Il
“Saggio” del mese
APRILE 2025
Questo libro si è
fatto scegliere, per quanto non esattamente classificabile come Saggio, per tre
ragioni. Le prime due sono fra di loro intrecciate: la sua scelta è innanzitutto
il nostro modesto contributo alla celebrazione del 25 Aprile e della
riconquistata libertà sancita dalla attuale Costituzione Italiana, la seconda
consiste proprio nella consapevolezza che nella moderna cultura politica
europea, fin dalla Rivoluzione Francese, tutti i cambiamenti e le idee che li
hanno innescati si sono sempre tradotti nella loro formale trascrizione in una
Carta Costituzionale. L’idea contenuta in questo libro è esattamente questa: nell’attuale
tormentata fase storica l’intera umanità è chiamata ad una nuova svolta per
salvare il pianeta e per realizzare al contempo una globale giustizia sociale.
Si tratta di un cambiamento così radicale da richiedere a sua volta una Costituzione,
altrettanto universale, che fissi i valori e le finalità che lo devono ispirare
e indirizzare. Nel momento in cui sono tornati a farsi forti gli interessi e
aggressive le forze che a ciò si oppongono, cercando di cancellare la stessa
idea di democrazia che il 25 Aprile ha così duramente conquistato, la
suggestione di una Costituzione della Terra ci è sembrata quanto
mai utile e tempestiva.
La
terza ragione è quella di omaggiare il suo autore, uno dei “grandi vecchi”
della scena culturale e politica italiana, uno dei tanti intellettuali che,
fedeli interpreti dello spirito resistenziale e costituzionale, hanno sempre difeso
gli spazi democratici del nostro paese:
Luigi Ferrajoli (1940,
giurista, ex magistrato, filosofo del diritto ed allievo di Norberto Bobbio, in
prima linea in molte battaglie civili, penna di molti articoli apparsi sul
quotidiano Il Manifesto)
(dal risvolto di copertina)
Una Costituzione della
Terra non è un’utopia: è l’unica strada per salvare il pianeta, per affrontare
la crescita delle disuguaglianze e la morte di milioni di persone nel mondo per
fame e mancanza di farmaci, per occuparsi del dramma delle migrazioni forzate,
per difendersi dai poteri selvaggi che minacciano la sicurezza di intere
popolazioni con i loro armamenti nucleari
In queste poche righe
sono bene condensate le idee che hanno spinto Ferrajoli, assieme a Raniero La Valle (giornalista, politico ed intellettuale), a farsi attivo promotore della “Scuola Costituente
Terra”, una associazione di studi che ha la finalità di definire un “costituzionalismo
globale”. Il testo che qui sintetizziamo raccoglie le riflessioni messe
a punto nel corso di questa esperienza e condensate in questa traccia di una “Costituzione della Terra”.
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E’ opinione largamente condivisa, anche se quasi mai
seguita da scelte politiche ad essa coerenti, che tutte le pressanti problematiche
che assillano l’intera umanità possano essere
affrontate con un minimo di efficacia unicamente con un approccio di globale
collaborazione.
Si tratta di una prospettiva davvero nuova per una umanità
fin qui schiacciata su visioni e prospettive locali, nazionali, troppo spesso
tra di loro conflittuali, che per essere avviata richiede un’autentica
rivoluzione culturale, politica ed istituzionale, capace di delineare forme di
azione, e collegati organismi ad esse preposti, che vadano oltre la dimensione
statale.
Sono molti gli aspetti su cui sarebbe necessario
intervenire in modo coerente a questo cambio di paradigma, uno di questi è
sicuramente rappresentato dalla opportunità di immaginare organismi
istituzionali in grado di dare sostanza ed efficacia a questa inderogabile
dimensione sovranazionale.
Un passaggio che presuppone di delineare preventivamente
una diversa concezione dei paradigmi costituzionali che hanno sin qui ancorato,
grazie all’adozione di coerenti Costituzioni, le singole democrazie nazionali a
condivisi diritti fondamentali e a coerenti modelli di gestione delle relazioni
sociali e dei rapporti con gli altri popoli e nazioni. Non si tratta peraltro
di una visione del tutto nuova, già nel primissimo dopoguerra la stipulazione
della Carta dell’ONU del 1945 si muoveva, seppure ancora troppo timidamente, in
questa direzione nella speranza che i tanti “mai
più”, sollecitati dagli orrori delle guerre e dei totalitarismi,
potessero promuovere diverse relazioni fra le nazioni della Terra.
Così purtroppo non è stato.
Riflettere sulle cause ultime di questo fallimento è
quanto mai utile in una fase storica in cui l’umanità si trova di fronte ad
nuovo crocevia, persino più drammatico e decisivo, che impone, oltre a
coraggiose scelte concrete, di recuperare quell’alta idealità del progetto
kantiano della stipulazione di una “costituzione civile”
promossa da una “federazione di popoli” (Immanuel Kant, “Per la pace perpetua” 1795).
La recente esperienza della pandemia da Covid-19
rappresenta l’esempio più significativo del ritardo con il quale l’umanità sta
prendendo coscienza dell’importanza e dell’urgenza di una vera svolta in questo
senso, essa ha reso evidente la congenita fragilità del genere umano e di tutte
le sue costruzioni sociali, ha mostrato l’inadeguatezza delle attuali
istituzioni nazionali e internazionali, e soprattutto ha messo a nudo l’assurdità di continuare a pensare in termini di inadeguati
sovranismi, coniugata con la follia neoliberista di cancellare il ruolo del
“pubblico”.
La necessità di immaginare politiche ed istituzioni che si
muovano, con ben altre politiche, sul “globale”,
si manifesta in tutte le problematiche che attualmente investono l’intera
umanità. Lo è per l’emergenza climatica (per la quale, nonostante i continui
allarmi lanciati dal mondo scientifico e gli specifici obiettivi fissati nelle
COP a partire da quella di Parigi del 2015, le conseguenti azioni in capo ai
singoli paesi non sono per nulla coerenti), per
la gestione dei tanti conflitti armati che ininterrottamente si
innescano in varie parti del mondo (con
la possibilità, di recente incredibilmente ventilata da alcuni come possibile
opzione, di ricorso agli armamenti nucleari. Nel mondo ci sono ancora 13.440
testate nucleari, fortunatamente diminuite dalle 69.940 presenti al culmine
della guerra fredda), per le continue diffusissime
violazioni dei diritti umani (ancora
nel 2020 ci sono state nel mondo almeno 1.500 condanne a morte, ma è un dato
per difetto, mancano infatti i dati di paesi che le applicano come Cina, Corea
del Nord, Vietnam), per il drammatico
persistere di fame e miseria globali e per la collegata crescita delle disuguaglianze
economiche fra aree del mondo (il
nostro “Saggio del mese” di Febbraio, “The divide” di Jason Hickel verteva
proprio su questi temi), per le ingiustizie del
mercato globale del lavoro (che
vede un miliardo e mezzo di lavoratori sfruttati oltre ogni limite, fino a
rasentare una nuova forma di schiavitù, nelle nazioni più povere e messi in
concorrenza con il mezzo miliardo di quelli tutelati, anche se sempre meno, dei
paesi più ricchi), e per il dramma delle masse crescenti di disperati
che fuggono da tutto questo (la gestione
dei flussi migratori si sta sempre più rilevando il tema più divisorio e più
strumentalmente utilizzato dai vari sovranismi di tutto il mondo).
Tutte queste drammatiche situazioni altro non sono che la conseguenza
di consapevoli scelte politiche ispirate da logiche e da inaccettabili culture
e sistemi valoriali, rappresentano scandalose violazioni dei più elementari
diritti fondamentali dell’uomo, di tutti gli uomini, che sempre più si
configurano come autentici “crimini”.
Il termine “crimine” assume
in questo caso una così forte stigmatizzazione morale, sociale e politica che,
se in questo senso intesa, va ben oltre la sua abituale declinazione “penalistica”, ossia la sua universale applicazione
ai soli delitti, individuati come tali da codici penali, che di fatto portano a
sottintendere che tutto ciò che non è definito come reato possa essere di
conseguenza essere ritenuto lecito. Fenomeni sociali e politici
di enorme gravità etica come quelli di cui si è detto, non essendo penalmente
individuati come reati, sfuggono a condanne che non siano unicamente di ordine
morale.
Per delineare un nuovo diritto internazionale finalizzato
all’adozione di concrete azioni per il loro superamento, è allora indispensabile
un primo passo che consiste nella definizione di un nuovo adeguato concetto di crimine, capace di
individuare e comprendere tutti i comportamenti che hanno una riprovevole valenza sistemica e strutturale.
Non si è infatti di fronte a “crimini
dei potenti” o “crimini di Stato” o
“crimini
contro l’umanità”, per i quali, a fronte di una autentica volontà a
perseguirli già esiste una qualche comune definizione di illecito penale, si
tratta invece di una diversa fattispecie di crimini, definibili come “crimini di sistema”, intesi cioè come violazioni di diritti costituzionalmente stabiliti
che investono grandi masse, ossia colpevoli comportamenti che
incidono sulla vita di tutta l’umanità e che, da un punto di vista giuridico, hanno
come tratti un carattere indeterminato e indeterminabile
dell’azione o dell’evento ed un altrettanto carattere indeterminato, perché
plurisoggettivo, sia dei loro autori che delle loro vittime.
Detto in parole povere è insomma necessario che il
concetto di “crimine”, quando riferito alle
ricadute di logiche e politiche “di sistema”,
quando cioè contempla violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e della
salute del pianeta, esca dall’ambito strettamente penalistico per essere
utilizzato per una pubblica chiamata in causa delle collegate responsabilità.
Questa auspicabile evoluzione del concetto di crimine, se coerentemente intesa
ed applicata, consentirebbe di andare oltre la sola denuncia politica e morale per divenire la concreta condizione preliminare per
l’istituzione di giurisdizioni internazionali dotate del potere di accertarle e
valutarle (sulla
falsariga delle “Commissioni per la verità” istituite in Sudafrica sui crimini
commessi durante l’apartheid) e della autorità,
condivisa a livello globale, di emettere “giudizi
di verità” che implichino, con una qualche obbligatorietà,
l’adozione di concrete strategie per superarle ed eliminarle.
Va da sé che al momento questo salto culturale appare poco
più di una suggestione al limite dell’azzardo, perché si aprano reali prospettive
per una sua concretizzazione, in aggiunta
alla diffusa definizione di univoche piattaforme politiche e programmatiche,
diventa non meno importante iniziare a costruire una collegata risposta istituzionale
che non può che consistere nella
elaborazione di una condivisa Carta Costituzionale contenente valori, diritti,
loro applicazione, estensione e difesa, vale a dire la “Costituzione
della Terra”.
Anche per questo aspetto non mancano ovviamente passaggi
problematici, il primo dei quali riguarda proprio la necessità di ridefinire
natura e ruolo di una Costituzione. La storia della cultura costituzionale giuridico/filosofica
europea ci consegna due opposte filosofie del diritto che esprimono due concezioni antitetiche del popolo e della volontà
popolare fra le quali occorre consapevolmente scegliere.
La prima concepisce la Costituzione come espressione
dell’identità e della volontà di un popolo, una concezione fortemente
nazionalistica (portata
ai suoi massimi livelli di elaborazione dal giurista/filosofo Carl Schmitt
nella prima metà del Novecento) che lega
strettamente l’idea di popolo, visto come soggetto omogeneo, alla sua volontà
di esprimere una netta volontà unitaria, ma che di fatto esclude
chiunque a questo popolo non appartenga, creando così una separazione tra amici
e nemici, troppo spesso semplicemente identificati con “lo straniero”.
Ad essa si oppone una concezione della Costituzione (la cui origine filosofica può essere
fatta risalire alle idee di Thomas Hobbes, filosofo inglese del 1600) che
va intesa come un sistema codificato di limiti e
vincoli, validi per tutti i poteri, a garanzia dei diritti fondamentali sancita
dalla Carta Costituzionale, per creare un
patto di convivenza pacifica tra soggetti differenti e disuguali basato non sulla omogeneità, ma al contrario proprio
sulla eterogeneità.
Non v’è dubbio alcuno che la Costituzione della Terra
debba ispirarsi a questa seconda concezione considerato che la sua finalità è esattamente
quella di essere un quadro normativo entro il quale tutti i popoli e tutti gli
individui possano trovare le ragioni di una giusta convivenza. Ne consegue che
essa sarà tanto più legittima e necessaria quanto più marcate, eterogene e
persino conflittuali, possano essere le differenze che si propone di tutelare e
quanto più vistose ed intollerabili siano le disuguaglianze che si propone di
rimuovere o ridurre.
La sua legittimità non deve quindi consistere nell’essere
espressione di una maggioranza, ma nella sua capacità di garantire tutti,
risiede cioè non nella “forma”, nel
“chi”, e nel “come”
è stata messa a punto, quanto piuttosto nella sua “sostanza”,
nei suoi “contenuti”.
La sua espansione al di là dei singoli Stati non può pertanto
essere vista come un semplice allargamento di una visione nazionale, ma come la
più complessa e articolata realizzazione di un giusto equilibrio tra “l’universalismo dei diritti fondamentali”
ed il “principio di cittadinanza” (la formalizzazione della casualità del
luogo di nascita) e tra il “principio della pace”
tra popoli e la “sovranità dei singoli Stati”.
Le ragioni sin qui addotte per sostenere l’idea di una
Costituzione della Terra vanno collocate in questo quadro, di idealità e di
valori, filosofico, giuridico e politico, all’interno del quale devono essere
fissate in termini giuridici le singole risposte a tutte le sfide globali di
cui si è detto ed ai crimini di sistema in precedenza illustrati, perché è proprio
su questo piano che è emersa l’inerzia e l’inadeguatezza delle politiche
nazionali, delle relative istituzioni e carte costituzionali. Questa loro lentezza
ed incapacità ad adeguarsi a questo nuovo contesto è sicuramente spiegabile con
la mancanza di una vera volontà a procedere in tal senso, ma si spiega anche a
causa di alcune ragioni strutturali legate al rapporto
della politica con lo spazio fisico terrestre e con una visione temporale di
breve respiro sulle quali è quindi bene riflettere.
Le politiche nazionali ruotano attorno agli spazi
ristretti dei territori di appartenenza, (eredità
dei percorsi storici di formazione dei singoli “Stati nazione” inevitabilmente condizionati
dai specifici contesti storici) ed al tempo stesso si
limitano (soprattutto in questa
era della politica così mediatizzata, spettacolarizzata e condizionata dal
gioco perverso dei ripetuti sondaggi) a guardare di volta in volta
alle scadenze elettorali immediatamente successive. Appare allora evidente che
una politica come questa, così affetta da
localismo e presentismo, non può possedere il coraggio di visioni
che guardino con sguardo lungo oltre i confini di casa.
Eppure è proprio questo il coraggio che
occorre per affrontare con qualche ragione di speranza le attuali sfide globali.
Non meno rilevante è l’incidenza di un terzo fattore, al
tempo stesso causa e conseguenza dei primi due: l’incidenza
delle logiche economiche sovrannazionali neoliberiste che, in
assenza di una qualche loro regolamentazione, hanno definitivamente svuotato il
ruolo, già del suo così impotente, delle politiche nazionali impossibilitate ad
incidere su fenomeni che ormai stabilmente scavalcano confini e barriere.
Al punto che sembra davvero essersi fatta sempre più
legittima la domanda: sono ancora necessari e quindi auspicabili i nessi Stato/democrazia e Stato
nazionale/Stato di diritto? Oppure è ormai tempo di avviare un processo di
rifondazione dell’uno e dell’altro che non sia più ristretto nell’ambito dei
singoli Stati? La risposta, proprio sulla base di quanto
evidenziato sulla fragile centralità dello Stato nazionale, appare persino
scontata. Averne piena consapevolezza dovrebbe rendere la scelta di una
Costituzione della Terra un passaggio razionalmente inevitabile se davvero si
vuole affrontare le sfide globali che stanno segnando questa fase storica di
profonda crisi.
Eppure è ancora evidente che l’impatto di questa crisi sta
al contrario producendo, quasi ovunque, non lo sforzo a creare istituzioni
davvero in grado di esercitare reali poteri sovrannazionali, ma il loro esatto
contrario, un ritorno securitario al tradizionale Stato sovrano che, per quanto
ormai svuotato di ogni vera sovranità, viene da alcune parti ancora presentato
come la sola dimensione rassicurante ed efficace. Non poco ha però contribuito
a rafforzare questa fallacia il sostanziale fallimento di molte delle
esperienze che, pur armate di sincera buona volontà, sono nate con un’ottica sovrannazionale.
La “Carta dell’ONU”
del 1945, la “Dichiarazione Universale” del 1948,
i “Patti Internazionali” del 1966, numerose
“carte regionali dei diritti” si sono tutte
mosse in questa direzione, nessuna ha però oggettivamente raggiunto risultati
all’altezza delle finalità dichiarate. Questa inadeguatezza, che nulla toglie
al valore della scelta di porre un paradigma costituzionale globale al centro
delle loro aspirazioni, impone semmai, a maggior ragione, di individuare e
riflettere sulle sue cause.
La prima delle quali consiste nella natura stessa dei
diritti fondamentali richiamati e stabiliti nelle Carte Costituzionali
internazionali. Questi diritti infatti non sono garantiti
simultaneamente al loro recepimento costituzionale, essi diventano
concretamente goduti solo se in parallelo si avviano specifiche politiche che
mirino alla loro effettiva applicazione, solo se vengono accompagnati da quelle
prassi che in termini giuridici sono definite “garanzie”. Non
basta, ad esempio, che una Carta Costituzionale stabilisca il diritto alla
salute perché questo sia effettivamente goduto, affinché ciò avvenga servono
ospedali, personale sanitario, procedure, adeguati investimenti, e quindi
politiche che si muovano attivamente in questa direzione.
Ed è esattamente questo aspetto che ha impedito la
concreta applicazione di molti dei diritti fissati dalla Carta dell’ONU, il
quale è un organismo che, per veti politici incrociati, non è mai stato messo
nella condizione di disporre di adeguati poteri ed organismi esecutivi (la sola, seppur fondamentale, garanzia
introdotta con una qualche autorevolezza operativa è stata l’istituzione della
“Corte
Penale Internazionale” al cui statuto non hanno tuttavia aderito le
maggiori potenze e le cui sentenze, cronaca di questi giorni, sono comunque
sempre oggetto di applicazione discrezionale).
Una seconda ragione, altrettanto strutturale e
strettamente connessa alla prima, consiste nel fatto che in tutte queste Carte
resta ancora centrale il ruolo degli Stati nazionali considerati “Stati sovrani”. Tutto il diritto
internazionale, tutte le istituzioni e le organizzazioni che da questo
discendono mantengono al loro centro il paradigma dello “Stato
nazionale sovrano”. Ciò inevitabilmente implica che a tutti gli
effetti siano ancora e sempre gli Stati i soli attori
e destinatari del diritto internazionale, un aspetto che di fatto
rinnega la natura stessa di un ordinamento giuridico sovrannazionale e la
conseguente mancata adozione delle opportune “garanzie”.
Detto in altri termini non è mai stata presa in seria considerazione
la sola soluzione che può consentire di superare questa duplice impasse: l’introduzione su scala globale di un ordinamento
costituzionale universale collegato alla parallela realizzazione di una forma
di “federalismo”, (una “Federazione
della Terra”) a cui competono l’adozione e l’applicazione di specifiche
garanzie per l’applicazione dei diritti da esso sanciti.
Un terzo aspetto, altrettanto importante e direttamente
connesso alla proposta di un Federazione della Terra, consiste nella
distinzione, troppo spesso non adeguatamente precisata nel diritto
internazionale (e
non diversamente in molte carte costituzionali nazionali), tra
“funzioni ed istituzioni di governo” e “funzioni ed istituzioni di garanzia”. Ed è
proprio su questa incerta distinzione che, così testimoniano le concrete
vicende storiche di questi ultimi decenni, si sono sin qui formate e basate
diffidenza e scetticismo verso una più consistente applicazione di molti
principi costituzionali universali.
Si tratterebbe, se seriamente affrontata, di una più
nitida e coraggiosa evoluzione della classica tripartizione e separazione dei
poteri (legislativo-esecutivo-giudiziario) che
ha caratterizzato fin dalla sua prima ideazione (Montesquieu,
“Lo spirito delle leggi” 1748) l’idea di democrazia
occidentale mirata ad assicurare il primato
della funzione legislativa su quella esecutiva e l’indipendenza da entrambi da
quella giudiziaria essendo diversa la loro fonte di legittimità.
In questo quadro emerge con chiarezza che le funzioni ed
istituzioni di governo si identificano con “funzioni politiche di
scelta” che, in quanto tali, sono discrezionali, rientrano cioè
nella “sfera del decidibile”, mentre
quelle di garanzia, che discendono dal doveroso rispetto delle Leggi a partire
da quella Costituzionale, appartengono nella loro intrinseca definizione alla “sfera del non decidibile”, e più
precisamente al “non decidibile che (si faccia)”,
ossia i divieti correlati ai “diritti di libertà ed
autonomia”, e al “non decidibile che non
(si faccia)”,
vale a dire gli obblighi di piena applicazione dei “diritti
sociali”.
Questo inquadramento di base, che ha fondamentale
importanza per ogni sistema di diritto nazionale, dovrebbe a maggior ragione essere
recepito con limpida chiarezza dal diritto internazionale, per la semplice
ragione che, come la concreta esperienza insegna, a livello globale, sono
soprattutto le funzioni ed istituzioni di garanzia, legittimate non già da un
pregnante consenso elettorale, ma da un più teorico rapporto con l’universalità
dei diritti, che richiedono una precisa attenzione.
Che chiama immediatamente in causa un chiarimento
indispensabile a sgombrare il campo dagli equivoci che troppo spesso si sono
presentati (spesso mossi da
ragioni strumentali) in merito allo sviluppo del diritto
internazionale: se le funzioni ed
istituzioni di governo, quelle esecutive e legislative, essendo
legittimate da una specifica rappresentanza politica, restano
di competenza degli Stati nazionali, quelle
di garanzia, proprio perché connesse all’universalità dei diritti, dovrebbero essere di competenza della Federazione
della Terra perché contemplate in un quadro
costituzionale a valenza globale, che integrerebbe, con valenza di ordine
superiore, tutte quelle, altrettanto auspicabili, eventualmente già previste in
ogni specifico ordinamento giuridico nazionale.
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La parte del testo di Ferrajoli che segue
questa disanima delle ragioni che inducono ad un radicale cambio di paradigma
costituzionale entra nel merito della bozza di “Costituzione della Terra”
predisposta dalla “Scuola costituente
Terra” illustrando le ragioni e le finalità delle due “Parti” che la compongono, a loro volta
suddivise in diversi “Titoli” e
conseguenti “Sezioni”
che raggruppano cento specifici “Articoli”.
Non è certo possibile in questa sintesi riprenderla dettagliatamente, ci
limitiamo quindi a fornire indicazioni di massima per muoversi all’interno di
un disposto costituzionale decisamente ambizioso e complesso che, per chi fosse
interessato, è consultabile nella sua interezza nel seguente link: Introduzione e testo della Costituzione di
Ferrajoli - Costituente Terra.
Appare quindi scontata la necessità di sviluppare un
processo costituente di carattere sovrannazionale in grado di porre mirati limiti alla sovranità di Stati e del
mercato, i due totem ideologici che da una parte fissano
anacronistici confini dei poteri e delle politiche e dall’altra lasciano selvaggia
libertà alle logiche.
Questo processo di costruzione di una
“Costituzione della Terra” deve quindi mirare a realizzare un’estensione del
paradigma del costituzionalismo “rigido”, quello della “sfera del non
decidibile”, nelle quattro direzioni non raggiunte dai costituzionalismi
nazionali:
1)- la costruzione di un
costituzionalismo sovrastatale = la
prima direzione rappresenta l’inquadramento generale dei principi e delle
finalità alla base della Carta, ed ha quindi al suo centro due obiettivi
fondamentali: “la pace” e “la
garanzia dei diritti fondamentali” sia di libertà che sociali. La
storia umana insegna quanto siano sempre stati provvisorie e incerte le assenze
di conflitti armati, un vero stato di pace deve quindi essere “istituito”, deve cioè essere costruito con
una serie di “garanzie” che devono essere
sancite con chiarezza nella Costituzione della Terra. La prima delle quali
consiste, ovviamente, nel “divieto della guerra”,
ma affinchè ciò non resti un mero dettato costituzionale (non per nulla già presente in quasi
tutte le Costituzioni nazionali e nello stesso Statuto della Corte Penale
Internazionale del 1998) penosamente disatteso ogni qual volta i
contrasti tra nazioni superano il livello di soglia esso deve essere completato
da una seconda garanzia, tanto ambiziosa quanto inaggirabile: il conferimento del monopolio della forza militare,
con finalità di controllo, alla “Federazione della
Terra” e di
conseguenza “l’abolizione degli eserciti nazionali”
(l’esatto contrario di ciò
che sta avvenendo di questi tempi segnati da una schizofrenica rincorsa agli
armamenti). Per quanto concerne la seconda garanzia dei diritti
fondamentali di libertà e giustizia sociale vanno in primo luogo fissati
dettati costituzionali precisi e vincolanti per le forme
fondamentali di libertà connesse ai diritti politici e civili. Ma
non diversamente dal tema della pace perché non restino vuote indicazioni di
principio devono essere accompagnati da garanzie che scavalchino il loro
essere, come attualmente è, “affari interni dei
singoli Stati”, conferendo ad organismi in capo alla Federazione
della Terra (a
partire dal rafforzamento dell’autorevolezza della Corte Penale Internazionale)
l’autorità di intervenire per sanzionare ogni loro mancato. Diverso è il sistema di garanzie da introdurre per un
effettivo garantismo sovrannazionale dei diritti sociali. Se per
quelli di libertà le garanzie devono prevedere il divieto di lederli per quelli
sociali esse devono mirare a realizzare un sistema di relazioni internazionali,
basato su un reale principio di sussidiarietà, finalizzato alla loro concreta
realizzazione per eliminare e ridurre le disuguaglianze economiche e materiali (si tratta quindi di modificare
radicalmente le logiche economiche che le producono, un obiettivo quindi di
lunghissimo termine che richiederà adeguate politiche, sicuramente di non semplice
adozione, ma che avrebbero in queste norme costituzionali un decisivo punto di
riferimento).
2)- la costruzione di un
costituzionalismo dei mercati = nella
Costituzione della Terra non è meno importante sanare il vuoto di indirizzo costituzionale,
presente in tutte le Carte nazionali, che deriva dalla “identificazione
dei poteri” unicamente con quelli “pubblici”,
mentre poco o nulla è fissato riguardo ai “poteri privati”
che, fatti rientrare nella sfera delle “libertà individuali”,
sono considerati di fatto intangibili. Nel diritto costituzionale si è così
creata una errata commistione tra diritti fondamentali di libertà e diritti
patrimoniali, là dove i primi sono “universali,
indisponibili e inalienabili” ed i secondi al contrario “singolari, disponibili e alienabili”.
Questa confusione tra libertà e proprietà ha segnato sia il pensiero liberale
classico che ha negato, in nome della prima, interventi limitativi sulla
seconda, sia quello alternativo marxista/comunista che ha soffocato, in nome
della seconda, spazi alla prima. Se storicamente in alcune parti del mondo (in particolare in Europa nei primi decenni del
secondo dopoguerra) sono rintracciabili nel campo del diritto
privato alcune significative correzioni ad una lettura eccessivamente rigida di
questo dualismo, con l’introduzione di limitazioni alla sfera della proprietà
privata, è
però innegabile che la globalizzazione neoliberista abbia sancito il ritorno ad
una sua totale ed indiscriminata libertà di azione, sancendo così diffusamente il
globale primato dell’economia sulla politica ed il potere immenso degli
interessi economici, ancor più accentuato nella loro recente versione
tecnologica. In assenza di idonee garanzie globali
l’esercizio incontrollato di questi illimitati poteri ha segnato una crescita
senza precedenti delle disuguaglianze sociali e della devastazione della natura.
La Costituzione della Terra, viste le sua finalità ultime, è quindi chiamata ad
intervenire su questa fonte di ingiustizie e di collegati pericoli per la sopravvivenza
del pianeta, per farlo deve quindi prevedere norme che fissino limiti e vincoli
ai poteri imprenditoriali, ad esempio recuperando ed estendendo le “tradizionali” garanzie dei diritti dei lavoratori
(per eliminare così
l’ingiusta concorrenza globale per il diritto al lavoro),
prestabilendo un salario minimo universalmente applicabile con i dovuti
aggiustamenti locali, imponendo la parità salariale tra donne e uomini, vietando
lo sfruttamento para schiavistico, disincentivando la selvaggia
delocalizzazione
3)- la costruzione di un
costituzionalismo dei beni = alla
seconda direzione si collega direttamente la terza che ha a che fare con il
concetto di “beni comuni”, che comprendono “i beni vitali naturali” (suolo, clima, aria, acqua) ed “i beni vitali artificiali” (cibo, farmaci e vaccini, accesso alle
cure e all’assistenza). Nella Costituzione della terra devono
essere previste specifiche norme mirate a garantire la piena e diffusa
accessibilità ad entrambi queste forme di bene comune e ciò può essere
possibile solamente sottraendoli alle
logiche del mercato. Va detto che al momento l’importanza
dell’accessibilità a quelli artificiali, frutto dei grandi progressi
scientifici, è più facilmente percepita così come il loro stretto collegamento
con il diritto alla salute e alla sussistenza, più sfumata appare essere la
natura di diritti fondamentali di quelli naturali per il loro essere una
componente “fisiologica” del vivere umano. Eppure già il diritto romano li
considerava beni “extra commercium et
erga patrimonium” ed ancora agli albori del mercato capitalistico
venivano considerati, e concretamente gestiti, come “naturalmente
disponibili e accessibili per tutti” (Adam
Smith li riteneva del “massimo valore d’uso e di nessun valore di scambio”). Eppure
è storicamente successo l’esatto contrario e, in particolare con l’attacco
neoliberista alla loro gestione pubblica, sono in troppe parti del mondi stati
posti sul mercato, come normali merci, in base ad un valore patrimoniale sempre
più influenzato dalla loro scarsità. La quale imporrebbe al contrario che essi
vengano messi al riparo dalle logiche di mercato introducendo una loro definizione
costituzionale come beni appartenenti ad un “demanio
planetario”
4)- la costruzione di un
costituzionalismo a protezione dai beni micidiali = un
sistema di garanzie, di opposta natura, deve inoltre essere sancito da un
apposito “costituzionalismo dei beni illeciti”,
tutti di natura artificiali, quali le armi, a partire da quelle nucleari, le
emissioni inquinanti, lo smaltimento incontrollato di rifiuti pericolosi.
Questo sistema di garanzie deve essere opportunamente modulato per prevedere da
una parte appositi divieti che fissino tutto ciò che “non
deve essere prodotto”, dall’altra rigorose indicazioni su “come produrre” e su “come
consumare”, accompagnate da prescrizioni per una loro tassazione
sovrannazionale, diversificata paese per paese a seconda della loro consolidata
incidenza di produzione ed uso. Rientrano a pieno titolo in questo specifico
costituzionalismo i beni ed i servizi dell’impressionante sviluppo tecnologico
ed informatico (il capitalismo
algoritmico dell’AI compreso).
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"La vera utopia, il vero realismo”
Non manca in chi si è fatto promotore della proposta di
una Costituzione della Terra la consapevolezza di proporre un orizzonte
costituzionale tanto indispensabile quanto assente nelle stanze globali del
potere, ma ad essa subito si contrappone quella opposta di stare portando avanti
l’unica proposta in grado di superare le tante problematiche che attualmente
angosciano l’intera umanità.
Questa seconda consapevolezza poggia in particolare su
quattro aspetti:
1. il paradigma dell’allargamento del
costituzionalismo “rigido”
è possibile proprio per la sua natura “formale”,
per la sua struttura “a gradi”,
che non toglie spazio, ma semmai lo fortifica, ai poteri nazionali che
sarebbero così sollecitati ad uscire dalla gabbia della rassegnazione, troppo
spesso deliberatamente strumentale, al “non esiste alternativa agli attuali assetti di potere”
2. la collegata ulteriore convinzione che solo la costruzione di
una sfera pubblica internazionale, garante delle quattro finalità indicate, sia
adeguata alla natura globale di tale problematiche. Affrontarle in ottiche
nazionalistiche, oltretutto troppo spesso divergenti, è sforzo inutile,
inadeguato
3. solo l’accettazione attiva della
prospettiva di un costituzionalismo offrirebbe, in analoga maniera, la possibilità di
trovare un comune terreno di azione per tutti i movimenti e le associazioni che,
non di rado però ancora limitate a visioni localistiche e specialistiche,
comunque già sono convintamente impegnate per la pace, per la difesa dell’ambiente,
per l’estensione dei diritti, per il cambiamento delle logiche economiche
responsabile dell’attuale ingiusto stato di cose
4. questi primi tre aspetti trovano infine
un formidabile alleato
nella globalizzazione delle comunicazioni e delle connessioni in Rete. L’intero mondo, come si suole dire, è
ormai un “villaggio
globale”. Non
diversamente dalla stessa globalizzazione dei mercati ciò attualmente
rappresenta un’aggravante per molte delle questioni da affrontare, ma se
diversamente utilizzato può però divenire, in tempi rapidi, un unico laboratorio
di idee ed iniziative collegabili all’obiettivo del
costituzionalismo globale.
Un vero salto di qualità può comunque realizzarsi solo se
l’umanità sarà capace di ritrovare e di rinnovare quell’energia che
all’indomani del tragico secondo conflitto mondiale è stata capace, purtroppo
per un troppo breve periodo, di delineare, con la nascita dell’ONU, un
internazionalismo condiviso e finalizzato a nobili principi. Tale energia si è
dissolta sotto i colpi del “realismo”,
delle logiche ispirate dalla real politik, della rassegnata accettazione di uno
status quo in continuo peggioramento.
Quello che viene spacciato per razionale
realismo altro non è però che la fallace utopia che questa realtà possa
continuare ad essere così com’è ancora a lungo. Essa al contrario non può,
oggettivamente, durare. Troppo forte, al limite della non gestibilità, è
l’insieme delle emergenze che l’umanità intera ha di fronte. Un processo
costituente, per quanto graduale e travagliato, rappresenta allora, a dispetto
del suo apparente essere un orizzonte utopico, l’unico vero e praticabile
realismo.