domenica 26 novembre 2023

Video della conferenza del 22 Novembre - relatrice prof.ssa Valentina Pazè

 Sperando di fare cosa gradita a tutti coloro che non hanno potuto presenziare di persona (modalità che riteniamo comunque restare quella da preferire perchè più consona con lo spirito delle nostre iniziative mirate a rafforzare i legami sociali e personali), ed anche a quelli che, pur avendo partecipato, abbiano piacere di riprendere i passaggi che di più li hanno interessati, pubblichiamo il video della partecipata conferenza tenuta, in data 22 Novembre, presso l’auditorium D. Bertotto, dalla prof.ssa Valentina Pazè (docente di Filosofia Politica presso l'Università di Torino) con titolo:

Libertà in vendita - Il corpo delle donne fra scelta e mercato”

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venerdì 17 novembre 2023

Video della conferenza del 08 Novembre relatrice la prof.ssa Farian Sabahi

Sperando di fare cosa gradita a tutti coloro che non hanno potuto presenziare di persona (modalità che riteniamo comunque restare quella da preferire perchè più consona con lo spirito delle nostre iniziative mirate a rafforzare i legami sociali e personali), ed anche a quelli che, pur avendo partecipato, abbiano piacere di riprendere i passaggi che di più li hanno interessati, pubblichiamo, scusandoci per la non eccelsa qualità delle riprese, il video della partecipata conferenza tenuta, in data 08 Novembre presso l’auditorium D. Bertotto, dalla prof.ssa Farian Sabahi (docente di Storia Contemporanea del Medio Oriente presso l'Università dell'Insubria-Varese) con titolo:

Donne, vita e libertà – I diritti negati nella Repubblica Islamica dell’Iran”

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mercoledì 15 novembre 2023

IL "Saggio" del mese - Novembre 2023

 

Il “Saggio” del mese

 NOVEMBRE 2023

E’ ormai dato geopolitico consolidato l’acquisita centralità della Turchia di Erdogan nello scacchiere internazionale. Non mancano quotidiane conferme in tal senso e sono tali da aver ormai indotto gli esperti del settore a prestare molta attenzione a cosa si muove nella Repubblica turca. A questo costante, e crescente, interesse non sembra però corrispondere, perlomeno finora, un’analoga curiosità nell’opinione pubblica, peraltro poco sollecitata da una scarsa informazione di qualità da parte dei media. Cerchiamo con questo post di fornire un modesto contributo a recuperare una maggiore conoscenza di un paese comunque destinato nel prossimo futuro a mantenere, se non a sviluppare, questa sua acquisita centralità. Per farlo abbiamo scelto come Saggio di questo mese ……….

il cui autore è Marco Ansaldo

Marco Ansaldo (1959), già inviato speciale de «la Repubblica» per la politica internazionale, oggi è analista geopolitico, consigliere scientifico di «Limes» da Istanbul, vaticanista per «Die Zeit» e consulente de La7 per il programma Atlantide. Ha insegnato all’Università Luiss e ha collaborato con Rai Radio3

 

Cap. 1 = Istanbul incrocio di civiltà

Quanto successo nella scena geopolitica globale negli ultimi due decenni sta quindi imponendo una maggiore attenzione alle dinamiche interne ed esterne della Turchia odierna. Per meglio capirle è però premessa recuperare, anche solo molto sommariamente, che cosa questo paese e soprattutto la sua capitale storica, Istanbul, ha rappresentato nella storia dell’intero Medio Oriente e dell’Europa. E’ bene, in primo luogo, tenere in parte distinte queste due realtà, non sempre infatti, ed ancora oggi sembra essere così, Istanbul e Turchia sono pienamente coincise nel loro sentire profondo. (Istanbul rappresenta solo il 3% del territorio turco, ma con i suoi attuali 16 milioni di abitanti, che si presume presto diverranno 20 milioni, vale circa il 20% dei circa 85 milioni della popolazione turca). Ciò detto resta indiscutibile che è alla città che si affaccia sul Corno d’Oro che bisogna guardare per capire il passato, il presente, ed il possibile futuro, di tutta la Turchia

 è bene ricordare che il nome inglese “Turkey”, non a caso formalmente mutato nel 2022 nel nazionale “Tùrkiye, non è mai piaciuto in patria. La ragione è che in inglese turkey significa anche “tacchino” e ciò ha spesso dato spazio a ironiche battute comprensibilmente mal digerite dai turchi

La ragione consiste soprattutto nel fatto che da sempre è a Istanbul che si manifesta lo “strabismo turco”, con un occhio che guarda ad Oriente ed uno volto ad Occidente. E’ qui che poggia l’orgoglioso ritenersi il ponte di due mondi, è qui che tale orgoglio è spesso evoluto, ed anche ai nostri giorni sembra essere così, nell’ambizione di possedere una riconosciuta centralità geopolitica e culturale

L’attuale simbolo fisico di questo vantato status è rappresentato dal “ponte sul Bosforo”, di notte sempre illuminato di rosso, il colore della bandiera turca. Erdogan ne ha poi cambiato il nome in “Ponte dei Martiri del  15 Luglio” in onore dei caduti nella difesa del suo governo dal tentato golpe del 2016

Istanbul non è sempre stato il nome di questa città che come Roma poggia su sette colli:

*   viene fondata nel 667 a.C. come colonia greca con il nome di Bisanzio,

*   per essere poi scelta dall’imperatore Costantino come luogo in cui erigere nel 324 d.C. la “Nuova Roma”, la capitale dell’Impero Romano d’Oriente (altrimenti detto Impero bizantino), non a caso battezzata nel 330 d.C. con il nuovo nome di Costantinopoli, nome che manterrà a lungo fino alla definitiva caduta di tale Impero nel 1453

*   l’Impero Ottomano (1299-1922) la conquista in tale anno e qui sposta dal Cairo la sua capitale che assume, informalmente, il nome di Istanbul (forse di derivazione dal greco “istin polis” che significa “verso la Città”

*   tale nome però diventa quello ufficiale solamente nel 1930 con la nascita della Repubblica Turca

Anche questo mutare di nome testimonia l’evoluzione dello strabismo di cui si è detto, che sembra però arrestarsi con l’avvento della civiltà ottomana quando il neonato Impero è di fatto, e come tale viene ritenuto e vissuto, una potenza globale a sé stante. Sono due le caratteristiche che contraddistinguono questo passaggio e che ancora oggi sono rintracciabili nella cultura turca:

*   un forte approccio guerriero, militaresco, del potere

*   una indubbia propensione istituzionale che si è tradotta nella creazione di una struttura statale molto articolata e pervasiva

I mille anni di vita dell’Impero Romano d’Oriente hanno visto una rispettosa convivenza delle due anime religiose cristiana e mussulmana, terminata nella seconda metà del 1500 con le frequenti guerre, innescate dalle ambizioni espansive turche, fra le potenze europee e l’Impero Ottomano. La battaglia di Lepanto del 1571 ed il fallito assedio di Vienna del 1683 sono le due date cardine che ne segnano la progressiva decadenza, geopolitica ma anche culturale, durata per ben duecentocinquant’anni fino al 1922. In questo lungo arco storico l’orgoglio turco è costretto a mordere il freno a fronte dell’avanzare del potere economico, prima ancora che militare, dell’Europa industrializzata. Non a caso la Repubblica Turca nata nel 1923 con a capo il generale Mustafa Kemal, detto Atartuk (Padre dei Turchi) si conforma a questa svolta geopolitica epocale e assume una impronta decisamente “moderna” (il fatto che questa svolta sia stata opera di capi militari è l’ulteriore prova delle innate tendenze militari turche). Nasce così una struttura istituzionale laicizzata e occidentalizzata con forti innovazioni in tutti i settori della società e della stessa cultura turca. Ancora oggi, dopo ottant’anni dalla sua nomina a presidente, Atartuk è oggetto di un vero e proprio culto, ma ciò non ha impedito che in modo occulto sia tornata a presentarsi una qualche ritrosia, in buona misura di carattere religioso, verso quello che viene da alcuni giudicato un eccesso di modernismo. Sono questi i due tratti storici, forte laicismo repubblicano e insofferenza verso i suoi canoni, che caratterizzano la Turchia odierna, la linea di frattura fra Istanbul ed il resto del paese, fra le grandi città e le campagne dell’Anatolia. Ed è in questa Turchia che nel 2003 viene eletto Primo Ministro l’ex sindaco di Istanbul Recep Tayyip Erdogan. L’analisi della Turchia (che quest’anno celebrerà i cent’anni di vita dell’odierna Repubblica) del XXI secolo non può prescindere da quella del personaggio politico che, nel bene e nel male, la sta rappresentando da ben tre decenni, la sua metamorfosi da politico nazionale non poco controverso, e non più tardi dell’Ottobre 2021 ritenuto dalla stampa internazionale sul viale del tramonto, a figura centrale dell’attuale contesto geopolitico globale è elemento essenziale per capire cosa significa oggi il nome Turkiye. E’ indubbio che il ruolo esercitato dalla Turchia di Erdogan nel contesto globale sconvolto dalla guerra in Ucraina non può essere considerato solo come il frutto di fortunate coincidenze perché in effetti rappresenta il suggello di una svolta tanto contraddittoria quanto, al momento, vincente. Un salto di qualità che arriva pochi anni dopo l’intesa lucrosa sancita con la UE in clamoroso affanno nella gestione dei flussi migratori (va riconosciuto che la Turchia sta gestendo da tempo un flusso di ben cinque milioni di profughi, un numero che fa impallidire quelli, ben più ridotti, di tutti i paesi europei). In entrambe queste vicende Tayyip bey (il “signor Tayyip”, così è chiamato in patria, o anche solo “lui”) ha dimostrato di essere scaltro, abilissimo, perché no anche fortunato, tutte qualità maturate e coltivate, fino a rappresentarle, nelle pieghe dell’odierna Turchia. Erdogan non nasce né ricco né acculturato, è infatti originario del quartiere povero di Kasimpasa di Istanbul, a due passi dai quartieri bene di piazza Taksim e Gezi Park (al centro delle proteste di piazza del 2013 contro i suoi faraonici, e devastanti, progetti di sviluppo edilizio) da una famiglia umile e, soprattutto la madre, molto religiosa. Non deve quindi stupire che il giovane Tayyip a undici anni sia iscritto ad una scuola mussulmana che forma futuri predicatori, una formazione che, seppure non protratta a lungo, si rivelerà una sua costante (militerà a lungo nel movimento islamico radicale “Millì Gorùs (La visione nazionale)” e verrà persino arrestato in uno dai tanti scontri con le forze militari). Gioca anche bene a calcio (arriva a sfiorare il professionismo) ed anche in questo caso, segno premonitore, il suo ruolo in campo è quello di regista della squadra. Riesce ad iscriversi all’università alla facoltà di economia, laureandosi con ottimi voti. Gli anni dell’università sono quelli che vedono nascere la sua passione per la politica, si iscrive convintamente ad un gruppo studentesco di destra anticomunista, maturando così, accanto a quella religiosa, la seconda fondamentale componente della sua impronta politica. La sua crescita politica, e la collegata scalata verso posti di responsabilità, è molto rapida e lo porta a maturare la convinzione che l’eccesso di estremismo religioso non ha possibilità di successo, su questa base è tra i fondatori di un nuovo partito l’AKP (Adalet Kalkinma Partisi, Partito della giustizia e dello sviluppo) con chiare posizioni di centro, di cui diventa in breve il leader indiscusso. E’ la mossa vincente, l’AKP guadagna molto velocemente consensi fino a divenire il primo partito alle elezioni del 2002, grazie all’appoggio dei ceti popolari, affascinati dalla cauta centralità, e di quelli altolocati, convinti dal suo deciso appoggio all’economia di mercato e dalle sue inflessibili logiche. Consiste in questa visione di fatto neoliberista la sua terza caratteristica politica. Sono queste le basi sulle quali costruisce con sapiente astuzia il suo intero percorso da leader del paese iniziato nel 2003 (sarà Primo Ministro fino al 2013, per poi divenire nel 2014 Presidente della Repubblica con pari poteri). Da subito usa un pugno duro, molto duro, con i suoi oppositori: ridimensiona il potere del ceto militare imponendo generali a lui vicini (lo stesso farà successivamente con la sfera giudiziaria) e mette un crescente bavaglio sull’informazione. La sua leadership è fortemente contestata soprattutto dal mondo giovanile (insofferente verso il suo conservatorismo religioso), dagli abitanti delle grandi città, Istanbul in testa (quelli più colpiti dalle sua politiche economiche) e dagli intellettuali (che di più si appongono alla sua gestione autoritaria e liberticida). A questa importante, anche se divisa, opposizione Erdogan è riuscito sin qui a tenere testa (ha ancora vinto le elezioni generali della primavera 2023, quelle più combattute e con esito sino all’ultimo incerto) grazie all’inossidabile appoggio della Turchia rurale e più legata all’islamismo. La Turchia di Erdogan in questi venti anni ha conosciuto una relativa crescita economica (anche se il debito pubblico turco, oltremodo aumentato per le crescenti spese militari e per le faraoniche opere pubbliche, sta seriamente rischiando di divenire ingestibile) ed una controversa collocazione geopolitica, Erdogan è riuscito, alternativamente, a venire ai ferri corti con tutti i protagonisti della scena politica globale, dalla UE agli USA, dalla stessa Russia a parte degli Stati Mediorientali, dall’antica rivale Grecia alla NATO. Le crescenti difficoltà interne, la diffidenza estera, hanno portato la Turchia ad un picco di pericoloso isolamento nel 2021, storicamente il punto più basso della gestione di Erdogan. L’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022 ha improvvisamente rappresentato una svolta del tutto imprevedibile e inaspettata, colta in modo straordinario proprio dall’abilità tattica e dall’astuzia politica di Erdogan …… a dispetto di tutto e tutti Tayyip bey è oggi considerato il politico più scaltro sulla scena politica internazionale …..

Lo testimoniano, in aggiunta al ruolo che la Turchia ed il suo leader stanno giocando nel conflitto russo-ucraino (sono finora stati gli unici a raggiungere alcuni. per quanto parziali, accordi, come quello sul trasporto del grano), vicende come l’estenuante trattativa per l’ingresso turco nella UE (prospettiva che oggi interessa molto meno la Turchia e che, se mai avverrà, la vedrà comunque negoziare da posizioni di forza), e quella per l’accoglimento e la gestione dei flussi migratori dall’Est, e poi ancora il braccio di ferro con la Nato per l’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza Atlantica

E’ quindi indubbio che la rilevanza geopolitica della Turchia si spiega proprio con la sua capacità di cogliere e sfruttare al meglio le occasioni che quest’epoca di profondi mutamenti può offrire. E’ altrettanto importante tenere in giusta considerazione, per meglio capire le sue prossime mosse interne ed esterne, le sue personali caratteristiche politiche qui velocemente ripercorse che riflettono quelle di gran parte della società turca: profondo attaccamento ai valori dell’islamismo, un forte legame con una visione politica decisamente orientata a destra, una totale adesione alle concezioni neoliberiste del mercato, un’innata propensione dispotica all’esercizio del potere, una mai celata ambizione a riportare la Turchia, in posizioni di forza, al centro delle relazioni tra Occidente e Medio Oriente. Tutto ciò acquisito, è pur vero che la società turca è un crogiolo di tendenze molto marcate e molto differenziate. Un recente avvenimento consente di meglio leggerle: il devastante terremoto del Febbraio 2023. L’intera Anatolia è purtroppo considerata zona ad altissimo rischio sismico (non diversamente da San Francisco gli esperti prevedono, con tempistiche imprevedibili, un futuro terremoto, il Big One, capace di devastare la Turchia tutta e Istanbul in particolare) confermato dal devastante terremoto del 1999 (quasi 18.000 vittime) che distrusse intere cittadine e villaggi per nulla attrezzati per fronteggiare un simile evento. “Mai più” si disse allora, e “mai più” fu anche uno degli slogan che consentì a Erdogan di vincere le elezioni generali del 2003. La sua idea della “nuova Turchia” prevedeva infatti anche politiche antisismiche molto rigorose. Poco più di vent’anni dopo, nel Febbraio 2023, un altro terremoto, tre volte più potente di quello del 1999 ha fatto spaventosamente tremare Turchia e Siria, causando circa 50.000 morti, 40.000 dei quali nella sola Turchia. Una vera tragedia provocata dalla devastante forza della natura, ma anche dalla fragilità di molte delle nuove costruzioni erette dopo il 1999, in teoria rispettose delle recenti norme antisismiche. La rabbia popolare è stata molto forte e da subito si è indirizzata verso i costruttori responsabili di tali criminali speculazioni e contro politici e amministratori loro complici (la Turchia è il paese dei condoni edilizi, ben 25 negli ultimi cinquant’anni, buona parte dei quali sotto Erdogan). Una rabbia che è arrivata a sfiorare lo stesso Erdogan tanto da contribuire non poco all’esito incerto delle elezioni generali del successivo Maggio 2023 (vinte solo al ballottaggio con il 52% dei voti, contro il 48% del candidato dell’opposizione che, per quanto favorita nei sondaggi precedenti, non si è presentata sufficientemente compatta al voto. Notevole il fatto che abbia votato più dell’88% degli elettori). Il sisma non ha messo solo a nudo inefficienza e malaffari ma ha anche evidenziato le contraddizioni del sogno della “nuova Turchia”, la più importante delle quali, pilotata da Erdogan in primis, consiste nell’aver lasciato, stante la sua neoliberista visione del mercato, spazi enormi ai profitti privati e con un ribaltamento simil keynesiano, anche grazie ai faraonici investimenti in infrastrutture pubbliche

fra i quali il nuovo ponte sul Bosforo, il nuovo mega aeroporto di Istanbul, i due tunnel sottomarini sempre nel Bosforo, diverse linee ferroviarie e autostradaliIn aggiunta a tali innovative infrastrutture i governi di Erdogan hanno attuato politiche urbanistiche quanto mai permissive e prive di ogni rispetto per l’ambiente. La famosa rivolta di Gezi Park del 2013, che fece tremare non poco lo stesso Erdogan, è avvenuta proprio per opporsi allo smantellamento del parco per fare spazio all’ennesima gigantesca opera pubblica. A questo elenco di  esorbitanti voci di spesa va poi aggiunta quella, davvero considerevole, per spese militari, non a caso l’esercito turco è considerato fra quelli meglio armati e meglio equipaggiati

La “nuova Turchia” non è quindi consistita in un ammodernamento sociale e istituzionale, ma in un unico gigantesco cantiere, con pesanti conseguenze sui conti statali e sul debito pubblico, relativamente tenuto sotto controllo grazie ad una politica inflazionistica che sta impoverendo all’inverosimile il paese (da quattro anni l’inflazione turca è stabilmente a due cifre, ed ha raggiunto ad agosto 2023 il 58,9% su base annua avendo raggiunto nell’Ottobre 2022 la stratosferica percentuale dell’85,5%). E’ davvero sorprendente che in un quadro simile Erdogan sia, seppure a fatica, riuscito ad essere rieletto, segno evidente di un consenso di natura ideologica, unito al vanto di un riacquistato prestigio geopolitico, che va ben oltre la gestione reale del paese. Alla terra che trema e che così fa tremare, ma ancora non abbastanza, il quadro politico la Turchia di Erdogan cerca di compensare volgendo lo sguardo verso il mare. L’espansione da grande potenza turca non avverrà, se mai avverrà, sulla terraferma, troppi sono gli ostacoli, ma conquistando l’egemonia marittima. Questa strategia, che si innesta in quella della nuova Turchia”, ha anch’essa un nome che è un programma: “la Patria blu”, una autentica dottrina militare marittima che mira a rafforzare le difese delle acque territoriali turche e al tempo stesso a cogliere ogni possibile occasione per ampliare l’influenza diretta su altre aree. Poco interessa ormai la vocazione atlantica alla base della Nato alla quale la Turchia aderisce in posizioni (spesso discordanti) di forza, sono infatti altri i mari a cui guarda “la Patria blu”: l’intero Mediterraneo centro-orientale, ed in particolare il Mar Egeo, ed il mar Nero. Questa strategia non implica soltanto l’incremento delle spese per potenziare la flotta militare, ma anche un progetto a dir poco epocale: il Kanal Istanbul, un nuovo canale artificiale, parallelo al Bosforo (che verrebbe così decongestionato, attualmente è attraversato da 46.000 navi ogni anno, rispetto alle 19.000 del Canale di Suez, di cui 10.000 sono petroliere) in grado di consentire il raddoppio del numero di navi che transitano ogni anno dal mar Nero al mar di Marmara e di ottimizzare il loro collegamento (attraverso lo stretto dei Dardanelli, già sotto controllo turco) con lo stesso Mar Egeo.

La guerra russo (che molti osservatori collegano in buona misura proprio al controllo del Mar Nero) sta infatti confermando la centralità strategica di questo mare. Il Kanal Istanbul è un’opera dai costi stratosferici e di devastante impatto ambientale (si tratta di un canale artificiale lungo 45 km, largo centinaia di metri, e dotato di adeguate infrastrutture portuali), il cui progetto è fortemente ostacolato da un fronte ampio di oppositori interni e guardato con preoccupazione da Grecia e Russia, ma Erdogan, anche grazie al decisivo appoggio finanziario del Qatar, non intende retrocedere. L’ambizione strategica della “Patria blu” non è ovviamente sostenuta solo da motivazioni militari, il controllo e la gestione dei flussi di grano e petrolio non sono meno decisivi, così come l’estrazione ed il trasporto di gas, spiegano la volontà di aumentare l’influenza turca sul mare Mediterraneo centro-orientale e la scelta di Erdogan di intervenire in prima persona nella complicata situazione libica

Nel 2019 Turchia e Libia hanno firmato un Memorandum d’intesa che prevede, in cambio del supporto militare turco al governo di Tripoli, la possibilità per la Turchia di avanzare rivendicazioni su importanti fette di mare nell’area dell’isola di Cipro e di esercitare così un controllo diretto sui corridoi chiave di approvvigionamento energetico verso la UE. Bene si spiega quindi il forte disaccordo della Grecia, ma anche della stessa UE. E’ inoltre bene evidenziare che l’interesse turco per la Libia è propedeutico ad ambizioni molto più grandi che investono buona parte dell’Africa nord-orientale. Una strategia che spiega le notevoli frizioni ormai in corso fra Turchia e Arabia Saudita ed Emirati Arabi (con il Qatar, come si è detto, molto vicino alla Turchia

Si è quindi di fronte a visioni strategiche di ampio respiro che, per quanto si è sin qui potuto constatare, giustificano l’ipotesi, avanzata da molti commentatori, di un ritorno di fiamma delle storiche ambizioni turco-ottomane ad essere non solo un fondamentale crocevia nel quadro geopolitico Occidente/Medio Oriente, ma persino una potenza in grado di esercitare “in loco” un controllo politico ed economico su vaste aree a ridosso del Mediterraneo orientale. E’ però altrettanto evidente che un granello di sabbia, ormai da tempo, rischia di compromettere i meccanismi di questo processo: la Turchia di Erdogan deve cioè risolvere una volta per tutte la questione curda (del peso di questo “granello di sabbia” sono recenti testimoni le stesse complicate trattative con la Nato per l’ingresso di Finlandia e Svezia, paesi che tradizionalmente sostengono la resistenza curda e che ospitano molti suoi esuli). Non esiste un censimento esatto del popolo curdo che, vittima dell’assurda divisione del Medio oriente in Stati fittizi attuata dalle potenze europee e dagli Stati Uniti, all’indomani della 1° Guerra Mondiale e della fine dell’Impero Ottomano, vive a cavallo di più Stati mediorientali e soprattutto nella Turchia (secondo alcune stime i curdi oscillano tra i 35 e i 45 milioni compresi i numerosi loro esuli in diversi paesi europei, in particolare in Germania e nel Nord Europa) a formare un’area etnica, non istituzionalizzata in Stato autonomo, denominata “Kurdistan” (il paese dei Curdi)


La legittima ispirazione del popolo curdo di creare un proprio Stato si è da sempre scontrata con le pretese territoriali di Iran, Iraq, Siria, e soprattutto Turchia. Sono ormai quarant’anni che tra il movimento di liberazione curdo (che in Turchia è formalmente rappresentato dal PKK “Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e la Turchia è in corso una guerra (tecnicamente definita “di bassa intensità”) che fra attentati e repressioni ha provocato non poche vittime senza portare ad alcun concreto risultato. Il conflitto si è semmai allargato e, coerentemente con la speranza turca di chiudere con le armi la questione coniugata con le ambizioni di espansione di cui si è detto, ha così visto nel 2019 l’esercito turco occupare in pianta stabile la regione siriana del Rojava (già al centro della guerra civile siriana che, iniziata nel 2011, ancora non sembra conoscere fine) con costanti ampliamenti

In Rojava oggi vivono quattro milioni e mezzo di persone. Il 60%, la maggioranza, è di etnia curda, seguiti da arabi sunniti (popolazione che ha quasi raggiunto, nel numero, quella curda). Sono presenti anche minoranze cristiane, circa 55 mila persone di diverse confessioni

L’inconciliabilità delle opposte prospettive curde e turche è accentuata dalle caratteristiche della cultura e della società curde che, per molti versi all’opposto di quelle turche, sono caratterizzate da idee democratiche, multietniche, laiche, all’avanguardia per il ruolo delle donne (in prima linea anche nel conflitto armato) e dichiaratamente ambientaliste. L’ urgenza turca e di Erdogan di eliminare il prima ed il meglio possibile questa spina nel fianco spiega anche l’ambiguo atteggiamento della Turchia verso il Califfato fondamentalista dell’Isis lasciato libero, se non incoraggiato ed aiutato, nel tentativo di annientare la presenza curda

E’ giudizio di molti osservatori che proprio la resistenza curda, simbolicamente rappresentata dall’eroica difesa della città di Kobanè (oggi assediata dalle truppe turche), sia stata la chiave di volta nella caduta del Califfato

Si tratta di un conflitto al momento privo di soluzione anche per la timida e contraddittoria presa di posizione di UE, USA e Nato, troppo vincolate da convenienze geopolitiche tattiche, che in aggiunta conferma il ruolo centrale dell’esercito turco nella gestione del paese. I militari turchi, un potere reale di fatto a sé stante, rappresentano infatti il pilastro fondante della Repubblica fin dalla sua nascita sotto la guida di Atarturk, ed a lungo sono stati i fedeli e severi difensori della laicità dello Stato Turco, tanto da essere ripetutamente intervenuti con colpi di stato di diversa intensità per fermare quelle che, a loro avviso, sembravano pericolosi cedimenti in senso opposto. E’ sostanzialmente questa la ragione che spiega i “golpe” del 1960, del 1971, del 1980, ed ancora nel 2007, con Erdogan già al potere. E’ stato questo un colpo di stato “virtuale” effettuato cioè con annunci che minacciavano l’intervento armato, ma senza doverlo concretamente attuare, ed anche in questo caso la causa scatenante fu il peso del fondamentalismo religioso rappresentato dalla possibilità che la moglie del candidato alla Presidenza proposto ed appoggiato da Erdogan (Abdullah Gùl), fervente mussulmana, potesse entrare con il velo nel palazzo presidenziale di Ankara. Il golpe virtuale ebbe successo e Gùl, senza colpo sparare, ritirò la sua candidatura. Una vicenda che molto deve aver insegnato ad Erdogan facendogli cioè comprendere che la sua ambizione al potere assoluto doveva ridimensionare il potere dei militari. La svolta fu realizzata nel 2016 proprio in coincidenza con un fallito tentativo di golpe contro il suo governo. La dinamica di questo colpo di stato, della cui regia è stato accusato il predicatore Fethullah Gùlen (a suo tempo stretto sodale dello stesso Erdogan) con la complicità di alcuni alti ufficiali (ma non appartenenti allo Stato Maggiore), è stata tale da consentire al Erdogan un totale repulisti dell’intera struttura di comando militare sostituita con uomini di sicura fedeltà. Identico repulisti è avvenuto, unitamente ad una pesante repressione dei media di opposizione, in ambito giudiziario e amministrativo. Le odierne foto del gruppo di comando turco vede, in posizione sempre leggermente defilata rispetto al leader maximo, tre figure di rilievo di cui tenere conto per comprendere le strategie turche: il generale Hulusi Hakar promosso a Ministro della Difesa nel 2020 a repulisti completato, (detto “La sfinge” è al centro del potenziamento e delle azioni dell’esercito di terra e regista dell’operazione “Patria blu”), Ibrahim Kahn, portavoce presidenziale, giovane ambasciatore di mestiere, da molti indicato come il consigliere più ascoltato, ed infine il ministro degli Esteri Mevlùt Cavusoglu, al quale è affidato il compito di partecipare agli incontri internazionali per sostenere il punto di vista turco. Non compare nelle foto ufficiali, ma è da molti indicato come l’eminenza grigia del gruppo di potere di Erdogan, Hakan Fidan, a capo dei servizi segreti turchi. Altri due personaggi rientrano a tutti gli effetti in questa ristrettissima cerchia pur non svolgendo incarichi ufficiali, sono due fratelli, Haluk e Selcuk Bayraktar, a capo dell’azienda di armamenti Baykar, il cui gioiello è rappresentato dai droni di ultima generazione TB2 considerati i migliori in assoluto sulla piazza. Non a caso attorno a questa tecnologia, che conferma il peso delle armi nelle dinamiche di potere turche, si è scatenata una autentica corsa all’acquisto da parte di molti paesi, Ucraina in primis. Si misura anche in questo passaggio l’abilità di Erdogan, l’unico ad aver avviato un canale diretto di consultazioni con Putin, pur essendo di fatto il fornitore dell’arma che tanti problemi sta creando all’esercito russo. Si completa con quest’ultimo dettaglio la panoramica che Marco Ansaldo offre dell’attuale, ritrovata, centralità della Turchia di Erdogan, tale da indurlo a richiamare nel titolo stesso di questo suo saggio la famosa “Marcia turca(sonata per pianoforte K331 di Mozart). Si sta cioè parlando di un processo che come la sonata mozartiana alterna passaggi “andanti” ad altri “lenti”, ma che ha indubbiamente riportato la Turchia, concentrata in Istanbul la sua cartolina più intrigante, ad essere di nuovo “crocevia del mondo”, così come riportato nel sottotitolo. Marco Ansaldo, per farcelo sinteticamente capire, fa entrare in scena il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, da lui assiduamente frequentato. Pamuk vive nella parte europea di Istanbul, e nella sua casa, fatta di molte stanze, ha raggruppato libri di tutte le culture mondiali che lo hanno ispirato e confortato, dedicando ad ognuna di esse una singola stanza. C’è quindi tutto il mondo nella sua casa nella sponda europea. Pamuk ama sottolineare che quando va dal suo dentista che si trova  nella parte  opposta, sulla sponda asiatica, non dice “adesso vado in Asia”, ma semplicemente si sposta in un altro quartiere della stessa città. 




mercoledì 1 novembre 2023

La Parola del mese - Novembre 2023

 

La Parola del mese

Una parola in grado di offrirci nuovi spunti di riflessione

NOVEMBRE 2023

E’ uno stato dell’animo, un modo di relazionarsi con gli altri, una maniera di muoversi nella vita, ma soprattutto è una virtù decisamente fuori moda in questi tempi nevrastenici, urlati, maleducati. Invocarla non è certo sufficiente per ripristinarla, ma ricordarne l’esistenza ci è sembrato un buon modo almeno per provarci …….

Mitezza

 Mitezza = La mitezza è il comportamento o la virtù di chi non indugia alla violenza, mantenendo un atteggiamento pacato e paziente. In ambito filosofico e religioso viene considerata una virtù etica. In ambito etologico e psicologico viene contrapposta all'aggressività

Per recuperarne il significato, e possibilmente anche l’uso, ci affidiamo al breve saggio con omonimo titolo

il cui autore è Eugenio Borgna (1930,psichiatra e saggista, a lungo primario di servizi psichiatrici, fin dai primi esordi ha sempre seguito innovativi metodi di cura incentrati sul dialogo e l’ascolto empatico dei pazienti) 


dalla prefazione:

La mitezza, esperienza umana così importante, e così dimenticata, nella vita personale e sociale, è la più radicalmente lontana dall’aggressività e dall’angoscia, dall’impazienza e dalla fretta, dall’orgoglio e dalla superbia, dall’indolenza e dall’indifferenza, dalla distrazione e dalla sicurezza di sé. La mitezza sconfina nella gentilezza e nella tenerezza, nella timidezza e nella bontà, nella nostalgia e nell’amicizia.

Borgna propone questa sua sentita riproposta del valore della mitezza ripercorrendo riflessioni che ne hanno evidenziato l’importanza ed il suo senso profondo di stare al mondo con gli altri. La prima risale agli albori del cristianesimo, nelle parole pronunciate da Gesù nel  “Discorso della montagna” che nella terza beatitudine afferma “beati i miti perché erediteranno la terra”. In tempi recenti il compianto cardinal Carlo Maria Martini (1927-2012) recupera e valorizza questo passaggio, nel suo libro “Beati voi! La promessa della felicità” del 2012, sottolineando in particolare che “la mitezza è la capacità di cogliere che nelle relazioni personali – che costituiscono il livello propriamente umano dell’esistenza – non ha luogo la costrizione o la prepotenza, ma è più efficace la passione persuasiva, il calore dell’amore”. La sollecitazione alla mitezza del cardinal Martini coniuga, nel suo recupero del messaggio evangelico, sapienza filosofica e sentimento religioso, ma non è dissimile, pur nella diversa e consapevole laicità, da Norberto Bobbio (1909-2004) nel suo libro del 1994, scritto quindi nella sua piena maturità, deliberatamente intitolato “Elogio della mitezza e altri scritti morali

in cui la analizza nei suoi vari risvolti filosofici, etici, politici e giuridici. Bobbio esplicita una sua iniziale incertezza fra mitezza e mansuetudine risolta in favore della prima perché a suo avviso essa “va più in profondità”, è attiva, è una virtù sociale, mentre la seconda è passiva, è una virtù più individuale. L’individuo mite sa cioè essere calmo nella sua accettazione della presenza del male e usa proprio la sua mitezza per fronteggiarne le conseguenze dolorose. Una scelta del tutto coerente con il suo dividere le virtù umane tra quelle forti quali il coraggio, la fermezza, la generosità, il sacrificio, e quelle deboli quali l’umiltà, la modestia, la gentilezza, e non certo per ultima la stessa mitezza. I due aggettivi “forti e deboli” non devono trarre in inganno, la propensione di Bobbio per quest’ultime è ben spiegata con il suo ritenerle non meno utili e nobili, ma soprattutto perché caratterizzano quella parte della società dove stanno gli umiliati, gli offesi, i poveri, i sudditi, coloro di cui la storia non si occupa più di tanto perché non fanno storia, o ne fanno una diversa, una sommersa con la s minuscola. A suo avviso quindi la mitezza si coniuga in modi diversi e complementari tra di loro legati dalla speranza in un mondo non violento, non indifferente, rispettoso di tutti. Per Bobbio non si può allora non amarla, ma al tempo stesso confessa la sua personale difficoltà ad essere un uomo mite perché riconosce di essere troppo spesso preda delle “furie” che inesorabilmente sono sollecitate dalle ingiustizie e dalla storture sociali. In questo senso ritiene che la mitezza sia inconciliabile con la politica di fatto giudicandola ….. in un mondo insanguinato dagli odi di grandi e piccoli potenti una vera antitesi della politica (così come comunemente intesa) …. Borgna inserisce in questa prima esplorazione una considerazione che nasce dal suo lungo lavoro nel campo della psichiatria: perché la mitezza possa diventare il giusto modo di relazionarci alle vicende della vita e alle esperienze di altre persone, prima ancora di tradurla in gesti coerenti, essa deve orientare il nostro dialogo, deve essere alimentata con parole giuste e consapevoli. La mitezza è infatti ferita dalle parole aride e fredde, scostanti e aggressive, non per nulla le persone miti sono da queste molto più colpite. Le parole che usiamo, ed i gesti e gli sguardi che le accompagnano, sono il primo elemento per creare relazioni miti. In questo senso si rende opportuno, parafrasando Bobbio, meglio distinguere tra mitezza e gentilezza. Un gentile rapportarsi con gli altri, nelle parole e nei fatti, è sicuramente propedeutico ad un rapporto anche mite, ma di per sé stesso non è sufficiente. Vale a dire che se da una parte la mitezza non può sussistere là dove non esista gentilezza, dall’altra essa richiede un di più di disponibilità all’ascolto profondo, alla empatia e alla solidarietà ….. gentilezza e mitezza sono sorelle siamesi, ma la prima non ha gli orizzonti esistenziali della seconda …. Non a caso infatti la mitezza non solo ha uno stretto legame  con la gentilezza, ma è una preziosa fonte di saggezza perché connessa anche alla nostalgia, alla fragilità, alla paura. Se per saggezza si deve intendere la conoscenza di sé, degli altri, delle vicende della vita, essa non potrà mai essere raggiunta senza un confronto costante e profondo con le emozioni interiori che il vivere costantemente ci sollecita. Ed allora saggezza e mitezza impongono una stretta relazione con la nostalgia, con il recupero emotivo del passato, con il suo carico di ricordi luminosi piuttosto che laceranti. La nostalgia è un carosello di emozioni, di immagini, di intuizioni che aiuta a riscoprire le ragioni nascoste del passato, quelle che hanno portato ad errori e impedimenti che, se non ricordati e affrontati, sempre rischiano di essere di freno ad una mitezza davvero sentita e praticata. La quale, per definizione così predisposta a sbriciolarsi, a dissolversi, non può non fare i conti con questa sua congenita fragilità che, a sua volta, è cosa sola con le tante fragilità che segnano le varie fasi della vita dall’infanzia e dall’adolescenza fino alla vecchiaia. Essere davvero miti inevitabilmente comporta fare i conti con questa duplice fragilità, significa conoscerla, accettarla, affrontarla. ben sapendo che la paura del negativo che la vita può riservarci è ad essa strettamente legata, da essa nasce e si nutre. Ma se da una parte la paura incontrollata è naturale impedimento alla mitezza, questa è, a compensazione, atteggiamento utile a moderarne le conseguenze, di certo quando immotivata, ma non di meno quando giustificata da reali complicanze. Si è, in sintesi, di fronte ad una sorta di campionario emotivo ed esistenziale, tenuto insieme proprio dalla mitezza, che tutti coinvolge, ma forse non tutti allo stesso modo. Per quanto sia sempre giusto diffidare delle generalizzazioni Bobbio da filosofo prima, e Borgna da psichiatra poi, concordano sul ritenere la mitezza sia una qualità essenzialmente femminile, perché, per quanto nulla impedisca un suo spazio in quelli maschili, i modi di vivere femminili, determinati da ruoli naturali, sociali, culturali, di più ad essa si connotano.

Borgna accompagna questa sua convinzione della stretta relazione fra mitezza e femminilità con l’appassionato racconto di alcune sue esperienze da psichiatra innovativo e anticonformista (ed altre di analogo tono di Mario Tobino, 1910-1991, psichiatra, scrittore e poeta) che molto lo hanno influenzato in questo senso. Sono stralci di vite vissute all’ombra della follia che fanno capire quanto sia importante accostarsi, ogni volta che sia possibile ed anche a scopo terapeutico, ad esse e quanta mitezza sia possibile trovare in queste persone, soprattutto donne per l’appunto, che vivono ai limiti della sensibilità umana. Borgna cita al riguardo una considerazione di Clemens Brentano (1778-1842, poeta e drammaturgo tedesco): la follia è l’infelice sorella della poesia. Non a caso quindi, come si vedrà più avanti, Borgna recupera, per meglio conoscere ed esaltare la mitezza, diversi testi poetici. Non c’è purtroppo spazio in questo post per presentare né esperienze nè poesie

Così come la mitezza sembra essere qualità umana più femminile che maschile allo stesso modo sembra timidamente affacciarsi soprattutto nell’adolescenza prima che gli affanni del vivere rendano più duri mente e spirito. E poi dopo, a chiudere una sorta di cerchio, nell’età anziana. L’adolescenza e l’anzianità a ben vedere sono le fasi del nostro vivere più libere da conflitti ed ambizioni, dalle tante, troppe, esigenze imposte alla quotidianità dell’homo faber. La mitezza quindi, quando è già del suo presente nel modo di vivere di una persona, è virtù paziente, sa riaffiorare non appena la vita le concede uno spiraglio. Questa consapevolezza dovrebbe indurre a ricercarla dentro di noi sempre, in ogni fase della vita, sapendo che essa, quando trovata, recuperata, non potrà mai essere scalfita dalla indifferenza, dalla aggressività, dalla noncuranza, dalla noia, che sono le sue nemiche. Borgna si affida infine ad una citazione di Walter Benjamin (1892-1940, filosofo e pensatore eclettico tedesco di origine ebraica) ……. la mitezza, come la speranza, è data a noi perché la si doni a chi l’abbia perduta …. per riflettere sul suo ruolo nella dimensione relazionale e sociale, e quindi nella stessa sfera della politica. E’ difficile non essere d’accordo con Norberto Bobbio quando, come precisato in precedenza, tristemente constata che mitezza e politica faticano a conciliarsi. Le forme e la sostanza della diversità di idee pubbliche sembrano infatti impedire che il confronto politico sia giocato su tonalità più riflessive, più aperte all’ascolto delle ragioni altrui. E’ quindi forse inevitabile che le parole che esprimono la diversità di idee siano anche forti, accese, taglienti. Ma, soprattutto in questi tempi di spettacolarizzazione mediatica del dibattito politico, sarebbe un bel segnale se la mitezza, fermo restando l’aperto confronto delle idee e delle parole, ispirasse almeno il metalinguaggio, i moti di espressione corporali, il rispetto degli spazi e dei tempi altrui. Nulla verrebbe tolto alla sostanza del dibattere, molto verrebbe aggiunto al livello di convivenza civile che chi ha ruoli pubblici trasmette a ricaduta all’intera comunità

Chiudiamo questo post citando, in ordine confuso, alcune delle figure letterarie, soprattutto di poeti e poetesse, dalle quali Borgna ha recuperato passaggi (come si è detto qui non presentabili) che di più testimoniano il valore della mitezza: Friedrich Holderlin (1770-1843, poeta tedesco), Emily Dickinson (1830-1886, poetessa statunitense), Giacomo Leopardi (1798-1837), Vivian Lamarque (1946, poetessa italiana), Giovanni Pascoli (1855-1912), Sergio Corazzini (1886-1907, poeta italiano morto giovanissimo), Antonia Pozzi (1912-1938, poetessa italiana), Fedor Dostoevskij (1821-1881, Borgna cita la mitezza di Alesa uno dei “Fratelli Karamazov”, i modi di fare del principe Myskin il protagonista del romanzo “L’idiota”, ed il racconto che ha come titolo “La mite”), Rainer Maria Rilke (1875-1926, poeta e scrittore austriaco). E’ citato anche il film “Une femme douce (in italiano “Così bella, così dolce”) del regista francese Robert Bresson (1901-1999)