La Parola del mese
Una parola in grado di offrirci nuovi spunti di
riflessione
AGOSTO
2023
Anche
per quella di questo mese ci affidiamo a David Graeber (1961-2020, antropologo statunitense,
professore di antropologia all’Università di Yale fino al 2005, a seguito del
mancato rinnovo dell’incarico per motivi politici si è trasferito a Londra come
professore di antropologia presso il Goldsmiths College dell’Università di
Londra, morto per infarto a Venezia dove stava partecipando ad un convegno)
ed alla sua coinvolgente abilità di mescolare antropologia, la sua disciplina, con etnografia, filosofia, sociologia, per riflettere attorno all’attuale umanità ed ai suoi meccanismi sociali. La sua capacità di individuare e proporre collegamenti inconsueti e innovativi rende ogni sua esplorazione del significato di fondo di un termine una continua e sorprendente scoperta. Tratta anche questa dal suo più recente saggio pubblicato in italiano
la
Parola del mese è
GERARCHIA
Gerarchia = s.f. derivato dal greco ierarchia (hieros = sacro + arkho =
essere capo) indica, come significato generale (al di là quindi del suo
specifico utilizzo in campi diversi) un sistema
asimmetrico di graduazione e organizzazione di persone e cose che implica
rapporti di supremazia e subordinazione di tipo piramidale
Graeber, in questo suo breve
saggio, è interessato in particolare al ruolo della gerarchia nell’ambito dei rapporti
tra persone, e quindi dei sistemi sociali, e individua, nella prima parte, i
presupposti antropologici che spiegano l’universale accettazione del fatto che
“qualcuno stia sopra e qualcuno stia sotto”.
Passerà poi ad analizzare più in dettaglio l’evoluzione del concetto di gerarchia
nella cultura europea agli albori della modernità
Sulla gerarchia
…..
Questo saggio
tratta della natura della gerarchia ….
un termine ricorrente nell’ambito delle scienze sociali contemporanee, non di
rado però utilizzato con troppa disinvoltura e senza adeguate indicazioni su
cosa si debba intendere con esso. Esistono alcune tipologie di gerarchia, ad esempio quella
professionale, quella istituzionale piuttosto che militare, le quali,
rispondendo in modo rigido ad esigenze organizzative, individuano delle “catene di
comando”, ma più in generale il termine gerarchia
corrisponde all’esigenza, presente in svariati campi, di collocare un insieme
di elementi su un sorta di righello così da sapere subito quale sta sopra e
quale sotto (in questo
caso si parla di gerarchia lineare). Ma se si
entra nel merito di una “gerarchia sociale”
(il posto nella società/ comunità, di tutti i suoi membri,
individuati come singoli o come membri di un gruppo)
diventa indispensabile qualche precisazione. Può aiutare partire da una
società, quella indiana, fondata su una rigida gerarchia,
quella dei quattro “Varna”, determinata dal grado di “purezza
dell’essere”. La “collocazione gerarchica” indiana, così rigida
e netta (si é canonizzata lungo un arco
temporale di millenni) aiuta a individuare alcuni
fondamentali aspetti di natura antropologica rintracciabili in tutte le
classificazioni gerarchiche umane:
- una suddivisione
sociale, comunitaria, gerarchica implica sempre e comunque l’applicazione di un
criterio di “inclusione” (chi ha titoli per essere collocato un uno degli scalini
gerarchici) ed uno di “esclusione” (chi questi titoli non li possiede
e quindi retrocede)
- entrambi
questi criteri devono poggiare su un elemento
valoriale (che
può variare da cultura a cultura, da società a società, essere mutevole nel
corso del tempo, ed essere integrato da sottoelementi) che spieghi
e giustifichi la suddivisione classificatoria
- i criteri di
inclusione/esclusione, e l’elemento valoriale alla loro base, sono patrimonio
condiviso, riconosciuto, all’interno della comunità/società seppure con
livelli, anche molto differenziati, di accettazione e concreta applicazione
A puro titolo
esemplificativo delle possibili differenze Graeber cita il caso della scala
gerarchica dei Maori, un popolo polinesiano. La loro gerarchia sociale articolata su
un sistema di “lignaggio” (appartenenza ad
un clan e poi ad una tribù) era basata sul rapporto con i “tapu”, osia con la quantità di “tabù” (cose da non fare, cibi da non mangiare, etc.).
Paradossalmente il capo al vertice della scala gerarchica al quale competeva il
comando assoluto era proprio quello che possedeva più tabù ed era quindi più
limitato nel suo vivere
Sulla base di questi elementi costitutivi
di qualsiasi umana gerarchia l’attenzione di Graeber, come
anticipato, si concentra sulle modalità con le quali un nuovo ordine gerarchico
si sia potuto determinare nelle società europee nella primissima fase della
modernità, quella della contemporanea nascita del proto-capitalismo e
l’affermarsi della società borghese. La sua tesi è che tali trasformazioni
siano avvenute non solo per i mutamenti nell’ordine economico, ma anche per la
congiunta evoluzione di alcuni valori culturali che hanno contribuito a creare
ed imporre un nuovo ordine gerarchico. Per indagare tali valori recupera
preliminarmente due atteggiamenti che (ancora
con valenza universale) hanno
definito le modalità antropologiche di accettazione/rifiuto della gerarchia.
Buone maniere, differenza e proprietà privata:
elementi per una teoria generale della gerarchia
……
in questo
saggio proverò a suggerire una proposta basata sugli strumenti dell’etnografia
comparata. Inizierò rispolverando due categorie etnografiche chiamate “relazioni di scherzo” e “relazioni di evitamento” …..
Queste due forme di relazione rappresentano i poli estremi di uno spettro che
comprende svariate dinamiche che definiscono il modo universale di vivere in un
ordinamento gerarchico. Le “relazioni di scherzo” non devono essere ridotte al loro
mero aspetto ludico, comico, perché nel loro manifestarsi evidenziano
l’esistenza di rapporti interpersonali basati su “mancanza di rispetto”, di
persone e norme, e “informalità” estreme di vario genere, al
contrario le “relazioni di evitamento” sono caratterizzate da ostentati
rispetto e formalità. Questa netta contrapposizione può aiutare a meglio
comprendere fenomeni strettamente connessi ad una gerarchia sociale quali la “richiesta di parità di status”, nel caso dello
scherzo, ovvero la “deferenza gerarchica”, in quello
dell’evitamento. Si tratta di comportamenti che fissano in modo diametralmente
opposto le relazioni tra persone, coinvolgendo il loro status, il loro stile di
vita e nondimeno i loro stessi corpi, le loro più intime funzioni corporali:
….. regolarmente,
e universalmente, le relazioni di scherzo danno libero sfogo a tutto ciò che
l’evitamento cerca di contenere. I compagni di scherzo simulano ad esempio lotte
e combattimenti, si scambiano insulti a sfondo sessuale e battute scatologiche,
situazioni che l’evitamento considera del tutto deprecabili …. Come già anticipato è importante notare che i
comportamenti scherzosi non si riducono all’aspetto ridanciano di gioco
sfacciato, ma sembrano puntare deliberatamente ad essere “svergognati”, contraddicendo quindi
a quel “senso
della vergogna” che secondo l’evitamento dovrebbe provare chi
infrange le regole gerarchiche, chi non rispetta il suo posto nel mondo.
L’antropologia da sempre si interroga sulle ragioni di questi comportamenti: ad
esempio perchè mantenere lo sguardo rivolto verso il basso in presenza di un
Re, di un capo tribù, piuttosto che della propria suocera? O perché sia quasi
sempre e ovunque considerato inappropriato anche solo discutere di problemi di
salute intestinale o di sesso con chi riveste un determinato ruolo? Perché In
sostanza aspetti naturali del proprio sé non sembrano condivisibili con una
parte del mondo esterno, in particolare quella che sta gerarchicamente “sopra”?
E’ un aspetto della evoluzione culturale umana quanto mai complesso e difficile
da ricostruire e decifrare, un qualche indizio può essere fornito proprio dalle
relazioni di scherzo, da quel “corpo scherzante” che si manifesta quando
subentra una sorta di licenza dal rispetto dell’ordine gerarchico e da quel
“senso della vergogna. Il “corpo scherzante” in questi momenti sembra che
voglia riprendere, sfrontatamente, una perduta libera “continuità con il mondo”. Una
sorta di ribellione liberatoria che però, ancora una volta quasi sempre e quasi
ovunque, non sembra manifestarsi con relazioni “egualitarie”, anti-gerarchiche. Ed
infatti le relazioni di scherzo, nel loro insieme, non puntano tanto a
stabilire una comunanza paritaria, ma nel loro specifico avvenire sono un vero
e proprio “attacco
all’altro”. Anche questo è un aspetto che del suo meriterebbe di
essere meglio approfondito, per la finalità di questo saggio è utile notare
come l’evitamento sia all’esatto opposto del “corpo scherzante”: la sua natura
fortemente gerarchica prevede un corpo sotto costante controllo, una entità a
sé stante astratta, autosufficiente, che non ha bisogno di scambi con altri
corpi o con il mondo. Uno sguardo più profondo fa intuire che i corpi scherzanti
sono tutt’uno con il mondo, e con la natura, sono cioè fatti della stessa
materia del mondo, il corpo nell’evitamento è invece fatto di qualcosa di
completamente diverso: è fatto di proprietà (nelle quali, a seconda delle diverse culture, possono rientrare
cose, oggetti, ma anche ruoli piuttosto che “tabù”).
Ossia quell’istituto giuridico e sociale che, stabilendo una specifica
relazione tra una persona e una cosa (intesa in
senso lato), fissa, gerarchicamente, una relazione tra persone, che trascina con sé
una logica di
esclusione (dalla cosa posseduta, ma soprattutto dalla persona che la
possiede).
Graeber opportunamente
richiama gli studi etimologici della parola “persona”,
di origine latina ma di derivazione etrusca che indica una “maschera”, ossia il di più che ricopre, celandolo,
il corpo
Le
relazioni di scherzo e di evitamento, nelle loro disparate articolazioni, hanno
segnato, come poli estremi, il globale percorso storico del concetto di gerarchia, e restano quindi due fattori
propedeutici anche per la svolta radicale avvenuta nella prima modernità europea.
In questa fase storica, in gran misura coincidente con il 1600 europeo, si sono
concentrati, non casualmente, alcuni processi che, sovrapponendosi a tali
preesistenti relazioni, hanno giocato un ruolo determinante per la deliberata
creazione di un nuovo ordine gerarchico. In particolare Graeber ritiene che
abbiano giocato un decisivo ruolo:
l’affermarsi
del “puritanesimo”,
protestante e calvinista che, come è
noto, è secondo Max
Weber un tratto costitutivo delle origini del capitalismo (così come analizzato nel suo
celebre saggio “Etica protestante e lo spirito del capitalismo)
il fenomeno
della “riforma delle buone
maniere”
iniziata, sempre nel 1600, dapprima nell’Inghilterra calvinista, ma ben presto
estesa in tutta Europa, quella cattolica compresa
il processo
culturale e morale che, concretizzando questi due aspetti lungo un arco
temporale di diversi decenni, realizza un diffuso ed evidente “innalzamento
della soglia della vergogna e dell’imbarazzo”
L’effetto
congiunto di tutti questi fenomeni è stato proprio quello di creare una nuova
idea di gerarchia capace di
sostituire le precedenti modalità di relazione gerarchica tra singole persone e
tra entità sociali. Ancora per tutto il Medioevo le regole comportamentali, le
“buone
maniere”, riguardavano esclusivamente i ceti nobiliari. Signore e
Signori medioevali erano sollecitati a codificarle e a seguirle, non sempre con
adeguato successo, per sancire la netta separazione (relazione
di evitamento) dai loro sudditi, ritenuti non soltanto, si fa per dire, poco
raffinati, ma semplicemente delle autentiche bestie. Nemmeno tanto
paradossalmente questa raffigurazione trovava riscontro nella stessa cultura e
immaginario popolano, dove quegli stessi vizi denunciati dall’aristocrazia (lussuria, ubriachezza, funzioni
corporali, il mostruoso ed il grottesco) erano in
contrapposizione (relazione di
scherzo) rivendicati e celebrati (si
pensi ad esempio al “Pantagruel e Gargantua” di Francois Rabelais 1510/1553)
Le più citate
manifestazioni della controcultura popolana sono quelle “carnevalesche”, il
libero esplodere di ogni forma incontrollata di relazione di scherzo che
attraversa l’intera storia europea. Tollerate, come valvola di sfogo
occasionale dal potere di turno, rappresentano la più evidente conferma del
ruolo del “corpo scherzante” collegato alla visione del “paese della cuccagna”,
un luogo fantastico e ideale nel quale la ricchezza viene sparsa su ognuno.
Perfettamente rappresentati nei quadri di Bruegel e di Bosch
E’
questo il quadro storico europeo nel quale si innesca tale svolta chiaramente
connessa con l’irruzione sulla scena economica, sociale e culturale di nuovi
ceti che mirano a confermare anche formalmente un nuovo ordine gerarchico. Un
processo storico avvenuto più volte e ovunque, ma che qui in Europa si
concretizza, oltre che sul piano dei concreti rapporti di forza e di potere,
con una modalità decisamente originale affidata proprio all’affermarsi del “puritanesimo”,
di nuove “buone
maniere” e dell’ “innalzamento della soglia di vergogna ed imbarazzo”.
La finalità comune di questi processi consiste nella crescente pretesa di imporre
la cancellazione di ogni forma incontrollata di “relazioni di scherzo”
sopprimendo nella sfera delle relazioni pubbliche qualsiasi tipo di
riferimento, e va da sé di evidente manifestazione, di funzioni corporali, di
lussuria sessuale, di linguaggio scurrile. Quelle forme di “evitamento” che fino
al basso Medioevo erano esclusive della ristretta nobiltà sono assunte, in
particolare a partire al 1600, da nuovi emergenti ceti sociali come la normale
e diffusa modalità di relazione fra “persone” di diverso rango gerarchico. Sono
infatti le nuove “classi medie” (commercianti,
bottegai, coltivatori benestanti, artigiani delle città),
che si stanno affermando come la componente sociale più economicamente attiva,
a giocare un ruolo cruciale in questo processo. Il loro sovvertimento della
concreta struttura economica e sociale deve sfociare in una nuova gerarchia che, per essere formalizzata,
deve essere completata con una duplice rivoluzione dei costumi: i nuovi ceti da
una parte adottano le formalità relazionali nobiliari per sancire l’avvenuta conquista
della vetta gerarchica, e dall’altra impongono ai ceti inferiori queste stesse
relazioni di evitamento come forma di accettazione del nuovo status e, aspetto
tutt’altro che secondario, come modalità di controllo social e politico. Il
trasferimento di “potere” che si stava realizzando doveva in sostanza
cancellare ogni spazio per pericolose relazioni di scherzo. Una ulteriore
spinta in questa direzione viene anche dai cambiamenti religiosi e
dall’affermarsi delle norme morali e di costumi proprie dello scisma protestante
e calvinista, in particolare nella versione inglese del “puritanesimo”. I ceti
coinvolti in questa rigorosa interpretazione di precetti morali e religiosi non
a caso quelli stessi che propugnano le “buone maniere”, ma in questo caso con
un di più di severità e di imposizione. L’Inghilterra dei Tudor e degli Stuart
vede, all’insegna di quella che venne ufficialmente definita “la riforma della
buone maniere”, un fiorire di misure, adottate dalle autorità civili
e da quelle religiose, per la chiusura di birrerie, per impedire balli e
rappresentazioni teatrali, per restringere le forme ludiche di gioco, per
l’eliminazione meticolosa di ogni traccia del “carnevalesco” (le celebrazioni del “May Day” l’equivalente inglese del carnevale
furono severamente messe sotto controllo). Non sono
mancate, al tempo ed ancora nei secoli successivi, resistenze popolari, anche
vivaci se non violente, forme più o meno sotterranee di rifiuto, ma lentamente,
anche grazie al peso dell’educazione scolastica dei bambini totalmente gestita
dalle autorità religiose, le “buone maniere” hanno permeato le forme di
relazione sociale in tutte le classi (sono quelle
stesse praticate ai nostri giorni e vissute come la modalità normale di
comportamento ormai del tutto interiorizzata). Non
casualmente intervengono, a spiegare e rafforzare la nuova gerarchia,
due altri fondamentali elementi che, completando la stretta
connessione con “puritanesimo” e “innalzamento delle soglia di vergogna e
imbarazzo”, sanciscono l’affermarsi di quello spirito imprenditoriale capitalistico evidenziato da Max Weber: la proprietà
privata e l’individualismo borghese. Le
vincenti estensione e accentuazione delle forme di evitamento possono essere
spiegate con il completarsi del processo per cui ogni membro della società,
visto come individuo e come appartenente ad un ceto sociale, è sempre più
definito dalla logica di proprietà esclusiva. Non mancano negli studi
antropologici evidenze che attestano l’esistenza anche in altre culture di
relazioni di evitamento collegabili a scambi commerciali e quindi a forme di
possesso, ma quasi mai da esse deriva una conseguente gerarchia sociale. Ciò è avvenuto, con le modalità qui descritte,
solo nell’Europa della prima età Moderna con l’emergere diffuso di regimi di
proprietà privata e con l’affermarsi di individui e ceti sociali (per poi interessare l’intera società) la
cui vita era interamente definita da questa “dote”.
Come
acutamente evidenziato da Karl Marx nel suo “Capitale” l’intero processo di costruzione
del sistema di mercato capitalistico si basa proprio nel affermarsi di sempre
più diffuse “proprietà private” costruite in particolare con il noto fenomeno delle
“enclosures”,
ossia la recinzione di terreni non coltivati o adibiti ad uso comune della
collettività, operate a partire dal 1500, e con una autentica esplosione
nel 1600, da parte del nuovo ceto sociale della “gentry” (piccola nobiltà di campagna). Le
recinzioni permisero la coltivazione intensiva dei campi, dando vita alla
rivoluzione agraria e su questa base alla successiva rivoluzione
industriale
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