venerdì 22 aprile 2022

Nuova versione dello Statuto dell'Associazione Circolar-mente

 

STATUTO DELL’ASSOCIAZIONE

 Circolar-mente

 

Art. 1 - COSTITUZIONE SEDE E DENOMINAZIONE

"È costituito, conformemente alla Carta Costituzionale, al codice civile e nel rispetto dei D. Lgs. N. 117/2017 e D. Lgs. N. 105/2018, l’Ente del Terzo Settore (ETS) denominato “Associazione Culturale Circolar-mente”, sinora e fino all’operatività del RUNTS, con durata illimitata.

L’Associazione ha sede legale in Avigliana (TO), Corso Dora n° 6 bis. Il trasferimento della sede legale non comporta modifica statutaria, se avviene all’interno dello stesso Comune e deve essere comunicata entro 30 giorni dal verificarsi dell'evento agli Enti gestori di pubblici Registri presso i quali l'organizzazione è iscritta.

L’Associazione opera prevalentemente nell’ambito territoriale della Regione Piemonte.

La denominazione dell’Associazione sarà automaticamente integrata dall’acronimo ETS (Ente del Terzo Settore), a seguito dell’istituzione del RUNTS e della conseguente iscrizione dell’Associazione nello stesso RUNTS. Tale clausola avrà efficacia con la decorrenza del termine di cui all’art. 104, c.2 del D.lgs. 117/2017."

Art. 2 - DURATA

L’associazione ha durata illimitata e potrà essere sciolta dall'assemblea straordinaria dei soci con le modalità indicate nei successivi art.12 e 23 del presente statuto

Art. 3 - FINALITÀ

Con riferimento a quanto precisato all’Art. 5, “Attività di interesse generale – lettera i”, del DLGS n° 117 del 03/07/2017 “Codice del Terzo Settore” lo scopo principale dell'associazione è l'organizzazione e la gestione di attività culturali e artistiche incluse attività anche editoriali.

Le finalità collegate sono:

- rafforzare il contributo culturale alla coesione sociale, alla cittadinanza attiva, al dialogo interculturale, alla parità tra le donne e gli uomini e alla realizzazione personale;

- contribuire) allo sviluppo di un apprendimento permanente di qualità da investire sia sul territorio sia in una dimensione più ampia quale quella europea.

L’associazione si propone in particolare di:

- costituire dei gruppi di lavoro;

- sviluppare attività di documentazione, comunicazione e pubblicazione dei risultati;

- attivare seminari di formazione aperti al territorio;

- richiedere interventi di esperti, enti di ricerca, università;

- collaborare con enti locali, agenzie formative, associazioni;

- organizzare cicli tematici di conferenze

Art. 4 - I SOCI

L' Associazione è aperta a tutti coloro che, interessati alla realizzazione delle finalità istituzionali, ne condividano lo spirito e gli ideali. L'adesione all'Associazione è volontaria ed avviene secondo le modalità di cui al successivo art. 5.

I soci si dividono in:

1) soci fondatori, si considerano tali i soci che hanno partecipato all’Assemblea costituente, deliberando la costituzione dell’Associazione;

2) soci ordinari, si considerano tali tutti i soci che aderiranno annualmente ai programmi

dell'Associazione

3) soci onorari: si considerano tali coloro insigniti di tale qualifica per volontà dell’Assemblea perché hanno contribuito in maniera determinante con la loro opera o il loro sostegno ideale

od economico alla vita dell’associazione

Tutti i soci hanno diritto di voto, ad eccezione dei minorenni.

Art. 5 - MODALITA’ DI AMMISSIONE DEI SOCI

L'ammissione a socio è subordinata alla presentazione di apposita domanda scritta da parte degli interessati. Sulle domande di ammissione si pronuncia il Consiglio Direttivo, le eventuali reiezioni debbono essere motivate. Sarà cura del Consiglio Direttivo provvedere all'annotazione dei nuovi aderenti nel Libro degli associati, così previsto all’Art. 15 del citato DLGS n° 117

Art. 6 - PERDITA DELLA QUALITÀ’ DI SOCIO

L'esclusione dei soci è deliberata dall'Assemblea:

1) per comportamento contrastante con gli scopi dell'Associazione;

2) per persistenti violazioni degli obblighi statutari e regolamentari;

Il socio decade automaticamente in caso di mancato versamento della quota associativa per 1 anno.

Prima di procedere all'esclusione devono essere contestati per iscritto al socio gli addebiti che allo stesso vengono mossi, consentendo facoltà di replica tranne nel caso di morosità per la quale l’esclusione si perfeziona automaticamente con il decorrere del termine previsto per il pagamento.

Il socio receduto o escluso non ha diritto alla restituzione delle quote associative versate.

Art. 7 - DIRITTI E DOVERI DEI SOCI

 Tutti i soci hanno diritto:

1) a partecipare effettivamente alla vita dell'Associazione;

2) a partecipare all'Assemblea con diritto di voto;

3) ad accedere alle cariche associative;

4) a prendere visione di tutti gli atti deliberati e di tutta la documentazione

Tutti i soci sono tenuti:

1) ad osservare il presente statuto e le deliberazioni legalmente adottate dagli organi associativi;

2) a frequentare l’Associazione, collaborando con gli organi sociali per la realizzazione delle finalità associative;

3) a non attuare iniziative che si rivelino in contrasto con le aspirazioni che ne animano l’attività;

4) a versare la quota associativa annuale deliberata di anno in anno dal direttivo. Tale quota deve essere versata, a partire dall’inizio del programma delle attività dell’associazione di norma nell’Autunno dell’anno precedente quello di effettiva associazione, entro e non oltre il 31 Gennaio di ogni anno. Il pagamento materiale può essere effettuato con versamento diretto all’apposito incaricato autorizzato a rilasciare ricevuta oppure tramite bonifico bancario sul c.c. dell’Associazione

Art. 8 - ORGANI DELL'ASSOCIAZIONE

Sono Organi dell'Associazione:

1) l’Assemblea dei soci;

2) Organo di Amministrazione (Art. 26 DLGS n° 117) composto da

il Consiglio direttivo

il Presidente dell’Associazione;

il Vice-Presidente

il Segretario Amministratore

il Tesoriere

Art. 9 – ASSEMBLEA

L'Assemblea è composta da tutti i soci ed è l'organo sovrano dell'Associazione. L’Assemblea è presieduta dal Presidente dell’Associazione. Ogni socio potrà farsi rappresentare in Assemblea da un altro socio con delega scritta.

Art. 10 - CONVOCAZIONE DELL’ ASSEMBLEA

L'Assemblea si riunisce in seduta ordinaria, su convocazione del Presidente, almeno una volta all'anno per l’approvazione del Bilancio e ogniqualvolta lo stesso Presidente o il Consiglio direttivo ne ravvisino l’opportunità.

L'Assemblea ordinaria indirizza tutta la vita dell'associazione ed in particolare:

1) approva i bilanci consuntivo e preventivo;

2) elegge i componenti del Consiglio direttivo, del Collegio dei revisori

3) delibera gli eventuali regolamenti interni e le sue variazioni;

4) delibera l’ammissione e l'esclusione dei soci;

5) delibera su tutte le questioni attinenti alla gestione sociale, che il Consiglio direttivo riterrà di sottoporle.

L'Assemblea straordinaria delibera:

1) sulle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto;

2) sullo scioglimento dell'Associazione e la devoluzione del suo patrimonio.

Sia l'Assemblea ordinaria che quella straordinaria sono presiedute dal Presidente o in sua assenza dal Vice-presidente e, in assenza di entrambi dal componente del Consiglio direttivo più anziano di età. Le convocazioni sono effettuate mediante posta elettronica inviata almeno 15 giorni (ridotti a 5 giorni in caso di convocazione urgente) prima della data della riunione contenente ordine del giorno, luogo, data e orario della prima e della eventuale seconda convocazione, che non può essere fissata prima che siano trascorsi 3 (ridotti a 1 in caso di convocazione urgente) dalla prima convocazione.

Art. 11 - VALIDITA’ DELL’ ASSEMBLEA

L'Assemblea è validamente costituita in prima convocazione quando sia presente o rappresentata almeno la metà dei soci. In seconda convocazione l'Assemblea è validamente costituita qualunque sia il numero dei soci intervenuti o rappresentati.

Art. 12 - VOTAZIONI

 Le deliberazioni dell'Assemblea sono valide quando siano approvate dalla maggioranza dei presenti, eccezion fatta per le deliberazioni riguardanti la modifica dell'atto costitutivo e dello statuto, per le quali è necessaria la presenza di almeno tre quarti dei soci e il voto favorevole della maggioranza dei presenti, e per la deliberazione riguardante lo scioglimento dell'Associazione e la relativa devoluzione del patrimonio residuo, per la quale è necessaria la presenza dei tre quarti e il  voto favorevole di tutti i presenti.

Nelle deliberazioni di approvazione del bilancio e in quelle che riguardano la loro responsabilità gli amministratori non hanno voto.

Art. 13 - VERBALIZZAZIONE

Le deliberazioni adottate dall’Assemblea dovranno essere riportate su apposito libro dei verbali a cura del Segretario-economo e da questi sottoscritte insieme al Presidente.

Le delibere assembleari possono essere visionate dai soci.  

Art. 14 - CONSIGLIO DIRETTIVO

Il Consiglio direttivo è l’organo di amministrazione e di direzione dell’Associazione.

Esso è formato da almeno 5 membri, nominati dall’Assemblea dei soci fra i soci medesimi. I membri del Consiglio direttivo rimangono in carica 3 anni e sono rieleggibili.

Possono fare parte del Consiglio esclusivamente i soci maggiorenni.

Nel caso in cui, per dimissioni o altre cause, uno o più dei componenti il Consiglio direttivo decadano dall'incarico, il Consiglio medesimo può provvedere alla loro sostituzione nominando i primi tra i non eletti, che rimangono in carica fino allo scadere dell'intero Consiglio.

Nell' impossibilità di attuare detta modalità o nel caso in cui decada oltre la metà dei membri del Consiglio, l'Assemblea deve provvedere alla nomina di un nuovo Consiglio direttivo.

Il Consiglio direttivo nomina al suo interno un Vice-presidente, un Segretario Amministratore ed un Tesoriere.

Al Consiglio direttivo sono attribuite le seguenti funzioni:

1) curare l'esecuzione delle deliberazioni dell'Assemblea;

2) curare l’organizzazione di tutte le attività dell’Associazione;

3) curare l’osservanza delle prescrizioni statutarie e degli eventuali regolamenti;

4) predisporre gli eventuali regolamenti che di volta in volta si renderanno necessari, facendoli approvare dall’Assemblea dei soci;

5) predisporre il bilancio preventivo e consuntivo;

6) provvedere agli affari di ordinaria amministrazione che non siano di competenza

dell'Assemblea dei soci ivi compresa la determinazione della quota associativa annuale.

Il Consiglio direttivo è presieduto dal Presidente o in caso di sua assenza dal Vice-presidente e, in assenza di entrambi, dal componente del Consiglio più anziano di età.

Il Consiglio direttivo è convocato di regola ogni 3 mesi e ogni qualvolta il Presidente lo ritenga opportuno o almeno 3 consiglieri ne facciano richiesta.

Assume le proprie deliberazioni con la presenza della maggioranza dei suoi membri ed il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti: in caso di parità prevale il voto del Presidente.

Le convocazioni devono essere effettuate mediante posta elettronica, almeno 5 giorni prima della data della riunione, con l’indicazione dell’ordine del giorno, luogo, data ed orario della seduta.

In difetto di convocazione formale o di mancato rispetto dei termini di preavviso, saranno ugualmente valide le riunioni cui partecipano tutti i membri del Consiglio direttivo.

I verbali di ogni riunione del Consiglio, redatti a cura del Segretario e sottoscritti dallo stesso e da chi ha presieduto la riunione, vengono conservati agli atti e registrati sull’apposito “Libro delle adunanze e delle deliberazioni” (Art. 15 DLGS n° 117).

L’ingiustificata assenza di un consigliere a più di 3 riunioni annue del Consiglio direttivo, comporta la sua immediata decadenza dalla carica.

Il Consiglio direttivo può attribuire ad uno o più dei suoi membri il potere di compiere determinati atti o categorie di atti in nome e per conto dell'associazione.

Art. 15- IL PRESIDENTE

Il Presidente è eletto dall’Assemblea a maggioranza dei voti, egli è il rappresentante legale

dell’Associazione, nonché Presidente dell’Assemblea dei soci e del Consiglio direttivo.

In caso di sua assenza o impedimento le sue funzioni spettano al Vice-presidente o, in assenza, al membro del Consiglio più anziano d'età.

Il Presidente ha la firma sociale sugli atti che impegnano l’Associazione sia nei riguardi dei soci che dei terzi.

Il Presidente cura l'esecuzione delle deliberazioni del Consiglio direttivo e, in caso d'urgenza, ne assume i poteri chiedendo ratifica allo stesso dei provvedimenti adottati nella riunione immediatamente successiva, che egli dovrà contestualmente convocare.

Art.16 - IL VICE PRESIDENTE

Il Vice presidente rappresenta l’Associazione in tutti i casi in cui il Presidente sia impossibilitato a farlo, e quando abbia ricevuto apposita delega dal Presidente stesso.

 

Art. 17 - IL SEGRETARIO AMMINISTRATORE

Il Segretario amministratore scelto dal Consiglio Direttivo tra i suoi membri. Cura il disbrigo delle questioni correnti, attenendosi alle direttive impartitegli dal Presidente. Il Segretario amministratore firma la corrispondenza corrente e svolge ogni altro incarico che di volta in volta gli viene affidato dal Presidente e che lo Statuto gli riconosce.

Art. 18 – IL TESORIERE

Il Tesoriere è scelto dal Consiglio Direttivo tra i suoi membri.

E’ responsabile della consistenza di cassa e banca e deve rendicontare al Consiglio direttivo le modalità ed i termini di impiego delle somme spese dall’Associazione nello svolgimento dell’attività sociale utilizzando i format di bilancio di cassa.

Art. 19 - GRATUITA’ DEGLI INCARICHI

Tutte le cariche menzionate nel presente Statuto sono da intendersi a titolo gratuito, salvo il rimborso delle spese debitamente documentate sostenute in nome e per conto dell’Associazione e/o per l’assolvimento di uno specifico incarico, ove preventivamente autorizzate dall’Assemblea

Art. 20- VERBALI E REGISTRI CONTABILI

I libri sociali e i registri contabili essenziali che l’Associazione deve tenere sono:

1) il registro dei soci;

2) il verbale dell’Assemblea e delle sue deliberazioni;

3) il verbale del consiglio direttivo e delle sue deliberazioni

Tali libri, prima di essere posti in essere, devono numerati e firmati dal Presidente e dal Segretario economo in ogni pagina.

Art. 21- PATRIMONIO

Il patrimonio sociale è indivisibile, da esso l’Associazione trae le risorse economiche per il proprio funzionamento e per lo svolgimento delle proprie attività, ed è costituito:

1) da eventuali beni mobili pervenuti all'Associazione a qualsiasi titolo;

2) dai contributi dei propri soci;

3) da contributi, erogazioni di privati e di enti pubblici diversi;

I contributi degli aderenti sono costituiti dalle quote associative annuali, fissati dal consiglio direttivo, e da eventuali contributi straordinari, stabiliti dall’Assemblea che ne determina l’ammontare.

L'Associazione deve impiegare gli eventuali utili o avanzi di gestione per la realizzazione delle proprie attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse.

Art. 22 - ESERCIZIO SOCIALE

L'esercizio sociale decorre dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno.

Entro quattro mesi dalla fine di ogni esercizio verrà predisposto dal Consiglio direttivo il bilancio consuntivo ed il bilancio preventivo del successivo esercizio da presentare per l’approvazione in Assemblea.

I bilanci devono restare depositati presso la sede dell’Associazione i 5 giorni che precedono l’Assemblea, convocata per la loro approvazione, a disposizione di tutti i soci.

Art. 23 -SCIOGLIMENTO

Lo scioglimento dell’Associazione è deliberato dall’Assemblea straordinaria dei soci come previsto all'art.12 del presente statuto.

L'assemblea inoltre nomina uno o più liquidatori conferendo loro i necessari poteri per destinare il patrimonio residuo ad altre associazioni con finalità identiche o analoghe, in accordo con quanto previsto dall’Art 9 del DLGS n° 117

Art. 24 - RINVIO

Per quanto non espressamente previsto dal presente Statuto si applicano le disposizioni contenute nel codice civile e nelle leggi vigenti in materia.

venerdì 15 aprile 2022

Il "Saggio" del mese - Aprile 2022

 

Il “Saggio” del mese

APRILE 2022

Per questo mese all’apparenza usciamo dalla lunga scia di “Saggi” dedicati alle più pressanti, e talvolta drammatiche, questioni sul tappeto. A ben vedere però, in aggiunta alla curiosità culturale in senso lato che questo argomento può suscitare, il suo approfondimento in qualche modo rimanda a modalità culturali che da sempre incidono sulle linee di divisione dell’umanità



linguista tedesco,  vive e lavora in Finlandia, membro del Research Centre on Multilingualism di Bruxelles, già docente presso le Università di Bonn e di Coimbra, autore di più di 40 libri in tedesco, inglese, spagnolo, italiano, ungherese, bulgaro, giapponese, cinese, coreano, e quasi 200 articoli e saggi in dieci lingue.

Trattandosi di un testo decisamente lungo (più di 450 pagine) e corposo, che affronta il tema con articolati approfondimenti tecnici, ci limitiamo in questa sintesi a recuperarne gli aspetti essenziali per avere un’idea di massima di un lungo e complesso percorso storico

 

Introduzione

alcune note esplicative, in particolare  su cosa si deve intendere per “lingua”

….. il numero delle lingue mondiali, che presumibilmente oscilla fra le 6.000 e le 6.500, dipende comunque da ciò che si intende per lingua ……….  La definizione classica da vocabolario che cita: il complesso delle parole e locuzioni usate da tutto un popolo come mezzo comune per l’espressione e lo scambio di pensieri e sentimenti, con caratteri tali da costituire un organismo storicamente determinato, sottoposto a proprie leggi fonetiche, morfologiche e sintattiche che sono anch’esse parte integrante della lingua, è integrata da Haarman con quattro precisi requisiti (linguistici):

Ø  deve essere un sistema fonetico (di suoni) grammaticale e lessicale a sé stante, ossia distinto da altri sistemi fonetici

Ø  deve essere usato sia come mezzo di comunicazione adatto a molte funzioni sia come simbolo di una identità culturale

Ø  deve essere distinto da altre lingue perché da esse separato da barriere comunicative che impediscono ogni forma di loro relazione

Ø  nel caso in cui abbia anche una forma scritta (non tutte le lingue la possiedono) questa deve essere del tutto convergente con la forma parlata

Il mondo delle lingue non ha mai avuto, e tuttora non ha, forma stabile: nuove lingue nascono, lingue antiche si perdono, tutte si modificano continuamente, in questo senso il più celebre mito linguistico, quello della Torre di Babele, in effetti racconta un falso: non è mai esistita una identità linguistica originaria per l’intera umanità. Allo stesso modo non è mai esistita una convergenza di opinioni sufficientemente solida fra linguisti, storici della lingua, paleolinguisti, glottologi, in effetti lascienza linguisticavede contrapposte scuole di pensiero e di relative teorie. Negli ultimi vent’anni dalla genetica è però venuto un contributo prezioso che ha permesso, grazie al rilevamento dei legami genetici fra le varie etnie, di stabile preziosi collegamenti storici fra gli intensi fenomeni migratori, che da sempre caratterizzano la storia dell’umanità, e la nascita e la diffusione delle lingue. La moderna linguistica si avvale perciò di approcci diversi: comparazione dei sistemi lessicali e fonetici, ma anche genetica umana ed archeologia. Alla base di questo sistema di approcci stanno due convinzioni unanimemente condivise: l’altissima incidenza della “casualità” nell’intero processo di sviluppo linguistico e l’inesistenza di una tendenza storica universale verso la complessità, a seconda delle esigenze contingenti una lingua può evolvere verso forme più complesse oppure verso forme più semplici

Capitolo 1 =  Agli albori dell’evoluzione linguistica

In cui dopo una prima parte dedicata alla “possibile” nascita del linguaggio, si illustrano alcuni dei complessi parametri usati dalla linguistica per studiare e classificare le varie lingue. Una parte molto tecnica che ripercorriamo, il più sinteticamente possibile, per punti

*  Il linguaggio non ha avuto origine con una sorta di big bang ma è divenuto una proprietà umana con un percorso molto lungo, molto frazionato, assecondando, ed al tempo stesso incentivando, la complessiva crescita evoluzionistica umana, che ha visto la lingua parlata, nelle sue forme molto rudimentali, precedere di centinaia di migliaia di anni quella scritta

*  Le scienze che studiano l’evoluzione umana non sono in grado di fissare un data certa di comparsa del linguaggio, ma si limitano a circoscrivere la possibilità del suo comparire in un arco temporale che ricopre diverse migliaia di anni. Dando per certo il fatto che questa forma di comunicazione sia nata, e via via specializzata, all’interno di una più vasta gamma di interazioni non verbali (gesti, pose, mimica), per formulare quelle che comunque restano “ipotesi” si prende in considerazione la combinazione di diversi elementi: anatomici, fisiologici e culturali

*  Anatomicamente la possibilità di dettagliare foneticamente dei suoni è data dalla presenza dell’osso ioide (un piccolo osso a forma di U che si trova fra la radice della lingua e la laringe) e dalla stessa conformazione del cranio che deve attestare la presenza del lobo frontale, vale a dire la regione cerebrale preposta alle attività organizzative e progettuali specializzate

*  Gli elementi culturali sono dedotti da testimonianze fossili di una propensione all’attività simbolica, quali segni astratti, disposizione studiata di reperti ossei umani e di animali, incisioni.

*  L’insieme incrociato di questi elementi consente di affermare che i primordi dell’attività linguistica risalgono all’Homo Erectus, un ominide che popolò Africa, Asia ed Europa da 1,9 milioni circa a 0,4 milioni di anni fa. Per quanto possibile ipotizzare si tratta ovviamente di rudimentali sistemi di suoni gutturali, ma già più complessi dei suoni usati dagli altri primati

*  Non sono individuabili successive specifiche fasi di una evoluzione che è comunque proceduta (la fabbricazione di utensili in pietra sempre più complessi e raffinati ha sicuramente imposto una trasmissione generazionale linguistica altrettanto avanzata)  lungo percorsi differenziati, privi di particolari “salti”, quantomeno scientificamente attestabili, fino alla comparsa dell’ultimo uomo arcaico “l’Homo Neanderthalensis”, l’uomo di Neanderthal (vissuto tra i 400.000 ed i 30.000 anni fa) il quale sicuramente possedeva abilità di linguaggio, per quanto ancora primordiali.

*  E’ solo con la comparsa sulla scena evolutiva dell’uomo moderno, “Homo sapiens”, avvenuta all’incirca 150.000 anni fa, che si assiste al passaggio, in questo caso documentato, a forme di linguaggio più complesse, dapprima solo verbali ed infine anche scritte (i primi tentativi di scrittura sono stati rintracciati nella civiltà danubiana di 6.000/7.000 anni fa, ben prima quindi della scrittura, però già più completa, di quella mesopotamica datati attorno al 3.200 a.C., su questo si tornerà più avanti)

*  L’ipotesi più sensata per spiegare questo lunghissimo, e per tanti aspetti misterioso percorso evolutivo, consiste nel ritenere che i suoi diversi stadi siano strettamente connessi con una più generale evoluzione fisiologica e culturale, capace di mettere in connessione morfologia fonetica, abilità sintattica e lessicale, con specifiche esigenze comunicative sollecitate dal più generale processo evolutivo. Questa ipotesi, sulla base dei riscontri fin qui acquisiti, si articola su quattro stadi che si combinano con le diverse specie di ominidi fino all’Homo Sapiens

Ø  stadio 1 = agli esordi non possono che stare espressioni onomatopeiche (fonemi vocali che riproducono suoni ambientali, tipo bum, ciaf, splash, track) collegabili a stati d’animo come stupore, gioia, spavento e così via, piuttosto che rudimenti di racconto intrecciati con mimiche ed espressioni corporee. In questo stadio vanno collocati l’Homo Erectus e il Neanderthalensis.

Ø  stadio 2 = a quest’ultimo va già sicuramente attribuito un patrimonio di foni (suono linguistico) più ricco attestato, rispetto all’Erectus, da una sua evoluzione anatomica del cavo orale (conformazione anatomica di fatto molto simile a quella attuale del neonato)  che dovrebbe aver consentito timbri (qualità vocaliche) di opposizione foni quali: a-e, p-b, t-d. (tracce di questi primordiali timbri sono ancora oggi riscontrabili in lingue moderne come il caucasico e l’hawaiano) Le parole in questa fase restano monosillabiche con una grande prevalenza di olofrasi (singole parole che esprimono una intera frase o un concetto articolato, molto usate nella fase infantile, ad es. “pappa” per dire “voglio la pappa – ho fame”) stante l’assenza di strategie sintattiche di costruzione della frase

Ø  stadio 3 = è quello che interessa la prima fase di affermazione dell’uomo moderno, che va da 100.000 a 70.000 anni fa. Acquisita la giusta anatomia del cavo orale, sviluppate forme complesse di linguaggio simbolico, l’uomo è ormai capace di articolare parole polisillabiche e di costruire frasi grammaticalmente complesse con soggetto-verbo-complementi vari, e di usare elementi dimostrativi (questo, quello) che attestano una maggiore astrazione linguistica

Ø  stadio 4 = è quello della definitiva affermazione delle lingue attuali con tutte le loro complessità e diversificazioni ed il loro stretto collegamento con altri sistemi simbolici come il calcolo e la misurazione, l’iconografia, piuttosto che l’uso di segni convenzionali. Se ne può indicare l'inizio “ufficiale” in circa 60.000 anni, allorquando l’Homo Sapiens (sapiens) raggiunse l’Australia e la Nuova Guinea lasciando tracce di un linguaggio ancora in buona misura attribuibile allo stadio 3, ma già contenente in nuce forme tipiche dello stadio 4

*   Per analizzare e comprendere la raffinata evoluzione linguistica intervenuta da lì in poi aiuta la disciplina dell’economia linguistica, usata dagli studiosi per ricostruire un percorso che, per quanto diversificato, poggia su comuni fisiologiche limitazioni umane quali:

Ø  un numero di suoni distinguibili a livello acustico non superabile, che ammonta a qualche migliaio,

Ø  un numero altrettanto limitato di fonemi (suoni distintivi di differenziazione) non superiore a qualche decina, si va infatti da un minimo di 13 fonemi (hawaiano) ad un massimo di 40 (lingua sami, Russia del Nord), in media le lingue usano tra 25 e 35 fonemi

*   E’ infine centrale il rapporto tra “lingua” e “forma mentis culturale (Sono le strutture della nostra lingua a plasmare il nostro modo di pensare? è vero il contrario? Valgono ambedue allo stesso modo?). Al di là della universalità dei principi organizzativi comuni a tutte le lingue (sistema fonetico, grammatica, modelli sintattici, repertorio lessicale) il contesto ambientale, sociale e culturale, nel quale esse sono nate e si sono sviluppate ha certamente inciso in modo decisivo. Ad esempio basta pensare a come lo stesso fenomeno atmosferico, ad esempio la “neve”, viene definito nelle varie lingue: in alcune, per ovvie ragioni, non esiste, in altre, italiano compreso, ha un solo nome (che per essere precisato richiede l’aggiunta di aggettivi), in quella “sami” della penisola scandinava ha ben ventuno diversi sostantivi. Oppure ai termini usati per indicare i colori: se in tutte le lingue esiste un termine per “bianco” e “nero” ognuna si distingue per una propria scala cromatica suggerita dal proprio contesto ambientale. Recenti “scoperte” delle neuroscienze hanno attestato che specifici meccanismi di percezione degli impulsi cromatici, evidente frutto di diverse linee evolutive, impongono una diversa strumentazione linguistica. Vale a dire che non sono le parole a definire i colori, ma i colori (percepiti) le parole!!!!!!!!!

Terminata questa indispensabile parte “introduttiva” inizia il percorso storico linguistico che, ribadendo quanto già anticipato, percorreremo a volo d’aquila

Capitolo 2 =  Africa ed Eurasia (a partire da 100.000 anni fa)

I primi passi verso le moderne lingue, le ragioni che spiegano una biforcazione di partenza

I reperti fossili che attestano oggettive evidenze linguistiche (scritte) risalgono al massimo a 6.000 anni fa, lo studio dello sviluppo delle lingue parlate è pertanto basato su reperti anatomici e culturali in senso lato. Quelli relativi allo Stadio 4 sono quindi connessi con la diffusione dell’Homo Sapiens, la cui culla originaria, circa 150.000 anni fa, è ormai opinione consolidata sia stata l’Africa. Da lì in successive ondate migratorie l’Homo sapiens è passato attraverso il ponte continentale del Sinai verso Asia ed Europa, entrando in contatto con le preesistenti più antiche specie di ominidi. La moderna genetica (in particolare hanno grande valore gli studi del genetista italiano Luca Cavalli-Sforza) ha consentito di ricostruire tali percorsi, il primo dei quali, avvenuto all’incirca 95.000 anni fa, ha visto l’Homo Sapiens migrare in prevalenza verso l’Asia, fino a raggiungere circa 65.000 anni fa l’Asia sud-orientale e da lì, qualche migliaio di anni dopo, l’Australia dove sono stati trovati i reperti che, come già citato nel precedente Capitolo, consentono di fissare a circa 60.000 anni fa la linea di demarcazione fra Stadio 3 e Stadio 4. Nella successiva ondata migratoria avvenuta 70.000 anni fa l’Homo Sapiens si espande anche verso l’Europa dove entra in contatto, non sempre pacifico, con l’Homo Neanderthalensis, (si ipotizza che già nella prima migrazione il passaggio verso l’Europa sia stato impedito proprio dalla consistente ostile presenza in Palestina di colonie di Neanderthal), ma non di rado molto stretto fino ad incroci ben testimoniati da tracce genetiche. Questa convivenza, durata diverse migliaia di anni (le ultime tracce di Neanderthal risalgono a circa 30.000 anni fa), rappresenta un periodo di notevole evoluzione culturale (rivoluzione del Neolitico), comprensivo della comparsa di simboli visivi, pitture rupestri, sistemi di segni, tacche, scalfitture su manufatti. Avviene in questa fase, (dai 60.000 ai 30.000 anni fa), anche in Europa un salto di qualità del linguaggio (quello configurabile con lo Stadio 4, appartenuto al solo Sapiens, stanti le limitazioni anatomiche del Neanderthal) che,  analogamente a quello avvenuto lungo le rotte migratorie asiatiche, crea le condizioni, omogenee nelle basi comuni ma già differenziate in specifiche articolazioni, delle future famiglie linguistiche moderne. Sarà però necessario arrivare a circa 12.000 anni fa, all’indomani dell’ultima glaciazione, per poter parlare di proto-lingue, ossia le prime forme del più completo linguaggio dello Stadio 4   

Capitolo 3 =  Australia, Siberia e Nuovo Mondo

 (a partire da 65.000 anni fa)

Lungo le tracce della prima ondata migratoria del Sapiens

I primi gruppi di Sapiens, partiti dall’Africa circa 90.000 anni fa, si diramano lungo due direttrici: una prima che, attraversando l’intera Asia fino alle sue estremità meridionali, riesce a spingersi, assecondando i ritmi dei periodi glaciali che hanno permesso in alcune fasi di superare ostacoli altrimenti invalicabili, circa 60.000 anni fa, fino in Australia; ed una seconda che, puntando verso nord e sempre sfruttando l’alternanza delle fasi glaciali, riesce e passare, attraverso lo stretto di Bering, nel continente americano per poi discenderlo fino all’estremità dell’America del Sud. Le modalità “stop and go” (mi sposto e mi fermo, e poi di nuovo) di questi lenti ma costanti movimenti migratori, durati diverse decine di migliaia di anni, coniugate con il naturale ripristinarsi alle loro spalle di invalicabili barriere naturali, hanno fortemente inciso sullo sviluppo del linguaggio in queste aree del mondo. Ambedue le rotte migratorie sono infatti rimaste a lungo isolate dal resto del mondo, creando di fatto due distinti ceppi linguistici rimasti a sé stanti fino al XVI secolo (l’inizio della fase occidentale delle grandi scoperte geografiche), al cui interno la modalità “stop and go” ha permesso il formarsi di idiomi locali con una più o meno consistente traccia dell’unità originari nei vari insediamenti stabili. Questo processo ha così consentito la formazione di proto-lingue, a cavallo fra lo Stadio 3 e lo Stadio 4, allo stesso tempo simili e differenziate. Lungo la prima rotta migratoria se ne contano: 22 in Australia, 12 in Nuova Guinea, 11 nell’area oceanica; lungo la seconda direttrice: 14 nel Nord America, 8 in quella Centrale, 13 in quella del Sud. La loro esistenza è testimoniata da aspetti linguistici anomali rispetto al successivo sviluppo linguistico avvenuto in queste aree (vedi successivo Capitolo 7) che le ha di fatto completamente fagocitate, chiudendo questa interessante particolarità storica nello sviluppo globale delle lingue

Capitolo 4 =  sulle tracce delle lingue più antiche

Prima di entrare nel merito del processo evolutivo linguistico di Asia ed Europa,                   

e prima di esplorare l’alba primordiale delle attuali lingue ….  

Allo stesso modo vale la pena di ricordare alcune lingue che presentano caratteristiche così specifiche da non poter essere inserite nelle attuali famiglie. Sono in effetti l’ultima eredità dello Stadio 3 confluita, restandone autonoma, nella compiuta fase evolutiva dello Stadio 4. Presentano queste caratteristiche in Europa: il “Basco(le analisi genetiche hanno stabilito una relazione diretta tra l’attuale popolazione basca ed il più antico esemplare Sapiens europeo, “l’uomo di Cro-Magnon”) ed alcuni locali idiomi del Caucaso. In Asia: idiomi della Siberia, e di alcuni vicini isolotti giapponesi, l’intero ramo delle lingue dravidiche del ceppo sapiens paleo-indidi (penisola indiana e altopiano iranico). Più consistente è la loro presenza nel continente Africano, anche in questo caso per il maggior grado di isolamento di tutta la parte equatoriale e sub-equatoriale. Il quadro complessivo poteva essere più consistente, ma molte di queste lingue, non diversamente da quelle del Capitolo 3, sono state fagocitate dai successivi stadi delle sviluppo linguistico e di esse restano esili tracce nelle lingue che le hanno sostituite. Concentrando la nostra attenzione alla sola area mediterranea rientrano in questa casistica lingue ormai defunte come: il “ligure”, il “retico”, “l’etrusco”, il “minoico”, il “fenicio” ed il collegato “punico”, “l’aramaico antico”, l’antico “egizio”.

Capitolo 5 =  l’origine delle famiglie linguistiche

a partire dal 12.000/10.000 a.C. circa

…… la ramificazione delle lingue così come le conosciamo oggi risale al periodo successivo all’ultima grande glaciazione, 12.000 anni fa circa ………. E solo da qui in poi che si può ricostruire il percorso che ha portato alle lingue attuali, sempre usando una grande cautela ricostruttiva stante la penuria di prove testimoniali, i soli strumentilinguisticinon consentono infatti una ricostruzione storica sufficientemente attendibile che si spinga oltre gli 8.000 anni a.C.  Non va oltre questo limite una ricostruzioneall’indietroche di norma punta, utilizzando i criteri indicati nel Capitolo 1, ad individuare la possibile originariaproto-formacapace di spiegare l’esistenza di successive varianti fra di loro più o meno strettamente imparentate. Alla ricostruzione strettamente linguistica occorre quindi affiancare quella storica/evolutivo più generale per individuare una possibile civiltà originariamente comune e quindi, come tale, in possesso di una lingua “proto-forma”. Stante queste premesse la storia universale delle lingue, esaurita la fase definibile come “preistoria” (capitoli 2-3-4) mira pertanto a ricostruire i percorsi che hanno portato all’attuale situazione, complessa e articolata, così sintetizzabile in una fotografia d’insieme:

*      la varietà linguistica si articola su 64 macro-famiglie, completamente autonome una dall’altra, che abbracciano al loro interno da un minimo di 4 lingue (famiglia Yanoma del popolo Yanomani della foresta amazzonica) ad un massimo di 1.436 lingue (famiglia niger-kordofaniana dell’Africa equatoriale)

*      esistono poi oltre 100 lingue isolate, non rientrando in nessuna delle 64 macrofamiglie (non solo lingue di minoranze ristrette, a questo gruppo appartengono lingue come il giapponese ed il coreano)

*      oltre a quellaniger-kordofanianaesistono altre tre macro-famiglie contenenti numeri molto alti di lingue: quellaaustronesiana”, quellaafroasiatica”, quella sinotibetanaquellaindoeuropea” (esaminate in dettaglio nei successivo Capitolo 6 -7). Rientrano in queste macro-famiglie 3.821 lingue, più della metà delle 6000/6500 lingue esistenti, ma il totale dei loro parlanti rappresenta il 98% della popolazione mondiale.

Capitolo 6 =  la macrofamiglia linguistica indoeuropea

a partire dal 7.000 a.C. circa

La denominazione “indoeuropeo”, per quanto interpretata con diverse declinazioni, comprende una parte molto ampia del mondo che va dalla regione indiana (indo) ad Oriente agli estremi occidentali e meridionali dell’Europa (europea) culla di numerose civiltà i cui esponenti hanno più o meno strette comuni relazioni genetiche. Per quanto le lingue attribuibili a questa vasta area siano tra le più studiate non è possibile neanche in questo caso risalire oltre i limiti già ricordati nel Capitolo precedente. Anzi, la complessità dei fenomeni che l’hanno caratterizzata non consente di formulare ipotesi attendibili che vadano oltre i 6.000/7.000 anni fa, vale a dire 4.000/5.000 anni a.C. L’idea di una comune protolingua per tutte le oltre 400 lingue indoeuropee non risale oltre questo limite temporale, e si articola su due ipotesi riguardo alla sua area d’origine (Urheimat): la prima, collegata alla diffusione dell’agricoltura, con i primi insediamenti stanziali, è quella della regione balcanica, la seconda, legata invece alla domesticazione del cavallo, è quella di un’area più ad Oriente, situabile fra Mar Caspio, Volga e Don. Al momento, fatta salva la possibilità di nuove scoperte archeologiche, sembra prevalere la seconda ipotesi. Quale sia stata la regione di partenza quel che è acquisito sono le costanti e prolungate ondate migratorie che progressivamente, per diversi millenni successivi, coprono l’intera area indoeuropea sostituendo/fagocitando le precedenti sparute presenze umane (compresa quella della cosiddetta “civiltà danubiana” già ricordata in precedenza nel Capitolo 1 per essere quella che ha prodotto le più antiche tracce di proto-scrittura, i cui esponenti non appartenevano geneticamente  al genotipo indoeuropeo), le cui lingue spariscono lasciando tutt’al più lievi influenze locali. Le modalità linguistiche con le quali questo processo di diffusione e specializzazione locale si è realizzato non sono qui sintetizzabili essendo molto complesse e articolate, quel che importa rilevare come dato storico generale è che, nel periodo che va dal 4.000/5.000 a.C. al 2.500 a.C., si realizza compiutamente la ramificazione di questa unica protolingua. Da qui in poi, con processi non meno complessi, tuttora oggetto di contrapposte teorie, trova definitivo compimento la nascita delle attuali circa 400 lingue indoeuropee. La loro suddivisione in sottogruppi, inevitabilmente molto schematica, poggia su una linea di separazione in due filoni legati a due fonemi “chiave” che, indicando la parola “cento” definiscono due distinte linee evolutive: centum (latino, correlato ad es al greco hekaton, al gotico hund, al celtico cet) e satem (indiano antico, correlato ad es. al bulgaro s’to, al lituano simtas) sintetizzabile in questa tabella che riassume le specifiche singole famiglie linguistiche:

Percorriamo in estrema sintesi la loro evoluzione storica.

*                 Il primo ramo linguistico indoeuropeo a distaccarsi è stato quello indo collegato alla migrazione degliAri”, originari della regione steppica della Russia meridionale e del Caucaso, che, a partire da 2.800/3.000 anni a.C., hanno iniziato ad occupare vaste aree del subcontinente indiano spingendo più a Sud e ad Est le popolazioni preindoeuropee deiDravidie degliAdivasi”. Nel corso di due millenni tale espansione si completa dando vita, grazie alla già evidenziata prassi dello stop and go”, alle numerose, ben 219, lingue indiane di matrice indoeuropea. Fra le altre spiccano: il sanscrito, utilizzato in modo diffuso fin dal V secolo a.C., il vedico, con al centro la monumentale operaRig-Veda” (raccolta scritta di tradizioni orali messa a punto tra il 1.200 ed il 1.000 a.C.) il pali, lingua sacra del buddhismo, e l’Hindi, la lingua più parlata in India.

*                 In questo stesso arco temporale un altro ramo indoeuropeo, già distinto da quello ariano, si è invece mosso verso la vasta area dell’attuale Iran, a formare il congiunto ramoiranico”. Con un processo analogo si realizzano al suo interno specifiche differenziazioni linguistiche: il persiano antico (la sua forma scritta appare solo nel V secolo a.C. come commistione con l’aramaico), poi evoluto nel persiano moderno, ed il farsi.

*                 Sempre attorno al 2.000 a.C. più a Nord-Ovest si completa un’altra autonoma migrazione indoeuropea che, partita dalla zona del Mar Nero, occupa l’intera regione dell’Anatolia. Tutte le lingue del ramoanatolico”, la più nota è quella ittita, si sono estinte in tempo relativamente brevi, lasciando pieno campo ad una sua successiva evoluzione così profonda da farlo uscire dal ramo “satem” per entrare in quello “centum”.

*                 Sembra infatti ormai assodato che questa evoluzione sia quella che dato origine alla famiglia del  greco” grazie all’ulteriore spostamento (stop and go) verso Ovest delle ondate migratorie anatoliche le quali, entrando in contatto con antiche popolazioni locali pre-indoeuropee (chiamate nella mitologia greca “pelasgi”), progressivamente elaborano la variante linguistica a sé stante alla base del greco antico (il quale in effetti conserva non poche tracce “pelasgiche”, ad es. tutti i suffissi –ss- e –nth-), giunto a pieno compimento verso il VI-V secolo a.C., per essere poi sostituito,  nel V secolo d.C., dal greco moderno. Non è stato fin qui possibile ricostruire con sufficiente precisione il rapporto di parentela fra il greco ed il macedone antico, che dopo la massima espansione avvenuta nel IV secolo a.C. (Filippo II e Alessandro Magno)  si estingue confluendo nel greco.

*                 Si ritiene possibile che già dalle prime ondate migratorie arrivate nel sud della penisola balcanica si siano distaccati gruppi, poi frazionatosi ulteriormente, che hanno colonizzato la penisola italica formando un autonomo ceppo linguistico, “l’Italico”, suddivisibile in due sottogruppi: il primo contiene il latino ed il falisco, il secondo l’osco-umbro. Con la sola eccezione del latino, che si differenza dal falisco già a cavallo del primo Millennio a.C. per divenire con il ruolo di Roma un fattore linguistico decisivo per l’intera Europa, tutte queste lingue (il marso, il sabino, il sicano ed altre) si estinguono sotto il dominio romano.

*                  Ben più complessa l’evoluzione linguistica avvenuta nell’areacelticaIniziati con le prime migrazioni avvenute, sempre dall’ipotizzata comune Urheimat,  all’incirca dal 2.000 a.C. gli insediamenti celtici arrivano a coprire una vasta area suddivisibile in due sottogruppi: il celtico insulare delle isole britanniche, ed il celtico continentale che, nel suo periodo di massima espansione del III secolo a.C. arriva ad occupare un’area che comprendeva ad Est la zona transilvanica e galatica, al centro quella germanica, quella francese e quella del Nord Italia, e a Sud-Ovest l’intera penisola iberica. Si sono così create numerose sotto-lingue celtiche, alcune delle quali, il cimrico, il bretone, l’irlandese, il gaelico, del ceppo insulare si sono conservate, grazie ad un prolungato maggiore isolamento, tutte le altre si sono invece da tempo estinte essendo state assorbite dall’espansione del latino, lasciando però in eredità numerosi affissi soprattutto toponomastici.

*                 Le ricerche archeologiche lasciano presumere che un ramo a sé stante delle ondate migratorie che hanno alimentato gli insediamenti celtici si siano fermate, sempre a cavallo del 2.000 a.C., nell’area continentale che guarda di più verso la parte Est dell’attuale Germania, e verso Nord, con la penisola danese, scandinava, area baltica. E’ in questa vasta zona, a lungo molto poco abitata, che si forma la variante linguistica delGermanico”, quella indoeuropea che di più contiene al suo interno, fino ad un 28%, tracce di espressioni non indoeuropee, sicuramente incorporate dagli idiomi dei precedenti insediamenti umani, suddiviso in tre grandi sottofamiglie: orientale (completamente estinta), settentrionale (all’origine dell’attuale danese, norvegese, svedese, islandese) e occidentale (confluita, mista con altri influssi, nel tedesco, inglese, frisone, nederlandese, e persino nello Yiddish). Tra le lingue dell’originario ceppo germanico quella che però ha conosciuto la più ampia diffusione è stato il gotico. Le vicende storiche gli hanno riservato un ruolo centrale per diversi secoli, soprattutto alla fine dell’Impero Romano, grazie all’occupazione di consistenti aree europee lungo le ondate migratorie e occupatorie di Goti, Visigoti ed Ostrogoti. Nessuna delle loro lingue è sopravvissuta, la stanzialità seguita alle migrazioni in regioni con popolazioni stabili ben più numerose ha di fatto implicato la loro fagocitazione nelle preesistenti lingue locali e, soprattutto, nel latino, dando però origine ad una varietà molto ampia di lingue, sotto-lingue, idiomi locali, all’interno della quale quella che è rimasta più affine al gotico originario è il burgundo tuttora parlato nella Scandinavia meridionale. Questa grande influenza del gotico sullo sviluppo delle lingue europee continentali ha una significativa testimonianze nel repertorio lessicale della cultura paleocristiana: sono tutte di derivazione dal gotico termini, declinati omogeneamente in molte lingue attuali, come angelo, vescovo, vangelo, apostolo, diavolo, chiesa, profezia, Satana.

*                 A completare questa veloce sintesi dell’evoluzione linguistica delle più importanti famiglie indoeuropee, tralasciando quindi quelle fortemente identificabili con una area ed un popolazione molto ristrette e concentrate quali il Tocario, l’Armeno, l’Albanese ed il Tracico, restano il ceppoSlavo” e quelloBaltico”. Il primo fin dalla prima metà del II millennio a.C. ha occupato in modo compatto, con la forma del protoslavo, una vasta area che, racchiusa fra le lingue “centum” Germanico, Celtico, Greco e Anatolico, ha mantenuto intatta la sua caratteristica di lingua “satem” condividendola con il ramo Baltico. Infatti l’area del protoslavo occupava buona parte dell’area balcanica e della parte dell’Europa Centrale che si spingeva fino alla Polonia ed all’Ucraina ai confini della famiglia del Baltico. La sua differenziazione in lingue locali è avvenuta relativamente tardi a partire dal VI secolo d.C. e si è consolidata nelle attuali: polacco, ceco, slovacco, serbo, croato, bosniaco, sloveno, bulgaro, macedone moderno, russo, bielorusso, ucraino. E’ interessante notare che la forma scritta dello slavo si sia sviluppata in due scritture diverse: il glagolitico, un alfabeto misto di greco corsivo, di ebreo e copto, ed il cirillico, in buona misura derivante dal primo, ma con l’aggiunta di numerose influenze specifiche dello slavo meridionale, la cui diffusione è strettamente legata alla evangelizzazione (il nome cirillico deriva da quello del frate Cirillo suo precursore). La famiglia del Baltico si è creata lungo la direttiva delle migrazioni verso il Nord Europa ed ha conosciuto uno sviluppo differenziato proprio per il costante isolamento delle regioni fredde della penisola scandinava e dell’estremo Nord Europeo. In parte collegato al germanico del Nord della Prussia ha però mantenuto una forte influenza delle forme arcaiche del protoindoeuropeo rendendo le attuali lingue lituano, estone, finlandese, norvegese, svedese (con alcune incursioni di dialetti locali fin verso la regione di Mosca) un ceppo a sé stante.

L’ultima fase temporale dell’evoluzione delle famiglie linguistiche indoeuropee, ferma restando la netta separazione intervenuta fra il ramo asiatico e quello europeo, è per quest’ultimo caratterizzata dalla profonda ed estesa influenza del latino. Compreso, parlato, scritto dalla costa Atlantica all’Africa del Nord, dalla isole britanniche fino al Golfo Persico, è stata la lingua che, in modi molto differenziati, ha comunque inciso sull’ultima fase di evoluzione verso le lingue attuali di buona parte delle lingue europee. Quella che in origine era la lingua di una sparuta popolazione italica è divenuta, grazie all’espansione dell’impero romano prima e della cristianità dopo, la lingua “ufficiale” di questa parte del mondo per molti secoli. Con una distinzione importante fra latino scritto e latino parlato. Il primo, dopo aver affiancato e sostituito il greco, è rimasto, nella sua versione classica, una lingua ”coltariservata ai pochi alfabetizzati. Quello parlato invece (definito “latino volgare” o “latino parlato”) ha in qualche modo permeato tutte le lingue indoeuropee con le quali è entrato in contatto (raramente il latino parlato veniva riversato in una forma scritta, ne sono importante testimonianza i graffiti di Pompei e di Roma, una parziale forma scritta del latino parlato era il “latino veicolare usato in ambito amministrativo) subendo anch’esso una progressiva evoluzione, diversamente da quello scritto rimasto immutato, verso le cosiddette lingue romanze”, ossia quelle che, a partire dal VI secolo d.C., lo hanno di fatto sostituito nella fascia dell’Europa meridionale, ma in questo caso coniugando insieme sia la forma scritta che quella parlata.

Capitolo 7 =  Le altre macrofamiglie linguistiche

a partire dal 6.000 a.C. circa

Parallelamente a quella indoeuropea anche nel resto del mondo le altre macro-famiglie linguistiche uralica, afroasiatica, sinotibetana, altaica e austronesiana, hanno conosciuto una loro evoluzione caratterizzata però, rispetto all’indoeuropeo, da una maggiore velocità di espansione e sviluppo.

*                  La protolingua uralica, la cui nascita è databile attorno all’8.500 a.C., era quella utilizzata da popolazioni di cacciatori/raccoglitori gravitanti nella zona dei monti Urali (dal Kazakistan fino alla costa del Mar Glaciale Artico). La relativa vicinanza con popolazioni indoeuropee ha consentito una certa frequenza di contatti, perlomeno a partire dal 6.000 a.C. soprattutto con l’area linguistica baltica, ma mantenendo intatta una certa diversità. All’incirca dal 4.000 a.C. si realizza una suddivisione dell’uralico in due sottogruppi: quello ugro-finnico e quello samoiedico. Il primo, più strettamente a contatto con popolazioni indoeuropee del Nord Europa, si è progressivamente ridotto a sparute enclave finniche, estoni ed ungheresi, con lingue ormai fortemente “inquinate”, con la sola eccezione del sami (lingua dell’etnia erroneamente chiamata “lappone”) che è rimasto più collegato all’originario protouralico per il progressivo isolamento delle popolazioni locutrici a seguito dello spostamento a Nord. Allo stesso modo il sottogruppo samoiedico è riuscito a mantenere una significativa diversità soltanto grazie al ritirarsi dei gruppi che ancora lo parlano, nelle sue diverse articolazioni, nelle inospitali regioni della Siberia.

*                 Al contrario della famiglia uralica, che interessa popolazioni ristrette, la famiglia afroasiatica interessa una altissima percentuale dell’intera umanità riferendosi in particolare alle  espansioni del Sapiens dall’Africa successive alla prima ondata migratoria di cui al precedente Capitolo 3.. Dall’areale originario individuabile nella regione africana della Nubia e del Sudan, a partire dal 9.000/8.000 a.C., si è articolato un formidabile sviluppo linguistico, lungo direttrici che portano a contatti con le popolazioni indoeuropee che, nella regione iranica, avevano già avviato la rivoluzione agricola. E’ questo il contesto in cui nascono le civiltà, e relative lingue, semitiche ed egiziane. Più in generale questa famiglia, per la quale non è individuabile l’esatto luogo e periodo di nascita di una sua protolingua, si suddivide in: lingue semitiche (aramaico, arabo, etiope, egizio, copto, ad altre lingue ormai estinte quali l’accadico assiro, babilonese, il fenicio e l’antico egizio)lingue berbere - lingue cuscite (eritrea, etiopica, somalica) - lingue omotiche (Sudan)lingue ciadiche (Ciad). In particolare al ramo semitico possono essere attribuite le più antiche testimonianze di scrittura che, dalle originali forme cuneiformi e geroglifiche, sono poi evolute contribuendo, assieme al greco, alla nascita delle forme discrittura alfabeticadi universale sviluppo. Un altro importantissimo ramo della famiglia afroasiatica, la cui origine risale in linea diretta a quella del Sapiens, è rappresentato dal ramo niger-kordofaniano (o niger-congo) che, come già anticipato in precedenza, rappresenta il più grande macro-gruppo linguistico che, con ben 1.436 lingue singole, ovviamente qui non citabili anche perché collegate a popolazioni ed etnie ai più del tutto sconosciute, comprende tutte le popolazioni africane nell’area centro-meridionale

*                  Una famiglia linguistica a sé stante, ancorchè in qualche collegabile all’afroasiatico viste alcune affinità, è quella della regione del Sahel definita nilo-sahariana. E’ la lingua, con diverse diramazioni locali, delle popolazioni che, dal 6.000/5.000 a.C., acquisite le tecniche agricole, si sono insediate nella vasta area del Sahel che, a sud del Sahara attraversa il continente africano da Est ad Ovest. Inizialmente, e almeno fino al 2.000 a.C., alcuni rami di queste migrazioni avevano interessato una parte del Sahara, al tempo non così inospitale come ai giorni nostri (la desertificazione si è accentuata a causa del progressivo spostamento a Sud delle direttrici dei monsoni). La famiglia nilo-sahariana del Sahel comprende circa 200 lingue, fra le quali il luo del Kenia, il dinka del Sudan, il testo dell’Uganda ed il masai della Tanziana.

*                  Nella direzione opposta, scavalcato il Medio Oriente, si entra nella parte dell’Asia orientale caratterizzata dal macro-gruppo linguistico più ricco di parlanti: le lingue sinotibetane. La loro area di diffusione comprende infatti un territorio molto vasto e molto abitato, all’interno del quale è evidente la prevalenza della componente linguistica cinese (sino). Ed è collocata nel Nord della Cina l’area del più antico insediamento neolitico, del V millennio a.C., considerato come quello di origine di questa famiglia linguistica. Da lì si sono poi diramate successive ondate migratorie che hanno progressivamente coperto l’intera Cina, l’altopiano tibetano e la regione birmana. Come sempre lungo il tragitto percorso (stop and go) la protolingua comune si è differenziata in più idiomi: il solo cinese, accanto a quello prevalente il mandarino, ne conta almeno altri otto senza contare quelli a valenza locale, la componente tibetana, o meglio tibeto-birmana, almeno altri sette. L’influenza cinese è persino più percepibile nella lingua scritta che, lì nata almeno verso il 1.200 a.C. sotto la dinastia Han, ha improntato con il suo peculiare alfabeto a segni grafici quella vietnamita, coreana (poi passato dal 1500 d.C. ad un proprio alfabeto) e lo stesso giapponese (che la integra con altri segni). Nel precedente Capitolo 5 si è già evidenziato che il giapponese parlato rappresenta una lingua a sé stante, della quale non sono ancora state individuate con sufficiente certezza le origini.

*                  La pressione migratoria cinese ha contribuito in modo significativo alla nascita di un’altra famiglia linguistica: quella austronesiana. Di formazione più recente, datata attorno al 3.000 a.C., interessa popolazioni geneticamente distinte da quella cinese che, spinte a sud dalla pressione degli agricoltori cinesi, hanno progressivamente occupato in successione verso Sud: Thailandia (è ancora dibattuto se la lingua Thai possa rientrare nella famiglia sinotibetana), Malesia, Formosa, Filippine, Indonesia. In successive espansioni questo ceppo linguistico è inoltre divenuto quello delle lingue del Madagascar e dell’Isola di Pasqua, per giungere sino ad interessare Australia e Nuova Guinea (dove, come si è visto nel precedente Capitolo 3 si è affiancato alle distinte lingue della prima ondata migratoria Sapiens) . Non stupisce quindi che anche questa famiglia conti un numero molto alto di lingue, quasi 1.300, fra le quali, citando solo quelle più risapute: malese, indonesiano, giavanese, balinese, molucchese, lingue del Borneo, delle Filippine, formosano, gruppo linguistico oceanico.

*                  L’ultima macro-famiglia linguistica da esaminare è quella altaica. E’ un macro-gruppo che contiene alcune decine di lingue ed idiomi, suddivise in tre filoni: mongolico – tunguso – turco, tutte riconducibili ad una comune protolingua posseduta da popolazioni, poi migrate, inizialmente insediate nella regione dei Monti Altai in Mongolia. Se non sembra avere sufficiente consistenza l’ipotesi, sostenuta da alcuni studiosi, di far rientrare in questo macro-gruppo anche il coreano e lo stesso giapponese, fra le lingue attuali ascrivibili alla famigli altaica quelle più rilevanti sono: l’uzbeco, l’azero, il turkmeno, il kazako, il turco propriamente detto.

*                  Per chiudere questa sinteticissima panoramica globale dell’evoluzione linguistica avvenuta nello Stadio 4 fino alle soglie della contemporaneità occorre riprendere la situazione, già delineata nel Capitolo 3, ancora relativa agli ultimi sviluppi dello Stadio 3. Le protolingue del Nuovo Mondo appartenenti a questa fase della storia delle lingue hanno conosciuto uno sviluppo caratterizzato da una accentuata localizzazione di popolazioni non numerosissime e relativamente separate fra di loro che ha portato alla nascita di più di mille famiglie linguistiche, le più antiche delle quali risalgono a circa 6.000 anni fa. In successione cronologica fra gli altri troviamo i gruppi: Algonchino (NordEst America del Nord) – Otomangue (Messico) – Uto-atzeco (America Centrale) – Tupi (Il più grande dell’America del Sud) – Quechua (altopiani andini) – Maya (Messico meridionale) – Irochesi (Nord America, Canada) – Sioux (grandi pianure USA)

Capitolo 9 =  Frutti linguistici tardivi

Anticipiamo, saltando il Cap. 8 che riprenderemo subito dopo per averlo in stretta relazione con il Capitolo 10 finale, questo Cap. 9 che ci permette di completare il quadro linguistico complessivo

Non solo e non tanto perché copre una rilevante parte del pianeta, ma soprattutto per la sua particolarità di formazione, il mondo delle lingue creole e/o pidgin ha un valore notevole. Con questi termini si definiscono infatti lingue di recente formazione che, nate sul ceppo di un’altra lingua, l’hanno radicalmente modificata soprattutto semplificandola. Gran parte delle lingue creole e/o pidgin, a volte usate come prima lingua (creola) a volte come seconda (pidgin), si è definita in diverse parti del mondo, tutte caratterizzate da processi di colonizzazione (Giamaica, Haiti, le Antille in genere, ma anche alcune aree di Papua, Nuova Guinea, Australia, del Sud America, Camerun, Kenya, Congo, Sud Africa) fino a formare un totale di 170 lingue parlate da diverse centinaia di migliaia di persone, cometrasformazionedelle lingue dei “colonizzatori”: Inglese, Francese, Portoghese, Spagnolo, Nederlandese, Tedesco, Russo. La particolarità della loro formazione ha incentivato studi attorno all’ipotesi della sua validità come modello linguistico evolutivo in generale. Non mancano però perplessità al riguardo stante il fatto che non sempre i processi di evoluzione linguistica come derivazione da un'altra lingua si sono manifestati nella forma di una “semplificazione”, spesso infatti è avvenuta al contrario una loro evoluzione più complessa.

Capitolo 8 =  Lingue, tecnologie, religioni

Per meglio comprendere le dinamiche linguistiche contemporanee recuperiamo pertanto il Capitolo 8 che evidenzia il decisivo ruolo di tecnologia e religione nell’evoluzione linguistica

La storia delle lingue è infatti anche la storia delle tecniche e delle tecnologie umane. Che hanno consentito la loro diffusione, che hanno sollecitato il loro perfezionamento, che hanno arricchito il vocabolario, stimolando al tempo stesso forme nuove di pensiero e quindi nuove relazioni linguistiche. Se è difficile sulla base dei reperti disponibili individuare i possibili drift (accumuli, aggiunte) linguistici dell’età della pietra, non ci sono invece dubbi, grazie a precise evidenze in tal senso, dei salti linguistici avvenuti con la rivoluzione agricola (da 12.000/10.000 anni fa) e quella metallurgica (da 4.000/3.000 anni fa) lungo le direttrici della loro diffusione quasi sempre collegata a flussi migratori spesso già in loro possesso. La stessa scrittura, la cui influenza sullo sviluppo delle lingue non richiede certo spiegazioni, deve essere considerata a tutti gli effetti una tecnica. A partire dalle proto-scritture (6.000/5.000 anni fa), molte delle quali si sono estinte con la scomparsa delle civiltà che le avevano create, per passare alle scritture, e relativi alfabeti, (in particolare il latino e l’arabo) che hanno avuto successo anche grazie alla loro diffusione, è indubbio il legame con un complessivo arricchimento linguistico. Lo stretto legame tra scritture e religioni, compreso il loro linguaggio liturgico, ha accentuato di molto il ruolo di questa “tecnica” nello sviluppo linguistico e su quello culturale in senso ampio.

Capitolo 10 =  Presente e futuro delle lingue

I profondi cambiamenti avvenuti con la crescente globalizzazioni delle relazioni umane ha ovviamente avuto una rilevante incidenza sui processi linguistici. Da una parte il predominio economico e politico dell’Occidente ha imposto l’inglese come lingua universalmente adottata in molti ambiti, una tendenza che si vieppiù accentuata con l’avvento delle tecnologie informatiche ed il mondo dei social. Non a caso quindi molti vocaboli inglesi, non di rado “storpiati”, sono ormai accettati nello stesso vocabolario di molte madri lingue. Su un versante opposto gli squilibri economici, le tensioni geo-politiche, e la stessa naturale tendenza umana allo spostamento, hanno a partire dall’inizio del secolo scorso prodotto, in un mondo ormai compattato, movimenti migratori di impressionanti dimensioni, che hanno creato, nei “paesi ricchi” meta delle migrazioni, comunità spesso molto consistenti portatrici di lingue differenti da quella locale. La fotografia della distribuzione delle lingue nella varie aree del mondo è così divenuta del tutto squilibrata, con ampi territori con poche comunità linguistiche ed altre parti del pianeta molto più ristrette con un consistente numero di lingue autonome spesso a strettissimo contatto. In generale l’ordine gerarchico, a scendere, per lingue presenti è così composto: Asia, Africa, America, Australia, Europa, la quale è quindi la macroregione del mondo con il numero più esiguo di lingue regionali. Non diversamente dai processi di formazione/contaminazione esaminati in precedenza il contatto, sempre più accentuato, fra culture e relative lingue non può non avere profonde ricadute di ordine linguistico. Si tratta di un fenomeno molto complesso sul quale intervengono numerosi fattori - economici, sociali (fra i quali i sistemi di istruzione scolastica giocano un decisivo ruolo), politici, culturali in senso lato, di costume – che incidono creando inevitabili influenze di segno opposto. La situazione europea è un esempio indicativo in questo senso. L’Europa è al tempo stesso un continente piccolo, in relazione agli altri, poco abitato (la popolazione europea vale il 12% di quella mondiale, si stima che nel 2030 sarà scesa all’8%), con un numero esiguo di lingue autoctone (143, vale a dire il 2,2% di tutte le lingue del mondo), ma le cui lingue, dopo secoli di colonizzazione mondiale, hanno conosciuto una vastissima diffusione globale. Attualmente la maggioranza di chi parla lingue come inglese, spagnolo, portoghese, francese vive in regioni extraeuropee. In compenso nonostante i consistenti flussi migratori giunti in Europa (che hanno ormai creato una compresenza di lingua mai così alta come ai nostri giorni) gli europei restano monolingui, solo una piccolissima parte della popolazione europea utilizza stabilmente altre lingue oltre quella madre (quasi sempre sono aree dove da tempo esistono minoranze etniche e linguistiche, come ad es. la Catalogna, la Galizia, la Bretagna, la Valle d’Aosta, l’Alto Adige, il Friuli). In questo quadro si sono attivati interessanti meccanismi di reciproca contaminazione (vedi nel Capitolo 9 i processi di nascita delle lingue creole e pidgin) i cui esiti potranno essere stimati solo fra qualche decennio. Più in generale la commistione linguistica globale sta delineando un insieme di processi linguistici, valutabili per l’appunto solo su tempi lunghi, che si muovono tra due poli: nascita ed estinzione. Mezzo secolo fa esistevano pochissime lingue parlate da almeno cento milioni di persone, oggi sono dodici, ed ormai il 76,5% della popolazione mondiale parla, come prima lingua o come seconda, almeno una di questegrandi” lingue. In ordine di grandezza sono: Cinese, Inglese, Hindi, Spagnolo, Russo, Arabo, Bengalese, Portoghese, Indonesiano, Francese, Giapponese, Tedesco. E’ lecito attendersi che in questo elenco confluiranno a breve una o più lingue africane, stante l’incremento demografico dell’Africa. La stragrande maggioranza delle lingue mondiali è quindi composta da tutte le restanti, all’interno di queste prevale di molto il numero di quellepiccole” parlate cioè da meno di un milione di persone, ma almeno da più di mille. Resta infine una categoria, quella delle lingue “nane”, sono quasi duemila, i cui locutori, messi insieme, non superano il mezzo milione di persone. E’ legittimo ipotizzare che il trend di estinzione di lingue locali, già manifestatosi negli ultimi due secoli, proseguirà con il rischio di cancellare un patrimonio culturale di inestimabile importanza. Sarà poi il tempo a dire da quali saranno sostituite, se solo da quelle “consolidate grandi” o da nuove lingue che nasceranno da fenomeni accentuati di contaminazione. Tutte comunque, grandi comprese, saranno soggette a mutamenti profondi della varietà funzionale degli strumenti generali di comunicazione.

L’umanità si trova da tempo investita da processi innovativi di comunicazione che non poggiano più solo sulla lingua, scritta e parlata (spesso la mono-lingua inglese). Incidono sempre più dati, algoritmi, immagini, segni e disegni convenzionali, in una sorta di “delirio digitale” che sta modificando alla radice lo stesso concetto di “sapere”. Quale sarà il ruolo delle lingue, così come l’umanità le ha create ed utilizzate fin qui, è storia ancora tutta da scrivere.