lunedì 29 aprile 2019

Relazione sulla conferenza del dott. Flavio Brugnoli del 17 Aprile 2019:



Relazione sulla conferenza del dott. Flavio Brugnoli del 17 Aprile 2019:


EUROPA”
Riflessioni sul nostro orizzonte comune

Presentazione:
Nell’introdurre una serata che si prospetta assai ricca di contributi, Massima Bercetti esplicita a nome di CircolarMente i motivi che hanno determinato l’inserimento di questo tema in un programma dedicato ai possibili “Futuri” che si prospettano, e rispetto ai quali la scelta che andremo a compiere il 26 maggio non è certo di poca rilevanza, perché l’Europa è davvero lo spazio comune in cui lo giocheremo.
Non è casuale inoltre che la riunione sia stata progettata in collaborazione con l’ANPI di Avigliana. E’ infatti allo spirito, ai valori, al coraggio degli uomini e delle donne che hanno lottato per riconquistare la libertà, e ai Padri Costituenti che ci hanno dato gli strumenti costituzionali per mantenerla e potenziarla che vogliamo riagganciarci, ricordando la capacità di pensiero lungo e preveggente che essi hanno avuto nel comprendere  che per raggiungere una pace stabile e una più alta giustizia sociale era necessario che l’Italia si rendesse disponibile a rinunciare  in parte alla propria sovranità, nella prospettiva di una futura integrazione europea (art.11).
Nell’intento di ritrovare quel clima e quella speranza – pur senza sottovalutare la crisi attuale dell’Unione Europea – è stato affidato ad un relatore qualificato come il dott. Flavio Brugnoli, Direttore del Centro Studi sul Federalismo di Torino, il compito di prospettarci il percorso storico della UE e di analizzarne i punti di forza e di debolezza.
Al suo intervento seguirà il previsto contatto via skype da Strasburgo con Elly Schlein, una giovane e appassionata eurodeputata che si è occupata particolarmente di due temi fondamentali quali quello dell’ambiente e dell’immigrazione, dando il suo contributo al negoziato inteso ad elaborare un nuovo sistema di regole che dovrebbe andare a sostituire il Trattato di Dublino. In conclusione, toccherà al dott. Gianni Colombo, che è stato fino al 2018 membro del Comitato esecutivo dell’Istituto Europeo per la tecnica e l’innovazione, il compito di darci qualche ragguaglio sugli scenari che si prospettano in questo campo. La parola, dunque, al dott. Flavio Brugnoli.
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Nel suo intervento il dott. Brugnoli intende offrire una riflessione sull’Europa come nostro orizzonte comune, che muova dalla considerazione del complesso percorso storico con cui si è realizzata l’Unione Europea per focalizzarsi poi sul funzionamento delle sue istituzioni, sui risultati raggiunti o mancati e sui problemi da affrontare. Per raggiungere con maggiore efficacia questo scopo, il relatore ha corredato il suo intervento con un ricco e chiaro apparato illustrativo, che ci consente in questa sintesi di lasciare spesso la parola direttamente alle slides, limitandoci ad una presentazione in termini generali oltre a qualche osservazione aggiuntiva. 

Prima parte:
Dalla tragedia delle due guerre civili europee
alla nascita dell’unione economica e monetaria

In questa prima parte del suo intervento il dott. Brugnoli fa anzitutto riferimento al vero e proprio cambio concettuale che si è compiuto nel secondo dopoguerra, per l’acquisita consapevolezza dell’immane tragedia in cui i nazionalismi esasperati avevano condotto le popolazioni europee (non a caso infatti ha usato l’espressione “guerre civili”, perché così è stato: europei contro europei).

Una volontà forte di cambiamento che ha avuto come esponenti d’eccezione Altiero Spinelli e Jean Monnet, veri e propri giganti nella costruzione dell’identità europea a cui hanno dato non solo la spinta ideale, ma anche dei veri e propri piani di costruzione.
E’ a partire dalla loro azione appassionata, e dalla proposta del governo francese nella persona di Robert Schumann di mettere l’insieme della produzione franco tedesca di carbone ed acciaio sotto una comune Alta autorità, a cui potessero aderire nel tempo gli altri paesi europei

(da cui nasce nel 1951 la CECA) che incomincia, con un altissimo valore simbolico – unire proprio ciò che ha diviso e che  ha fornito armi e combustibile al massacro - …….

……quel processo di  costruzione europea di cui il relatore esplicita via via le varie tappe, senza ignorare il persistere di diffidenze profonde e di momenti di chiusura (qual è stato, per esempio, il rifiuto francese di aderire alla proposta di istituire una Commissione Europea di difesa, che pure era stata avanzata proprio da Jean Monnet).
Non diamo qui ragione di tutti questi passaggi, che sono molto ben evidenziati nelle slides  presentate dal relatore;

ci limitiamo a segnalare l’altra svolta epocale che vede, dopo il 1989,
un allargamento e un rafforzamento dell’integrazione europea attraverso i quali si costituirà l’Unione così come la conosciamo oggi, non priva certo di problemi e di ambiguità ma che pure ha svolto un ruolo fondamentale di stabilizzazione

contribuendo – come recita il comunicato del Comitato per il Nobel, che ha attribuito nell’ottobre del 2012  il prestigioso premio per la pace proprio all’Unione Europea -  a trasformare in buona parte l’Europa “da un continente di guerra a uno di pace” .

Seconda parte:
Istituzioni europee e meccanismi decisionali;
come funziona l’Unione Europea

Nella seconda parte del suo intervento il dott. Brugnoli intende offrire una descrizione sufficientemente esauriente del funzionamento della UE 
a partire da quel Trattato di Lisbona, in vigore dal 1°dicembre 2009, che ne detta i principi fondamentali (valendo così come una sorta di Carta costituzionale) ed esplicita le modalità di funzionamento a cui le istituzioni europee devono attenersi. A suo giudizio riveste la massima importanza che nel trattato sia contenuta la “Carta dei diritti” che non vale solo in linea di principio ma che è, come si suol dire, “giustiziabile” (nel senso che ad essa si può far riferimento nelle cause di giustizia), e che facendo perno sul principio di responsabilità verso gli altri e verso le generazioni future  apre il discorso dei diritti a temi che un tempo erano avvertiti con minore urgenza: la responsabilità verso i bambini, verso i disabili, verso l’ambiente…Il relatore illustra molto opportunatamente i compiti e le modalità di funzionamento delle istituzioni europee, su cui spesso si ingenerano confusioni da parte di chi non è addetto ai lavori, partendo da quelle che fanno parte del cosiddetto “triangolo istituzionale” e cioè:

il PARLAMENTO EUROPEO, eletto a suffragio universale, che rappresenta i cittadini e i popoli dell’Unione

il CONSIGLIO EUROPEO, che è formato dai capi di stato o di governo, ha solo funzioni di indirizzo – almeno in teoria - e resta pertanto esterno rispetto a questo triangolo);

il CONSIGLIO (Consiglio dei Ministri), che esercita la funzione legislativa e la funzione di bilancio ed è composto dai rappresentanti di governo degli stati membri

la COMMISSIONE EUROPEA, composta da un membro per ognuno dei paesi dell’Unione, che è indipendente dai governi e che nell’interesse generale dell’Unione ha il compito di svilupparne le politiche e le proposte legislative, oltre ad avere la funzione fondamentale di Custode dei trattati.

Prima di analizzare nel dettaglio formazione, competenze e modalità di funzionamento delle varie istituzioni il dott. Brugnoli dà alcune delucidazioni rispetto al cosiddetto “voto a maggioranza qualificata”, che vige per alcune materie, mentre per altre si richiede l’unanimità prevedendo anche il diritto di veto.

Si tratta di un meccanismo decisionale inteso ad evitare che la grandezza o la piccolezza di un paese venga a costituire un elemento di squilibrio, garantendo attraverso un bilanciamento fra il numero degli stati richiesto (il 55 % degli stati membri) e il numero degli abitanti (almeno il 65% della popolazione totale della UE) il diritto dei paesi più piccoli ad avere voce in capitolo senza che questo produca la messa all’angolo dei più grandi. Segnaliamo di seguito alcune delle osservazioni complementari fatte dal dott. Brugnoli a proposito delle istituzioni di cui sopra:
1) Rispetto al Parlamento europeo
L’incertezza numerica che riscontiamo è dovuta semplicemente al fatto che non si è in grado, in questo momento, di indicare con esattezza di quanti membri sarà composto. Sulla base dei trattati il Parlamento non può avere più di 750 membri (751 con il Presidente), ma nel caso di uscita del Regno Unito questo numero si ridurrà a 151. I posti che si libereranno saranno in parte tenuti di riserva per eventuali nuovi ingressi, in parte distribuiti in base alle variazioni della consistenza della popolazione dei vari paesi (per l’Italia si passerà in questo caso dagli attuali 73 membri a 76). Per quanto riguarda invece le sedi, il Parlamento ha più volte espresso con il voto il desiderio che siano unificate, ma il veto francese su Strasburgo ha finora impedito questa convergenza. Per intanto, i trattati stabiliscono che a Strasburgo si tengano 12 sedute plenarie, mentre Bruxelles ospita le riunioni delle Commissioni parlamentari e tutte le altre riunioni plenarie (a Lussemburgo c’è solo la segreteria generale).
2) Rispetto al Consiglio:
Secondo il dott. Brugnoli, che esista ancora il diritto di veto, e che su alcune materie quali la fiscalità, la politica estera e di sicurezza sia richiesta l’unanimità è un evidente anacronismo, che in molti casi paralizza il lavoro del Consiglio (perfino per l’elezione del Papa bastano i due terzi dei votanti, e questo già da alcuni secoli!).  Sarà davvero indispensabile risolverlo, nella prossima legislatura.
3) Rispetto alla Commissione europea:
Il relatore attira anzitutto la nostra attenzione sul fatto che la Commissione deve essere, per esplicito dettato dei trattati, del tutto indipendente dai governi (una cosa che a molti sfugge, in effetti), segnalando la notevole importanza di questa istituzione, non solo perché da essa dipende la messa in moto di qualunque provvedimento, ma anche perché al suo interno si gioca una partita davvero decisiva relativa alla presidenza. Se è vero infatti che i capi di stato possono indicarne il Presidente, è altrettanto vero che senza l’approvazione del Parlamento non c’è alcuna possibilità di eleggerlo ugualmente. Sarà interessante dunque vedere quale dialettica si creerà fra gli stati e il parlamento dopo le prossime elezioni.
Ultime considerazioni:
In chiusura di questa seconda parte, il dott. Brugnoli offre alcuni chiarimenti sul “metodo comunitario”, e cioè su come si arriva a produrre le leggi e gli ordinamenti. Per intanto, è solo la Commissione a poter proporre nuovi atti legislativi, mettendo in moto le procedure (il Parlamento non può proporli per suo conto, cosa che per il relatore costituisce un evidente limite), mentre spetta al Parlamento e al Consiglio adottarli per cui se non c’è accordo fra chi rappresenta il popolo e chi gli stati non si riesce a tradurre in atto alcuna decisione.
Importante ancora, a suo giudizio, sottolineare due elementi che spesso non sono considerati con l’attenzione che meritano. In primo luogo, la prevalenza della legislazione comunitaria rispetto a quella degli Stati nazionali – cosa rispetto alla quale è in atto una forte polemica da parte dei partiti così detti “sovranisti”; in secondo luogo, gli inevitabili limiti dell’azione della UE, che può fare solo ciò che è espressamente previsto dai trattati (giova ricordarlo, anche se non è certo sua intenzione giustificare con questo ogni mancanza: come federalista sa bene che molti passi devono ancora essere compiuti).

Terza parte
La UE in un mondo che cambia:
problemi e prospettive di azione

Nell’ultima parte del suo intervento il dott. Brugnoli entra nel vivo del tema muovendosi, per così dire, dall’esterno verso l’interno, perché senza una considerazione del contesto globale in cui la UE si sta muovendo sarebbe difficile a suo parere dare un giudizio sul presente e sui possibili futuri dell’Unione

Un presente del resto che conosciamo bene e i cui elementi, che pur con qualche inevitabile semplificazione sono evidenziati nelle relative slides, vanno a definire il quadro globale di un mondo in movimento, non senza conseguenze importanti dal punto di vista sociale, economico, politico e geopolitico. Ora la domanda, inevitabile, è questa: che cosa può fare la Ue, che cosa sta facendo o non facendo in un mondo dove la globalizzazione mostra – soprattutto per alcune classi sociali e in modo particolare per l’occidente – i suoi risvolti oscuri; un mondo dove le disuguaglianze sono in aumento e dove il combinato disposto  di problemi globali enormi, dalle migrazioni di massa al cambiamento climatico e alle tensioni per l’accaparramento delle fonti energetiche, determina un’instabilità crescente che desta grande preoccupazione. Secondo il dott. Brugnoli, il modo più opportuno per affrontare temi di questa sorta sta per intanto nello sdoppiare la nostra domanda: chiederci cioè, sul fronte interno, che cosa può fare la UE (e naturalmente, che cosa sta realmente facendo) per proteggere i propri cittadini dagli effetti negativi della globalizzazione, e sul fronte esterno come può muoversi come soggetto attivo per orientarla favorevolmente.

Sicuramente, se prendiamo in considerazione il fronte esterno, 

i punti indicati nelle slides possono indurre qualche incertezza sulle effettive possibilità della loro realizzazione, perché sappiamo bene che forze potenti stanno agendo contro l’Europa minandone la coesione, e con essa la capacità di incidere come agente propositivo nello scenario mondiale. Dalla scelta isolazionista di Trump, che sta recidendo i legami storici con l’Europa cercando di indebolire l’Unione, all’idea sovranista che sia meglio “andare da soli” (anche se le convulsioni del Regno Unito dopo la Brexit stanno inducendo tutti a maggiore cautela), viene portato un vero e proprio attacco al cuore di un  sistema che si voleva non basato su rapporti di forza ma su accordi, consenso e regole condivise, cose tanto più necessarie di fronte alle sfide enormi che l’Europa deve affrontare. Paradossalmente però questi stessi attacchi potrebbero contribuire, secondo il dott. Brugnoli, ad accelerare quelle modifiche all’architettura istituzionale che si stanno rendendo sempre più necessarie per rendere i meccanismi decisionali più agili e produttivi:
(qui il relatore apre una parentesi per indicare quelle su cui si sta lavorando, o che in qualche misura si sono già verificate. Pensiamo per esempio al peso maggiore assunto progressivamente dal Consiglio Europeo, motivato dalla necessità di prendere in qualche caso decisioni estremamente rapide: questo naturalmente dà più spazio ai governi, e pertanto può mettere in crisi il sistema comunitario se non viene bilanciato almeno da qualche modifica consistente relativa al Parlamento, che andrebbe dotato della possibilità di iniziativa legislativa. Sul tavolo ci sono poi questioni annose che prima o poi dovranno essere affrontate: in particolare il dott. Brugnoli segnala l’esigenza di eliminare la richiesta di unanimità nelle materie per cui ora è richiesta - anche se su questo i pareri sono ancora notevolmente divergenti -, oltre a quella di dotarsi di un sistema comune di difesa, impostando iniziative concordate nella politica estera).
Allo stesso modo questi attacchi esterni  potrebbero determinare un soprassalto di responsabilità e un vero e forte recupero della sovranità europea, che è davvero indispensabile di fronte alla portata della sfida insita in problemi di straordinaria complessità e urgenza. Dalla necessità di affrontare il cambiamento climatico a quella di dotarsi di un governo comune delle migrazioni (temi, questi, di cui parlerà Elly Schlein), da quella di  istituire un partenariato “virtuoso” con l’Africa a quella  di affrontare le minacce alla sicurezza che possono venire sia dall’esterno che dall’interno: temi enormi su cui il relatore porta alcune considerazioni, fermandosi in particolare sul rapporto con l’Africa e sul problema della sicurezza:     
il Partenariato con l’Africa:
dietro una sigla un po’ misteriosa (“AfCFTA”) che sta semplicemente ad indicare l’Area Africana continentale di libero scambio, si cela un’importante iniziativa presa da 45 Stati africani che hanno firmato nel 2018 un accordo per un mercato comune. Questo potrebbe anzitutto cambiare il modello di sviluppo africano, che è stato basato finora sulla produzione di materie prime da esportare, rendendolo finalmente endogeno; parimenti però potrebbe portare grandi benefici per l’Europa. E’ stato soprattutto Juncker (il cui operato andrebbe rivalutato, secondo il dott. Brugnoli) a porre il tema dello scambio euro- africano come importante leva su cui puntare, ponendo la UE come co-protagonista di questo libero scambio che finora è sempre stato oggetto di accordi bilaterali ad opera dei singoli paesi europei
la sicurezza:
la stessa importanza riveste, a giudizio del relatore, il tema di una comune sicurezza europea a livello sia energetico che informatico e militare. Anche in questo caso, qualcosa si sta muovendo: la sigla “PESCO” sta infatti ad indicare una “Cooperazione strutturata permanente”. Non si tratta per ora di avere un esercito comune, ma pur sempre della possibilità di poter contare su di un nucleo federale per progetti comuni di difesa, molti dei quali sono già partiti dal momento che questo accordo ha visto la firma di 25 paesi su 27 (per ulteriore paradosso, proprio il Regno Unito che ha scelto l’uscita dall’Europa vorrebbe aderire alla CASCO…).
IL FRONTE INTERNO:
LE RISPOSTE DELLA UE ALLA CRISI

Rispetto al fronte interno, secondo il dott. Brugnoli è importante anzitutto segnalare quegli elementi positivi che spesso noi cittadini dell’Unione tendiamo a dimenticare. Con tutte le sue difficoltà la UE ha ancora grandi punti di forza: essa è pur sempre l’area economica più integrata del pianeta, dispone della seconda valuta a livello mondiale, è in grande misura esportatrice e soprattutto può ancora contare su di un modello sociale che nonostante gli attacchi a cui è sottoposto da parte di chi sostiene che non possiamo più permettercelo, è almeno in parte in grado di bilanciare gli effetti negativi della crisi sui suoi cittadini. Molto si è fatto sul piano interno per rispondere alla crisi, a giudizio del relatore (certo, non tutto bene, non tutto abbastanza rapidamente o efficacemente, o talvolta con una accelerazione eccessiva). Tuttavia non possiamo negare che si è cercato di difendere l’euro, di consolidare le finanze pubbliche – seppure non ugualmente in tutti i paesi dell’Unione, come ben sappiamo -, di rilanciare la crescita. E in effetti non è casuale in fatto che nell’approssimarsi delle elezioni europee i discorsi di uscita vuoi dall’euro, vuoi dalla UE si siano gradatamente smorzati. Tutte le forze politiche chiedono cambiamenti in un senso o nell’altro, ma nessuno vuole uscire oggi da un quadro comune di riferimento: in un momento estremamente critico – si ipotizza infatti una nuova crisi – meglio affrontare il mare in tempesta su di un transatlantico, piuttosto che su di una fragile scialuppa…

ULTIMA PARTE:
Le prospettive

Quale futuro, dunque, per la Ue? Si riuscirà a realizzare una buona conciliazione fra il potere degli stati e il potere federale? Sul tavolo dell’Unione europea, come abbiamo visto, c’è davvero una grande quantità di proposte: se e quando matureranno, dipenderà anche dalle elezioni che ci attendono. In prospettiva, potrebbe da esse innescarsi, fra le coalizioni di centro destra e di centro sinistra, una dinamica di tipo federalista simile a quella degli Stati Uniti, dove i repubblicani tradizionalmente sono più sensibili ai diritti dei singoli stati, mentre i democratici più propensi ad un ruolo attivo a livello federale. Sempre in prospettiva, si potrebbe tornare a parlare di un’Europa a due velocità,

anche se le proposte finora formulate contengono un ampio margine di ambiguità. E’ pur vero che nella Dichiarazione di Roma del 25 maggio 2017, elaborata nel corso dei festeggiamenti per il sessantennale del Trattato di Roma e firmata da tutti i paesi della UE, c’è un passaggio chiave che recita: “agiremo congiuntamente con ritmi e con velocità diverse, se necessario, ma sempre nella stessa direzione”: nondimeno, è proprio questo il nodo dolente. Stiamo davvero andando nella stessa direzione? Che cosa succederà se qualcuno – pensiamo all’Ungheria di Orbàn – deciderà di andare in una direzione decisamente diversa da quella che i paesi fondatori avevano in mente? E ancora, quale potrebbe essere il nucleo di questa Europa a doppia velocità, viste le divisioni all’interno della stessa eurozona rispetto al bilancio europeo? Sappiamo bene che è stato spesso il motore franco tedesco a far compiere grandi passi avanti nell’integrazione europea, ma sarà ancora così, nel momento in cui Angela Merkel lascia la guida della Germania? (vero è che, sia pure sotto traccia, si parla già di lei come futuro possibile Presidente della Commissione Europea). Lo stesso Macron, che secondo il relatore aveva aperto nel discorso pronunciato alla Sorbona nel settembre 17 una visione davvero nuova sull’Europa, è ora molto indebolito sul fronte interno. Difficile dunque fare pronostici, ma molto dipenderà comunque da noi, cittadini dell’Unione, dalla nostra capacità critica e propositiva. Si chiude così l’intervento del dott. Brugnoli, che ha voluto darci un quadro il più ampio possibile, pur con tempi decisamente ristretti, del percorso storico dell’Unione e della situazione attuale, non nascondendone gli aspetti problematici ma nello stesso tempo sottolineando quelli positivi per cui vale davvero la pena di lottare, affinché possano prevalere e rafforzarsi.
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                           INTERVENTI DI APPROFONDIMENTO E DI CONFRONTO

Data l’importanza dell’incontro e l’interesse per il tema dell’Europa, sono stati previsti per la serata alcuni interventi complementari di approfondimento su specifiche tematiche, di cui diamo qui ragione a partire dal collegamento via Skype da Strasburgo con la parlamentare europea ELLJ SCHLEIN, che si è occupata particolarmente di temi ambientali e dell’immigrazione;  a seguire, il dott. GIANNI COLOMBO, che è stato fino al 2018 membro del Comitato esecutivo dell’Istituto Europeo per la tecnica e l’innovazione, ci fornirà qualche ragguaglio sulle iniziative della UE in questo ambito, mentre DANIELA MOLINERO, come Presidente della sezione ANPI di Avigliana, darà riscontro dell’interesse dell’associazione per un profondo rinnovamento dell’Unione. Non mancherà naturalmente uno spazio per un confronto col dott. Brugnoli sui temi che sono stati considerati nella sua relazione: interverrà a questo proposito il dott. MARIO BOVA, già ambasciatore a Tirana e a Tokio, che potrà offrirci elementi ulteriori di analisi da questo osservatorio privilegiato.

ELLY SCHLEIN

Da Strasburgo, dove si sta concludendo l’ultima sessione plenaria di questa legislatura, Elly Schlein ha accettato molto volentieri di condividere con il pubblico di CircolarMente e dell’ANPI alcune riflessioni su di un’esperienza che è stata per lei straordinariamente ricca e stimolante, pur essendo avvenuta in un momento di profonda crisi dell’Unione Europea. Una crisi che a suo giudizio deriva anzitutto dalla modalità incompleta con cui essa è stata costruita, e che ha avuto un’ulteriore battuta di arresto quando il tentativo di costituzionalizzare l’impianto europeo, dotandolo di strumenti normativi di diritto, si è incagliato nella votazione in due stati membri. A questa crisi politico-istituzionale si è poi saldata quella economica, aggravando gli egoismi nazionali che hanno impedito in questi anni di mettere in campo quelle soluzioni indispensabili e condivise che sono determinanti per il futuro dell’Unione, e su cui sicuramente si accentrerà il dibattito nelle settimane che precedono il voto di maggio. La questione migratoria, anzitutto, di cui Elly Schlein si è occupata in modo particolare e la cui problematicità può essere facilmente compresa se solo teniamo presente che in questi anni 6 paesi (su 28) hanno dovuto affrontare da soli l’80% delle richieste d’asilo. Non è certo questa la solidarietà e la condivisione equa di responsabilità fra gli stati, che pure sarebbero a fondamento dei tanto vituperati trattati elaborati dal 78 all’80 del secolo scorso. Per superare questa situazione scandalosa e riformare le regole di Dublino che, come sappiamo, ne sono alla radice in quanto attribuiscono la responsabilità della prima accoglienza ai soli paesi di primo approdo, è stata condotta in questa legislatura una battaglia forte con l’obiettivo di ribaltarne la logica ipocrita. Dopo un duro negoziato su questa che è sicuramente una delle tematiche più divisive per l’Unione (ci sono voluti due anni, e 22 riunioni!) si è riusciti ad ottenere un risultato estremamente importante, perché i 2/3 dei parlamentari hanno approvato la richiesta di cancellare quel criterio penalizzante sostituendolo con un meccanismo permanente e automatico di ricollocazione, che obblighi tutti i paesi europei a fare la propria parte assicurando nel contempo la valorizzazione dei legami significativi dei richiedenti asilo, che sono anzitutto persone e non pacchi da distribuire qua e là come ci conviene. Era davvero tempo che ciò accadesse, perché è ugualmente motivo di scandalo, da parte di alcuni stati, pretendere solo i benefici dell’Unione senza dividerne le responsabilità, così come suona ugualmente paradossale, a giudizio di Elly Schlein, che dei partiti che fanno parte dell’attuale maggioranza non abbiano votato a favore di questa riforma capace di offrire una soluzione strutturale a problemi che gravano direttamente su noi italiani (e che ci permetterebbe di non assistere più all’ignominia di lasciare in mare delle persone per giorni aspettando l’accordo fra  i vari paesi ). Anche sul tema del cambiamento climatico il Parlamento ha sentito la necessità di dotarsi degli strumenti normativi necessari per accompagnare la transizione ecologica indispensabile per le nostre economie: è grazie al lavoro dei parlamentari più impegnati su questo fronte che abbiamo oggi target vincolanti per tutti gli stati sul passaggio alle energie rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2 (altrimenti i governi se la sarebbero cavata con una stretta di mano o poco più…). Un altro tema fondamentale di cui si è occupato il parlamento è quello della dimensione sociale di cui dotare l’Unione. Se non ci si impegna davvero a lottare efficacemente contro le disuguaglianze, la povertà e l’esclusione sociale, non potremo certo stupirci se tanti cittadini non riescono a cogliere quale contributo essa porti nelle loro vite. Occorre pertanto dotarsi di strumenti reali di sostegno al reddito che siano di marca europea, dando vita ad un vero, nuovo “new deal”, che comporti un rilancio forte dell’occupazione. Allo stesso modo non è più possibile tollerare che all’interno della UE ci siano dei paradisi fiscali: secondo dati ben documentati, ogni anno vengono sottratti da parte delle grandi multinazionali circa 1000 miliardi di evasione e di elusione fiscale, che potrebbero altrimenti essere impiegati per servizi ai cittadini. Anche qui basterebbero semplici strumenti di trasparenza fiscale, che il parlamento ha già approvato nella sua maggioranza, per recuperare gran parte di quelle risorse e redistribuirle. Come ultimo punto, ma non per importanza, Elly Schlein pone il tema della politica estera e della sicurezza. L’esempio di ciò che sta avvenendo in Libia è eclatante, e dimostra chiaramente che se l’Unione non troverà una voce sola e forte, se non ricorderà il suo ruolo di pace, si condannerà davvero all’irrilevanza e saranno in sua vece altre potenze a decidere i destini del mondo. L’accenno al dovere della memoria non è casuale da parte di questa appassionata europarlamentare, che chiude il suo intervento con un’ultima testimonianza su ciò che in questi stessi giorni sta avvenendo a Strasburgo. Molti parlamentari infatti appunteranno sulle loro giacche un fiore giallo in memoria della rivolta del ghetto di Varsavia, aderendo come lei alla proposta di una collega polacca di diversa area politica che Elly Schlein ha fatto sua, nella consapevolezza che stia proprio qui il lascito da lasciare alle giovani generazioni.  E’ sua convinzione infatti che solo coltivando il dovere della memoria potremo raccogliere la sfida di una piena democratizzazione dell’impianto europeo, per costruire quell’Europa pensata a Ventotene, luogo di diritti, di apertura e di opportunità. Per questo bisognerà puntare su partiti più europei, in grado di condurre insieme le battaglie al giusto livello, per essere più forti e incisivi, e sarà necessario avere anche corpi intermedi più europei, siano essi sindacati o associazioni, per poter sfidare quegli egoismi che finora hanno impedito di dare ai cittadini europei le risposte giuste. Questa non è un’utopia. secondo Elly Schlein, il cui pensiero va a quanto stanno facendo in alcune piazze europee i movimenti femministi, che lottano perché non vengano compressi i diritti delle donne e la cui azione politica ha coinvolto tanti altri cittadini in diversi paesi, facendola diventare una protesta davvero europea.
GIANNI COLOMBO:
Vista l’esiguità del tempo a disposizione, il dott. Colombo si limita a poche osservazioni, sottolineando anzitutto l’importanza del lavoro che l’Europa ha svolto rispetto alla ricerca e all’innovazione tecnologica a partire dal primo Programma Quadro del 1984 fino a quello attuale, denominato “Horizon 2000”. Tutti questi programmi si inseriscono in una cornice ideale che è stata precisata nella Strategia di Lisbona del 2000 e nella successiva Strategia europea 2020, varata nel 2010, che ha gettato le basi per uno sviluppo dell’Unione ispirato a criteri di efficienza, di sostenibilità ambientale e di coesione sociale, prevedendo per questo scopo adeguati finanziamenti (il progetto Horizon, per fare un esempio, dispone di 80 miliardi di euro da investire su diverse aree disciplinari e in modo integrato fra le forze europee che partecipano alle varie iniziative). Grazie a questi programmi l’Europa ha raggiunto punte di eccellenza, e può vantare un primato assoluto nel campo della comunicazione mobile (anzi, precisa il dott. Colombo, quella che conosciamo oggi è stata proprio “inventata” dall’ Europa).  Risultati importanti su cui si inseriscono ora nuove elaborazioni concettuali che richiamano sempre di più l’attenzione su fattori che vale la pena di sottolineare, perché danno molta importanza al coinvolgimento attivo dei fruitori dell’azione e alla cooperazione fra diverse conoscenze e sensibilità, chiedendo alle forze politiche di essere ricevitori e garanti delle istanze che vengono dalla cittadinanza. Naturalmente poi spetta ai singoli paesi cercare una buona integrazione con i progetti europei, per poter accedere ai fondi stanziati dalla UE. Qui purtroppo il dottor Colombo deve rilevare suo malgrado molte carenze da parte italiana. In particolare nel meridione molti fondi non vengono spesi, altri sono oggetto di malversazioni, altri ancora sono distribuiti a pioggia senza criteri di valorizzazione effettiva del territorio. Bene ha fatto dunque il dott. Brugnoli a sottolineare l’importanza di un’assunzione di responsabilità da parte nostra, come cittadini europei, perché l’Italia potrebbe avere margini importanti di intervento se l’agenda politica tenesse in maggior conto le possibilità insite in un coinvolgimento più attivo.
MARIO BOVA:
Pur nel pieno apprezzamento dell’intervento del dott. Brugnoli, l’ambasciatore Bova ritiene che ci siano alcuni aspetti meritevoli di attenzione che andrebbero maggiormente sottolineati. Non possiamo infatti parlare di Europa senza porci il problema dello stato di salute della nostra moneta comune, che non è certo ottimale. A giudizio non solo suo ma di molti (fra i quali il premio Nobel per l’economia Stiglitz, che ha appena dato alle stampe un testo molto documentato su questo tema), non è più procrastinabile una riforma della governance dell’euro: occorre in particolare ripensare il ruolo della BCE ampliandone il mandato. Senza questi provvedimenti, i nemici dell’euro che sono momentaneamente sotto traccia avranno alla fine buon gioco. Occorre inoltre considerare che la crescita esponenziale delle disuguaglianze non è solo uno degli effetti negativi della globalizzazione, ma è soprattutto il risultato di un capitalismo neoliberista su cui occorre davvero essere molto più incalzanti, soprattutto da parte delle forze di sinistra, perché è davvero qui che si gioca il destino dell’Europa per come l’hanno voluta i Padri fondatori, e cioè un continente di pace e di giustizia sociale.
DANIELA MOLINERO:
Come presidente della sezione ANPI di Avigliana, Daniela Molinero ha scelto di leggere la Dichiarazione congiunta dei presidenti delle associazioni di Italia, Slovenia, Croazia e Carinzia, da cui emerge con chiarezza il pensiero dell’ANPI e la speranza che dalle prossime elezioni esca sconfitta l’Europa dei fascismi, delle barriere e delle discriminazioni. Non è del tutto scomparso infatti, dicono i firmatari della lettera, il veleno dei nazionalismi e dei razzismi, sta anzi tornando e mettendo in discussione quei diritti di libertà che sembravano acquisiti, anche perché i risultati catastrofici delle politiche neoliberiste hanno determinato – in specie nell’Europa meridionale – l’aumento della disoccupazione e la mancanza di prospettive per le nuove generazioni, rivelando il lato oscuro della modernità europea. E’ su questo campo ben concimato che fatalmente crescono i partiti politici di destra, facendo leva sul risentimento e sulla paura del futuro. Per questo ora più che mai occorre da parte di tutti un impegno comune, un’assunzione forte di responsabilità perché possa finalmente nascere un’Europa dei popoli che valorizzi il lavoro, le persone, la solidarietà, il progresso economico e civile. Questo l’augurio e insieme il monito dei firmatari della dichiarazione, e questa la speranza che Daniela Molinero trasmette a sua volta a nome della sezione ANPI di Avigliana.                  
IN CONCLUSIONE:
La parola tocca ora al dott. Brugnoli. Rispetto all’intervento di Gianni Colombo, il relatore non può che concordare con lui nel riprovare l’uso improprio dei fondi europei, che toglie credibilità al nostro paese nel momento in cui si richiedono alla UE nuovi finanziamenti, e parimenti deplora lo scarso attivismo che spesso dimostriamo nella partecipazione a dei progetti da cui verrebbero invece occasioni preziose di valorizzazione del territorio. Più variegato è invece il suo giudizio rispetto alle osservazioni poste dall’ambasciatore Bova, anche se, come federalista europeo, non vorrebbe proprio passare per un difensore acritico dell’esistente quale non intende essere. E’ sicuramente vero che occorra potenziare la governance dell’euro, ma è giusto a suo parere ricordare che nonostante tutti i limiti della BCE alcune operazioni, come il quantitative easing, sono state di grande portata, e che questo è stato reso possibile dal fatto che la stabilità monetaria non è la sola priorità che la BCE si prefigge, perché essa viene considerata all’interno di una cornice d’insieme in cui si ritiene parimenti essenziale lo sviluppo economico. Molti economisti europei, che conoscono da vicino l’operato della BCE, ritengono infatti che sotto molti aspetti esso non si discosti poi di molto da quello della FED, a cui fa riferimento Stiglitz. Non è poi irrilevante, aggiunge il dott. Brugnoli, il fatto che la BCE sia di fatto l’unico organismo europeo davvero federale, in cui le decisioni vengono prese a maggioranza (cosa che, come sappiamo, ha permesso a Mario Draghi di mettere talvolta in scacco la stessa Germania…). Ciò detto, è giusto sottolineare i problemi della UE e fra questi uno dei più importanti a suo giudizio è la mancanza di un bilancio specifico per l’eurozona.  Anche in questo caso peraltro la responsabilità non è tanto dell’Unione, ma dell’opposizione di alcuni stati. Sappiamo bene del resto che questo è un limite che viene da lontano: sono stati gli stati nazionali, nel momento della nascita dell’Unione, a bocciare la proposta di Jacques Delors di fornire la nuova creatura di due robuste “gambe” senza le quali non avrebbe potuto camminare e crescere e cioè quella economica e quella monetaria (erano davvero lungimiranti, osserva il relatore, i grandi padri dell’Europa! Basti pensare che Delors era così capace di pensiero lungo da proporre, nel lontano 92, una “carbon tax” i cui proventi avrebbero dovuto essere utilizzati da un lato per la transizione ecologica e dall’altro per attenuare l’impatto della disoccupazione provocata dall’innovazione tecnologica…). Sempre a proposito del peso negativo degli stati nazionali, il dott. Brugnoli porta l’esempio della cosiddetta “web tax” intesa ad affrontare lo scandaloso comportamento delle grandi multinazionali del digitale, che di fronte a guadagni stratosferici pagano tasse infinitesimali. Nondimeno, anche qui ci troviamo di fronte a situazioni paradossali come nel caso irlandese: sanzionata dall’Europa per aver offerto vantaggi fiscali ad una di queste, l’Irlanda ha infatti rifiutato il rimborso di 13 miliardi ottenuto dalla UE facendole a sua volta causa per mantenere questo privilegio. E’ davvero un problema grosso quello della concorrenza fiscale, che può essere risolto solo a livello europeo: ma se tutti riducono le imposte sulle imprese per attirare gli investimenti, ovviamente il carico fiscale si scaricherà sul lavoratori, innescando un processo distruttivo.  Anche la specificità della situazione italiana meriterebbe una più attenta considerazione. Non c’è qui il tempo per approfondire questo discorso, tuttavia il relatore vuole almeno sottolineare alcuni elementi di grande criticità. Intanto, il fatto che la produttività, che pure ha certamente risentito della crisi, è in realtà ben precedente ad essa, perché perdura da almeno vent’anni (e di questo non si può certo accusare l’Europa, come del resto per il fatto che l’Italia attragga pochi investimenti  a causa della sua burocrazia farraginosa e della lentezza del suo apparato giudiziario); inoltre spendiamo poco in ricerca e in innovazione, e le grande aziende preferiscono finanziare squadre di calcio, piuttosto che università…. Non ci aiuta inoltre il fatto di non avere mai messo in atto provvedimenti davvero incisivi per ridurre il nostro debito pubblico (come invece ha fatto un paese come il Belgio, che è entrato nell’Euro con un debito pubblico dal più al meno corrispondente a quello italiano, e ora può contare su di un netto scarto rispetto al nostro: 80% rispetto a 130 %). In effetti, commenta il dott. Brugnoli, non abbiamo mai messo in atto la pur semplice ricetta consigliata a suo tempo da un grande economista come Federico Caffè: “incassare meglio e spendere meglio”, controllare cioè l’evasione fiscale e migliorare la qualità della spesa pubblica.  
     
N.B. = assumendoci, come sempre, la responsabilità di eventuali fraintendimenti ed errori: per CIRCOLARMENTE, ENRICA GALLO                                              

sabato 27 aprile 2019

La storia è un bene comune, salviamola


La storia è un bene comune, salviamola

Manifesto lanciato dallo storico Andrea Giardina, dalla senatrice a vita Liliana Segre e dallo scrittore Andrea Camilleri

La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione. 

Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese. 
Sono diffusi, in molte società contemporanee, sentimenti di rifiuto e diffidenza nei confronti degli “esperti”, a qualunque settore appartengano, la medicina come l’astronomia, l’economia come la storia. La comunicazione semplificata tipica dei social media fa nascere la figura del contro-esperto che rappresenta una presunta opinione del popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a giacimenti di verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero per proteggere interessi e privilegi. 

I pericoli sono sotto gli occhi di tutti: si negano fatti ampiamente documentati; si costruiscono fantasiose contro-storie; si resuscitano ideologie funeste in nome della deideologizzazione. Ciò nonostante, queste stesse distorsioni celano un bisogno di storia e nascono anche da sensibilità autentiche, curiosità, desideri di esplorazione che non trovano appagamento altrove. È necessario quindi rafforzare l’impegno, rinnovare le parole, trovare vie di contatto, moltiplicare i luoghi di incontro per la trasmissione della conoscenza.

Ma nulla di questo può farsi se la storia, come sta avvenendo precipitosamente, viene soffocata già nelle scuole e nelle università, esautorata dal suo ruolo essenziale, rappresentata come una conoscenza residuale, dove reperire al massimo qualche passatempo. I ragazzi europei che giocano sui binari di Auschwitz offendono certo le vittime, ma sono al tempo stesso vittime dell’incuria e dei fallimenti educativi. 

Il ridimensionamento della prova di storia nell’esame di maturità, l’avvenuta riduzione delle ore di insegnamento nelle scuole, il vertiginoso decremento delle cattedre universitarie, il blocco del reclutamento degli studiosi più giovani, la situazione precaria degli archivi e delle biblioteche, rappresentano un attentato alla vita culturale e civile del nostro Paese. 

Ignorare la nostra storia vuol dire smarrire noi stessi, la nostra nazione, l’Europa e il mondo. Vuol dire vivere ignari in uno spazio fittizio, proprio nel momento in cui i fenomeni di globalizzazione impongono panorami sconfinati alla coscienza e all’azione dei singoli e delle comunità.

Per questo cittadini di vario orientamento politico ma uniti da un condiviso sentimento di allarme si rivolgono al governo e ai partiti, alle istituzioni pubbliche e alle associazioni private perché si protegga e si faccia progredire quel bene comune che si chiama storia e chiedono:

·       che la prova di storia venga ripristinata negli scritti dell’esame di Stato delle scuole superiori.

·       che le ore dedicate alla disciplina nelle scuole vengano incrementate e non ulteriormente ridotte. 

·       che dentro l’università sia favorita la ricerca storica, ampliando l’accesso agli studiosi più giovani. 
Gli altri firmatari.
Eraldo Affinati, scrittore
Michele Ainis, giurista
Mario Andreose, editore
Alberto Asor Rosa, storico della letteratura
Corrado Augias, scrittore
Alessandro Barbero, storico
Marco Belpoliti, critico letterario
Alessandro Bergonzoni, regista e scrittore
Maurizio Bettini, filologo
Piero Bevilacqua, storico
Enzo Bianchi, teologo, fondatore della Comunità monastica di Bose
Piero Boitani, filologo
Angelo Bolaffi, germanista
Ginevra Bompiani, scrittrice ed editrice
Francesco Bonami, critico d'arte
Achille Bonito Oliva, critico d'arte
Giancarlo Bosetti, politologo
Ezio Bosso, compositore e direttore d'orchestra
Luciano Canfora, storico
Eva Cantarella, storica
Francesca Cappelletti, storica dell'arte
Andrea Carandini, archeologo
Franco Cardini, storico
Gianrico Carofiglio, scrittore
Simona Colarizi, storica
Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese
Federico Condello, filologo
Guido Crainz, storico
Enrico Deaglio, giornalista e scrittore
Giancarlo De Cataldo, scrittore
Giovanni De Luna, storico
Ilvo Diamanti, politologo
Ivano Dionigi, latinista
Roberto Esposito, filosofo
Carlo Feltrinelli, editore
Amedeo Feniello, storico
Maurizio Ferraris, filosofo
Luca Formenton, editore
Ernesto Franco, editore
Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali d'arte antica di Roma
Umberto Gentiloni, storico
Fabrizio Gifuni, attore e regista
Andrea Graziosi, storico
Vittorio Gregotti, architetto
Igort, fumettista e regista
Helena Janeczek, scrittrice
Nicola Lagioia, scrittore
Alessandro Laterza, editore
Giuseppe Laterza, editore
Eugenio La Rocca, archeologo
Gad Lerner, giornalista e scrittore
Vittorio Lingiardi, psicoanalista
Maurizio Maggiani, scrittore
Michele Mari, scrittore
Michela Marzano, filosofa
Luigi Mascilli Migliorini, storico
Stefano Massini, scrittore e drammaturgo
Paolo Matthiae, archeologo
Melania Mazzucco, scrittrice
Alberto Melloni, storico
Michela Murgia, scrittrice
Giuseppina Muzzarelli, storica
Marino Niola, antropologo
Carlo Olmo, storico dell'architettura
Anna Ottani Cavina, storica dell'arte
Antonio Pinelli, storico dell'arte
Massimo Recalcati, psicoanalista
Silvia Ronchey, storica e scrittrice
Roberto Saviano, scrittore
Michele Serra, giornalista e scrittore
Antonio Scurati, scrittore
Vittorio Sgarbi, critico
Marino Sinibaldi, direttore RadioTre
Claudio Strinati, storico dell'arte
Benedetta Tobagi, scrittrice
Mariapia Veladiano, scrittrice
Francesco Vezzoli, artista
Gustavo Zagrebelsky, giurista

giovedì 11 aprile 2019

Relazione sulla conferenza dell'Arch. Giorgio Ferraris - acura di Enrica Gallo

                          

I DIVERSI MODI DI ABITARE IL PAESAGGIO,
FRA PASSATO E FUTURO



Presentazione:                         

Nell’introdurre la conferenza del dott. Ferraris, Massima Bercetti ringrazia anzitutto a nome di CircolarMente il numeroso pubblico, certamente attirato dall’argomento e dalla qualità del relatore; in particolare mette in rilievo la presenza molto gradita di alcuni amministratori del Comune di Avigliana e del  Sindaco, dott. Andrea Archinà, cosa  che avvalora quella ricerca di dialogo con le istituzioni che l’associazione  ha sempre perseguito, conducendo le sue attività culturali nell’ambito del territorio, della cittadinanza, delle scelte politiche. Un ringraziamento speciale va poi al dott. Ferraris, che nella sua veste di architetto fa parte di numerose commissioni che si occupano della tutela e dello sviluppo del paesaggio, lavorando in modo specifico su alcuni progetti di recupero di quelle borgate alpine che rappresentano spazi di resistenza e di diversità culturale, in cui si cerca di realizzare un intreccio virtuoso fra le competenze che il passato ci consegna e quelle rese possibili dall’uso di nuove tecnologie. Oltre a queste attività, il dott. Ferraris è partecipe di molte iniziative che si collocano all’interno di un progetto di grande respiro denominato “TERZO PARADISO”. Lanciato a partire dal  2003 dall’artista Michelangelo Pistoletto, questo progetto è caratterizzato da un segno-simbolo che rimanda ad una sorta di reinterpretazione dell’infinito, dove i due cerchi interni rappresentano la dialettica fra natura e artificio mentre il terzo cerchio che da essi si sviluppa viene ad indicare nelle intenzioni del suo autore una nuova prospettiva, un  livello di civiltà più consapevole a  cui  scienza, arte, cultura e politica devono concorrere  e in cui la tecnologia, invece di rappresentare una deriva della nostra umanità, può  portare un contributo alla sua piena realizzazione. Per tutti questi motivi l’intervento del dott. Ferraris si colloca in modo quanto mai opportuno all’interno della proposta di Circolarmente il cui titolo, “FUTURI”, vuole appunto trasmettere l’idea che sarà un futuro non temibile quello che saprà guardare al passato per ciò che ha rappresentato di positivo e di vitale, senza tuttavia rinunciare a nuove proposte, nuovi modi di guardare il mondo e di operare in esso. ………….La parola, dunque, al relatore.

Qualche accenno alle norme,

e alle difficoltà della loro applicazione …

Nel suo intervento il dott. Ferraris intende offrire, prima di tutto, qualche elemento di normativa da cui si possa evincere che cosa si intende quando parliamo di interventi coerenti e intesi ad un vero recupero urbanistico, per presentare poi alcune testimonianze fotografiche del suo lavoro come professionista e soprattutto come partecipe di commissioni per la tutela e lo sviluppo del paesaggio. In chiusura, verranno mostrati alcuni di quei “progetti volanti” a cui si fa accenno nell’invito alla conferenza, e in particolare un video realizzato ad Avigliana con i droni. Giova ricordare, intanto, che il valore del paesaggio viene sancito dalla Costituzione (art.9) e sostenuto dalle varie discipline regionali, che spesso fanno un ottimo lavoro anche se non sempre vengono utilizzate al meglio. Il relatore fa riferimento in particolare al piano paesaggistico elaborato dalla Regione Piemonte, organizzato da Giovanni Paludi in qualità di vicedirettore e volto a dare delle direttive ai vari comuni in modo formativo e collaborativo. Questo piano analizza, a partire dalle suddivisioni teoriche del concetto di “paesaggio” (natura e ambiente, storia e cultura, percorsi visivi e configurazioni antropiche), l’intero territorio della regione, attraverso schede minuziose volte a catalogare tutti i beni paesaggistici che in esso si possono rilevare. Purtroppo, osserva il dott. Ferraris, succede che nel passaggio dalla teoria alla pratica  certe infrastrutture sovraregionali (ferrovie, aeroporti, superstrade…) vengano a contaminare il paesaggio in modo rilevante, senza che sia possibile ai comuni  fare interventi correttivi; ci sono inoltre delle situazioni - come spesso ha avuto modo di rilevare nel suo lavoro all’interno delle varie commissioni - che per forza di cose fuoriescono, per così dire, dalle direttive regionali e non sempre, come ben possiamo immaginare, con intenti di valorizzazione e di rispetto per il paesaggio. Anche leggi davvero ben mirate (come la Legge 16 della Regione Piemonte sul recupero dei fabbricati, intesa a limitare il consumo del suolo) incontrano delle difficoltà nella loro applicazione: succede infatti che alcuni comuni non riescano ad adattarsi in tempo alla normativa, determinando conflitti e incoerenze. Ed è proprio su queste “incoerenze” – un concetto su cui avremo modo di tornare più avanti, ma che per ora possiamo assumere nell’uso intuitivo del termine - che il dott. Ferraris apre la parte centrale del suo intervento.

Testimonianze su diverse modalità di intervento e di recupero ambientale,

fra coerenza e incoerenza:

Avendo alternato l’attività professionale vera e propria alla partecipazione a varie commissioni paesaggistiche, il dott. Ferraris ha avuto diverse occasioni di rilevare come l’attenzione da parte di molti professionisti e dei loro committenti non sia sempre così “mirata”, quando questi ultimi rivendicano un loro interesse particolare dando poca o nulla importanza al fatto che la loro intenzione sia più o meno coerente e ben orientata dal punto di vista del paesaggio. Particolarmente opportune, per dare una precisa idea di questa mancanza, possono essere alcune immagini relative ad un progetto di ristrutturazione e di sistemazione di edifici esistenti che è stato condotto a Marentino (un comune ai margini dell’astigiano, che come spesso accade in queste zone è disseminato di cascine padronali o comunque a conduzione familiare). In questa occasione il relatore si è occupato del regolamento estetico apprestando in collaborazione col comune e con altri professionisti una serie di schede esplicative, da cui i concetti di coerenza e di incoerenza possono trovare una loro prima evidenza.

Comune di Marentino

Indirizzi operativi per gli interventi edili


Notiamo infatti come molte delle facciate, spesso di grande valore documentale, siano state a dir poco deturpate attraverso l’apertura di balconi e balconcini, portali e finestre, senza parlare delle recinzioni che sono state ricostruite con un’inventiva degna di miglior causa…Se poi passiamo ad una scala più piccola ma non meno significativa – quella delle borgate storiche – potremo fare altre considerazioni interessanti, a partire dal riconoscimento del loro valore che per il dott. Ferraris è indubbio: non a caso una direttiva recente le menziona evidenziando come sia fondamentale che vengano mantenuti in esse i caratteri paesaggistici tradizionali, subordinando ogni intervento ad una attenta lettura della situazione storica. Ora, secondo il dott. Ferraris, se è difficile fare grandi danni all’interno delle borgate stesse, perché gli spazi sono ridotti e gli edifici già formati, questo non avviene ai bordi esterni dove spesso le manomissioni sono vistose venendo a deturpare l’impianto complessivo. Con questo richiamo alla cura delle borgate non si vuole naturalmente sostenere che non occorra anche pensare a soluzioni migliorative per luoghi già compromessi da interventi architettonici disordinati e incoerenti (per fare un esempio relativo alla val di Susa, tale è certamente la periferia di Chiomonte, che invece può contare su di un bel centro storico).

(tornando al) Comune di Marentino
Indirizzi operativi per gli interventi edili
Pur tuttavia, se in certe situazioni non è possibile fare molto, sarà necessaria una maggiore cautela se si interviene in luoghi particolari - pensiamo a Ramat - dove davvero vale la pena di impegnarsi nel rispetto di un lessico, di una voce, di una matrice già esistente. Detto in altri termini, se devono essere aggiunte delle abitazioni,  occorrerebbe almeno seguire l’indirizzo dei capi mastri dei secoli scorsi, prestando attenzione alle curve di livello e all’esposizione e soprattutto evitando quei nuovi insediamenti fatti di villette a schiera e di casette impostate con lo stampino, che risulterebbero decisamente incoerenti con il resto (come possiamo facilmente osservare in una scheda esplicativa predisposta dal relatore, che evidenzia con colori diversi questi opposti tracciati). In alcuni casi peraltro si prende a pretesto la necessità di costruire nuovi edifici sicuri dal punto di vista antisismico e più performanti dal punto di vista energetico. Nondimeno, osserva il dott. Ferraris, non è certo indispensabile per ottenere questo risultato costruire case a forma di cubo con una dichiarazione vistosa delle nuove tecnologie adottate, come gli è accaduto a volte di constatare: lo si può bensì fare con un occhio di riguardo alla tradizione, con i classici tetti a due falde…Nondimeno, per essere corretti fino in fondo con questo elogio della coerenza e più in generale del portato positivo di alcuni vincoli a difesa del paesaggio, occorre rilevare degli evidenti paradossi. Ad esempio, può essere degno di nota prendere atto del fatto che proprio vicino a noi, nella zona di Rosta, sia sottoposto a vincolo il territorio che si estende per 350 metri a destra e a sinistra della Dora (un territorio peraltro già fortemente compromesso da interventi edilizi intensivi, dalla presenza di fabbricati e capannoni industriali e soprattutto dalla ferrovia), il che rende difficile ogni pur minimo intervento – l’ampliamento di un capannone, il rifacimento di un tetto – mentre le spesso splendide borgate sulla collina di Rosta non sono sottoposte a vincolo alcuno. E’ pur vero, osserva scherzosamente il relatore, che si sono conservate bene ugualmente, il che ci induce ad interrogarci in termini generali sul concetto di “vincolo” che è relativamente recente e su cui spesso il dott. Ferraris, come membro di commissioni paesaggistiche, è chiamato a rispondere. Anche in questo caso l’immagine di una borgata con i tetti in bella vista serve a chiarire una questione che in anni antichi non si poneva, dal momento che i materiali di costruzione erano tratti dal circondario, e la coerenza si realizzava in modo del tutto naturale. Ancora nel secondo dopoguerra, in luoghi pur lontanissimi del nostro paese le case venivano costruite dal più al meno con gli stessi materiali e con modalità progettuali simili. Ora la possibilità di usare materiali e progetti diversificati si è dilatata oltre misura, il che può comportare oltre all’aspetto positivo della libertà di scelta quello negativo di una discontinuità talora abbruttente. Da qui, la necessità di una vigilanza che riconosca e valorizzi il particolare ”genius loci” di un insediamento. In tutta questa serie di esempi il dott. Ferraris ha usato i due termini contrapposti di “coerenza” ed “incoerenza” senza darne una precisa definizione concettuale, anche perché a suo giudizio sono termini di fatto molto pratici che ci consentono di raggruppare in un insieme intuitivamente comprensibile tutta una serie di modifiche armoniose, o al contrario di inestetismi e di sovrapposizioni non ben calibrate. Se però vogliamo andare più a fondo in questi concetti, possiamo specificare che per “coerenza” a livello urbanistico non si intende la semplice uguaglianza, la riproposizione, l’ingessatura di tipologie tradizionali: può essere coerente un rifugio alpino di legno e vetro, se armoniosamente inserito nel contesto, può essere coerente la vetratura di un fienile… La cosa davvero importante è che dentro un qualsivoglia progetto ci sia una considerazione del luogo dove questo andrà a collocarsi, senza la pretesa di sovrapporvi un modello scelto aprioristicamente al solo scopo di soddisfare l’ego del professionista e quello del committente o la volontà di essere a tutti i costi marcatamente “contemporanei”. Lo si può fare infatti agendo in modo raffinato e intervenendo con delicatezza in un paesaggio che va pensato prima del progetto stesso e a fianco di esso. Così avviene in effetti per tutti quei progetti che rientrano nel cosiddetto “Terzo paradiso”, di cui il dott. Ferraris ci mostra ora alcuni esempi significativi.
Il “Terzo paradiso”, da un’idea di Michelangelo Pistoletto come elemento paesaggistico innovatore:
Nella sua attività professionale, per sollecitazione di vincoli in questo caso amicali con Michelangelo Pistoletto ,(*vedi nota), il dott. Ferraris ha partecipato ad alcune installazioni relative al cosiddetto “Terzo paradiso”, la cui importanza a suo giudizio non sta soltanto nell’impostazione concettuale, che è stata messa ben in rilievo da Massima Bercetti, ma anche nel suo costituirsi come importante elemento paesaggistico. Possiamo ammirare lo straordinario effetto visivo di questo tipo di installazione osservando quella che è stata realizzata sul pendio del forte di Exilles – il cosiddetto “giassèt” - trasformando questo storico luogo di battaglia in un giardino fiorito, dal momento che il solco impresso sul terreno e rappresentante il simbolo disegnato da Pistoletto è stato colmato da piante di lavanda. Questo elemento innovatore ha dunque aumentato, a giudizio del relatore, il fascino di un luogo di grande interesse storico-paesaggistico (qui peraltro il dott. Ferraris non può esimersi  dall’aprire una parentesi per commentare lo sfregio apportato da un edificio posto a lato del forte e nato sicuramente da un abuso edilizio, con le sue strutture di cemento armato e i mattoni forati a vista, rimasto poi lì  per decenni per essere infine trasformato in un albergo, senza che nessun ente abbia preso la meritevole decisione di acquistarlo per demolirlo). Mentre scorrono altre immagini di grande effetto relative al Terzo Paradiso realizzato a Mantova, il dott. Ferraris precisa che queste installazioni non seguono una logica mercantile: Michelangelo Pistoletto ha infatti regalato la sua idea al mondo, e ciascuno può adottarla e diffonderla a suo piacere. Porta inoltre alcune delucidazioni tecniche sulle modalità di costruzione adottate per progetti consimili (come quello realizzato nei pressi di Benevento) in cui sono stati utilizzati dei droni per il rilievo morfologico del territorio, generando poi la forma in 3D prima di posarla sul terreno.
A proposito di droni, e di altre tecnologie d’avanguardia:
una parentesi sulle “ortofoto”
Con questo accenno ai droni il dott. Ferraris apre un ulteriore spunto di riflessione sull’uso positivo che alcune tecnologie d’avanguardia possono portare alla valorizzazione e allo sviluppo del paesaggio. Avremo modo più oltre di seguirne il volo con il promesso video su Avigliana; per il momento cominciamo a vederne alcune applicazioni pratiche attraverso le cosiddette “ortofoto” che a giudizio del relatore rappresentano un risultato davvero interessante dell’applicazione dei droni a supporto delle attività topografiche e di rilievo. Se abbiamo ben compreso, si tratta di fotografie aeree scattate con i droni che sono state geometricamente corrette e geoposizionate in modo tale da uniformare la scala di rappresentazione, rendendole di fatto equivalenti ad una carta geografica con in più l’effetto visivo della fotografia.  Ce ne potremo rendere conto osservando l’ortofoto che rappresenta il Castello di Druento
(se possiamo definirlo così, perché in effetti il castello, o almeno la sua parte centrale, non esiste più, anche se la sua conformazione può essere in questo modo quasi letteralmente ricreata, perlomeno a livello della pianta di base).
…………………Il discorso sui droni verrà poi ripreso più avanti, quando il dott. Ferraris sarà sollecitato da una interlocutrice a mostrare i due gioielli tecnologici che ha portato con sé e su cui ci sono ovviamente delle curiosità. Naturalmente certi particolari tecnici saranno comprensibili solo agli addetti ai lavori: qui ci limitiamo a segnalare che il primo di essi viene utilizzato per la topografia, perché attraverso il sistema  RTK consente una precisione centimetrica, mentre l’altro, più  piccolo, viene usato per i video e per le fotografie (non a caso, aggiunge il relatore, è dotato di una camera Hasselblad – un nome che gli appassionati di fotografia ben conoscono), con un monitor che trasmette al pilota quello che la camera vede così che egli possa sia pilotare che effettuare e controllare i video e le fotografie. E’ con un drone come questo che sono stati infatti realizzati i video che il dott. Ferraris si accinge a mostrarci. Per quanto riguarda invece la distanza che i droni possono raggiungere, è davvero notevole (5000 metri in linea d’aria); la normativa obbliga bensì a quote ben inferiori, ma la potenza di volo è comunque necessaria perché ci si può trovare di fronte ad ostacoli imprevisti………………..
Ora però è il tempo di farli davvero volare e come promesso, arriva il momento “clou” della serata:
Avigliana in video, droni (e piloti) all’opera
Le parole qui non hanno naturalmente corso. Ci si lascia semplicemente incantare dalla bellezza di queste visioni dall’alto che ci permettono di godere di un’ampiezza di sguardo impossibile da ottenere altrimenti su Avigliana, sulla Sacra di San Michele, su di un delizioso paese langarolo – Prunetto - che per di più ci viene mostrato anche in versione innevata, rendendolo ancora più “magico” dopo quest’ultimo secchissimo e caldo inverno…
Ad un certo punto in effetti  scatterà l’applauso, facendo restare per un attimo in sospeso, dopo l’emozione condivisa, domande importanti: sulla responsabilità che abbiamo non solo  quando ci occupiamo a vario titolo della cosa pubblica, ma anche quando siamo semplici cittadini a cui tocca sia orientare il lavoro dei primi, mettendolo in discussione o altrimenti sostenendolo, che dirigere le proprie azioni in un’ottica non solamente  intesa al benessere personale, se vogliamo che quella bellezza che ci ha per alcuni minuti  appagato la vista possa  essere mantenuta e trovare più ampio spazio. Per questo, sono particolarmente appassionati gli interventi da parte di chi, fra il pubblico, ha sul tema del paesaggio qualcosa da dire e testimonianze da offrire. Come sempre li riportiamo, pur sintetizzandoli in parte, come è consueto per chi verbalizza gli incontri dando uno spazio privilegiato al discorso del relatore.
A iniziare, l’intervento del sindaco che osserva anzitutto come il tema del paesaggio non abbia sempre, nell’agenda politica del nostro paese, un rilievo pari alla sua importanza, anche se la sensibilità ambientale è indubbiamente aumentata e, perlomeno nel caso di Avigliana, ha dato sicuramente buoni frutti. Dopo un periodo di declino infatti la città ha potuto recuperare negli ultimi decenni il proprio straordinario centro storico, cogliendo l’opportunità offerta dalle normative e potendo contare su di un’attenzione più vigile da parte della cittadinanza. I problemi peraltro non mancano, perché fra i vari paesaggi che la caratterizzano, e della cui bellezza  abbiamo potuto godere stasera grazie allo sguardo aereo consentito dai droni del dott. Ferraris, ci sono zone che vanno integralmente ripensate (il sindaco fa accenno in particolare a quella sorta di “città parallela” rappresentata dalla zona industriale, in cui un tempo lavoravano fino a 5000 persone, a quel corso Torino che si è sviluppato in modo scoordinato e su cui non è facile ora fare piani di intervento), mentre in altri casi  si può già contare su accordi importanti, come quello con il Politecnico di Torino per quanto riguarda la Piazza del Popolo. Certamente, osserva ancora il sindaco, per poter agire in modo efficace con interventi migliorativi che vadano in primo luogo a costituire o a recuperare spazi importanti di socialità urbana occorre una buona interazione fra il pubblico e il privato, senza che quest’ultimo viva l’intervento pubblico come un’intrusione indebita, bloccandone le iniziative. Sotto questo aspetto peraltro il sindaco segnala la novità positiva rappresentata dalla costituzione di  una Consulta dei professionisti, che hanno una loro rappresentanza e possono dunque interagire con l’amministrazione individuando i temi su cui ragionare insieme: una cosa davvero indispensabile, a suo giudizio, dal momento che le città del futuro devono davvero porre la più grande attenzione alla tutela e allo sviluppo del paesaggio. Il dott. Ferraris non può che concordare con queste considerazioni, rilevando a sua volta come sia importante superare l’idea che le Commissioni paesaggistiche rappresentino un ostacolo da superare, e non un luogo di incontro e di crescita reciproca dove i progetti possono essere elaborati insieme. Certo le resistenze sono ancora tante, a tutti i livelli, e in qualche caso si fa davvero fatica a comprenderle (il pensiero va a quei piazzali enormi che circondano certi supermercati, del tutto privi di alberi che possano schermare il violento riverbero del sole, e alle difficoltà che ha incontrato personalmente nel convincere alcuni committenti a piantare alberi, o ad evitarne l’abbattimento). E’ mai possibile, osserva il dott. Ferraris con un certo sgomento, che alcune persone non si rendano ancora conto del fatto che gli alberi non hanno solo una funzione decorativa, peraltro importante, ma sono letteralmente dei “salvavita”, restituendo decuplicata la fatica del raccoglierne le foglie, del curarne la crescita… Anche gli interventi successivi si richiamano, con accenti diversi ma con identica passione, al tema del verde, del bosco, di quella natura che è spesso oggetto tanto di esaltazione retorica quanto di reale e progressiva mancanza di vigilanza. Un’incuria che mette fortemente in pericolo - come viene sottolineato con forza da chi interviene per primo su questo tema - non solo quei boschi meravigliosi che circondano Avigliana e che abbiamo potuto ammirare attraverso il volo dei droni, ma tutto il patrimonio boschivo e forestale della Valle di Susa, già messo fortemente in crisi da quest’ultimo inverno particolarmente caldo e secco. Se non si crea una rete di vigilanza, se non si mettono in piedi cooperative e consorzi, dando insieme preziose occasioni di lavoro, se non si esce fuori dalle vuote parole, la stessa creazione dei parchi rischia di diventare solo un elemento di pura conservazione, ponendo una contrapposizione fra tutela e sviluppo che dovrebbe essere altrimenti superabile, se si facesse della cura e della prevenzione un elemento forte di sintesi. Certo il fatto che le colline e le montagne si siano progressivamente spopolate e non siano più luoghi di residenza stabile e lavoro ha reso drammaticamente carente quella “cultura del bosco” ancora viva pochi decenni or sono, come rileva un’altra interlocutrice che abitando in una zona boschiva ha potuto constatarne personalmente il progressivo degrado. Questo rende a suo giudizio tanto più indispensabile un sovrappiù di intenzionalità da parte di tutti quegli enti a cui è demandato il compito di proteggere e di curare un patrimonio vitale che ha anche forti componenti storico culturali. Pensiamo per esempio ai muri a secco, che vengono richiamati in un successivo intervento e alla cui antica arte ha fatto riferimento una recente indicazione dell’Unesco, orientata alla loro conservazione. Quei muri, per intenderci, che un tempo delimitavano le vigne e gli orti e che ora sono totalmente degradati, come può osservare facilmente chiunque si avvii verso i confini nord-ovest di Avigliana scoprendo di inoltrarsi in una sorta di foresta vergine. Possiamo forse compiacerci del recupero di un patrimonio ancestrale – la natura com’era prima dell’intervento umano -  o del  fatto che in molte occasioni la tutela del paesaggio arrivi ad impedire certe forme di manutenzione, pur di salvaguardare l’habitat ecologico di alcune specie vegetali e animali: non è questa però l’opinione di chi pone questo problema, e ritiene invece che bisognerebbe trovare una sintesi, un accordo virtuoso fra la necessità di conservare la natura e la cura antropica del paesaggio. Sulla possibilità di trovare questo accordo interviene in ultimo Arnaldo Reviglio (già assessore e ora consigliere), sottolineando il lavoro prezioso svolto negli ultimi anni dai vari gruppi di ecovolontari che con la loro disponibilità hanno contribuito alla pulizia del territorio, vuoi occupandosi della raccolta differenziata porta a porta, vuoi delle rete dei sentieri che in Avigliana è molto ampia, occupandosi in particolare del cosiddetto “sentiero Salotti” e unendo le loro forze con il gruppo dei migranti coordinato dal prof. Mattioli, che tiene in ordine le fioriere che abbelliscono la città. Per quanto riguarda invece il Castello, segnala come elemento positivo - in risposta a chi aveva rilevato lo stato non proprio ottimale dei sentieri d’accesso - il fatto che questi sentieri circolari siano stati ora catastati, il che renderà più agevole lavorare sul loro recupero.
E’ davvero una città viva, osserva il dott. Ferraris in conclusione della serata, quella in cui così tante persone mostrano di avere a cuore, con la loro presenza e con i loro interventi, la situazione paesaggistica che può essere davvero vissuta e compresa pienamente solo da chi ci abita, ci cammina, ci lavora osservandola, per così dire, dal basso. Non è con gli elicotteri infatti, e non è neppure con i droni che tutti questi aspetti si possono cogliere, anche se essi rappresentano, secondo l’esperienza del relatore, uno strumento prezioso per il rilievo del territorio e non solo. Nondimeno, come tutti questi interventi hanno ampiamente dimostrato, l’architettura e la natura si percepiscono ad altezza d’uomo, e per questo il suo ringraziamento va a quanti hanno portato il loro contributo ad un tema così importante per un futuro che vogliamo non dimentico dell’esperienza del passato, se pure aperto a metodologie nuove.
N.B. = Terminiamo con queste parole la nostra relazione sulla conferenza del dott. Ferraris, assumendoci come di consueto ogni responsabilità per eventuali errori e fraintendimenti rispetto ai vari interventi
Per CircolarMente,
Enrica Gallo

                                
* Michelangelo Pistoletto è un artista, pittore e scultore italiano, animatore e protagonista della corrente artistica denominata dell’“arte povera”, da sempre interessato ad abbattere le tradizionali barriere fra le diverse discipline artistiche e a ritrovare un collegamento forte fra la scienza, la tecnologia, l’arte, la politica e la cultura. Il progetto denominato “Terzo paradiso” è stato elaborato in una fase della sua attività artistica nei primi anni 2000, dopo la pubblicazione di un saggio intitolato “Nuovo sogno d’artista”; prevede delle installazioni in campo aperto (land art) caratterizzate da un segno simbolo che vuole porsi come una sorta di mito-guida, che porti ciascuno ad assumersi una personale responsabilità in una visione globale. In seguito Michelangelo Pistoletto ha riqualificato un edificio ottocentesco nei pressi di Biella, traendone un centro creativo denominato “CITTADELLARTE” in cui si organizzano mostre, convegni, percorsi e laboratori didattici, con lo scopo di porre l’arte in collegamento con un più vasto mondo esterno.
(tratto da Wikipedia)