCA
 SVILUPPO VACCINI = 
 Il 17 marzo la Commissione ha informato che sosterrà il lavoro della società CureVac, basata a Tubingen, impegnata nello sviluppo e nella produzione di vaccini anti-Coronavirus, con un sostegno fino a 80 milioni di €.
 164 MILIONI PER LE START UP INNOVATIVE = 
C’è un budget di 164 milioni a disposizione di Start Up e imprese tecnologiche che progettino idee innovative per rispondere all’emergenza Covid-19. 
 137,5 MILIONI A SOSTEGNO DELLA RICERCA = 
Già attribuiti 47,5 milioni di euro per ricerca, diagnosi, trattamenti, sostenendo 17 progetti focalizzati sul coronavirus che coinvolgono 136 gruppi di ricerca in tutta Europa. Altri 90 milioni di € sono stati stanziati per l’iniziativa di innovazione medica (IMI) con l’industria farmaceutica