venerdì 24 febbraio 2023

Video della conferenza del 16 febbraio 2023 - Relatore Dott. Massimo Nicolazzi

 Sperando di fare cosa gradita a tutti coloro che non hanno potuto presenziare di persona (modalità che riteniamo comunque restare quella da preferire perchè più consona con lo spirito delle nostre iniziative mirate a rafforzare i legami sociali e personali), ed anche a quelli che, pur avendo partecipato, abbiano piacere di riprendere i passaggi che di più li hanno interessati, pubblichiamo il video della coinvolgente conferenza tenuta dal Dott. Massimo Nicolazzi (Consulente energetico, docente di economia delle fonti energetiche presso l'Università di Torino, Senior Advisor energy security ISPI) con titolo:

"Le difficoltà della transizione energetica 

dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili"

Per accedere al video cliccare qui: Conferenza Nicolazzi

domenica 19 febbraio 2023

Il "Saggio" del mese - Febbraio 2023

                                         Il “Saggio” del mese

 FEBBRAIO 2023

Non vi è più dubbio sul peso che il populismo, o meglio ancora i vari populismi e sovranismi, ha, hanno, sulla scena politica. Si è infatti consolidato, grazie a significative vittorie elettorali, quel fenomeno che pochi decenni addietro sembrava avere i connotati di una reazione umorale, e come tale magari transitoria, all’insieme delle difficoltà sociali, economiche, politiche, che ha caratterizzato il passaggio di millennio.  In questi ultimi decenni il populismo non soltanto si è rafforzato, ma si è anche progressivamente consolidato nei suoi aspetti ideologici e programmatici tanto da rappresentare una visione complessiva tutt’altro che fugace. Questo preoccupante salto di qualità e di consistenza richiede quindi una sua più precisa analisi. E’ questo il tema che nel suo recente saggio 

affronta Giorgia Serughetti (ricercatrice in Filosofia della politica presso l’Università di Milano Bicocca. Si occupa, con diversi saggi pubblicati, di problematiche di genere, dei fenomeni migratori, e più in generale di teoria politica)


Già nella premessa è esplicitata la tesi che ispira l’intero saggio:…. intendo sostenere che esiste un’affinità nascosta tra neoliberismo e conservatorismo populista….. dove quest’ultimo, costruito su una forte visione identitaria, viene inteso come svilimento dei valori dell’uguaglianza, della partecipazione, della libertà politica e dell’intero Stato di diritto.

Nel testo compaiono numerosi riferimenti alle opere di altri autori. In questa sintesi, per non appesantire la lettura, si cita solamente il nome dell’autore, in calce si trova un loro riepilogo con relativa opera citata

Capitolo 1

Il Giano bifronte populista

1.1 Cos’è il populismo? = Si è detto in apertura che non è corretto parlare di populismo” essendo da tempo presenti nell’attuale scena politica globale diversi populismi che si differenziano fra di loro in relazione agli specifici contesti nazionali (si pensi ad es. a quello di Narendra Modi, l’attuale Premier indiano). E’ quindi bene precisare che questo saggio prende in considerazione il populismo nativista e autoritario della destra radicale europea e americana inteso comeuno spirito anti-establishment che fa leva sulla contrapposizione tra “popolo” ed “élite”. In questo primo Capitolo si sintetizzano i caratteri ideologici e programmatici che giustificano questa definizione basata su elementi di analisi ormai consolidati che richiedono però di essere messi in un certo ordine, iniziando dalle tre proposizioni che costituiscono il manifesto ideologico populista: il popolo è il detentore della sovranità”, “i nemici del popolo stanno espropriando questo potere”, “il potere deve essere restituito al popolo”. Seguiti da un corollario non meno fondante:è attraverso un leader che ciò può realizzarsi”. Si tratta di concetti così generici da prestarsi persino ad una lettura “di sinistra”, però qui l’idea di popolo” non coincide con l’intera popolazione, ma intende solo una sua parte dotata di una specifica identità intesa come quella autentica”. Una autenticità spesso costruita non in positivo”, ma “in negativo”, escludendo cioè tutti coloro che non sono ritenuti degni di rientrarvi (Paul Taggart, scrive: i populisti sono più sicuri di ciò che non sono piuttosto che di ciò che sono). L’evidenza dei fatti dimostra che non rientrano nel “popolo autentico” le etnie diverse, chi ha comportamenti non allineati ad una certa idea di morale, e più in generale tutti coloro che non sono definibili gente comuneperché privilegiati, acculturati, cosmopoliti. E’ su questa nozione di popolo che è stata costruita l’ “identità politica”  populista.

1.2 Il posto dei valori = Questa costruzione si è concretamente formata sulla base di alcune specifiche problematiche:l’immigrazione”, declinata come paura dello straniero” in quanto minaccia per l’unità etnica e religiosa, “la sicurezza”, vissuta come negativa cifra della contemporaneità, “la degenerazione morale”, insita nei nuovi modi di vivere la sessualità ed i rapporti umani. Ad esse il populismo risponde con un richiamo a presunti “valori tradizionali” visti come elemento identificativo, come barriera protettiva e come elemento base per il futuro, sostituendo in questo modo il “linguaggio dei diritti”, per definizione universale, con “il linguaggio dei valori”, propri del popolo “autentico”.

1.3 L’ossessione dell’identità = Quali dinamiche hanno contribuito all’affermazione di questa autentica “ossessione per l’identità” ? Una possibile risposta può essere trovata nell’intreccio fra i processi socio-economici che hanno segnato gli ultimi decenni e l’impatto che hanno avuto, in modo differenziato, sulle diverse componenti sociali. Si confrontano, nell’ambito delle scienze sociali, due tesi: una prima che pone l’accento su dinamiche economiche ed una seconda che privilegia aspetti culturali

1.3.1 I “perdenti” della globalizzazione = la spiegazione economica chiama in causa il peso negativo della globalizzazione, dell’innovazione tecnologica, della persistente crisi finanziaria, e la conseguente insicurezza economica, reale o percepita, soprattutto tra i ceti medi e medio-bassi ed in particolare nelle aree periferiche e rurali. Hanno un ruolo significativo in questo contesto fenomeni quali i processi di delocalizzazione, l’automazione spinta delle produzioni, con il conseguente stravolgimento del mercato del lavoro, e non ultima la stessa immigrazione percepita come ulteriore concorrenza occupazionale. (Dani Rodrik ha stabilito, sulla base di accurate analisi globali, una relazione diretta fra “stadi avanzati della globalizzazione mondiale” e la ricaduta sul “sentore politico locale” quasi ovunque declinato come “contraccolpo populista”). Si sarebbe così formata una vasta area sociale definibile come quella dei perdenti della globalizzazione”, formata da tutti coloro che hanno vissuto tali cambiamenti come arretramento sociale e perdita di futuro. Sentimenti capaci di contagiare  anche gli strati sociali più bassi  fino a formare l’indistinta base umorale ed elettorale di partiti antisistemapiù rapidamente intercettata da una destra più  capace di offrire ricette, tanto semplicistiche quanto accattivanti, di chiusure nazionalistiche, di generico assistenzialismo e di politiche contro l’immigrazione. La destra populista identitaria sarebbe cioè riuscita a meglio intercettare questo malcontento declinandolo in una indistinta contrapposizione tra genericinoieloro

1.3.2 Il contraccolpo culturale = La seconda interpretazione, mossa da alcune evidenti incongruenze della prima tesi, ritiene più determinanti le conseguenze di carattere culturale indotte dai cambiamenti socio-economici. Colin Crouch, ad esempio, ha evidenziato che la tesi dei “perdenti della globalizzazione” non riesce da sola a spiegare fenomeni come la Brexit, la vittoria di Trump, l’affermazione elettorale di Alternative fur Deutschland alle ultime europee, tutti accomunati da consensi ottenuti in aree con bassa immigrazione. Più in generale, come evidenziato da Francis Fukuyama, le difficoltà di ordine economico sono state interpretate soprattutto come perdita dello “status socialefin lì vissuto come fonte di identità. Ambedue evidenziano che sono emersi sentimenti, diffusi e trasversali, che non possono essere ridotti a mero sottoprodotto dei cambiamenti economici perché indicano il prevalere di stati d’animoculturaliche vanno ben oltre la sola oggettiva caduta di reddito. Si tratta di reazioni, che spiegano anche il mancato appoggio alle politiche di sinistra tradizionalmente più attente alle disuguaglianze economiche, che si sono solidificate in un “risentimento indirizzato tanto verso l’alto, verso le presunte élite, quanto verso il basso, verso gruppi sociali, ritenuti inferiori ma più favoriti dalle politiche sociali, che accentuano la percezione di perdita di status e di conseguente disorientamento identitario. Ronald Inglehart e Pippa Norris in un lavoro comune parlano di cultural backlash (contraccolpo culturale)”, una reazione istintiva contro cambiamenti sociali negativi imputati alle politiche di segno progressista proprio perché improntate ad una “uguaglianza” inaccettabile per chi aveva fondato la sua identità sociale su graduazioni di, auto-gratificante, disuguaglianza. Sono casi emblematici in questo senso la Svezia e la Danimarca, due paesi con alto livello di reddito e di welfare, che hanno però conosciuto una impressionante crescita del consensi populisti non certo spiegabili solo per ragioni di disagio economico. La natura culturale di questo “contraccolpo”, specie nelle fasce più anziane e meno acculturate, spiega allora il ritorno ai valori tradizionali vissuti come quelli più adatti a ricostruire la persa identità sociale.

1.4 La sinistra perduta = Le due tesi, non così alternative da non consentire una loro sintesi, guardano peraltro ad un campo politico abbandonato dalla sinistra che, si è di fatto dimostrata inadeguata alle sfide di cambio secolo. Le possibili spiegazioni sono molteplici e divergenti, sono però due quelle che di più possono interessare il tema al centro di questo saggio. La prima, più legata alla situazione statunitense, punta il dito su una controproducente deriva identitaria”. Richard Rorty  già negli anni Novanta evidenziava come la sinistra americana avesse, a partire dagli anni Settanta, spostato la sua attenzione dai temi delle ingiustizie economiche a quelli delle discriminazioni di razza, sesso, religione, orientamento sessuale, venendo così premiata da un meritevole avanzamento nel campo dei diritti, ma dimostrandosi  incapace, quando non dimentica, di politiche contro le disuguaglianze economiche e sociali proprio mentre la globalizzazione neoliberista le faceva esplodere. Su questa linea si aggiungono le analisi di Mark Lilla e dello stesso Francis Fukuyama che hanno in sintonia evidenziato come questa svolta identitaria, che abbandonava la visione del “noi” per concentrarsi sulla dimensione dell’ “io”, abbia, neanche tanto paradossalmente, rafforzato lo stesso mito neoliberista dell’individualismo. Allargando il campo di osservazione all’Europa emerge una seconda risposta, quella della grave sottovalutazione di una fondamentale contraddizione del populismo: che per un verso raccoglie la maggior parte dei suoi consensi negli “esclusi dalla globalizzazione” ma per un altro, senza pagare dazio elettorale, di fatto porta avanti la stessa agenda economica neoliberista che quella esclusione ha provocato. Quello che poteva essere un importante cavallo di battaglia non poteva però essere colto e gestito non tanto per un difetto di analisi, ma per il fatto che molta della sinistra occidentale si è non di meno allineata a quelle stesse politiche neoliberiste. Si tratta, in ambedue i casi, di spiegazioni non esaurienti perché, se già fallimentari nella tradizionale capacità di rappresentanza del malcontento socio-economico, le politiche di sinistra hanno dimostrato una gravissima sottovalutazione anche degli aspetti culturali, poco sopra evidenziati. La sinistra non ha cioè adeguatamente colto la duplice natura del neoliberismo capace di coniugare, e rafforzare, le proprie sciagurate politiche economiche con una più ampiarazionalità(nel senso proposto da Michel Foucalt) capace di governare la vita (biopolitica) di individui e comunità, di plasmare i soggetti e di orientare le loro stesse scelte politiche (un testo che, a nostro avviso, resta fondamentale per comprenderla è “La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista” di Christian Laval e Pierre Dardot, 2013 DeriveApprodi). Con una duplice negativa conseguenza: da una parte di essere identificata, molto di più dello sfacciato sostegno populista, con la visione economica neoliberista, ed al tempo stesso di non aver adeguatamente costruito una propria alternativa culturale alla razionalità neoliberista lasciando di fatto campo aperto alla retorica nativista, sovranista, tradizionalista, del populismo conservatore di destra, non cogliendo, e quindi non opponendosi in modo efficace, il suo essere una sorta diGiano bifronte”.  

Capitolo 2

L’individuo senza società

Per approfondire le basi e l’evoluzione del populismo conservatore di destra occorre mettere ordine nel suo bagaglio culturale/ideologico a partire dallaconcezione dell’individuonella società. A differenza di quelladichiaratamente fascista”, che concepisce l’individuo come unacomponente della nazioneai cui fini deve sottostare, la destra populista è tutt’altro che anti-individualista, anzi l’individuo, o meglio ancora l’individualismo, sonola pietra miliare della vita sociale”. Si parla però di una particolare forma di individualismo

2.1 La democrazia del “me ne frego” = Nadia Urbinati opportunamente ci ricorda che il termine “individualistanasce, all’indomani della Rivoluzione Francese, per definire tratti negativi dell’individuo: egoismo, indifferenza e insofferenza verso gli altri e le regole. Nell’altra grande Rivoluzione, quella americana, Alexis de Tocqueville già registrava però una accezione diversa: l’individualista americano non è egoista, ma un soggetto sociale che coltiva la propria sfera privata a latere di quella pubblica. Duecento anni dopo Norberto Bobbio confermava l’esistenza di questi due individualismi: il primo, erede della tradizione liberale, del singolo slegato dal corpo organico della società, ed il secondo, quello della storia democratica, del singolo che considera centrale l’unione sociale. Hanna Arendt sottolineava, parlando dell’individualismo, la differenza sostanziale frasolitudineeisolamento”, con la prima utile pre-condizione per una autonomia morale ed il secondo preludio invece all’impotenza nell’agire sociale. Il populismo di destra non solo guarda all’individualismo della tradizione liberale, ma lo accentua con una forte venatura di isolamento che lo porta a negare i valori della convivenza civile: il rispetto degli altri, l’uguaglianza, la solidarietà, i diritti collettivi. L’individualismo populista ai richiami dei valori fondanti di un vero vivere sociale risponde con un perentoriome ne frego.

2.2 L’individualismo autoritario = Con l’aggiunta ulteriore di una aggravante solo all’apparenza contraddittoria: questo ritrarsi individualista non si limita all’esaltazione dell’io”, ma pretende di intervenire, in nome della sua ossessione dell’identitaria,  sulnoi(quello “autentico” prima evidenziato) escludendo e disegnando confini e appartenenze. Il “me ne frego” cancella il fondamentale equilibrio fra attenzione per l’individuo e senso di appartenenza ad una condivisa comunità che la Arendt sintetizzava nel concetto di pluralitàcapace di tenere insieme uguaglianza e distinzione. Un tratto che bene testimonia la duplice negatività di eccesso di individualismo e imposizione identitaria, è la pratica scientifica della disintermediazione”, la totale delegittimazione di ogni corpo sociale intermedio, di ogni filtro istituzionalizzato di gestione dei rapporti sociali. Si tratta di un decisivo salto di qualità negativo rispetto alle precedenti forme di populismo, che per quanto aggressive contemplavano comunque la presenza di momenti di intermediazione organizzati e istituzionalizzati, l’attuale populismo conservatore di destra si muove al contrario lungo una precisa catena identitaria che parte dall’individuo per chiudersi con un leader che la personifica. Ed è proprio qui, su questo terreno che si realizza l’assonanza, ideologica e programmatica, con il neoliberismo economico a sua volta refrattario, in nome del “libero mercato”, al ruolo di partiti politici, parti sociali, sindacati. Come ha sottolineato Marco Revelli  su questo aspetto si realizza la chiamata alle armi di singoli individui rinchiusi nel loro “isolamento” sociale ed esistenziale ed acquista senso e sostanza unindividualismo autoritario”. Anche in questa esasperazione si accentua una certa distanza dal fascismo classico e dalla sua idea di “Stato etico” che manteneva, per quanto distorta, una visione comunitaria (il populismo di destra, come evidenzia Rocco Ronchi, è semmai più vicino al  “me ne frego” delle squadracce degli Arditi del Popolo). Un preciso supporto ideologico viene dalla distinzione che Friedrich von Hayek (uno dei padri nobili del neoliberismo) faceva fra un individualismo “vero” ed uno “falso” con il primo, quello giusto, che vede la società come il prodotto delle azioni individuali che spontaneamente realizzano un ordine sociale autoregolamentato, ed il secondo, quello sbagliato (che proviene dall’onda lunga della Rivoluzione Francese) che vede la società come il risultato di una visione generale volta a conseguire determinate finalità. A suo avviso quindi l’ordine sociale, basato sul libero esprimersi degli individualismi economici, ha già dentro di sé i fondamenti di legittimità, e la politica ha semmai il compito di proteggerlo, certo non quello di indirizzarlo. Non a caso Chantal Mouffe definisce questa costruzione ideologica, neoliberista e populista, “post politica”, il presunto potere autoregolatore del mercato la rende infatti del tutto superflua e la riduce alla mera gestione di faccende tecniche da affidare ad esperti. Due slogan di Margaret Thatcher sintetizzano perfettamente questa visione:there is no alternative(“non c’è alternativa”, spesso contratto in TINA) al pieno libero esprimersi del mercato, ela società non esiste”, vale a dire che non esiste, come evidenzia Corey Robin, una dimensione altra dalla somma degli individui, dei loro raggruppamenti spontanei, delle famiglie.

Capitolo 3

Patria e famiglia (senza dimenticare Dio)

Sono tre i terreni sui quali di più si esprime questo populismo individualista e conservatore: la difesa dei confini, la famiglia tradizionale, la religione declinata in chiave identitaria, su di essi si articola la mobilitazione del popoloautentico per la restaurazione di unordineche rischia di andare perduto

3.1 La nostalgia dell’ordine sovrano = il “nativismo”, l’esaltazione ideale dell’essere nati in un posto con una lingua, una storia, un ordine morale, rappresenta l’elemento cardine delsovranismo volto a realizzare un “ordine sociale e storico”, al ripristino di una sorta di sovranità westfliana(alla pace di Wefstalia del 1648 si fa risalire l’idea di uguaglianza e autonomia delle singole nazioni), coniugata con la sovranità popolaree lasovranità dell’individuo”.

3.1.1 Il sovrano e lo straniero = Non è corretto sovrapporre sovranismo enazionalismo, per quanto entrambi esaltino il popolo nazione. “Nazionalismo” ha, lungo la prima fase della modernità, indicato l’anelito di popoli alla libertà dal vecchio ordine imperiale, mentre “sovranismo” è un’istanza di difesa di quanto ritenuto tradizione di un popolo congiunta alla retorica esaltazione di un autonomo potere che non riconosce altri poteri. Tradizione e recupero di potere, (sentirsi “padroni in casa propria”), sono quindi gli elementi ideologici fondanti degli attuali sovranismi, la cui ascesa ha trovato genesi non casuale nella feroce opposizione ai flussi immigratori con la paranoica esaltazione della difesa dei confinidalla minaccia dello straniero. E’ ben noto che i fenomeni migratori sono un dato ormai costitutivo dell’attuale ordine mondiale, tanto da essere, per cause varie, di fatto inevitabili, allo stesso modo appare poi evidente che in questo quadro una loro qualsiasi gestione scavalca ogni dimensione nazionale. Il richiamo sovranista alla “difesa dei confini”, di fatto impossibile in questo quadro globalizzato, evidenzia quindi tutto il suo carattere di natura culturale ed ideologica perchè alimenta, al di là della sua effettiva sostenibilità, la carica emozionale di unanazioneminacciata nella sua purezza etnica di popolo. Ed anche qui si misura il doppio gioco con la visione globalizzata neoliberista. Questa, che a tutti gli effetti è una delle cause più importanti dei fenomeni migratori, viene di fatto taciuta, l’opposizione aipoteri fortivale tutt’al più qualche stanco slogan. Anche la sovranità conferma che il populismo èilliberale, non anti-liberista”.  .

3.1.2 Il popolo e le corti = Il concetto di “popolo” architrave del sovranismo populista, viene scientificamente costruito, come precisa Alessandro Ferrara, con la combinazione di tre fattori: la riduzione del popolo al corpo elettorale, l’attribuzione ad esso del  potere costituente, basato sull’esistenza di un unico e vero interesse del popolo, e dà, su queste basi, titolo per giustificare ogni intolleranza verso ogni opposizione. La volontà del popolo, quello autentico, deve potersi affermare senza limiti ed intralci, chi rema contro è un nemico da combattere anche violentemente (le rivolte post voto negli USA ed in Brasile). Non è allora casuale la costante pulsione, presente in tutti i populismi, alla modifica-sovvertimento dei principi costituzionali (non a caso con il ricorso a referendum), al punto che è sempre più difficile non vedere nel populismo sovranista l’attuale vera antitesi della democrazia

3.1.3 L’individui confinato = All’interno di questa recessione democratica ritorna il ruolo del soggetto al centro del progetto populista di destra: l’individuo. E’ all’individuo, alle sue esigenze di recupero di identità, di sicurezza, alla sua personale sovranità sociale ed esistenziale, che guarda l’appello sovranista. Peraltro è questo un concetto tutt’altro che nuovo nel pensiero filosofico-politico della modernità occidentale: Hobbes (1588-1679), Locke (1632-1704), Rousseau (1712-1778), Hegel (1770-1831) ritenevano che la sovranità dello Stato, delle sue politiche, fosse mirata proprio ad ampliare e difendere la sovranità dell’individuo. Ma, come più volte già evidenziato, la sovranità individuale nel pensiero populista sovranista prende una ben precisa piega: essa non è diritto di tutto il popolo, ma spetta solo alla sua parte “autentica”. L’insistita separazione fra il “noi” e gli “altri” implica allora che i confini da difendere non formano solo la barriera esterna contro “lo straniero”, ma guardano anche, con piglio non meno autoritario, a ripristinare le giuste difese contro i rischi interni di degenerazione morale e culturale, di attacco ai valori tradizionali del vero popolo

3.2 Panico demografico e 3.3 nascita e nazione = Una questione che sta oggettivamente interessando buona parte dell’Occidente, Europa in particolare, riassume e amplifica questi sentimenti: l’accentuato e, all’apparenza, inarrestabile calo della sua popolazione autoctona (la culla vuota della civiltà) correlato poi alla minaccia della sua progressiva sostituzione con l’immigrazione. Svanito ogni allarme per la possibile sovrappopolazione globale, il tema che oggi si impone alle agende sovraniste è come fermare questi due processi. (la colpa di tutto ciò viene individuata nella visione globalista e progressista che ha negato adeguate politiche di sostegno alle famiglie “native”, oltretutto dimenticando che per fare un figlio servono un uomo ed una donna). La questione è sicuramente complessa e si presta a diverse interpretazioni, emerge però ancora una volta la contraddizione fra l’accettazione dei fondamenti dell’economia neoliberista e questo accorato appello alla famiglia ed alla natalità, che deliberatamente sottovaluta l’influenza degli stili di vita basati su consumismo e individualismo naturale conseguenza delle logiche neoliberiste. La soluzione individuata dai vari sovranismi di politiche di sostegno economico alla famiglia, (che resta il pilastro su cui tutto poggia), e alla natalità (in Ungheria Orban ha introdotto una legge che consente fino a tre anni di copertura “maternità). hanno sin qui avuto ben scarso successo perché da sole non incidono su tutti i cambiamenti in gioco (a dimostrazione della complessità variegata della questione). In compenso  rivelano bene l’ideologia che le sostiene basata sugli inattaccabili valori della tradizione e della difesa della purezza etnica, a delineare un’idea di popolo che non coincide più sul concetto didemos”, basato sulla cittadinanza, ma con quello dell’ ethnos”, dove prevalgono origine, sangue e religione. Luigi Ferraioli non a caso evidenzia come il concetto dicittadinanza”, affermato dalla Rivoluzione Francese come base dell’uguaglianza politica, si trasformi nella sua versione populista in una drammatica differenza di status: quella fra “cittadini e non cittadini”. L’idea di tornare ariempire le culle”, al di là della sua realizzabilità, è però un puntello irrinunciabile per impalcatura ideologica populista e  sovranista.

3.4 Dio, patria e famiglia = Tutto quanto fin qui evidenziato trova infine nella religioneun collante ed un supporto fondamentali, una componente decisiva per lasacralizzazione” dei valori populisti e sovranisti. Quello che prevale non è tanto il credo religioso in sé (difficile negare quanto poco coerentemente sia vissuta la fede da parte di molti dei leader populisti), ma il suo ruolo nel definire l’“identità” del popolo. Anche in questo caso non si tratta di una novità, per tutta la modernità la dottrina dello Stato ha visto nel legame tra religione e sovranità un prezioso rafforzamento della legittimità del potere. Certo è che nel bagaglio ideologico del sovranismo populista questo legame ha riassunto un ruolo centrale. Non ovunque, e con intensità comunque varia, questo appello strumentale (ai limiti del cattivo gusto come in alcune esposizioni mediatiche di simboli religiosi) viene ricambiato dalle gerarchie ecclesiastiche, là dove succede (come in Polonia ed in Ungheria) il supporto ottenuto è fondamentale per il successo populista.

3.5 L’inganno populista = Nonostante gli innegabili successi elettorali (peraltro spiegabili con i molteplici fattori che compongono l’attuale crisi della democrazia rappresentativa) l’ideale sovranista del populismo non è esente da una fragilità di fondo. Appare al momento irreversibile la crisi della sovranità statale nell’epoca della globalizzazione neoliberista “trans-nazionale”, ed appare poi oggettivamente labile il concetto di “popolo autentico” in una epoca di profondi mutamenti socio-economici e culturali. La stessa stretta connessione con l’ideologia neoliberista potrebbe poi far esplodere la contraddizione fra il mito del libero mercato e l’intero bagaglio valoriale populista, il cui accentuato sguardo “all’indietro” rischia di entrare in conflitto che i costanti ed incontrollati mutamenti in campo economico.

Capitolo 4

Che genere di popolo?

Siamo costretti, per restare nei limiti abituali di un post, a trascurare questo Capitolo per quanto non meno determinante nell’analisi dei caratteri costitutivi del populismo conservatore di destra. Giorgia Serughetti (la cui attività saggistica è in prevalenza dedicata proprio alle problematiche “di genere”) delinea qui, lucidamente e analiticamente, le ragioni ideologiche e valoriali, che spiegano bene i nervi scoperti del populismo per l’affermazione di sacrosanti diritti che rischiano di far crollare l’intera sua costruzione dell’identità di popolo e di individuo. Emerge in particolare una caratteristica che non poco definisce questa repulsione: le frustrazioni che attraversano il mondo maschile. Il populismo conservatore è infatti anche il tentativo “del maschio” di riaffermare il suo potere sulle donne e sulla morale imponendo la sua visione mascherata, in modo improprio, come quella “naturale”. Sono indubbiamente problematiche centrali contiamo quindi di recuperarle appena possibile ben sapendo che l’agenda populista non mancherà purtroppo di fornircene occasione

Capitolo 5

Tempo futuro: democrazie al bivio

Accertata, sulla base di quanto sin qui esaminato, la necessità di una seria attenzione ai pericoli che ne derivano per la cultura della convivenza e della stessa tenuta della democrazia, è indispensabile riflettere sulle possibili alternative

5.1 Il “noi” oltre l’identità = Francesco Remotti, nella sua decennale indagine antropologica sulle ossessioni identitarie evidenzia uno stretto nesso fra il loro insorgere e i processi di impoverimento culturale dei quali esse sono al tempo stesso effetto e causa. Un richiamo che impone di uscire dalla passiva accettazione di un fenomeno tanto preoccupante quanto affrontabile, che non esclude, anzi, il valore delnoi”, purchè (ri)declinato con l’ideale diconvivenza egualitariae di una idea alternativa di identità”. Sono due i terreni sui quali muoversi in questa direzione: il recupero/rilancio dell’idea di “cittadinanza”, come porta di accesso per tutti a tutti i diritti civili, politici, sociali e culturali, e la “cura”, la capacità diffusa di rispondere ai bisogni “vitali” delle persone e dell’ambiente. A loro volta ambedue possono diventare percorribili solo se inseriti, e rafforzati, nello sforzo di uscire dalle logiche di mercato neoliberiste. La pandemia ha in questo molto da dirci.

5.2 La lezione della pandemia = La speranza del suo definitivo superamento non deve impedire di trarne gli importanti ammonimenti sulla insostenibilità dei mali dell’attuale società tardo-capitalista in versione neoliberista. Mariana Mazzuccato vede nella crisi pandemica il grande fallimento dello Stato reso “minimo” da queste logiche, misurato ovunque dal grave deficit di efficienza dei sistemi sanitari pubblici dopo la cura neoliberista. Un gruppo di ricercatori britannici nel 2021 ha pubblicato, proprio sulla base dell’esperienza pandemica, un Manifesto della curain cui compare una illuminante frase: siamo stati resi sempre più inadeguati a prenderci cura delle persone perché caldamente incoraggiati a limitare il nostro interesse per gli altri, visti estranei e distanti da noi. Ed è proprio in questo vuoto esistenziale, e nellapaurache ha creato, che si è innescato il discorso populista. Come ci ricorda Martha Nussbaum la paura è asociale, narcisistica, e non a caso accentua il malessere individuale e collettivo culla del populismo. La pandemia ha però al contempo messo a nudo l’illusorietà della narrazione dei confini, l’inutilità di rinchiudersi entro spazi troppo fragili, e ci chiama ad uno sguardo diverso sul mondo.

5.3 Tecnocrazia e populismo = La pandemia ha anche reso incerta ogni dimensione temporale: il futuro non sembra più ottimisticamente immaginabile e lo stesso passato appare ormai in gran misura irrecuperabile. Questa nuova generalizzata condizione umana viene affrontata dal neoliberismo con una ulteriore accentuazione della governance dei numeri”, una soluzione tecnocratica che promette di superare l’incertezza con la calcolabilità scientifica dei dati (ovviamente recuperati con il controllo invasivo, reso possibile dalla Rete, delle nostre vite). Fa il paio con questa soluzione quella populista che, coerentemente con il suo sistema valoriale, identifica le vite da proteggere con quelle del “popolo autenticoescludendo quindi tutte le altre. Entrambe per dimostrarsi efficaci devono però inserirsi in modo sostenibile nel quadro delle relazioni internazionali globalizzate, i cui scenari, determinati dalle attuali logiche globali, sono, secondo Vittorio Emanuele Parsi, sostanzialmente due:restaurazione o fine dell’egemonia occidentale”. La prima confida, ma a questo si limita, che lentamente la scena economica e politica globale possa smaltire gli effetti pandemici (il saggio è precedente alla guerra russo-ucraina ed ai mutamenti che sta imponendo) ripristinando i rapporti globali pre-crisi, la seconda vede invece l’innescarsi di una crisi irreversibile tale da portare all’inasprimento dei contrasti fra aree del mondo con l’Occidente, Europa in particolare, in forte difficoltà. Entrambi questi scenari presentano fragilità intrinseche così accentuate da rendere vuoi illusorio il primo vuoi ingovernabile il secondo. Si aprirebbero allora spazi per un terzo scenario, quello di un nuovoRinascimento”, fatto di politiche nazionali e globali in grado di opporsi in modo efficace alle logiche neoliberiste (e più in generale al mito della “crescita infinita”) ed al tempo stesso capaci di ricreare solidarietà, senso di appartenenza, giustizia sociale.

5.4 There is no alternative = Il primo non rinviabile passo in questa direzione è infrangere il muro della rassegnazione, dell’adattamento passivo, inculcato dalTINAthatcheriano. L’alternativa può invece esserci e deve essere costruita avendo adeguata chiarezza sulla direzione da seguire. Al momento nel campo degli orientamenti generali sembrano essere due le proposte che si confrontano (la riflessione della Serughetti è concentrata sul terreno specifico della lotta al populismo conservatore, e qui non prende quindi in considerazione i contributi che potrebbero venire da altri fronti di lotta, quello contro l’emergenza ambientale e climatica): uno definibile comepopulismo di sinistraed uno che pone al centro lacura”. La già citata Chantal Mouffe, nel suo saggio Populismo di sinistra”, ritiene che proprio il malcontento sociale e politico nel quale è nato e cresciuto il populismo offra potenzialità per una sua declinazione in senso opposto. Occorre però sporcarsi le mani ed entrare senza diffidenze nel vivo delle domande che esso pone, e del dialogo/confronto con i soggetti che le avanzano, per spostarne il baricentro verso politiche che ricreino fiducia verso la giustizia sociale e difesa dei diritti. Non sono però poche le perplessità per una prospettiva che, utilizzando le chiavi di lettura classiche della “lotta di classe”, rischia di non tenere adeguato conto della forte incidenza di fenomeni (quelli del populismo culturale) quali razzismo, xenofobia, conservatorismo morale. Eric Fassin mette in ordine proprio queste perplessità ed invita a cogliere in tutta la sua valenza una caratteristica “filosofica” degli elettori della destra populista, i quali sonosoggetti mossi da passioni tristi da combattere con altri soggetti mossi da altre passioni(le “passioni tristi”, a cui contrappone le “passioni gioiose”, sono uno dei caposaldi del pensiero di Baruch Spinoza che abbiamo esplorato nel nostro scorso programma 2021/2022). Il tema dellepassioni”, dei modi di porsi nei confronti del mondo e delle sue problematiche, può risultare cruciale nello sforzo di costruire una alternativa, per la quale non può bastare la sola razionalità politica: occorrono contrapposte “idee ed emozionicapaci di sostenerla e meglio indirizzarla. In questo senso, sempre secondo Fassin, sono tre le prime aree di intervento: una politica dell’educazione”, con al centro una scuola ed un percorso educativo capaci di creare comprensione, partecipazione attiva, confronto aperto su passioni e sentimenti, unamobilitazione simbolica”, fondamentale in questa era mediatica, attraverso letteratura, musica, cinema, arti, ed infine una più mirataazione politicaattenta a proporre finalità generali capaci di intercettare concretamente le domande che vengono dalle basi sociali tradizionali e da quelle dei movimenti per i diritti della persona e di genere, e quelli giovanili fortemente coinvolti nella lotta per l’ambiente come “Fridays for future”

5.5 L’orizzonte dei diritti = Non meno decisivo è poi un confronto aperto su quali diritti siano quelli più importanti da subito per una inversione di rotta. Non v’è dubbio che un posto di rilievo spetti a quello dell’uguaglianza, in tutte le sue possibili declinazioni, restando consapevoli però che essa non si presenta come un dato naturale e che sono semmai naturali le differenze percepite come più adatte a definire l’unicità individuale. L’uguaglianza è al contrario il risultato di un preciso agire politico che ha al suo centro il principio di giustizia. Scrive Hanna Arendt nel suoLe origini del totalitarismo”: “non si nasce eguali, lo si diventa come membri di una società che garantisce eguali reciproci diritti”. E questi diritti fondamentali, ben richiamati da Ferraioli, sono ancora quelli eterni ed universali, ma da declinare nell’attuale contesto storico:diritti di libertà”, “diritti civili”, “diritti politici”, “diritti sociali”, da sempre attenti proprio alle ineliminabili differenze fra individui. E’ esattamente quello che viene richiamato nell’Articolo 3 della Costituzione italiana, e sta esattamente in questo il nesso tra sovranità popolare e democrazia e le considerazioni che dovrebbero motivare tutte le forze che si oppongono al neoliberismo ed alla deriva populista.

5.6 Una società che cura = C’è infine una dimensione che queste tradizionali concezioni dell’uguaglianza non hanno finora preso in considerazione e che rappresentano invece una domanda molto forte nell’attuale contesto sociale: la sfera delle attività di cura. Non a caso è soprattutto il pensiero femminista a porlo come tema centrale, per la semplice ragione che i compiti di cura, oltretutto erroneamente consideratiattività improduttive”, da sempre gravano sulle spalle delle donne. In questi ultimi decenni il tema si sta imponendo come fondamentale: generare e crescere figli, accudire persone anziani e disabili, curare la propria salute e quella dei propri cari, alimentare i rapporti sociali, sono alcuni dei problemi che, accentuati dallo smantellamento neoliberista del welfare, gravano ormai pesantemente su tutta la comunità. E’ una dimensione di vita nella quale nessuno vale solo come “attore del mercato” o come “cittadino”, ma in cui tutti valgono come persone che hanno bisogno di cura per poter vivere il meglio possibile. E sono allora proprio lerelazioni di curaad alimentare il sentimento di appartenenza ad una collettività percepita vicina. E sono anche queste una decisiva sfida alle politiche populiste, di ispirazione neoliberista, di ripristino della centralità della famiglia tradizionale, di riduzione dell’autonomia delle donne, di negazione di diritti per chiunque si configuri come “altro”. A tutte queste sfide è possibile trovare risposte adeguate.

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·      Paul Taggart (1957, inglese, professore di teoria politica presso l’Università del Sussex) “Populism” 2000 (opera non tradotta in Italia)

·      Dani Rodrik (1957, economista turco di origine trapiantato negli USA, professore di economia politica presso l’Università di Harvard)Populism and the Economics of glabalizatione” 2018 (opera non tradotta in Italia)

·       Colin Crouch (1944, sociologo e politologo britannico)“Identità perdute. Globalizzazione e nazionalismo” 2019 Laterza

·       Francis Fukuyama (politologo statunitense, noto per essere l'autore del saggio politico “La fine della storia e l'ultimo uomo”)“Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi” 2019 Utet

·       Ronald Inglehart (1934-2021, politologo e sociologo statunitense.i) Pippa Norris (1953, politologa docente presso l’Università di Harvard) “Trump, Brexit and the rise of populism” 2016 (opera non tradotta in Italia)

·      Richard Rorty (1931/2007, filosofo statunitense, a lungo docente presso l’Universita di Yale)“Achieving our country” 1998  (opera non tradotta in Italia)

·      Mark Lilla (1956, politologo USA, il suo “Il naufragio della ragione”  stato il nostro “Saggio del mese” di Agosto 2019)“L’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica” 2018 Marsilio

·       Michel Foucault (1926-1984, filosofo, sociologo, storico della filosofia, storico della scienza, accademico e saggista francese, noto per il suo concetto di “biopolitica) “Le parole e le cose” 1967 Rizzoli

·      Nadia Urbinati (1955, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di scienze politiche presso la Columbia University New York) – “Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista2011 Laterza

·       Alexis de Tocqueville (1805-1859, filosofo e uomo politico francese,“La democrazia in America” 1999 Rizzoli

·      Norberto Bobbio (1909/2004, filosofo e storico torinese)“Dizionario di politica” riedito da Utet nel 2016

·      Hanna Arendt (1906-1975, filosofa e politologa tedesca naturalizzata statunitense) – “Le origini del totalitarismo” 2004 Einaudi

·       Marco Revelli (1947, sociologo e politologo torinese)  - “La politica senza politica(nostro “Saggio del mese” di Marzo 2019) 2019 Einaudi

·       Rocco Ronchi (1957, filosofo, professore di filosofia teoretica presso l’Università dell’Aquila)Metafisica del populismoNovembre 2018 rivista on-line Doppio Zero

·       Friedrich von Hayek (1899-1992, economista austriaco,)Individualism: true and false1946 (opera non tradotta in Italia)

·       Chantal Mouffe (1943, politologa belga, docente di scienze politiche presso l’Università di Westminster)“Per un populismo di sinistra” 2018 Laterza

·       Corey Robin (1967-politologo, professore di scienze politiche americano al Brooklyn College) - The reactionary mind. Conservatorism from Edmud Burk to Donald Trump” 2018 (opera non tradotta in Italia)

·       Alessandro Ferrara (1953, filosofo, docente di filosofia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata) – “Maggioranza degli elettori, minoranza del popolo”. in “Sovranismi, parole chiave2021

·      Luigi Ferraioli (1940, giurista e filosofo del diritto allievo di Bobbio, a lungo magistrato) – “Manifesto per l’uguaglianza2018 Laterza

·      Francesco Remotti (1943, antropologo, a lungo direttore del Dipartimento di Scienze Antropologiche dell’Università di Torino)“L’ossessione identitaria”, 2010 Laterza

·      Mariana Mazzuccato (1968, economista italiana, insegna economia dell’innovazione presso l’Università di Londra, il suo “Il valore di tutto Saggio del mese di Febbraio 2019) – “Non sprechiamo questa crisi” 2020 Laterza

·      Martha Nussbaum (1947, filosofa statunitense, docente di diritto ed etica presso l’Università di Chicago) – “La monarchia della paura. Considerazioni sulla crisi politica attuale” 2020 Il Mulino

·      Vittorio Emanuele Parsi (1961, politologo torinese, professore di relazioni internazionali presso l’Università Cattolica di Milano) – “Vulnerabili. Come la pandemia cambierà il mondo2020 Edizioni Piemme

·      Eric Fassin (1959, sociologo francese, docente di sociologia presso l’Università di Paris St. Denis) – “Contro il populismo di sinistra. Risentimento neoliberale e democrazia2019 Manifestolibri