lunedì 5 agosto 2019

Il "Saggio" del mese - Agosto 2019


Il “Saggio” del mese

 AGOSTO 2019

In coincidenza (solo simbolica?) con il cambio di millennio in tutto il mondo si sono affermate, oppure per alcuni aspetti ancor più consolidate, tendenze di segno decisamente opposto ad uno slancio fiducioso verso……magnifiche sorti e progressive (G. Leopardi – “La ginestra”). Confluiscono dentro questo magma di atteggiamenti di chiusura, di paura, di rancore, di rifiuto, situazioni locali e specifiche anche molto differenziate tra di loro, che sembrano però essere al contempo tenute insieme da un comune sentire di un’umanità confusa e diffidente verso le strade che la modernità globalizzata sembrava aver ormai definitivamente intrapreso. Il dibattito sulle cause che potrebbero spiegare questa sorta di strana “torsione” all’indietro è ovviamente aperto. Non mancano ragioni di ordine economico e finanziario, a partire dalla globalizzazione che ha imposto profondi cambi di paradigma che hanno azzerato antiche certezze, fenomeni planetari come le migrazioni di massa, strettamente legate al degrado ambientale ed alla stessa globalizzazione, e le collegate reazioni, la crisi della democrazia rappresentativa e dei suoi istituti, e l’impatto delle nuove tecnologie della comunicazione e dei big data che hanno radicalmente sconvolto sistemi produttivi e stili di vita imponendo ovunque modelli unificati ed unificanti. Ma ancor più complessa sembra essere la discussione sulle “forme” politiche di questa torsione. Appare infatti non poco problematico individuare quali tratti comuni possano legare situazioni all’apparenza tra di loro distanti come ad esempio la svolta a destra di quasi tutti i paesi sudamericani e di buona parte di quelli dell’estremo oriente, il trumpismo statunitense, i movimenti populisti nel cuore della vecchia Europa, la Brexit, la democrazia illiberale del patto di Visegrad, il lungo ciclo di comando di Vladimir Putin piuttosto che il fanatismo delle frange estremiste islamiche o dell’induismo aggressivo del confermato presidente Modi. Non è un mero problema di etichettare all’interno di comuni categorie “politiche” fenomeni e processi che, guardando tutti con occhio strabico di più al passato che al futuro, sembrano perlomeno essere riconducibili a quanto Zigmunt Bauman nel suo “Retrotopia” (nostra “Parola del mese” di Novembre 2017) definiva come un diffuso ed ostinato ricollocamento all’indietro, nel passato, delle speranze utopiche di solito affidate a scenari futuri. A seconda del prevalere contingente di alcune caratteristiche sono state chiamate in causa categorie classificatorie come fascismo, populismo, conservatorismo, nazionalismo, fanatismo religioso. Il saggio che abbiamo scelto per il mese di Agosto 2019 privilegia, seppur non escludendo altre incidenze, la categoria politica della “reazione”. Parliamo di “Il naufragio della ragione – reazione politica e nostalgia moderna”, da poco presente nelle librerie, di Mark Lilla (1956 – storico e politologo americano, professore di storia presso la Columbia University, voce libera e critica della sinistra statunitense, autore di numerosi saggi molti dei quali tradotti in italiano, tra i quali citiamo “L’identità non è di sinistra”)

Va innanzitutto riconosciuto a Mark Lilla il merito di sollecitarci, con questo suo saggio, alla rimozione della comoda e superficiale, per quanto effettivamente molto diffusa, convinzione che gli atteggiamenti politici “reazionari” non abbiano una particolare consistenza e dignità culturale esprimendo di fatto solamente istintivi, “di pancia”, rifiuti a temuti cambiamenti in corso …….il “reazionario” è l’ultimo “altro” rimasto, consegnato ai margini dell’indagine intellettuale rispettabile. Non lo conosciamo…… (la frasi in corsivo blu sono estratti dal testo del saggio). Eppure il termine “reazione” ha una storia interessante: entra nel vocabolario politico nell’Ottocento, dopo essere stato inizialmente utilizzato da Montesquieu (1689-1755) per descrivere il corso della politica come una successione di “azioni e reazioni”, come contraltare all’idea illuministica di progresso, per essere da lì in poi utilizzato, senza ulteriori approfondimenti particolari, per definire in modo indistinto atteggiamenti e prese di posizione di contrasto a cambiamenti “rivoluzionari”. Mark Lilla ritiene invece che la “reazione”, purché meglio analizzata e definita, sia una categoria politica utilissima per meglio comprendere molte delle attuali dinamiche politiche alla base della “torsione” di cui si è detto. L’analisi della reazione che con questo saggio Mark Lilla ci propone si articola sul recupero delle elaborazioni di alcuni pensatori (Franz Rosenzweigc – Eric Voegelin – Leo Strauss) che è possibile considerare figure intellettuali di riferimento della cultura reazionaria, sullo studio del più immediato retroterra culturale del movimento dei Teo-con statunitensi, affiancato da una particolare finestra su alcuni aspetti “reazionari” di una parte della sinistra europea, sulla riflessione sulle reazioni agli attentati terroristici jihadisti a Parigi nel 2015, ed infine su una chiusa che richiama ad atteggiamento emblematico le imprese tragicomiche di Don Chisciotte. Il filo comune che progressivamente potremo cogliere attraverso questi passaggi è il ruolo fondamentale della “nostalgia politica”, ossia quel sentire, diffuso e sotterraneo, che Mark Lilla considera la vera ragione ultima della “reazione”. Un percorso tanto originale quanto utile a coprire lacune molto diffuse e persistenti della nostra cultura politica e a fornire una possibile diversa chiave di lettura del presente.

Introduzione – Il naufragio della ragione
Mark Lilla anticipa all’inizio del saggio alcune delle considerazioni che emergeranno dalla successiva analisi, utili a capire quanto poco sia compresa la vera natura del “reazionario”, soggetto e termine da tutti noi molto spesso usati senza averne precisa conoscenza……La prima cosa da capire dei reazionari è che non sono conservatori. Sono, a modo loro, radicali quanto i rivoluzionari e altrettanto prigionieri di fantasticherie storiche…….  Ed in effetti se di norma gli atteggiamenti “conservatori” sembrano, a fronte di un cambiamento in atto, essere ispirati dalla volontà di mantenere uno status quo, quelli reazionari sono già proiettati verso una fase superiore: quella di operare attivamente per “ritornare” ad una condizione preesistente al cambiamento, reale o solo temuto che sia. Molto di più di un “normale” conservatore il reazionario è infatti legato ad uno stato precedente al cambiamento vissuto come …..umo stato felice ed ordinato in cui le persone sanno stare al proprio posto e vivono in armonia sottomesse alla tradizione ed al loro Dio….. Questo stato idilliaco viene aggredito dal cambiamento considerato, dal punto di vista reazionario, quasi sempre come il prodotto di idee …..straniere prodotte da intellettuali…….. Evidentemente, quanto meno nella cultura europea, è ancora forte la primordiale reazione all’Illuminismo ed alla Rivoluzione Francese ben rappresentata da Joseph de Maistre (1753-1821 filosofo e politologo francese) il quale spiega il crollo dell’Ancien Regime come un “marcire” dall’interno provocato da un inaccettabile sviluppo culturale ed intellettuale. Sempre da lì sembra poi nascere un altro elemento fondante del reazionario, ossessivamente votato alla ricerca di “colpevoli”, di individui o gruppi artefici del cambiamento incriminato……..il tradimento delle elite è il cardine di ogni narrazione reazionaria….. Ma al di là dell’individuazione dei presunti colpevoli il maggior danno imputabile ad ogni cambiamento è innanzitutto quello di sconvolgere il corso ordinato del tempo, di deviarne il fiume eterno e consolidato  …..la mente reazionaria è una mente naufragata, si sente esiliata dal tempo….. Anche se nella propria costruzione mentale il reazionario si muove senza dubbi e tentennamenti animato, com’è, dalla inattaccabile convinzione di essere dalla parte della ragione, della storia …….si sente in un posizione più forte di quella dei suoi avversari perché è convinto di essere il guardiano di ciò che è successo davvero e non il profeta di ciò che potrebbe succedere…… Diventa allora imperativo reagire e muoversi coerentemente a questo ruolo di “guardiano”: nella rivista reazionaria americana “National Review” si legge che l’obiettivo principale è quello di …….mettersi di traverso alla storia……  Questo vale anche se il cambiamento che si vuole fermare non necessariamente ha i caratteri oggettivi di una rivoluzione; per il moderno reazionario è già sufficiente anche solo dover fare i conti con le continue trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche che in questo cambio di millennio sembrano ormai permanenti. Appare evidente, secondo quanto Mark Lilla evidenzia in questa sua introduzione, che questa forma mentis reazionaria non possa poi non evolvere in un rifiuto ostinato al confronto “razionale”, all’argomentare basato sui fatti. Non possa poi non sfociare in una opposizione costante e pregiudiziale a qualsiasi novità, oltretutto resa ancor più convinta proprio dal peso di quella fortissima, per quanto non meglio definita ed indirizzata, “nostalgia”, che vale come……..potentissimo motivatore politico forse ancora più potente della speranza. Le speranze possono essere deluse, la nostalgia è indiscutibile…… Ansia di fonte all’aggressione del cambiamento perenne, nostalgia di un presunto splendore passato possono quindi essere la spiegazione dei tanti atteggiamenti reazionari antimoderni così diffusi nel mondo intero e che ………non hanno in comune quasi nulla a parte la sensazione di essere stati traditi dalla storia…… Sta nella consapevolezza del peso di questi atteggiamenti la necessità di meglio comprendere la mente reazionaria perché, se è indubitabile che nostalgia e rifiuto aprioristico di ogni cambiamento sanciscono il ……naufragio della ragione……, resta pur vero, a giudizio di Mark Lilla, che è ……soltanto un pregiudizio ritenere che il rivoluzionario pensa mentre il reazionario si limita a reagire…… Forse è davvero necessario addentrarci in questo territorio così poco esplorato, iniziando dal meglio conoscere le opere di alcuni dei suoi pensatori di riferimento.

Pensatori
Occorre premettere, per meglio cogliere il rapporto tra “reazione” e l’opera dei tre pensatori presentati da Mark Lilla, che non ci troviamo di fronte a intellettuali “militanti”, coscientemente impegnati a costruire una sorta di piattaforma ideologica per i movimenti reazionari di Europa ed USA. Si tratta invece di tre percorsi individuali che, nel primo Novecento, si muovono lungo la faglia di rottura tra modernità e tradizione costruendo un intreccio di riflessioni che concorrono, lucidamente ma senza automatiche ricadute movimentiste, a formare quel concetto di “nostalgia politica” che alimenta, ed al tempo stesso spiega, il pensiero reazionario. Tutti e tre forniscono sostanza intellettuale ad un sentimento (Mark Lilla lo definisce una “nuvola sul pensiero europeo”) da “fine della civiltà così come la conosciamo” che trova ampia diffusione all’indomani dei disastri della Prima Guerra Mondiale. Una versione di questo sentimento più legata alla ricostruzione storica e come tale in grado di ben testimoniarlo e al tempo stesso, questa sì, più “militante” è quella di Osvaldo Spengler (1880-1936 Storico e filosofo tedesco) in ispecie con la sua influente opera “Il tramonto dell’Occidente”
La battaglia per la religione. Franz Rosenzweig
Franz Rosenzweig nasce a Kassel in Germania nel 1886 da una famiglia ebrea ben inserita nella comunità locale. Prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale si laurea in filosofia dimostrando tutte le doti atte ad una brillante carriera accademica. Doti che peraltro convivono con un forte sentimento religioso che lo lega in modo crescente alla religione ebraica seppure vissuta con toni personali ed idee originali. Arruolato nell’esercito tedesco riesce ad essere assegnato ad un regimento non in prima linea in Macedonia trovando lì il tempo per iniziare la sua opera fondamentale “La stella della redenzione”, completato e pubblicato solo nel 1921.  Chiamato nel 1922 a dirigere il Centro di studi ebraici di Francoforte viene colpito da una forma grave di SLA che limita pesantemente la sua attività fino alla morte avvenuta nel 1929. Una frase appuntata in un suo diario privato fornisce la chiave di lettura della sua intera attività intellettuale ……la battaglia contro la storia in senso ottocentesco diventa per noi la battaglia per la religione in senso novecentesco…… Per Rosenzweig, e buona parte della generazione intellettuale tedesca a lui coeva, la storia in senso ottocentesco significava “filosofia della storia”, ovvero la piena realizzazione dell’idea di Hegel di un processo storico razionale che si sarebbe completato con il moderno Stato burocratico, la società civile borghese basata sull’economia capitalistica e sulla religione protestante. E sulla filosofia dello stesso Hegel. Un processo all’apparenza inarrestabile nella sua completezza ma sconvolto dalla catastrofe del conflitto e dalla tragedia della sconfitta tedesca. Pochi anni dopo, preceduta da un periodo di grande tensione culturale nel quale trovano spazio movimenti e tendenze di vario genere spesso in forte contrasto tra di loro, la fine di quella “storia ottocentesca” avrebbe lasciato il posto all’incubo nazista. Ma nei pochi anni che ancora separano dalla vittoria di Hitler sembrava che la Germania intera fosse entrata in una fase di turbolenza culturale così profonda da essere lucidamente definita da Max Weber (1864-1920 sociologo tedesco) come quella del …….disincanto del mondo….. Ed è in questo contesto, a confronto con questo cambiamento “rivoluzionario” tanto frenetico quanto confuso ed eterogeneo, che Rosenzweig mette a punto la sua idea di una religione salvifica. Lo fa non solo in contrapposizione al disordine culturale ma anche, in quanto ebreo, in rivolta verso l’illusione di una parte dell’ebraismo tedesco di meglio integrarsi nella società tedesca anche grazie ad una lettura riformata della religione ebraica. Per quanto lontano e critico verso ogni visione “ortodossa” dell’ebraismo, e più in generale della religione, Rosenzweig era profondamente convinto che ……solo una “igiene del ritorno” poteva portare a un rinnovamento reale del popolo ebraico…… Ed è proprio questa idea del “ritorno” che spiega da una parte la battaglia contro la ……storia in senso ottocentesco……. di stampo hegeliano e dall’altra quella per …….la religione in senso novecentesco….. Un ritorno che si rendeva possibile solo grazie ad una sorta di terapia che insegnasse non a tornare indietro nel tempo ma ad imparare a sfuggirgli. L’intera opera di Rosenzweig mira a costruire questa terapia. Un’opera nella quale non mancano toni e passaggi oscuri e quasi cabalistici ma, sfrondata di questi aspetti, …….si scopre una meditazione profonda su cosa significhi vivere un’esistenza riconciliata con la finitudine dell’uomo e aperta alla trascendenza….. Un percorso di recupero del vero senso della religione, l’oggetto ultimo della “nostalgia politica” di Rosenzweigh, che si apre persino ad una riconciliazione tra cristianesimo ed ebraismo giocata proprio sul piano del recupero del trascendente slegato dal tempo. L’influenza di Rosenzweigh nell’ambiente ebraico tedesco, e più in generale in quelli culturali che stavano, muovendosi in varie direzioni, per uscire dall’eredità hegeliana, fu sicuramente notevole. Ma da lì a poco l’ebraismo europeo sarebbe stato investito dalla furia nazista e si sarebbe, inevitabilmente e comprensibilmente, spostato dal ritorno alla trascendenza al versante molto più concreto del sionismo che Rosenzweigh, nella sua “nostalgia”, non a caso non considerava
L’eschaton immanente. Eric Voegelin
Se la reazione alla modernità di Roenzweigh si esprime e si completa pienamente all’interno della “nostalgia” di una fede e di un sentimento forte di immanenza, il peso della “religione”, della presenza del divino nelle vicende umane, è una caratteristica comune all’intero mondo reazionario seppure sviluppata con accenti molto diversi. E lo è di certo anche per Eric Voegelin. Voegelin nasce a Colonia In Germania nel 1901 per trasferirsi poi con la famiglia in Vienna dove si laurea in legge e scienze politiche. Grazie ad una borsa di studio nel 1924 si reca negli USA dove segue in prevalenza corsi filosofici.  Torna in Vienna in coincidenza con il primo affermarsi del nazismo con il quale entra in durissimo contrasto soprattutto per le sue convinzioni antirazziste maturate proprio durante il soggiorno americano. Non è né comunista né ebreo ma quel contrasto è così forte e così pericoloso da indurlo ad abbandonare definitivamente l’Europa e a tornare in America. In questi anni sono molti e molto influenti gli intellettuali europei costretti a spostarsi negli USA portandosi dietro come bagaglio culturale considerazioni sulle ragioni della crisi del vecchio continente che aprono un forte dibattito nel contesto statunitense. Fin lì ……..di rado l’America aveva coltivato una idea di storia basata su cicli di crisi nonostante la vena apocalittica presente nella sua immaginazione religiosa originaria….. Il confronto con la visione comprensibilmente cupa e pessimistica della crisi europea - un bagaglio comune a tutti gli esuli europei per quanto siano ovviamente molto diverse le idee ad esempio di Hannah Arendt (1906-1975 politologa, filosofa e storica tedesca), di Max Horkheimer (1896-1973, filosofo tedesco uno dei maggiori esponenti della Scuola di Francoforte), di Theodor Adorno (1903-1969 filosofo e sociologo, anch’egli legato alla Scuola di Francoforte) , e quelle di Voegelin e, come vedremo, di Leo Strauss – apre anche negli USA nuove prospettive culturali. Eric Voelgelin occupa molto presto un ruolo centrale in questo contesto. Saggista molto prolifico e di interessi poliedrici elabora analisi e suggestioni che influenzano moltissimo gli ambienti conservatori e di destra statunitensi. ……..al centro di tutti i suoi scritti c’è l’intuizione del rapporto tra politica e religione e di come le trasformazioni all’interno di questo rapporto possano spiegare i cataclismi della storia moderna…… Il cuore della sua elaborazione è la convinzione del carattere sacrale del potere che agli albori della cultura umana vedeva la loro piena identificazione. Questo strettissimo legame tra umano e divino inizia ad allentarsi proprio con il Cristianesimo la prima religione che offre principi teologici che distinguono l’ordine divino da quello politico. ……Dio non doveva più passare dal palazzo reale…….  Nel solco così aperto si sono progressivamente inserite idee che hanno rotto in modo definitivo quella indispensabile identificazione. Ma il bisogno istintivo del sacro nella sfera del potere non può essere soppresso, è nella natura umana. E quindi secondo Voegelin nella storia dell’Occidente moderno, dopo l’Illuminismo, si è così affermato un sentire profondo e diffuso …….l’uomo ha iniziato a concepire in termini sacri la proprie azioni, ed in particolare la creazione di nuovi ordini politici…..quando Dio è diventato invisibile dietro il mondo le cose del mondo sono diventate i nuovi dei….. E quindi secondo Voegelin tutti i movimenti ideologici del Novecento europeo, marxismo, fascismo, nazionalismo, hanno questa caratteristica, sono a tutti gli effetti “religioni politiche”. Una concezione del rapporto tra potere e sacro tutt’altro che nuova ed originale, ma che in Voegelin, e nella sua gigantesca produzione saggistica, trova una sistemazione ed importanti elementi a supporto. Eppure Voegelin, a differenza di Rosenzweigh, non è animato da un particolare spirito religioso; le sue convinzioni nascono e si esprimono esclusivamente sul terreno politico. Ed è in questo ambito che egli diventa, in particolare con la sua grandiosa opera in più volumi intitolata “Ordine e storia” un punto di riferimento per la destra americana. Poco importa che il suo successivo sviluppo di queste idee lo porti ad immergersi in modo esasperato nello studio del gnosticismo (un movimento filosofico ed esoterico, nato in ambito cristiano già nei primi secoli dopo Cristo, che proponeva una visione molto misticheggiante del percorso verso la vera conoscenza del divino e dell’essenza del cristianesimo). Peraltro il gnosticismo è stato, per molteplici ragioni e con accenti molto diversificati,  un argomento molto dibattuto nell’ambito storico e filosofico europeo di quegli anni. La matrice dell’interesse di Voegelin consisteva nel ritenere che ……..l’intera epoca moderna, nata da quella ribellione verso il rapporto primordiale fra divino e potere, e verso lo stesso Cristianesimo, sia di natura gnostica….. Resta comunque fondamentale, per meglio conoscere il retroterra culturale “reazionario” non solo americano, l’attenzione quasi maniacale con la quale Voegelin ha analizzato durante tutta la sua attività culturale il carattere sacrale, divino, del potere. Che egli completa, proprio sulla base delle considerazioni sviluppate sul peso del gnosticismo, con una sua personale concezione dell’eschaton, la ragione ultima che deve muovere l’uomo e le sue idee, che ha, anch’essa, giocato un peso significativo nello sviluppo della concezione reazionaria della “nostalgia politica”, in particolare americana. Anche in questo caso il Cristianesimo, e la breccia che ha aperto fra sacro e potere, gioca un ruolo negativo; incapace di vivere fino il fondo l’attesa della realizzazione del bene anch’esso ha di fatto spostato ……..il Paradiso sulla terra…… Tutta la storia della modernità, in questo quadro, altro non sarebbe che il riaffacciarsi della tensione gnostica contro l’idea stessa di un ordine trascendente, del sacro, al quale l’uomo deve invece tornare recuperandone i caratteri originali
Atene e Chicago.  Leo Strauss
Leo Strauss nasce da una famiglia ebrea a Marburg in Germania nel 1899. Dopo aver combattuto nella Prima Guerra Mondiale aderisce al movimento sionista durante gli studi universitari di filosofia laureandosi con Ernst Cassirer (1874-1945 filosofo tedesco, uno dei “quattro stregoni” raccontati dal libro di recente successo). Ma come molti studenti di filosofia tedeschi di quegli anni, tra cui Hanna Arendt, Hans Jonas (1903-1993 filosofo tedesco), Herbert Marcuse (1898-1979, filosofo e sociologo tedesco poi naturalizzato americano), subisce il fascino intellettuale del primo Heidegger (1889-1976 filosofo tedesco un altro dei “quattro stregoni”), in particolare per la duplice messa in discussione della tradizione filosofica e della vita moderna. Le strade di quegli studenti, chi prima chi dopo, si dividono da quella di Heidegger ed anche Leo Strauss se ne distacca non condividendo i termini della sua critica alla filosofia classica essendo già allora convinto che ……i problemi della civiltà occidentale sono cominciati proprio con l’allontanamento dalla tradizione greca…… Il nazismo incombente impone anche all’ebreo Strauss di fuggire dalla Germania e, dopo un felice soggiorno culturale in Inghilterra, arriva negli Stati Uniti a metà degli anni trenta e trova un stabile sistemazione accademica presso l’Università di Chicago negli anni quaranta. Sono importanti queste date per comprendere l’evoluzione del pensiero di Strauss perché in effetti il suo percorso culturale è perfettamente divisibile in due parti, non opposte ma nemmeno coincidenti: quella degli anni Venti in Germania e quella americana successiva. Una divisione che segna anche un suo diverso rapporto con le matrici culturali “reazionarie” ed una sua diversa influenza sugli ambienti conservatori di destra europei ed americani. Negli anni Venti al centro dei suoi interessi filosofici, in frequente contrapposizione con Heidegger, c’è …..la difesa della filosofia socratica o almeno della “possibilità della filosofia”…… Anche per lo Strauss degli anni Venti, seppure con accenti molto diversi da quelli di Rosenzweigh e di Voegelin, c’è il rapporto tra filosofia e rivelazione divina. La prevalenza di quest’ultima nella prima fase della cultura umana viene superata dalla filosofia con il suo porre al centro il ruolo della ragione umana. Ciò avviene nell’ambito della filosofia classica greca e da quel momento si confrontano due modi di vivere e di pensare idealizzati da Strauss ……..uno in Atene e nella vita di Socrate l’altro in Gerusalemme e nella vita di Mosè; ed era necessario scegliere uno dei due….. Ossia tra le risposte alle domande di fondo date dal divino e quelle che nascono dal continuo interrogarsi di Socrate anche in contrasto con la stessa sacralità del potere politico. Questo contrasto attraversa tutta l’antichità per poi conoscere una cesura radicale con l’avvento dell’Illuminismo al quale Strauss riconosce una genuina attenzione al ruolo della ragione ma che, a suo avviso, troppo presto sfocia in uno spazio eccessivo concesso al relativismo ed al nichilismo ottocenteschi. Nascono da questa cesura tutte le contraddizioni ed i guasti della successiva modernità. In questa convinzione Strauss si ritrova in sintonia con Heidegger, per entrambi ……i problemi della civiltà occidentale possono essere fatti risalire all’abbandono in passato di un modo di pensare più sano…… Quel modo di pensare “sano” consisteva, per Strauss, nel costante ricorso alla “Zetetica” (nostra “Parola del mese” di Marzo 2015) ossia alla continua indagine mediante interrogazione in piena linea quindi con il metodo socratico. Nell’intero percorso europeo di Strauss, al di là dei motivi di dissenso e delle differenti opinioni su aspetti rilevanti, appare comunque evidente il suo debito nei confronti di Hedeigger  ……leggerli insieme fornisce una lezione sui diversi modi in cui il pessimismo storico si traduce in nostalgia intellettuale per poi influenzare l’azione politica….. Ed è anche questo aspetto che spiega la crescente considerazione che il primo Strauss “europeo” sta ricevendo dagli anni settanta in qua nel vecchio continente: sono infatti sempre di più i suoi lettori, in ambito accademico e politico, interessati in particolare al ruolo centrale del rapporto divino/politico, ed alla sua critica dell’Illuminismo. Il definitivo trasferimento negli States segna comunque una nuova distinta fase della sua attività intellettuale ed una diversa, e persino più consistente, attenzione e considerazione da parte del pubblico americano, in senso lato. Strauss inizia ad insegnare presso l’Università di Chicago subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, siamo quindi in piena guerra fredda e gli Stati Uniti hanno ormai un ruolo guida per tutto il mondo occidentale. I suoi seminari diventano in fretta di grande successo, colpisce il suo zetetico stile di insegnamento e la lucidità dell’analisi che di lezione in lezione prende corpo. Nel 1953 esce “Diritto naturale e storia” la sua opera più influente che in buona parte riprende il suo percorso accademico.  La dialettica divino/politico resta sullo sfondo ma al centro del suo pensiero c’è ora la difesa del “diritto naturale”, dei diritti che “naturalmente” fanno capo all’uomo contro gli attacchi che nel corso della storia ad esso sono portati: un tema quanto mai sentito nell’America da sempre legata ai valori della Costituzione del 1787, su quei valori basata. Ancora una volta il legame con la Grecia classica è fortissimo, secondo Strauss è lì che viene definita la base del diritto naturale …..la distinzione tra natura e convenzioni (sociali) è netta e la giustizia è ciò che si accorda con la prima e non con le seconde….. E’ Machiavelli il primo ad aprire una breccia contro questa visione attraverso la quale il successivo pensiero moderno completa un suo progressivo smantellamento che, non diversamente dal prevalere del politico sul divino al centro del pensiero dello Strauss europeo, inevitabilmente porta al relativismo ed al nichilismo contemporanei. Su questa base ……”Diritto naturale e storia” offre all’America una ricostruzione apodittica del declino intellettuale della civiltà occidentale….. E’ da subito molto grande l’interesse e l’adesione a queste tesi di Strauss, un interesse ed una adesione che hanno matrici strettamente legate allo spirito di “difensori della civiltà e della libertà” che anima gli USA in questi anni e che in gran misura non sono spiegabili con una corrispondente attenzione da parte di Strauss che sempre manterrà una posizione di coinvolgimento molto relativo nello spirito americano. Il 1968, ed i timori che con esso si innescano negli ambienti conservatori di destra, accentuano a dismisura questo favore verso le idee di Strauss. La conclusione implicita in questa tensione nostalgica è l’affermarsi diffuso della convinzione che ……l’America è investita da una missione storica di redenzione, un’idea che però Strauss non ha mai espresso da nessuna parte….. Nel 2003 in USA viene celebrato il trentesimo anniversario della sua morte che coincide con l’invasione americana dell’Iraq. Ebbene buona parte dei principali sostenitori dell’intervento, politici, intellettuali, firme del giornalismo e dei media, sono …….allievi della scuola straussiana….. Un aspetto che è emblematico del rapporto fra l’attività culturale di alcuni pensatori ed la sensibilità diffusa dei tanti che vivono con difficoltà le inevitabili contraddizioni della modernità

Correnti
Appare però evidente la distanza che corre tra questo mondo delle idee “a monte” dalla prassi “reazionaria”. Da una parte un bagaglio di idee che, per quanto discutibili, si muovono con assoluta dignità e spessore ai livelli alti del pensiero filosofico e politico, dall’altra un catalogo imbarazzante di atteggiamenti di ottusa chiusura e di rancoroso rifiuto di tutto ciò a cui viene imputata la responsabilità del “cambiamento”, spesso espressi con ostentata supponenza e aggressività. Se non è sostenibile un collegamento diretto ed immediato tra questi due livelli dell’universo reazionario è quindi necessario immaginare che esista una sorta di “terra di mezzo” nella quale agiscono movimenti e personaggi che traducono quelle idee “alte” nel linguaggio “basso” dei movimenti reazionari. E’ questa l’opinione di Mark Lilla ed è quanto esamina in questo capitolo in cui affronta il retroterra di un movimento a suo avviso emblematicodi questo stato di cose. A cui successivamente affianca una insolita finestra su alcuni aspetti culturali di una parte della sinistra europea
Da Lutero a Walmart
(Movimento Teocon =  Teocon (Theoconservative, Theocon) è un termine composto  dall'unione del prefisso "Teo" (e quindi Dio dal greco antico Theòs) e Conservatorismo, è stato coniato nel mondo anglosassone e in particolare negli USA ma oggi sembra persino più diffuso in Europa, non di rado con un significato diverso da quello originale. Negli USA con il termine theocon ci si riferisce solitamente ad appartenenti a settori del mondo cristiano che sono schierati su posizioni considerate conservatrici, o che uniscono ideali politicamente reazionari con la difesa di alcuni temi sociali a forte impronta religiosa (ad es. difesa della famiglia, aborto). Un movimento che si è progressivamente consolidato nel secondo dopoguerra fino ad avere un forte peso sulle scelte dei candidati e sulla linea politica del Partito Repubblicano. Spesso il termine è erroneamente confuso con neocon. Sebbene alcuni theocons possano essere vicini al movimento neocon e viceversa, si tratta di due concetti e due movimenti molto diversi, riferendosi, il primo, al rapporto tra politica e religione e, il secondo, ad una particolare teoria di politica estera molto aggressiva sorta a cavallo del cambio di millennio (teoria della esportazione della democrazia)
Mark Lilla prende infatti in considerazione non tanto le concrete prese di posizione politiche del movimento Teocon (qui sinteticamente inquadrato nella scheda precedente) ma il suo più immediato retroterra culturale. Lo fa nell’ambito di una sua valutazione della persistente incapacità della Chiesa cattolica di elaborare una propria “idea della storia”  in grado di dare conto in modo organico dei grandi cambiamenti storici avvenuti a partire dalla Riforma protestante, passando poi attraverso l’Illuminismo, la rivoluzione industriale e le grandi trasformazioni sociali e culturali avvenute nel Novecento ………la Chiesa rispose a quasi tutte queste sfide in un primo momento condannando le innovazioni e gli innovatori, poi tollerando alcune differenze, infine dichiarando che tali innovazioni erano, se ben interpretate, in continuità con la dottrina……non ha quindi una definita teologia della storia ma solo un susseguirsi di encicliche…… In questa sorta di vuoto, spesso visto come una forma di negativa passività, si è progressivamente consolidato, come volontà reattiva, un atteggiamento di condanna senza appello nei confronti della modernità, e dei grandi cambiamenti avvenuti nei costumi sociali e morali dello scorso secolo. Una reazione che ha come protagonisti intellettuali appartenenti, per le loro specifiche caratteristiche culturali, proprio a quella sorta di “terra di mezzo”. Sono state, e sono, figure intellettuali che, pur non possedendo particolare rilevanza culturalie hanno concretamente tradotto in un bagaglio di idee spendibili sul piano pragmatico dell’azione politica il mondo delle idee “alte” esaminate nel capitolo precedente. Sono opinionisti che di più e meglio hanno saputo parlare a quella parte dell’opinione pubblica che, per ragioni varie compreso il sentirsi “orfana” di una più chiara guida della Chiesa, era già del suo “spaventata” dalla modernità e dalla profondità del cambiamento percepito. Una figura emblematica di questo tipo di “pensatori opinionisti” è Alasdair MacIntyre il cui libro “Dopo la virtù” uscito nel 1981, è sicuramente, vista la sua diffusione e la considerazione guadagnata negli ambienti di destra, uno dei libri più influenti del nostro tempo nella scena americana. ……..”Dopo la virtù“ non è un saggio storico accademico e non finge di esserlo, è una potente opera promozionale…… una raccolta di accuse a idee e pensatori che hanno fatto …..calare il buio sul nostro mondo…..  che si chiude con l’esortazione a creare nuove comunità morali basate su antichi modi di pensare in grado di dare sostegno ad una vita morale coerente. Lo stesso potente ruolo di influenza vale anche per lo storico Brad Gregory ed il suo recente “Gli imprevisti della riforma” uscito nel 2014, un testo che non è possibile, sulla base dei canoni accademici, definire un saggio storico ma che si pone lo scopo esplicito di ….. spiegare come l’Europa e l’America sono diventati quello che sono…… per Gregory tutti i problemi della inaccettabile modernità hanno una precisa causa: l’iperpluralismo delle idee che ha determinato la progressiva scomparsa dell’ordine morale. Un ordine morale che esisteva, aveva le sue fondamenta nel pensiero cristiano così come si era evoluto, anche attraverso passaggi difficili, fino alla “catastrofe” della Riforma luterana. Gregory non può offrire ricostruzioni storiche che attestino l’esistenza di questa era felice, semplicemente la racconta in forma idealizzata, stereotipata, la presenta come un armonioso insieme di ……fede, speranza, amore, umiltà, pazienza, sacrificio di sé, perdono, compassione, servizio e generosità…… Questo bagaglio di virtù viene dissolto proprio dal pluralismo di opinioni morali, e poi sociali e culturali, che la Riforma prima ed il liberalismo tollerante poi hanno introdotto. Ed è a questo bagaglio di virtù che occorre tornare rifiutando, condannando, sradicando i guasti della modernità. La “nostalgia” di Rosenzweigh, di Voegelin, di Strauss, si è così trasformata in queste opere di vulgata reazionaria nella celebrazione di un mito, quello di un’era felice cancellata dalla modernità alla quale occorre integralmente tornare. Mark Lilla sfiora in questo passaggio un tema, quello del ruolo dei miti, che meriterebbe maggiori attenzioni. Non era, va detto, il tema centrale di questo suo saggio, ma anche solo le poche frasi con le quali lo delinea già aprono prospettive importanti di approfondimento  ….perchè le persone continuano ad avere bisogno di questi miti? Forse vogliono la consolazione, per quanto magra, di pensare di poter comprendere il presente sfuggendo allo stesso tempo a una piena responsabilità nei confronti del futuro…..
Da Mao a San Paolo
Nell’ambito del percorso con cui Mark Lilla ci introduce al mondo delle idee “reazionarie” compare una sorta di strana parentesi dedicata ad un “pezzo” della sinistra europea che, a suo avviso, non disdegna una frequentazione tutt’altro che superficiale con idee e figure di riferimento dell’universo reazionario. Opinione del tutto rispettabile che però, nostra considerazione del tutto personale, avrebbe richiesto, per essere meglio compresa, maggiore spazio e approfondimento. Così come è stata inserita nel corpo di questo saggio rischia di essere una sorta di parentesi a sé stante non meglio comprensibile. Esiste comunque per Mark Lilla una insolita attenzione che alcuni intellettuali di punta della sinistra europea, Jacob Taubes (1923-1987 filosofo e sociologo delle religioni) e Alain Badou (1937, filosofo francese) in particolare, hanno dimostrato verso San Paolo e la sua concezione universalistica del messaggio cristiano. San Paolo, da loro considerato il vero fondatore del cristianesimo, viene interpretato, ben al di là dello specifico religioso, come l’alfiere di una visione messianica di una trasformazione radicale, rivoluzionaria, dell’umanità. Ed è in questa capacità di proposta messianica di un cambiamento rivoluzionario che si realizza uno stretto parallelismo tra San Paolo e le grandi figure rivoluzionarie del comunismo mondiale novecentesco, Lenin e Mao in primis. La loro visione di un cambiamento radicale è non meno potente, non meno salvifica, di quella di San Paolo. E questa forza immaginifica di un cambiamento rivoluzionario, rivolto all’intera umanità ha un valore che va ben oltre gli errori commessi in nome suo, fino a “giustificare” persino i crimini del totalitarismo comunista (Pol Pot compreso!). Come buona aggiunta, secondo Mark Lilla, si intravede nell’elaborazione teorica di questi pensatori “di sinistra” una stretta relazione con alcune idee di Carl Schmitt (1888-1985 giurista e filosofo politico tedesco, vicino in diverse sue opinioni al nazismo) in ispecie con la sua  nozione di “teologia politica”. Taubes e Badou sono per Mark Lilla figure emblematiche di un atteggiamento di una parte della sinistra europea, a dire il vero quasi esclusivamente accademica, che rivela una sorta di “nostalgia politica”, per quello che poteva essere e purtroppo non è stato, non dissimile da quella che anima la visione reazionaria della storia ……..una forma paradossale di nostalgia storica, di nostalgia del futuro, che spinge alla ricerca, per certi versi disperata, delle risorse intellettuali per nutrirla…… Troppa carne al fuoco in queste  poche pagine del saggio di Mark Lilla!

Eventi
Si completa su queste basi il cerchio che lega idee alte e prassi reazionarie? Secondo Mark Lilla non del tutto. Esiste ancora un contesto culturale che, in quella sorta di “terra di mezzo” in questo caso europea, ha contribuito non poco a formare il pensare reazionario……..
E’ ancora vivo nella memoria collettiva il ricordo dell’attentato terroristico del 7 Gennaio 2015 alla redazione parigina della rivista satirica Charlie Hebdo e della successiva ondata di reazioni, di vario indirizzo. Nella condanna comune della folle ferocia dell’attentato, come era prevedibile, si divisero fin da subito le motivazioni di destra e di sinistra …….ma cominciarono a levarsi anche voci nuove, voci che venivano sì da destra ma che parlavano, a tutta l’opinione pubblica,  con risonanti toni profetici del corso dell’intera storia, non solo del recente passato…… Voci che da una parte attestano e dall’altra contribuiscono a formare il peso crescente che, anche in Europa, ha progressivamente assunto un diffuso sentire reazionario capace di superare divisioni di classe, di ceto, di riferimento partitico,  basato in particolare sul rifiuto non sempre pienamente consapevole della modernità in quanto tale  e sul corrispondente forte sentimento di “nostalgia politica” di un prima sempre più idealizzato, sempre più mitizzato. Non sono voci inconsuete, proprio nel contesto francese si sono, fin dall’indomani della Rivoluzione francese, fatte spesso sentire voci simili, basti pensare al già citato Joseph De Maisstre, a Chateaubriand (1768-1848 scrittore e politico) per poi passare a Maurice Barres (1862-1923 scrittore e politico) e, in tempi più recenti, a Céline (1894-1961 scrittore e saggista). Negli ultimi decenni però queste voci si sono dimostrate più attive e più coraggiose guadagnando in breve attenzioni solo a prima vista inaspettate, e riuscendo, secondo Mark Lilla, a completare, dopo i “pensatori” e le “correnti”, il retroterra culturale del pensare reazionario. Voci che diversamente da quelle esaminate in precedenza si muovono, in questo caso, nel campo della letteratura. ……..A due autori in particolare moltissimi francesi si sono rivolti per dare un senso ai drammatici eventi del Gennaio 2015……. Il giornalista Eric Zemmour, che pochi mesi prima aveva pubblicato il libro “Il suicidio francese”, ma soprattutto lo scrittore Michel Houellebecq che, per un bizzarro scherzo del destino, fa uscire il suo nuovo libro, dallo scioccante titolo di “Sottomissione”, esattamente la mattina stessa dell’attentato a Charlie Hebdo. Nel caso di Eric Zemmour, e del suo “Il suicidio francese”, il secondo libro più venduto in Francia nel 2014, ci troviamo di fronte ad un collage di avvenimenti, date, fenomeni che testimoniano la inarrestabile discesa della civiltà francese verso il baratro del suicidio. Il campionario delle catastrofi, dei tradimenti e dei traditori, è completo, nessun aspetto della modernità culturale, politica, sociale, è lasciato fuori. Fino a completarsi con il mito della “sostituzione etnica” che consegnerà la Francia ed i francesi al predominio mussulmano. Leggerlo consente di passare in rassegna l’intera collezione delle ragioni, per quanto motivate su basi fragilissime, che alimentano il pensiero reazionario francese e, fatte salve le ovvie specificità, europeo. Non c’è nel libro di Zemmour un capitolo conclusivo …….su cosa si debba fare per riportare in vita la Francia. Questo è lasciato all’immaginazione senza dubbio fervida dei suoi lettori….. Ben più complesso ed elaborato è il libro di Houllebecq. “Sottomissione” racconta il progressivo avvicinarsi all’Islam del protagonista del libro, il professore di letteratura Francois, nel suo percorso a riempire il totale vuoto esistenziale ed emozionale nel quale, nonostante le apparenze sociali, si ritrova a vivere. Non è una scelta devozionale, dietro non si agita una vera tensione spirituale, semplicemente l’Islam viene scelto, o meglio accettato, da Francois come uno scudo che offre certezze, conforto, percorsi sicuri, perché legati ad un passato dai contorni certi, in grado di liberarlo dalla incapacità sua, e della cultura che egli personifica, di essere padrone della propria vita. La sottomissione in sostanza lo libera dai dubbi e dalle responsabilità del decidere autonomamente. La vicenda di Francois si dipana avendo sulla sfondo un corrispondente quadro politico francese: pur di fermare la possibile vittoria del Front National alle elezioni del 2022 gli altri partiti, di destra e di sinistra, accettano di allearsi con un partito mussulmano che di fatto, ad elezioni così vinte e con la ottenuta titolarità del Ministero dell’Istruzione, avvia una progressiva e non meglio percepita trasformazione in senso islamico dell’intera società francese. Il leader di questo partito, per convincere Francois alla conversione, alla sottomissione, pronuncia parole che sanno sintetizzare l’intera vicenda, quella personale di Francois e quella pubblica francese…….in un futuro lontano gli storici considereranno la modernità europea  un’insignificante deviazione di un paio di secoli dall’eterno flusso e riflusso della civiltà fondata sulla religione……. Houllebecq è un personaggio letterario decisamente complesso e sarebbe fargli torto ridurlo ad una sorta di propagandista del pensare reazionario. Certo è però che molto di quanto scrive si presta a incidere in questa direzione. La sua cifra più completa e corretta è forse quella di un “pessimismo culturale” sulla tenuta della civiltà europea che lo assimila a due grandi della letteratura europea: al Thomas Man de “La montagna incantata” e al Robert Musil de “L’uomo senza qualità” ……..i protagonisti di tutti e tre questi romanzi sono testimoni del collasso di una civiltà  a cui sono però indifferenti ma la cui decomposizione li lascia alla deriva……. In fondo, ma anche questo aspetto rientra nel sentire reazionario, i protagonisti di tutti i romanzi di Houllebecq raccontano di una discesa verso il disastro che è partita dalla ricerca ostinata di una libertà che non esiste al di fuori dei sentieri consolidati della tradizione pre-illuminista e pre-moderna. A differenza dell’agit-prop Zemmour Houllebacq  ……sembra sinceramente convinto che la Francia abbia perso il senso di sé stessa, non a causa delle ragioni raccolte nel campionario di Zemmour, ma quando due secoli fa  ha tentato una scommessa con la storia pensando che estendere la libertà avrebbe significato essere più felici…

Postfazione
Il cavaliere e il califfo
E’ ancora la letteratura ad offrire a Mark Lilla un personaggio capace di sintetizzare, a chiusura di questo saggio, lo smarrimento reazionario. E’ Don Chisciotte ad essere chiamato in scena per rappresentare un’umanità ispirata nel suo agire dal mito di un passato felice, di un’età dell’oro in cui tutto era in felice equilibrio. E’ infatti proprio la nostalgia di quell’età felice che lo spinge verso le sue improbabili sfide contro tutti ciò, reale o immaginato, che giudica in qualche mondo responsabili del cambiamento. …..la sua ricerca però è segnata sin dall’inizio perché in fondo è una ribellione contro il tempo che è per natura irreversibile e inespugniabile….. Vale in effetti per Don Chisciotte, e per il pensare reazionario, un equivoco rapporto con il passato, con lo scorrere del tempo: l’idea che il passato possa essere suddiviso in epoche distinte e coerenti. …..per mettere ordine nei nostri pensieri imponiamo un ordine al passato anche se tagliato con l’accetta…… spesso individuando, per pura nostra comodità, linee di confine temporale del tutto arbitrarie. Il bisogno di dividere il tempo, la storia, in epoche è profondamente radicato nel nostro modo di pensare, ma quasi mai è in grado di corrispondere davvero all’evoluzione di processi che seguono logiche di progressione costante e che raramente attraversano linee di separazione nette ed inequivocabili. E’ questa una tendenza insita nella natura dell’uomo, che si manifesta anche nelle idee dei grandi pensatori. Parlare di un prima e di un dopo ci consegna l’illusione di aver compreso il senso dello scorrere storico delle vicende umane. Ma è una tendenza che implica quasi automaticamente non pochi rischi: uno dei quali è certamente quello di sovraccaricare il peso delle linee di confine tra un’epoca e l’altra, già arbitrarie del loro, troppo spesso trasformandole in questo modo in avvenimenti “apocalittici”.  …….si sviluppa cioè una visione apocalittica della storia che vede uno squarcio nel tempo che si allarga sempre più allontanandoci da un’epoca dorata, eroica, piuttosto che tragica o semplicemente normale….. Se ripercorriamo l’intera storia ci rendiamo subito conto di quante, e quanto “significative”, sono queste linee di separazione tra un’epoca e l’altra: dalla cacciata dal Paradiso alla crocifissione di Cristo, dal sacco di Roma al primo viaggio di Colombo, dalla Riforma protestante alla Prima guerra mondiale, dalla Rivoluzione russa all’11 Settembre, tanto per citare alcuni esempi. …..tutti eventi inscritti nella memoria collettiva come cesure definitive della storia. Per l’immaginazione apocalittica è il presente a essere una terra straniera non il passato…… Ed è questa la prima pietra sulla quale poggia l’intera costruzione della “nostalgia politica”, del pensiero reazionario ……. e delle avventure di Don Chisciotte. Perché questa propensione a dividere il tempo in epoche quando si coniuga con il difficile convivere con i problemi del presente si trasforma inevitabilmente nella costruzione mitologica di un passato felice, di un’epoca d’oro alla quale sarebbe bello tornare. Ovvero per le vittime della storia un’epoca tragica da dimenticare e dalla quale fuggire. Ma  molti di coloro che vittime della storia non sono e che temono il presente, quando per una qualche ragione questo si fa difficile, è possibile che vivano quella cesura, e le ragioni ed i colpevoli che l’hanno creata, veri o presunti che siano, come un abisso dal quale fuggire ……..diventano ossessionati dalla vendetta nei confronti del demiurgo che ne ha causato lo spalancarsi….. la loro nostalgia diventa così rivoluzionaria e reazionaria …….siccome la continuità del tempo è già stata spezzata sognano una seconda cesura e una fuga dal presente…… La “reazione”, la nostalgia che l’alimenta ruotano attorno a questo. Ed a riprova del valore universale di queste sue considerazioni, che possono spiegare tutti i fenomeni del presente dai quali siamo partiti, Mark Lilla chiude il suo saggio con una veloce esplorazione della “nostalgia politica” nel mondo mussulmano, dove, a suo avviso, è più forte e significativa la fede in un’età dell’oro perduta. …….più si va in profondità nella letteratura dell’islamismo radicale più ci si rende conto di quanto sia potente il richiamo del mito…… Ancora una volta Don Chisciotte viene richiamato in scena a testimoniare quanto rischioso possa essere il peso del mito, del pensiero reazionario se incapace di fissarsi dei limiti. Il “cavaliere dalla triste figura” in fondo è un fanatico flessibile, di tanto in tanto fa l’occhiolino a Sancho Panza come a dire “stai tranquillo, ci sono” ……..ma soprattutto sa quando fermarsi…… Così non è stato ad esempio per il nazismo, e così speriamo che invece sia per tutti i “reazionari” del nostro tempo-

giovedì 1 agosto 2019

La parola del mese - Agosto 2019


La parola del mese
 A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni

AGOSTO 2019

E’ sempre più impegnativo individuare parole che abbiano le giuste caratteristiche per diventare quella “del mese” e che, oltretutto, il più possibile si possano collegare ai temi che affrontiamo nei nostri programmi di iniziative. Per ragioni varie, caldo insopportabile compreso, questo mese il compito sembrava ancor più difficile. Poi nel giro delle mail scambiate proprio per organizzare un incontro che metterà meglio a fuoco il programma del prossimo anno all’improvviso ha fatto capolino, uscendo dal lungo elenco di quelle conosciute ma molto raramente frequentate, una parola perfetta per diventare quella di Agosto 2019. La tentazione iniziale di un affettuoso rimbrotto a chi l’ha usata senza pensare di candidarla allo scopo si è subito trasformata in un  ringraziamento, che qui facciamo alla diretta interessata, visto che di incanto ci ha tolto dagli impicci. La parola in questione è

ECOSOFIA

Si tratta di un neologismo di recente adozione in ambito filosofico, tant’è che non compare ancora sui dizionari ufficiali. La radice “eco” deriva dal greco  oïkos, cioè: casa, organizzazione domestica, habitat, ambiente naturale. sofia anch’essa di derivazione dal greco significa: conoscenza, sapere, saggezza. Una traduzione letterale, che metta in relazione “ambiente e saggezza”, lascia pero spazio a più declinazioni legate alla congiunzione che lega i due termini: potrebbe ad esempio essere intesa come “saggezza dell'ambiente”, oppure “saggezza verso l’ambiente”, o ancora “saggezza nell’ambiente”. Meglio capire come è nata e come è stata sin qui utilizzata.
Da Wikipedia:
Il termine ecosofia è stato utilizzato per la prima volta dal filosofo norvegese Arne Naess, ed è il fondamento del movimento di “Ecologia profonda” che invita ad un rovesciamento della prospettiva antropocentrica: l'uomo non si colloca alla sommità della gerarchia dei viventi, ma si inserisce al contrario nell'ecosfera; l'essere umano è una parte nel Tutto. Successivamente il termine è stato usato dal filosofo e psicanalista francese Félix Guattarì nella sua opera del 1989 “Le tre ecologie”: l’ecologia ambientale, ossia il nostro rapporto con la natura e l’ambiente, l’ecologia sociale, il nostro rapporto con l’economia e la società, e l’ecologia mentale, il nostro rapporto con la psiche e la formazione della soggettività. Infine il filosofo e teologo ispano-indiano Raimon Panikkar utilizza il termine “ecosofia” in molti dei suoi testi, ad esempio “Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra” del 2001. Con questo termine egli intende la saggezza che è propria della terra in quanto soggetto, in quanto vivente ed in quanto “madre” (molte culture usano ordinariamente l'espressione “madre terra”) che sa (ed in questo è saggia) come prendersi cura delle sue creature.
Siamo quindi di fronte a tre distinte versioni che, per quanto accomunate da un convinto rifiuto dell’antropocentrismo, (“Parola del mese” – Settembre 2018) conferiscono alla parola “ecosofia” modulazioni diverse. Pertanto, come per molte altre parole, non sempre è immediatamente chiaro con quale specifica accezione essa assume nel contesto in cui viene utilizzata. Il che impone un obbligo di chiarezza da parte di chi la dice o la scrive e un supplemento di attenzione da parte di chi la sente o la legge

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Per chi avesse piacere di approfondire il significato di ecosofia integriamo con alcune aggiunte, nei limiti di spazio di questo post, quanto sin qui sinteticamente riportato sperando che possano servire a meglio conoscerla e a meglio capire quale valenza, fra le tre in questione,  essa possa assumere a seconda dei contesti in cui la si potrà incontrare.

La seguente intervista a  Luciano Valle (teologo, ecosofo, docente all’Università di Pavia e Presidente del Centro di Etica Ambientale di Bergamo) può essere utile per approfondire l’accezione più spirituale e religiosa di ecosofia.
Professore, cominciamo da una domanda di carattere generale: che cosa s’intende per ecosofia?
LUCIANO VALLE: Come dice la parola stessa, ecosofia è una forma nuova di saggezza dell’oikos, ovvero dell’abitare. Ecosofia è sinonimo di ecologia profonda, uno sguardo diverso sul senso della storia e sui valori della tradizione umanistica. In questo senso, nel mio libro Dall’ecologia all’ecosofia. Percorsi epistemici ed etici tra Oriente e Cristianesimo, tra scienza e saggezza, ho fatto un grande sforzo per andare a recuperare tutti quei percorsi, dall’antica Grecia all’Oriente, fino all’Occidente, cristiano e non, che testimoniano un oltrepassamento dello sguardo di un umanesimo antropocentrico.
Che idea ha l’ecosofia della scienza moderna?
L.V.: Citerei Whitehead quando sostiene che il limite della scienza moderna è presentarsi come «ragione con un occhio solo, incapace di percepire la profondità». L’ecosofia sposa il paradigma relazionistico, vedendo la realtà come una rete dinamica di entità in relazione. Per fare un nome, penso a Joseph Needam e al gruppo di biologi e storici della scienza di Cambridge quando, alla fine degli anni ’20, si fecero promotori di una concezione organicista del sapere: è un importante esempio di critica al meccanicismo mossa non da pensatori spiritualisti, bensì da scienziati. Quindi, la riflessione ecosofica si presenta come una rivoluzione complessiva dei saperi (epistemologia, etica ed antropologia).
Ciò che dice mi fa pensare a Panikkar, quando sostiene che la frantumazione della conoscenza ha portato alla frantumazione dell’uomo
L.V.: Esatto. Panikkar inoltre è un esempio di pensatore-ponte: padroneggia benissimo il linguaggio della scienza, in quanto chimico, ma anche il linguaggio teologico, in quanto induista e cattolico.
Quali altri pensatori sente vicino alla prospettiva ecosofica?
L.V.: Sono molti, ma se mi chiede quali autori userei nell’incipit di un saggio sull’ecosofia, le direi Rilke e Nietzsche. In particolare, di Rilke la poesia XIV di Sonetti ad Orfeo, per me un cantico neofrancescano.  Mentre di Nietzsche citerei il passo di Umano, troppo umano: "Si deve essere ancora vicini ai fiori, alle erbe e alle farfalle come i bambini, che non sono molto più alti di loro. Noi adulti invece siamo cresciuti molto più alti di loro e ci dobbiamo chinare fino ad essi; (…) Chi vuol prendere parte a ogni cosa buona, in certe ore deve anche saper essere piccolo."
Passando alla teologia, vorrei riflettere sul rapporto fra cristianesimo e antropocentrismo: è possibile parlare di un cristianesimo non antropocentrico?
L.V.: Nel cristianesimo, così come in qualsiasi cultura – anche nel giainismo, che è la più radicale delle etiche del rispetto della natura – c’è sempre un primato dell’uomo. Ma si tratta di un primato spirituale, non di potere giuridico. D’altronde, è solo l’uomo che possiede la facoltà di giudizio. Bisogna però ricordarsi che nel messaggio biblico il primato dell’uomo è legato alla relazione e al rispetto delle altre forme di vita. Fino a Noè l’umanità è vegetariana, non uccide per mangiare. Dio concede all’umanità di uccidere solo dopo il diluvio universale, ovvero dopo che il patto fra uomo e Dio si è definitivamente interrotto. Anche Adamo ed Eva erano vegetariani, anche dopo l’uscita dal Paradiso Terrestre.
Dunque come interpreta il passo di Genesi 1:26–29 «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra (…)”»?
L.V.: L’uomo è sì fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma bisogna ricordare che il Dio biblico è il Dio dell’amore, non tanto quello del logos. L’uomo ha dunque un primato nel senso che solo egli è capace di amore. Nella concezione darwiniana, che io considero fondamentale, si recupera l’unità del mondo della vita e si restringe l’uomo attorno alle altre forme di vita. Per la concezione biblica e cristiana solo l’uomo è colui che può dare la vita per salvare un leprotto. Tornando alla Genesi, la tradizione cristiana dominante negli ultimi secoli ha dimenticato che se l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e Dio è amore, anche l’essenza dell’uomo deve essere l’amore. Si è spesso letto anche il passo 1:18 come «soggiogate e dominate», mentre gli ebrei hanno sempre interpretato questo passaggio come un “prendete possesso in senso amministrativo”: la Terra è messa a disposizione, meglio: è in prestito.
Può sintetizzarci i punti critici e le novità dell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco?
L.V.: Vi sono due aspetti che trovo ricchi di criticità: primo, la poca diffusione dell’Enciclica; secondo, quando se ne parla lo si fa in senso etico-antropocentrico, ovvero ci si concentra sulla critica al capitalismo finanziario, alla crisi economica del 2008 e alla conseguente crisi sociale, e via dicendo. Ma il vero nucleo è un altro: è quello che tocca la teologia, l’ontologia e l’antropologia. L’etica è una conseguenza dell’ontologia e nelle pagine dell’enciclica è scritto a chiare lettere che il mondo è comunione. Il concetto di relazione è centrale. Esso viene recuperato in senso scientifico e, soprattutto, teologico: se il mondo viene dalla Trinità, esso conserva le orme della Trinità (come già diceva Bonaventura) e dunque non può che conservare l’aspetto relazionale. Il mondo nasce da uno scambio trinitario fra il Padre – sorgente dell’essere – il Logos – Cristo – e lo Spirito Santo. Emerge dunque un’immagine di unità del creato. Ad un certo punto nell’enciclica si sostiene: se tutto è permeato dal Padre, come possiamo fare del male alle altre creature? Concetto, quello del rispetto per gli animali, già sviluppato da Giovanni Paolo II quando nel 1990, riflettendo sulla teologia della creazione, sostenne la presenza di un “soffio divino” negli animali. Questo perché, nella visione dell’Antico Testamento, tutto l’essere è sostenuto e vivificato dalla presenza dello spirito, insieme immanente e trascendente alla creazione. È interessante notare che moltissimi ebrei del Novecento (ad esempio Kafka, Singer, Luxemburg, Buber) manifestino un amore profondo nei confronti degli animali: ciò viene proprio dalla cultura ebraica del mondo come presenza divina.
Come mai il focus posto sull’Enciclica riguarda in gran parte l’aspetto etico-morale antropocentrato?
L.V.: Perché è quello che la cultura italiana nelle versioni cattolica, moralista, vuole. Tolte alcune eccezioni, la sinistra oggi è antropocentrica e guarda unicamente all’aspetto sociale – importante, ma parziale. Sul tema sociale nell’enciclica di Papa Francesco non si dice niente di nuovo. La Pacem in Terris, la Mater et Magistra, la Populorum Progressio ed altre encicliche precedenti con dei lati ambientali, avevano già detto tutto. Quindi la novità della Laudato si’ è, come ho detto, una rinnovata attenzione ad un’ontologia relazionale, basilare per un nuovo discorso etico.
Collegandoci all’attività contemplativa come strumento per coltivare una coscienza ecosofica, le vorrei chiedere quale ruolo ha la bellezza in una visione del mondo ecosofica.
L.V.: La bellezza è molto importante. Proporrei una gerarchia: la bellezza spirituale, quella naturale, poi quella dell’arte. L’importante è non mitizzare quest’ultima: la bellezza culturale prepara alla verità, ma non credo porti ad essa. D’altra parte anche i nazisti amavano l’arte, leggevano Goethe e facevano giardinaggio, amavano gli animali, eppure c’è qualcosa che non ha funzionato, visto ciò che è successo. La bellezza deve dunque essere sopratutto spirituale e morale, ecco perché dobbiamo rifare l’uomo. Se penso alla bellezza ontologica della natura penso, ad esempio, a quei momenti di estasi che può dare il contatto con il vento. Spesso nella nostra vita ci dimentichiamo della bellezza del cielo e delle nuvole, che può avere una potenza rivelativa. Io sono tornato a guardare il cielo durante la mia crisi politica del post ’68, quando mi accorsi che il marxismo – non Marx, che continuo a considerare un punto di riferimento – mi stava schiacciando verso terra. E questo è un limite enorme del marxismo. L’antropologia materialista va giocata contro l’agostinianesimo, non contro San Francesco o il buddhismo Zen.

Preceduta da un sintetica sorta di scheda su Guattarrì ed il suo rapporto con il concetto di ecosofia l’intervista a Tiziana Villani (filosofa, saggista, direttrice di Eterotopia) ci sembra utile per approfondire la versione più politica e sociale di ecosofia.
Felix Guattari era un pensatore e un militante che riuniva riflessione teorica, pratica clinica e attivismo politico. Com formação plural, Farmácia, Música, Filosofia, Psicanálise, mas sem ter concluído nenhum curso de graduação, foi um dos protagonistas do movimento internacional da Reforma Psiquiátrica, sendo um dos principais atores da Clínica La Borde, ao lado de Jean Oury.Con un background plurale, Farmacia, Musica, Filosofia, Psicoanalisi, ma senza aver completato alcun corso di laurea, è stato uno dei protagonisti del movimento internazionale della Riforma psichiatrica. Nadaud (2015) categoriza a obra intelectual de Guattari em quatro principais períodos.Il lavoro intellettuale di Guattari ipuò essere suddiviso n quattro periodi principali. O primeiro, de sua militância trotskista, experiência clínica em La Borde e na psicanálise.Il primo, dalla sua militanza trotskista, e dell’esperienza clinica e psicoanalitica. O segundo, na década de 1970, do período da revolução molecular, dos movimentos autogestionários e do encontro e trabalho com Deleuze.Il secondo, negli anni '70, fu il periodo della rivoluzione molecolare, i movimenti autogestiti e l'incontro e il lavoro con Deleuze. O terceiro, na primeira metade dos anos 1980, quando ocorre uma desilusão com a esquerda política que finalmente chegou ao poder na França, mas não trouxe as transformações almejadas;Il terzo, nella prima metà degli anni '80, quando vi fu una delusione per la sinistra politica che alla fine salì al potere in Francia ma non portò alle trasformazioni desiderate; os anos de inverno. E finalmente, o quarto, quando constrói a Ecosofia.E infine, il quarto, quando costruisce l'ecosofia. Con questo termine  Guattari mira ad articolare nelle sue riflessioni e indagini un progetto etico-estetico-politico, in cui i processi psichici, sociali e politici, si fondono in una organica visione psicopolitica. Portanto entende que para pensar a subjetividade relacionada à sua exterioridade, somada à preocupação da gestão política e ambiental do planeta, deve-se trabalhar de forma articulada os três registros ecológicos: do meio ambiente, das relações sociais e da subjetividade humana (Guattari, 1989/1990).Per pensare alla soggettività legata alla sua esteriorità, aggiunta alla preoccupazione della gestione politica e ambientale del pianeta, si devono lavorare in modo articolato i tre registri ecologici: ambiente, relazioni sociali e soggettività umana (A articulação dessas três ecologias é o que Guattari denomina como Ecosofia.L'articolazione di queste tre ecologie è ciò che Guattari chiama Ecosofia. O autor criou esse termo para diferenciá-lo do movimento ecológico, e trazer uma concepção mais ampla, como se fosse uma Filosofia do ambiente, Saberes do ambiente, ou Saberes da casa, visto que o prefixo "eco" vem do grego óikos, que significa casa.L'autore ha coniato questo termine per differenziarlo dal movimento ecologico e per realizzare una concezione più ampia, come se fosse una filosofia ambientale, una conoscenza ambientale o una conoscenza della casa, poiché il prefisso "eco" deriva dal greco oikos, che Significa casa. Nesses saberes, as dimensões ética e política são indissociáveis.In questa conoscenza, le dimensioni etiche e politiche sono inseparabili.
Ecosofia critica – di Tiziana Villani (stralci)
Il dibattito utilmente aperto, ha per me un pregio fondamentale: aver lanciato un sasso nello stagno da tempo immobile di percorsi di ricerca che stanno cercando di confrontarsi con le difficoltà del presente. Cerco dunque di chiarire meglio il mio pensiero, per comodità procederò per punti………..Sono sempre stata convinta della necessità di impiegare un lessico coerente con l’ambito di ricerca cui si riferisce, per far sì che ciò sia possibile occorre declinarlo nei motivi e nelle linee della sua formulazione, sottraendolo alla banalizzazione del quotidiano. Termini impropriamente utilizzati non danno conto, anzi confondono, le diverse pieghe che delle ricerche richiedono. Riguardo all’ecologia politica, per me soprattutto ecosofia, questo è davvero necessario, fin dal primo Novecento contesti diversi hanno impiegato questo concetto con esiti radicalmente e politicamente diversi tra loro. Inutile dire che esiste un ecologismo conservatore quanto non dichiaratamente di destra che predica riduzioni dell’impronta umana in chiave mistico-religiosa e non chiama in causa modelli e forme di sviluppo che SULLA SELEZIONE UMANA, stanno già agendo. Inoltre, trovo che correnti paesaggistiche, natural nostalgiche, siano “la foglia di fico” che tenta miseramente di coprire il vero assetto del modello attuale che privatizza risorse, caccia intere comunità rurali, precarizza gli ultimi della terra mettendo il tutto a disposizione di multinazionali che certo poi fanno comunicazione e pubblicità verde mentre uccidono, eliminano, impediscono forme di autodeterminazione e autoproduzione di intere popolazioni. La lista è infinita, ma A. Gorz, Vandana Shiva, D. Haraway, Raul Zeibecchi potrebbero dirci qualcosa. Ecco perché al termine/concetto ECOLOGIA POLITICA occorre prestare cura e attenzione. Il nostro mondo è esausto e cerca nuove narrazioni e queste spesso appaiono sotto forma di mode o ideologie della colpa, del debito infinito (che si scrive sempre sui corpi), del sacrificio. È il sacrificio perpetuo che va rifiutato, è chiaro a tutti, dopo quanto è in corso in Europa e nel mondo, che questo modello promette una sola alternativa: l’adeguamento al sistema del sacrificio e della colpa, la vergogna di essere vite che cercano di resistere a un’offensiva violenta come non se ne vedevano da tempo poiché giocata su uno scacchiere geopolitico planetario che usa un cinismo tipico del “morto che domina il morto”……………In ragione di quanto scritto sopra credo anch’io che il termine decrescita sia fuorviante anche nelle migliori intenzioni di Latouche quando parla di decrescita felice, per franchezza credo che sia un mot de passe ben trovato, ma il cui retroterra filosofico politico è debole rispetto alla sfida in atto, non fosse che per il fatto che nemmeno decrescere è più possibile vista la sottrazione permanente di diritti, risorse, esistenze di cui parlavo prima. La decrescita ha avuto in termini di dibattito miglior esito in Italia che in Francia (fatta eccezione per una qualche attenzione da parte di certi architetti), il motivo è abbastanza evidente, in Italia la crisi della grandi narrazione si sta consumando nei suoi ultimi lapilli ora, grazie all’opera solerte di epigoni che non hanno nemmeno più da salire sulla spalle dei giganti. Eppure la tradizione del pensiero critico italiano è stata la più ricca del secondo Novecento, Panzieri, Montaldi e tanti altri più eccentrici rispetto a filoni accreditati, ma così interessanti. Insisto sul fatto che i metodi e le analisi dell’operaismo storico mi sembrano del tutto divergenti dal tema della decrescita. Con Spinoza vogliamo più “potenze di vita”, ossia liberarci dalle religioni del risentimento e della colpa…………Dopo corsi e convegni in Francia e soprattutto a La Villette dove ho insegnato, mi sono resa conto che questo tardivo interesse (giustificato dal fatto che la ricerca nasce in ambito anglofono) era strettamente correlato al bisogno di spostarsi d’autorità dall’antropocentrismo verso una concezione più relazionale di ambiente. Tutto bene se non fosse che il decoro urbano, pseudo artisti d’avanguardia, archistar, sociologi etc. non avessero finito per strutturare una nuova grammatica catalogante giungendo a presupporre “parlamenti degli animali” e “assemblee del vegetale oppresso”. Al di là di umoristiche considerazioni ancora una volta non ci si è confrontati con il grande rimosso……….. Guattari fa parte del grande rimosso delle vampiresche brame accademiche e contro-accademiche, vecchia questione in cui persino dai nostri ambiti si è voluta attuare la cesura tra lui e Deleuze, tra loro e i movimenti, tra loro e le sperimentazioni. Confuso, interessante, incomprensibile, “sin qui si vede che ha scritto Deleuze qui inizia invece Guattari”. L’ecosofia in Guattari indica il seguente progetto: “Men che mai la natura può venir separata dalla cultura e bisogna che impariamo a pensare ‘trasversalmente’ le interazioni tra ecosistemi, meccanosfere e universi di riferimento sociali e individuali’. Il suo percorso è oscurato e trovo grave che sia volutamente censurato, confuso e solo ripreso per slogan da ambiti anche come i nostri. È la non nobiltà di Guattari, la sua non appartenenza, il suo essere fuori dagli schemi ad averne permesso il saccheggio e il misconoscimento, cosa che ci dice della miseria di un presente tutto proteso a raccogliere punti e visibilità presso riviste di classe A o in contesti di improbabile dignità. Non è solo accademia, forse e ancor peggio la miseria di un’anti-accademia priva di luoghi di creazione di sapere e dunque frustrata e sollecitata dal bisogno di apparire foss’anche per il classico quarto d’ora evocato da Warhol. Con questa residualità del pensiero odierno noi dobbiamo fare i conti, così come i conti si devono fare con le sconfitte quando non sono che sconfitte, intraducibili in epopee. Solo così si reinventa il presente senza ricorrere a quel carattere distruttivo, ben indicato da W. Benjamin quando indicava la gioiosa demolizione del passato: “Il carattere distruttivo non vive per il sentimento che la vita merita d’essere vissuta, ma perché non vale la pena di suicidarsi”.


Ed infine includiamo una sintesi del pensiero di Arne Naess e della sua la sua idea di ecosofia, un intreccio stretto tra “ecologia profonda” e filosofia.
dal sito o-line Brbadillo,it (stralci)
Alpinista provetto (all’età di 17 anni aveva già scalato le centosei vette più alte della Norvegia), appassionato di musica classica ed eccellente pianista, professore di storia della filosofia (unico in tutta la Norvegia dal 1939 al 1954), attivista ambientalista, Arne Naess (Oslo 1912 – Oslo 2009) è noto al grande pubblico per essere stato tra i maggiori fautori e teorizzatori dell’ecologia profonda. Risale al 1973 il famoso articolo in cui Naess distingueva tra ecologia profonda (che si interroga circa il perché della crisi ecologica, ponendo domande radicali e cercando di andare al cuore dei problemi) ed ecologia superficiale (che si limita a proporre correttivi all’interno del sistema, cercando di conciliare alla bell’e meglio sviluppo e ambiente). Principio fondamentale dell’ecologia profonda è che tutto è collegato. Ne consegue quella che Naess definisce piattaforma dell’ecologia profonda, su cui sono d’accordo tutti i sostenitori dell’ecologia profonda al di là delle loro diverse concezioni filosofiche o religiose, e che si può riassumere nei seguenti punti: tutte le varie forme di vita hanno un valore in sé e debbono poter prosperare; la loro ricchezza e diversità va preservata e difesa dal modello dissennato e distruttivo sociale ed economico oggi dominante; è necessario cambiare stile di vita, limitando la crescita della popolazione umana e il saccheggio delle risorse ed agendo per modificare la politica, l’economia, la tecnologia. Naess ritiene importante dare all’ecologia profonda una fondazione filosofica: “Uno dei punti più importanti dell’ecologia profonda è la profondità dell’argomentazione, ossia, l’argomentare a partire dalle premesse ultime (filosofiche, religiose. L’ecosofia è per l’appunto la risposta elaborata dal filosofo norvegese alla crisi ecologica globale: “Col termine ecosofia intendo una filosofia dell’armonia o dell’equilibrio ecologico”. L’ecosofia si presenta come una visione totale della vita, che muove dalla gravità della situazione (ambientale ed esistenziale) per proporre un cambiamento dello stile di vita. Sotto certi aspetti l’ecosofia può considerarsi un rilettura attuale del pensiero di Spinoza, cui Naess dedicò vari saggi: “nessun altro grande filosofo ha tanto da offrire, sulla via della chiarificazione e dell’articolazione dei comportamenti ecologici essenziali, quanto Baruch Spinoza.” …………….Obiettivo primario dell’ecosofia è quello di rileggere l’esperienza e contrastare la visione filosofica- scientifica del mondo affermatasi nel XVII secolo a partire da Cartesio, Galileo e Newton, per giungere fino a Kant, che si fonda su una radicale dicotomia tra oggettivo e soggettivo, tra cosa in sé e cosa per me, tra qualità primarie dei corpi e qualità secondarie e terziarie. Ricordiamo che le qualità primarie (struttura geometrico-matematica della natura) sono la grandezza, la figura, il movimento. Le qualità secondarie sono il colore, il calore, il gusto, ecc., che erano considerate nient’altro che sensazioni soggettive. Le qualità terziarie comprendono stati d’animo come doloroso, bello, minaccioso, patetico, gioioso. La teoria scientifica, che pretende di descrivere l’oggetto come è “in se stesso” a prescindere dal modo in cui esso è percepito, impoverisce il mondo, non ci restituisce né la natura né il mondo, ma solo una struttura astratta. Le scienze, con il loro modello oggettivo di realtà, ci offrono solamente dei punti di riferimento (come nel caso della fisica le coordinate di spazio e tempo), ma questi punti non sono luoghi reali, non esistono come realtà fisiche………..: Bisogna allora, secondo Naess, modificare la nostra percezione della realtà, distinguendo tra “strutture astratte”, o entia rationis, ovvero tutti quei concetti più o meno scientifici, che utilizziamo per organizzare la realtà, e i “contenuti concreti”, la nostra reale esperienza spontanea del mondo. Al modo astratto in cui la scienza considera la realtà Naess contrappone dunque l’esperienza “spontanea” della realtà, cioè non mediata dalle categorie concettuali-astratte del pensiero. Nella nostra esperienza spontanea non sussiste alcuna frattura tra oggettivo e soggettivo, tra uomo e natura. Concetto chiave dell’ecosofia è quella che il filosofo norvegese definisce ontologia della gestalt, cioè il modo in cui le cose sono nella loro totalità organica: Per Naess, in altre parole, la realtà non è né soggettiva né oggettiva, ma relazionale.. La realtà è talmente ricca che hanno pari dignità sia l’albero gioioso che vediamo alla luce del mattino, sia l’albero malinconico che vediamo di notte, “anche se nella loro struttura astratta, sono (fisicamente) identici.” Un’ontologia di questo tipo, che trova connessioni sempre più inclusive fino a giungere alla Gestalt di ordine supremo, la Natura con la N maiuscola, supera ogni separazione, ogni dicotomia tra soggetto e oggetto, tra fatti e valori, tra “cosa in sé” e “cosa per me”. In questo senso, l’ecosofia è innanzitutto un tentativo di offrire un’ontologia più vera, più autentica, rispetto a quella offerta dalle concezioni atomistiche e meccanicistiche dominanti…………. Nel pensiero di Naess l’ontologia fonda l’etica ambientale. La norma etica fondamentale dell’ecosofia di Naess, che si riassume nel principio della realizzazione di sé, segue naturalmente dalla particolare ontologia relazionale appena delineata. Segue “naturalmente” nel senso che non si tratta di una mera norma etica, ma della naturale conseguenza dell’aver assimilato una certa visione del mondo. Per illustrare il principio dell’autorealizzazione il filosofo norvegese introduce il concetto di Sé ecologico, cioè di un Sé più ampio e profondo rispetto al ristretto io personale. Contro “la concezione occidentale moderna dell’io definito come ego isolato che si batte in primo luogo per una gratificazione edonistica o per un limitato senso di salvezza individuale in questa vita o in quella futura”, Naess sostiene che il Sé ecologico è solidale con ogni altra forma di vita (in senso ampio, non strettamente biologico……….Di fronte all’aggravarsi della crisi ecologica globale Naess, a differenza di altri ecologisti, non ritiene l’uomo un animale nocivo: “la nostra specie non è destinata ad essere la piaga della Terra. Se l’uomo è destinato ad essere qualcosa, probabilmente è colui che, consapevolmente gioioso, coglie il significato di questo pianeta come un’ancor più grande totalità nella sua immensa ricchezza.”