martedì 15 agosto 2023

Il "Saggio" del mese - Agosto 2023

 

Il “Saggio” del mese

 AGOSTO 2023

Il crescente dibattito attorno all’evoluzione sempre più accelerata dell’Intelligenza Artificiale (per il quale abbiamo fornito un primo inquadramento di carattere tecnico grazie al saggio di Francesca Rossi “Il confine del futuro” usato come traccia per la “parola del mese” di Giugno 2023) sicuramente imporrà diversi approfondimenti che contiamo di seguire anche in questo nostro blog. Anche il Saggio di questo mese si collega a tale dibattito affrontando una tematica propedeutica alla comprensione di cosa si debba intendere per “intelligenza”, umana in particolare. Lo fa ricostruendo l’evoluzione delle cosiddette moderne “scienze cognitive”, ossia l’insieme delle discipline (in particolare neuroscienze, psicologia cognitiva, filosofia della mente e del linguaggio) che hanno per oggetto lo studio dei processi cognitivi umani e artificiali. Il saggio in questione è

il cui autore è Paolo Pecere

(Paolo Pecere = docente di Storia della Filosofia presso l’Università degli Studi Roma Tre, collabora a diverse riviste filosofiche, autore di numerosi saggi tra cui “La filosofia della natura in Kant” e “Il libro della natura”)

Il libro tratta della minuziosa ricostruzione, soprattutto di ordine filosofico, che inizia da Cartesio (1596-1650 filosofo e matematico francese) e dalle sue idee sulla mente umana, dell’evoluzione di una disciplina che, grazie alla combinazione di approfondimenti umanistici e scientifici, ha consentito il grande salto di qualità nella comprensione dei meccanismi intellettivi umani 

1 - La doppia eredità di Descartes

Premessa terminologica: termini come “mente”-“spirito”-“anima”, seppure con declinazioni differenti, si sono in una prima fase di questi dibattito molto spesso confusamente sovrapposti. Come si vedrà solo con Kant, a fine Settecento, tale sovrapposizione avrà finalmente un qualche maggiore ordine

E’ opinione condivisa e convinta il riconoscimento di Cartesio come apripista per un vero approccio analitico ai processi mentali. Per quanto molte delle sue ipotesi neurofisiologiche, fatta la doverosa tara ai sistemi ancora artigianali di indagine anatomica e fisiologica del tempo, sembrino oggi persino ingenue (a partire dal concetto dell’esistenza di una “sostanza mentale”), non poche delle sue ipotesi, che tentavano di tenere insieme concetti filosofici ed osservazioni scientifiche, mantengono un loro fascinoso interesse. Influenzato dalla concezione di Galileo della meccanica dei corpi Cartesio tenta infatti di esplorare il “rapporto mente corpointroducendo da una parte la visionemeccanicistica” del funzionamento di quest’ultimo (il corpo e le sue parti che funzionano come una macchina) e dall’altra la convinzione che mente e linguaggio rispondano ad altre leggi, definendo così quello che è passato alla storia comedualismo cartesiano”.

Antonio Damasio, uno dei massimi neuroscienziati contemporanei (il suo testo “Sentire e conoscere” ha dato spunto per la nostra “Parola del mese” di Giugno 2022 “coscienza”) nel suo saggio di fama mondiale   “L’errore di Cartesio” critica, sulla base delle odierne evidenze scientifiche, esattamente questa concezioneA

Più in generale il “meccanicismo cartesiano” vede i componenti della natura tutta, la res extensa, la realtà fisica estesa, limitata, inconsapevole, caratterizzati da qualità (figura, grandezza, posizione, movimento, colori, sapori, suoni, etc.) tra di loro in rapporto dinamico spiegabile come reciproca influenza fissata da leggi puramente fisiche e quindi privo di qualsiasi particolare finalità. A questa visione riduttiva di ordine meccanico si affianca da una parte il ruolo di Dio come creatore e regolatore (il grande orologiaio dell’universo) e dall’altra la realtà psichica (res cogitans) propria del solo uomo che, basata su “libertà, inestensione e consapevolezza”, può esplorare la res extensa vista come oggetto di conoscenza grazie all’uso di un approccio scientifico in primo luogo matematico. Questa esplorazione non può prescindere dall’impatto della res extensa sui sensi umani (spiegato con la meccanica degli atomi) che produce nel cervello delle “tracce mnestiche(immagini mentali) che a loro volta rappresentano la base fisiologica della memoria umana. Si tratta, va da sé, di pure ipotesi, di suggestioni, prive di fondamenta verificabili (per le tecniche del tempo non poteva che essere così) ma che, mosse soprattutto da finalità filosofiche, rappresentano una svolta radicale per la comprensione dei meccanismi mentali e contengono comunque alcune significative intuizioni. La prima e la più importante delle quali è la localizzazione di tutte funzioni cognitive nel cervello, che Cartesio completa, andando ben oltre le preesistenti idee della sussistenza dell’anima nel corpo, individuando in quale parte del cervello ciò avvenga. Aggiunge infatti, sulla base delle sue artigianali conoscenze anatomiche, che è la ghiandola pineale (una piccola ghiandola endocrina, altrimenti denominata epifisi, posta, aspetto decisivo per l’ipotesi cartesiana, al centro del cervello) la parte del cervello dove, a suo avviso, si concentrava l’unificazione del dati sensoriali e dove, necessariamente, avevano sede immaginazione e memoria (era lì che si depositavano le tracce mnestiche). Ed è sempre qui che si realizza il prodigio della coscienza umana (alla base del suo celeberrimo “cogito ergo sum”, io esisto in quanto essere pensante), che la res cogitans evolve nella coscienza di sé. In Cartesio, ed è questo il secondo suo fondamentale contributo, la “coscienza” smette di essere un termine puramente morale per rappresentare una fondamentale caratteristica della mente. Ne consegue che non altrove può trovare dimora nel corpo umano la stessa anima.

Cartesio introduce in questo contesto una riflessione straordinariamente anticipatrice di uno degli aspetti dirimenti dell’attuale I.A. (Intelligenza Artificiale): per spiegare la distinzione mente-corpo egli usa l’illuminante esempio degli “automi”, esseri artificiali che Dio, volendolo, potrebbe creare dotandoli delle stesse caratteristiche meccaniche di corpi viventi, ma, riflettendo sulla coscienza di sé, scrive …. La macchina può essere progettata per pronunciare parole ma non può disporle diversamente dal senno di chi l’ha creata….. e ancora ….. la macchina potrebbe fare molte cose tanto bene quanto ciascuno di noi, e anche meglio, ma fallirebbe in altre scoprendo così di non agire per conoscenza, ma solo in virtù della disposizione dei suoi organi … (Cartesio “Discorso sul metodo”).

L’insieme di questi elementi, che rappresentano la doppia eredità cartesiana consegnata allo studio dei meccanismi mentali, lascia chiaramente intendere che per Cartesio, coniugando aspetti filosofici e (para)scientifici, la conoscenza umana della realtà, della natura, dell’uomo stesso, non è possibile senza il ruolo dell’intelletto, della mente, a loro volta ispirati e guidati dall’anima in stretto contatto con Dio. Ed inoltre (come sostenuto nella sesta meditazione dei “Principi di filosofia” dove la distinzione corpo-mente, per quanto confermata, assume a maggior ragione una diversa elaborazione) che se l’intelletto presiede sia ai segnali che provengono dai sensi, dal corpo, sia ai moti delle passioni, diventa allora possibile associare stimoli e pensieri e modificarli sotto la guida dell’anima stessa. Pur con tutti i comprensibili limiti, emerge già materia sufficiente per iniziare a parlare di “scienze dell’intelletto

2 – Meccanicismo, metafisica e mente nel XVII secolo

L’eredità di Cartesio fa sentire il suo peso già nel corso dello stesso Seicento innescando accesi confronti sia in ambito filosofico che scientifico (per molti versi le due discipline ancora si sovrapponevano). Nel secolo della “rivoluzione scientifica”, e della prima definizione di un “metodo scientifico”, le critiche mosse alle ipotesi filosofiche/scientifiche cartesiane si basano sostanzialmente sulla loro indimostrabilità sperimentale, una accusa che peraltro va estesa anche alle varie ipotesi alternative. Non a caso quindi non possono lasciare spazio a passi in avanti minimante significativi i tre nuovi elementi metodologici, la matematizzazione della natura, la meccanizzazione, lo sperimentalismo, che di più annullano la presunta oggettività scientifica delle indagini filosofiche sulla mente. Più complessa si presenta la situazione del dibattito filosofico attorno al dualismo cartesiano. Se non mancano velleitari recuperi di antiche concezioni, come quella degli “spiriti animali”,

Lo stesso Cartesio ne aveva supposto l’esistenza come una forza, una carica vitale, fatta di materia impalpabile contenuta negli spazi interstiziali del cervello e dei nervi, ma limitando il loro ruolo al solo movimento dei muscoli. Alcuni autori li estendono, in riflessioni filosofiche, ad agenti anche di sentimenti e pensieri

riflessioni ben più significative arrivano da tre filosofi che segnano il dibattito filosofico seicentesco: Thomas Hobbes (1588-1679, filosofo britannico), Baruch Spinoza (1632-1677, filosofo olandese di origina ebrea), Gottfried Leibniz (1646-1716 matematico e filosofo tedesco)

Questo saggio di Pecere non ha propriamente carattere divulgativo e si rivolge a lettori già in possesso di conoscenze filosofiche. Dando quindi per scontata quella dei tratti fondamentali del pensiero di tutti i numerosi filosofi citati si limita ad approfondire per ognuno di essi le parti del loro pensiero più connesse all’indagine sulla mente. Tentiamo qui di rimediare almeno in parte con sinteticissimi rimandi più generali

Thomas Hobbes (il cui contributo filosofico più rilevante è sicuramente consistito nel “Leviatano”, opera nella quale fissa concetti fondamentali per la moderna teoria dello stato, del diritto e del potere), nell’ambito di una visione giusnaturalista (l’idea di un diritto naturale intrinsecamente giusto), sviluppa una concezione fortemente materialista e ritiene che ogni atto, ogni movimento, ogni azione, sia unicamente corporeo. Ne consegue, ed in questo consiste la sua profonda divergenza dal dualismo cartesiano, che l’immaterialità, anima e Dio compresi, sia un concetto contraddittorio e insostenibile. La stessa mente opera unicamente in relazione ai concreti movimenti materiali esterni e le “immagini mentali” altro non sono che una “computazione nominalistica(il linguaggio è per Hobbes il tramite fondamentale tra mente umana e realtà/natura). Il dualismo cartesiano sparisce con lo sparire della sua seconda componente. Su tutt’altro versante si muove invece Baruch Spinoza pur non meno critico verso Cartesio.

Spinoza è uno dei maggiori filosofi della modernità europea, il suo pensiero etico sull’uomo è tornato di grande attualità in questi confusi e tormentati tempi e, non a caso, è stato oggetto di una nostra conferenza dell’Aprile 2022 della quale, purtroppo, non è disponibile la registrazione

Tanto Hobbes critica il dualismo cartesiano mosso da una forte visione materialista tanto Spinoza lo fa muovendo da una visione panteista di un Dio identificato con la natura (Deus sive natura, Dio ovvero la natura). La sua visione teologica di un Dio “naturante”, nel quale tutto confluisce, ingloba necessariamente anche la mente individuale. La quale quindi è, unitamente al corpo, uno degli attributi divini. Ciò annulla ogni loro insostenibile distinzione, la mente individuale è l’insieme dei pensieri che partono dal corpo, dalla realtà, e lì ritornano a completare il ciclo divino. Il monismo spinoziano (esiste una sola realtà che è immanente in tutto l’universo il quale a sua volta è contenuto in Dio) si estende ad ogni forma di vita e quindi, come l’uomo, anche gli animali possiedono una mente, lo studio del corpo umano diventa allora strumento anche per capire la diversità della mente umana. Se è pur vero che il Seicento europeo è il secolo del metodo scientifico e di un più rilevante progresso delle scienze tutte, le riflessioni filosofiche sulla mente non si limitano ad essere puro esercizio speculativo e diventano una dote di intuizioni e supposizioni raccolte dalla scienza come domande alle quali tentare di dare risposta. E’ questa una tendenza che cresce per tutto il secolo (buona parte degli scienziati seicenteschi si dedica al contempo alla filosofia) e che trova, nel passaggio al Settecento in Gottfried Leibniz un esemplare interprete. Leibniz infatti, rifiutando al pari di Hobbes e Spinoza, la distinzione tra res extensa e res congitans, tenta però di accompagnare questa convinzione filosofica con una più significativa accentuazione scientifica. Recupera cioè l’idea atomistica di Democrito ed Epicuro aggiornandola, sulla base dei riscontri che la scienza inizia a fornire, nella teoria delle “monadi

dal greco monas = uno, singolo, unico, intese come “sostanze semplici”, tutte diverse tra di loro, che come  atomi fisici costituiscono la natura delle sostanze e dei corpi e come atomi psichici il pensiero e la mente

Le monadi, essendo distinte, devono comunque entrare in rapporto tra di loro (per confluire nell’unità indivisibile di Dio) e ciò avviene in modo differente a seconda del loro status: quelle fisiche lo realizzano in forma inconscia con una modalità che Leibniz definisce “percezione”, quelle psichiche, proprie solo dell’anima, al contrario si muovono con una logica razionale e cosciente definita “appercezione”. Ed è proprio il fatto che l’intera natura, uomo compreso, sia composta da monadi, a rendere insostenibile, secondo Leibniz, l’esistenza di una res cogitans distinta dalla res extensa (non a caso ritiene che non esista un luogo fisico dell’anima). La mente umana quindi rientra pienamente nella res extensa e come tale deve essere studiata.

3 – Materia attiva, poteri mentali e limiti della conoscenza

Le idee di Leibniz aprono una nuova fase nello sviluppo di quelle che diverranno scienze cognitive. Il suo atomismo/monadismo non solo sembra rappresentare il definitivo superamento del dualismo cartesiano, ma offre anche spunti per muoversi verso nuove direzioni. Lo accompagnano in questa importante fase di passaggio altre due rilevanti figure: John Locke (1632-1704, medico e filosofo inglese) e Isaac Newton (1643-1727, matematico, fisico, astronomo, filosofo naturale) che già, come formazione culturale, testimoniano una più valida  connessione tra filosofia e scienza. Il testo di John Locke “Saggio sull’intelletto umano(1689), espressamente dedicato allo studio delle forme dei processi cognitivi umani, parte dalla critica della nozione metafisica di “materia pensante(un concetto in gran vigore nell’Illuminismo delle origini) giudicata inspiegabile se non completata da due opposte precisazioni: o si ritiene che la materia pensante abbia origine dalla materia (cerebrale) e che poi Dio vi abbia aggiunto il pensiero, o viceversa si ritiene che Dio abbia preliminarmente attribuito la facoltà del pensiero direttamente ad una nuda sostanza per poi collegarla alla materia. Nulla però cambia secondo Locke perché è impossibile guardando alla nuda materia capire in che modo essa si sia associata ad una forma di pensiero. La sola cosa che si può stabilire è che, indipendentemente dal percorso di associazione materia/pensiero, le idee sono di due tipi: di “sensazione”, quelle che provengono da sostanze esterne tramite i sensi oppure di “riflessione”, quelle che maturano dalle esperienze interne come stati d’animo e passioni. Ma perché esse si sviluppino, e consiste in questo passaggio l’originalità del pensiero lockiano, è necessaria l’esistenza di “sistemi organizzati di materia” che risiedono nel cervello. Con una aggiunta di grande importanza che (come si vedrà dopo) sarà poi sviluppata da Kant: questi sistemi organizzati sono, per ogni singolo individuo, la fonte della sua “identità”, della sua “coscienza di sé”, il solo tratto umano in grado di unificare gli aspetti materiali con quelli spirituali. Anche Isaac Newton, peraltro passato alla storia delle idee per altre discipline, ha indagato per tutta la sua vita la connessione tra processi mentali e processi fisici. Un vivo interesse che non si è mai tradotto in un’opera organica restando in forma di appunti sparsi (raccolti in un’opera collage pubblicata solamente nel 1962) dai quali emerge con chiarezza la distanza di Newton da Cartesio, così come dal materialismo accentuato di Hobbes e dalla visione panteista di Spinoza. Ma soprattutto, man mano che le sue osservazioni scientifiche assumono un corpus organico di interpretazione della realtà, dei corpi e del moto fisico, diventa manifesta la sua perplessità sulla possibilità di stabilire, con una doverosa scientificità, il rapporto tra corpo, natura, e mente. L’impossibilità di verifiche sperimentali rende ogni ipotesi al riguardo aleatoria e provvisoria. A questa perplessità, aggiunge inoltre un importante parallelismo: così come la forza di gravità, una forza di cui è evidente l’esistenza ma che resta indefinibile nella sua ultima essenza, regola i rapporti dei corpi celesti allo stesso modo deve esistere una analoga forza, non meno indefinibile, che codifica i rapporti tra corpo, natura, e mente. La scienza dell’intelletto, non diversamente da quella fisica, deve conseguentemente individuare le leggi speciali che ne confermino esistenza e ruolo. Il mondo culturale europeo del tempo reagisce alle nuove idee lockiane e newtoniane con un gran fiorire di approfondimenti, contestazioni, integrazioni. E’ in questo confuso fermento che maturano nuove considerazioni che sanciranno una decisiva svolta.

4–Fisiologia della mente, autonoma della ragione, l’eredità kantiana

Ben poco di tale fervore culturale, che copre la prima metà del Settecento, ha comunque superato la prova del tempo, una vera evoluzione si ha solamente con l’opera filosofica di Immanuel Kant (1724-1804, filosofo tedesco, il massimo esponente dell’Illuminismo tedesco). Nel mare magnum della sua filosofia non poteva mancare una precisa attenzione alla mente ed ai suoi processi cognitivi. Kant muove da un assunto di base: fa sue le idee di Newton di spazio e tempo come “forme a priori” dei fenomeni,

Kant ritiene infatti che esistano solo due forme pure a priori della sensibilità: spazio e tempo; il primo è la forma dell'intuizione sensibile esterna, il secondo è la forma dell'intuizione sensibile interna. Entrambi sono forme dell'intuizione, non concetti, come Kant sottolinea polemicamente contro Leibniz

ma riformula la sua argomentazione dell’impossibilità di conoscerne i “fondamenti” precisando che l’indagine umana può tutt’al più tentare di interpretare “a posteriori” i fenomeni  “riducendo al minor numero possibile le forze fondamentali” che li spiegano, così come le apprende dall’esperienza. E questa considerazione vale anche per ogni ipotesi sui processi cognitivi umani sulla natura dell’anima e della mente. L’apriorismo kantiano ha da subito una grande influenza sul dibattito culturale del tempo attorno al tema della mente, ma soprattutto imprime una svolta sull’irrisolta questione che, da Cartesio in poi, è al centro di tale dibattito: la sostenibilità, ed i presupposti che la giustificano, della separazione fra sostanze materiali e sostanze immateriali. Rispetto al Seicento il Settecento europeo già conosce, a partire da Newton, un significativo progresso in campo scientifico, ed è anche su queste nuove basi (incidono in particolare gli studi sempre più approfonditi di anatomia neurofisiologica da Kant molto ben conosciuti e seguiti) che Kant afferma, con forte convinzione, che il problema di una “sede dell’anima” è questione del tutto filosofica, che va tenuta distinta dalle scoperte scientifiche che devono invece mirare a localizzare “il sensorio comune”, ossia il luogo del cervello in cui convergono, per essere fra di loro collegati, gli stimoli sensoriali. Ed è quindi con Kant che si pongono i fondamenti culturali per la definitiva separazione disciplinare fra i domini della “facoltà medica nel suo ramo anatomico-fisiologico” e quelli della “filosofia nel suo ramo psicologico-metafisico”. Mentre la prima può e deve operare sulle evidenze a posteriori, la seconda poggia pienamente sui fondamenti a priori. All’interno di questo più definito quadro Kant distingue, precisandoli, i diversi concetti collegati al pensiero:

*   l’anima deve essere intesa come elemento puramente metafisico che non può essere oggetto di ricerca scientifica

*   la mente è invece la “facoltà che compone in unità le percezioni sensoriali, l’intuizione, l’immaginazione (sempre intese però come “rappresentazioni empiriche”), ed è l’oggetto di studio della psicologia empirica e della fisiologia

*   la “coscienza pura”  ossia la capacità della mente di rappresentarsi come l’ “Io penso” che accompagna tutte le rappresentazioni, è l’intelligenza pura intesa come fonte dei pensieri che si identifica nel soggetto che pensa.

L’importanza di Kant nella storia delle scienze cognitive non consiste soltanto nel valore intrinseco delle sue considerazioni, ma risalta soprattutto perché rappresenta il culmine della prima fase di questo processo, quella in cui sono è la metafisica della mente a prevalere relegando alla scienza il compito di individuare le evidenze che confortino le sue riflessioni sul tema. Dura poco questa prevalenza, l’Ottocento vedrà infatti un ribaltamento totale: la parola passa alla scienza e da questa deriveranno anche nuove considerazioni filosofiche.

5 – Cervello, coscienza e inconscio: la svolta del XIX secolo

E’ verso metà Ottocento che una diversa connessione tra filosofia e scienza si rende manifesta grazie ad alcune importanti novità scientifiche, fra le altre emergono:

*   le prime evidenze delle “azioni riflesse(antesignane della futura scoperta dei neuroni specchio)

*   lo studio quantitativo delle correnti nervose

*   la scoperta dell’inibizione neurale

*   le indagini psicofisiche sulle relazioni di stimolo sull’intensità delle sensazioni

*   i primi esperimenti di stimolazione elettrica della corteccia cerebrale

*   l’evoluzione dell’indagine microscopica del sistema nervoso (è in questo ambito che sono stati adottati i termini di “neurone”, la cellula nervosa, e di “sinapsi”, la struttura filamentosa che mette i neuroni in collegamento fra di loro e con altri tipi di cellule)

Questo elenco, per quanto parziale, dà il segno della portata del cambiamento, che ha luogo nella più generale rivoluzione scientifica ottocentesca, che in pochi decenni avviene nello studio della mente (non poco stimolato da collegate scoperte a carattere generale, quali la definizione della “legge di conservazione dell’energia” e la diffusione dell’ “evoluzionismo darwiniano”). E’ quindi comprensibile che questo fervore scientifico abbia inizialmente contribuito a rafforzare, in campo filosofico, posizioni fortemente “materialiste” con al centro una forte valorizzazione del monismo (l’idea filosofica che riduce la pluralità degli esseri ad un’unica sostanza, ad un unico principio).

Ne sono esempio Goethe (1749-1832, scrittore e filosofo tedesco) e Schelling (1775-1854, filosofo naturalista tedesco) che si richiamano esplicitamente al “vitalismo” di Leibniz e al “monismo” di Spinoza

ed il prevalere di visioni metafisiche limitate all’interpretazione delle funzioni psicofisiche messe in luce dalla scienza. Non mancano però scatti di orgoglio e di volontà di riconquista di spazi autonomi che, da lì a poco, trovano un fondamentale punto di appoggio in un nuovo concetto base: “l’inconscio”. Non si tratta di un’idea nuova in filosofia, la tesi di una conoscenza “preconscia” era già presente nello stesso Platone (filosofo greco V° secolo a.C.), ed attenzioni verso di esso erano presenti in molti dei filosofi qui citati, in particolare, come si è visto, in Kant. Ma proprio in parallelo al fervore scientifico ottocentesco l’inconscio, nella nuova accezione di “inconscio metafisico dinamico”, trova una nuova e specifica interpretazione per merito soprattutto di Arthur Schopenhauer (1788-1860, filosofo tedesco).

Considerato il filosofo del “pessimismo cosmico”, ritiene che la realtà possa essere vista o come “volontà” o come “rappresentazione”, se questa spiega i fenomeni in modo razionale, la prima al contrario non è razionale, ma è l’unica forza in gradi di governare la realtà

Per Schopenhauer l’inconscio, che nella veste di una “volontà inconscia” di fatto spiega l’esistenza dell’intera realtà, non può non avere un ruolo fondamentale anche per i processi mentali, i quali avvengono, per l’appunto inconsciamente, ad una velocità tale da rendere consci solo i loro risultati finali (Friedrich Nietzsche, 1844-1900, filosofo tedesco molto legato all’idee di Schopenhauer, definisce la coscienza come “commento, più o meno fantastico, di un testo inconscio e inconoscibile”). Ed è proprio sulla scia di queste considerazioni filosofiche, suffragate dal suo concreto lavoro neurologico, che Sigmund Freud (1856-1939, neurologo tedesco fondatore della psicanalisi) eleva poi l’inconscio a motore di tutto il nostro vivere psichico e dei nostri processi mentali (i quali comunque mantengono, a suo avviso, una natura originariamente biologica). L’irruzione dell’inconscio nel rapporto dialettico tra filosofia e scienza evidenzia due aspetti tra di loro correlati: da una parte la filosofia ottocentesca, a fronte degli innegabili crescenti successi della ricostruzione scientifica dei processi mentali, è costretta ad abbandonare in gran misura il bagaglio delle idee metafisiche che da Cartesio in poi, come si è visto, si proponevano di spiegarle, dall’altra però individua nell’inconscio, così  inspiegabile e inconoscibile, un punto debole delle spiegazioni scientifiche tale da riaprire un dibattito che sembrava da quelle definitivamente egemonizzato. Da qui in poi, e siamo alle soglie del Novecento, il problema della “coscienza”, strettamente connesso all’inconscio, diventa il tema centrale del dibattito attorno alla mente, ridisegnando per la sua portata un nuovo intreccio tra filosofia e scienza più basato sulla reciproca influenza. La figura di Emil du Bois-Reymond (1818-1896, fisiologo tedesco. Fondatore della moderna elettrofisiologia, conosciuto per le sue ricerche sull'attività dell'elettricità nei nervi e nelle fibre muscolari) appare quella che meglio testimonia questa nuova svolta. Ed è proprio il tema della coscienza, della sua incompleta esplorazione e conoscenza, sintetizzata in una storica sintetica: “Ignorabimus (non lo sapremo mai) (dando così avvio ad un dibattito sul tema durato per quasi tutto il Novecento definito proprio “controversia sull’Ignorabimus”) che lo spinge ad una diversa concezione del rapporto filosofia/scienza per lo studio della mente. Se da una parte resta convinto della oggettiva limitatezza delle ipotesi metafisiche, dall’altra riconosce che il livello della ricerca scientifica del tempo non era analogamente in grado di formulare alcuna seria spiegazione organicistica. A suo avviso se per qualsiasi altro contenuto mentale (memoria, pulsioni, pensiero razionale) si stavano rendendo esplorabili i correlati “meccanismi cerebrali”, nulla lasciava ancora presuppore una analoga soluzione per il mistero “coscienza”. Se la pur rilevante ascesa delle neuroscienze sembrava cioè sempre più in grado di definire, da sola, le funzioni ed i vari ruoli dell' “apparato cognitivo”, la coscienza imponeva un cambiamento radicale del “metodo di ricerca”, coinvolgendo in una migliore sinergia scienza e filosofia chiamate a risolvere, con una diversa reciproca collaborazione, quello che non era un “normale” problema, ma un autentico “mistero”.

A sostegno di ciò Pecere cita un consistente numero di filosofi e scienziati della mente che, nella prima metà del Novecento, di più si sono mossi nell’alveo di questa commistione scienza/filosofia. Si tratta di autori tanto valenti quanto sconosciuti al pubblico dei non addetti. Non sono qui citati perché per ognuno di essi sarebbe corso l’obbligo di un seppur minimo inquadramento  con  un eccessivo appesantimento di questa sintesi

6 – Filosofia della mente e neuroscienze: prove, ipotesi, critiche

Ancora una volta un nuovo straordinario balzo in avanti della ricerca scientifica, reso possibile dallo sviluppo di strumenti d’indagine sempre più sofisticati, ha consentito, a partire dagli ultimi decenni del Novecento, una nuova svolta nello studio della mente

Vanno in particolare citati lo sviluppo di modelli matematici delle reti neurali e l’adozione di nuove straordinarie tecnologie, quali: l’elettroencefalografia ad alta definizione (brain imaging), la risonanza magnetica funzionale, la tomografia ad emissione di positroni, la stimolazione transcranica)

Le attuali scienze cognitive possono ormai contare su simulazioni e mappature complete del cervello e, su queste basi, osservare, modellare, modificare, riprodurre ad hoc, i processi cerebrali corrispondenti a determinati stati mentali, rendendo comprensibile un iniziale nuovo entusiasmo attorno alla possibilità che l’empirismo scientifico possa da solo possedere le potenzialità di dare risposte verificabili a tutte le domande sulla mente, ne è esempio la “teoria dell’identità

esistendo solo una realtà sostanziale, quella fisica, materiale., anche la mente non può che essere qualcosa di materiale.  Essa  quindi  coincide  totalmente con il cervello: tutti i fenomeni mentali atro non sono che particolari stati o processi neurali

Si è trattato però di un entusiasmo di breve durata, il semplice fatto che non poche delle nuove scoperte scientifiche siano state di fatto “indirizzate” da alcune suggestioni filosofiche come i concetti di “credenza” e “conoscenza” proposti da Ludwig Wittgenstein (1889-1951, filosofo e logico austriaco, studioso del linguaggio e della mente e della filosofia della matematica, considerato uno dei massimi pensatori del XX secolo), unitamente alla constatazione che per quanto l’asticella delle conoscenze empiriche si fosse alzata alcune domande di fondo restavano senza risposte davvero esaurienti  ha nuovamente imposto a  scienza e filosofia un dialogo collaborativo, in cui ognuna mantenesse un suo preciso ruolo: per la filosofia quello di operare nella sfera delle intuizioni, per la scienza quello di utilizzarle come indirizzo per le proprie ricerche.  Già negli anni Sessanta si affermano, a confermare questa nuova sinergia alcune teorie, come quella del “funzionalismo computazionale

teoria che concepisce gli stati mentali identificabili per il loro ruolo funzionale (funzionalismo) ed il pensiero come un processo che sempre si ripete seguendo tre fasi: formulazione del problema, espressione di una possibile soluzione, sua esecuzione e valutazione dell’esito (computazionale)

Nata su spinta di Hilary Putnam (1926-2016, filosofo della mente e matematico statunitense) il quale affermava che a nulla serve l’eterna questione materia/anima, ciò che importa è l’organizzazione funzionale del cervello (fino ad affermare che potrebbe anche essere fatto di formaggio svizzero tanto nulla cambierebbe!) la quale, a conferma però di un residuo eccesso meccanicistico, potrebbe essere replicata persino in sistemi artificiali, recependo così le idee di Alan Turing (1912-1954, matematico, logico, crittografo e filosofo britannico, considerato uno dei padri dell'informatica e uno dei più grandi matematici del XX secolo).

Non a caso il funzionalismo computazionale è stato da subito criticato in campo filosofico, in particolare da John Searle (1932, professore di filosofia statunitense noto per i suoi contributi alla filosofia del linguaggio e alla filosofia della mente) e non pare più godere di considerazione neppure in campo scientifico

Ed è esattamente in questo nuovo clima che, negli anni Settanta, si può collocare la nascita delle attuali vere e proprie “scienze cognitive” ossia l’insieme interconnesso delle discipline (in particolare neuroscienze, psicologia cognitiva, filosofia della mente e del linguaggio) che hanno per oggetto lo studio dei processi cognitivi umani e artificiali.

L’origine organizzativa è avvenuta esattamente nel 1978, anno in cui a La Jolla (California) si tenne un convegno organizzato dalla Cognitive Science Society cui parteciparono ricercatori psicologi, linguisti, neuroscienziati e filosofi, proprio per stabilizzare una maggiore comunicazione tra i diversi ambiti disciplinari e ottenere teorie sempre più complesse ed elaborate circa il funzionamento mentale. Nacque, di conseguenza, la rivista Cognitive Science e da quel momento in poi in più di novanta università in Nord America, Europa, Asia e Australia sono stati istituiti diversi corsi di scienze cognitive.

La necessità di rafforzare, concretizzatasi anche formalmente con questa scelta, le sinergie fra scienze della mente e filosofia/psicologia ha sicuramente offerto importanti spazi di collaborazione e confronto paritario, ma da sola non sembra comunque aver attenuato più di tanto le reciproche diffidenze. Permangono, seppure manifestate con toni collaborativi, gli storici motivi di dissenso, metodologico innanzitutto

La linee di demarcazione è rappresentata, ancora oggi, dalla mancata soluzione delle ragioni e delle forme che soprassiedono alla mente nella sua unitarietà totale. Il brain imaging riesce ad esempio a individuare le singole aree cerebrali attivate da determinate immagini o azioni, ma non è in grado da solo a cogliere la collegata ed ininterrotta intera attività neurale

Ed è sempre il tema della coscienza che di più incide a mantenere questo contrasto. Il dibattito attorno al “mistero coscienza” si è semmai arricchito di nuove occasioni polemiche legate al procedere degli studi neurofisiologici del cervello e, soprattutto, alle impattanti prospettive aperte dalla Intelligenza Artificiale.

nell’ultima parte del saggio Pecere riassume dettagliatamente molte delle prese di posizione dei due approcci  Impossibile in questa sintesi entrare nel merito, ci limitiamo pertanto ad esporre sinteticamente quelle meno specialistiche che di più  ci sono parse essere entrate nel dibattito pubblico

*   Thomas Nagel (1937, filosofo statunitense) sostiene (nel suo citatissimo saggio “Che cosa si prova ad essere un pipistrello?) convintamente  l’irriducibilità della coscienza alla attività cerebrale

*   Daniel Dennet (1942, filosofo statunitense),  Patricia Churchland (1942, filosofa  canadese) unitamente a  Hilary Putnam danno grande affidamento alla possibilità di una spiegazione neurobiologica in termini di computazione neurale

*   John Searle  (1932, filosofo statunitense)  per la sua puntigliosa critica dell’Intelligenza Artificiale (è famoso il suo esperimento mentale della “stanza cinese” La stanza cinese | BRAINFACTOR) parte dalla convinzione che per la coscienza (per quanto sostenuta da una base biologica)  sia fondamentale il ruolo della “intenzionalità

*   Noam Chomsky  (1928, filosofo, ma soprattutto teorico linguista) guida una nutrita schiera di studiosi (una corrente di pensiero denominata “misterianismo”) che mantengono l’opinione di du Bois-Reymond (Ignorabimus): l’ipotesi biologica, per quanto verosimile, non sarà mai concretamente confermata

*   David Chalmers  (1966, filosofo australiano, soprannominato per il  suo look molto giovanile “la rock star della filosofia)  sostiene che indagare la coscienza pone due ordini di problemi: uno “facile”, l’approccio neurobiologico, e uno “difficile”, la spiegazione completa  degli aspetti qualitativi e soggettivi dell'esperienza cosciente

*    Gerald Edelmann (1929-2014, biologo  statunitense, premio Nobel per la medicina nel  1972, sostenitore della teoria dell’’evoluzionismo neurale) ,  Michael Gazzaniga (1939, psicologo e neuro-scienziato  statunitense) e Giulio Tononi (1960,  psichiatra e neuro-scienziato statunitense di origine italiana)  ritengono unitamente che la coscienza, ed in generale tutti i processi mentali, emerga dalla biofisica del cervello, ma che non sia riducibile ad essa (l’insieme dei loro studi è stato assemblato a formare una ipotesi teorica denominata “Integrated Information Theory “ , teoria dell’informazione integrata)

*    ed infine Antonio Damasio (1944, neurologo e neuroscienziato portoghese naturalizzato americano) ritiene che la coscienza sia il risultato della combinazione fra “immagini mentali”, derivanti dai sensi, e “rafforzamenti emotivi e sentimentali”  finalizzata al mantenimento della “omeostasi”, ossia la capacità di mantenere costante l'ambiente interno pur nel variare dell'ambiente esterno. (il suo saggio “Emozione e coscienza” ha dato lo spunto alla nostra “Parola del mese” di Giugno 2022 – “Coscienza”)

Le contrastanti opinioni di Dennet e Searle, appoggiate da altri scienziati della mente e da altri filosofi,  sono quelle che di più e meglio sintetizzano i due fondamentali modi di sviluppo delle scienze cognitive (con particolare attenzione al tema della coscienza): Dennet, alfiere di un approccio empirico, ritiene che diversi aspetti di funzionamento della mente siano “già stati spiegati”, che altri man mano lo saranno, e che non vi è quindi limite o obiezione fondata sull’efficacia di procedere “pezzo per pezzo”, Searle al contrario ritiene questo modo di esplorare la mente accumulando “mattoncini di conoscenza”, per quanto efficace nel chiarire i processi neurali, inadeguato a tenere conto delle proprietà “globali” della mente (unità, intenzionalità, soggettività da lui raccolte nel concetto di “campo unificato” della coscienza).

Deriva da queste due posizioni un diverso atteggiamento anche riguardo l’Intelligenza Artificiale: per la prima corrente di pensiero ritiene che il trasferimento di quanto scoperto “pezzo per pezzo” a “macchine” possa concretamente portare ad una Intelligenze Artificiale sempre più “umana”, la seconda invece nega che questo possa avvenire proprio perché mente e coscienza sono qualcosa di diverso, di più, dell’assemblaggio di singoli moduli computazionali. La ricaduta delle scienze cognitive - così come emergono al termine di questo percorso storico della loro formazione e sviluppo - sulle possibilità di ulteriore sviluppo della I.A. è comunque tema molto complesso e molto controverso. In questo saggio lo stesso Pecere non entra più di tanto nel dettaglio limitandosi a fornire una base teorica storica indispensabile per la sua comprensione e per la sua possibile evoluzione. Nel modesto ambito di questo blog continueremo a seguirne gli sviluppi e a darne conto là dove emergessero novità significative.  Ci piace però chiudere questa sintesi con una opinione di Antonio Damasio che recupera un aspetto forse erroneamente troppo trascurato: …. la coscienza umana è una proprietà di organismi che sono nati da altri organismi e che si sono sviluppati gradualmente, un caso del tutto diverso dalle macchine per quanto queste possano essere sempre più capaci di riprodurre, ed in alcuni casi oltrepassare, capacità dell’intelligenza umana ……