lunedì 15 aprile 2024

Il "Saggio" del mese - Aprile 2024

 

Il “Saggio” del mese

 APRILE 2024

Il tema della “Libertà”, delle sue declinazioni nell’attuale fase storica, è stato il filo conduttore delle iniziative del nostro programma 2023/2024, iniziato riflettendo su di essa dal punto di vista filosofico. Il saggio di questo mese offre anch’esso una riflessione filosofica sul tema della libertà svolta, con la sua abituale verve poliedrica ed istrionica, da uno dei pensatori più seguiti nell’attuale dibattito filosofico e mediatico

E’ la preoccupazione per lo stato di salute della libertà nell’attuale fase storica che ha mosso Zizek a questa sua riflessione. La libertà, intesa nel suo più ampio significato, è da sempre “oggetto a contendere”, ma oggi il pericolo più grande che sta correndo sembra proprio consistere nella scarsa attenzione e cura che ad essa dedica gran parte di una umanità ad essa così assuefatta da darla per scontata, per acquisita ….. l’illibertà più pericolosa è quella che sperimentiamo in forma di libertà ….. Non è così, la libertà è un concetto, un valore universale ed eterno, che va ben oltre l’essere il predicato di un soggetto, rappresenta una dimensione irrinunciabile dell’animale uomo, mosso da passioni e non da soli istinti, che storicamente si è sempre confrontata con limiti e restrizioni. Per meglio capire se questo rischio vale anche ai giorni nostri è necessario riflettere su di essa risalendo il più possibile alla sua ultima essenza e valutandola nelle sue due fondamentali accezioni: la libertà in generale, quella che si esprime come soggetto a sè, e la libertà umana, ossia la declinazione della prima nella vita sociale.

….. nella libertà non ci sentiamo mai a nostro agio, più siamo liberi più dimoriamo nell’ansia, è una di quelle nozioni ingannevoli che appaiono evidenti, ma nel momento in cui cerchiamo di analizzarle ci troviamo impelagati in ambiguità e contraddizioni ……


lo stile espositivo di Zizek è straordinariamente arricchito da esempi, aneddoti, critiche e appunti vari, che impongono al lettore una costante, e per questo magari anche stancante, attenzione. Va inoltre detto che in questo saggio, già del suo di non trascurabili dimensioni, il tema centrale della libertà, che Zizek affronta risalendo alle origini del moderno pensiero filosofico e psicanalitico occidentale, diventa l’occasione per riflessioni ad ampio raggio su complesse tematiche (rapporto uomo-natura, forme della conoscenza, realtà e sue rappresentazioni, tanto per citarne alcune) non così immediatamente collegabili al tema in sé della libertà. Un esempio fra i tanti è quello della costante citazione dei concetti di “Altro – il grande Altro”  presenti nella teoria psicanalitica di Jacques Lacan (1901-1981, psicanalista e psichiatra francese) per indicare l’insieme di oggetti/soggetti, individuali e collettivi, che intervengono nel percorso di definizione delle nostre individualità, qui non ripresi proprio per l’eccessiva complessità  del tema Si è così dimostrato del tutto impossibile offrire, nell’abituale spazio dei nostri post, una seppure sinteticissima panoramica di un complesso di idee così vasto ed approfondito.  E’ stato quindi inevitabile limitarci ad estrapolare da tale ricchezza espositiva i passaggi più immediatamente collegabili al tema della libertà

PARTE PRIMA – La libertà in generale

Capitolo primo – Il disagio della libertà = E’ davvero possibile una definizione universalistica di libertà ossia del valore che, essendo oggetto di un di più di investimento affettivo, di fatto viene interpretato in modi diversi, non di rado tra di loro persino conflittuali? E d’altronde se una piena libertà implica anche quella di poterla declinare in sensi molteplici, inevitabilmente s’ha da fare i conti con questa sua poliedricità, ma allora come uscire fuori da questo rebus? In inglese questa tensione che attraversa la nozione di libertà è indicata da due termini diversi: freedom e liberty, con la prima, più astratta, a indicare la potenzialità di fare ciò che si desidera e la seconda, più concreta, quella di esercitare la propria freedom entro i confini fissati dalla legalità di turno. A suo tempo già Hegel (1770-1831) uno dei padri del moderno concetto di libertà si era premurato di precisare che, a scanso di equivoci, un conto è parlare di “libertà astratta” e un altro di “libertà concreta”, anche se questa distinzione, a ben vedere, implica che la prima, nel tramutarsi nella seconda, inevitabilmente si auto-restringa. Non deve allora stupire se nel campo larghissimo che separa questi due concetti si è storicamente realizzato un infinito corollario di varianti, alla cui comprensione e valutazione poco aiutano alcune delle formule via via coniate (la mia libertà finisce là dove inizia quella di un altro, la libertà è vuota se disgiunta dalla giustizia sociale, libertà pubbliche e libertà private, e via discorrendo) e d’altronde sono altrettanto varie, e continuamente mutevoli, le consuetudini sociali che definiscono i confini della libertà concreta. E’ questa una situazione, diffusa e consolidata, nella quale il perseguimento, l’esercizio e la difesa della libertà, comunque intesa, richiedono costante attenzione e continue scelte, non fosse altro che per non incorrere nel paradosso dell’illibertà, di cui si è detto in precedenza, per il quale libertà potrebbe persino significare rinunciare ad essere liberi. Per farlo occorre partire da un primo fondamentale aspetto: la libertà sempre si manifesta come una esigenza che emerge in risposta al manifestarsi di una necessità. E’ ancora Hegel a portare alla sua estrema conseguenza questa constatazione: per lui la vera libertà è in effetti il superamento di una necessità, un superamento che per essere realizzato richiede però la conoscenza, ovvero la consapevolezza, delle ragioni che hanno prodotto tale necessità: la libertà altro non è che la piena rimozione di tali ragioni. Questa conoscenza, questa consapevolezza, presuppongono a loro volta un soggetto dotato di una fondamentale dote preliminare: il libero arbitrio, e cioè il potere, insito in sé stesso, di decidere autonomamente il proprio pensare ed il proprio agire. Questa forma pura di libertà è però una dote davvero posseduta dall’uomo?  è una illusoria percezione di sé? o è solo il frutto di un processo evoluzionistico?

Capitolo secondo – Esiste davvero un “libero arbitrio”? = Il secolare dibattito, filosofico e teologico, attorno al libero arbitrio, vale a dire su come la libertà umana possa essere inserita nell’ordine generale della natura, è stato sconvolto dall'irruzione della scoperta neuroscientifica secondo la quale in natura tutto avviene secondo i rigidi canoni del naturalismo deterministico.  A dispetto della sua vantata diversità esistenziale non ne è esente neppure l’uomo, è ormai dato accertato che le sue risposte agli stimoli esterni partono “in automatico(governate in modo inconsapevole dall’ancestrale cervello rettiliano) anticipando la loro gestione volontaria, non solo: questa predisposizione, eredità di una lunghissima evoluzione, interviene, in forma di “predisposizione”, anche nel caso di scelte più complesse, più articolate. Si può quindi affermare che: io faccio quel che voglio, ma quel che voglio è in gran misura determinato. Anche la stessa coscienza (l’idea di sé che muove a capacità di interrompere e indirizzare diversamente un processo già in atto) è in una certa misura condizionata da attività neurali “cieche(è l’opinione di neuroscienziati come Antonio Damasio il cui saggio “Sentire e conoscere” è alla base della Parola del mese di Giugno 2022 “coscienza”). Se resta sempre vero che l’esercizio del libero arbitrio, in qualunque modo si attivi, è soprattutto l’individuale esercizio di retaggi sociali e culturali (oltre che caratteriali), è però certo che in questo nuovo quadro si impone una qualche ridefinizione delle stesse nozioni di libertà, autonomia e responsabilità etica. L’esercizio del libero arbitrio guarda al presente ed al futuro, ma è certamente determinato dal passato, sia quello generale evoluzionistico sia quello specifico socio-culturale, ed è quindi su questo terreno che si dà il calcio d’inizio della partita della libertà, che si apre ad ogni possibile risultato per la semplice ragione che ambedue questi passati non ci consegnano un esito  scontato, la loro eredità è comunque composta da catene causali imperfette che lasciano sempre spazio  alla possibilità di scegliere il nesso che le collega e le determina. Il passato sul quale germoglia il seme della libertà, attraverso il libero arbitrio, non è mai solamente il sedimentato comporsi di concreti “fatti”, ma nel nostro ri-viverlo sempre si evolve in un ordine simbolico di interpretazioni, di rappresentazioni, sempre ri-vedibili, sempre ri-adattabili. In questo senso il libero arbitrio non si manifesta solo come occasionale opportunità, ma è, nell'intricato rapporto con il passato, “l’a priori” di ogni conoscenza per quanto deterministico sia il meccanismo che lo attiva. La stessa negazione della sua attiva funzione è in effetti priva di senso proprio perchè esso sempre resta la pre-condizione di ogni conoscenza … se non si ha il libero arbitrio non si ha neppure la giustificazione per credere di non averlo …. Da ciò discende una conseguenza di non poco conto: se il passato è un aspetto del mondo in qualche modo definitivamente compiuto, esso “comprende avendolo formato” anche il soggetto che lo esamina, vale a dire che una sua osservazione, per quanto ritenuta oggettiva, non sarà mai slegata dall’esercizio del libero arbitrio comunque questo si manifesti. Si può allora ritenere che  intervenire sul presente per indirizzarlo verso un voluto futuro è una operazione resa possibile solamente dall'esercizio del libero arbitrio inteso come reinterpretazione del passato.  La libertà astratta poggia su questa precondizione che va oltre ad ogni meccanismo deterministico….. se anche sappiamo che quel che faremo è in una qualche misura predestinato, dobbiamo prenderci il rischio, soggettivamente, di scegliere tra le possibili predestinazioni quella che ci appare a noi più consona…... Per questa ragione la libertà è, in fin dei conti, una scommessa, un arrischiato salto in avanti inesorabilmente compiuto proprio esercitando il libero arbitrio

Capitolo terzo – Il resto indivisibile e la morte della morte = Comunque possa essersi delineata l’idea, la libertà è per sua natura destinata ad uscire dal mondo delle idee per misurarsi con il mondo reale, a completarsi divenendo concreta prassi ….. è questa la determinazione minima della libertà: sono libero se, nei limiti del mio possibile, decido della mia interazione con l’ambiente che mi circonda ….. E’ quindi la vita reale, non quella pensata, la forma fondamentale della libertà: come organismo vivente interagisco con l’ambiente ed al tempo stesso così facendo, essendo parte di quell’ambiente, di fatto interagisco anche con me stesso sulla base delle risposte di ritorno che da esso ricevo. L’idea di libertà che per completarsi deve tradurre la sua essenza ideale in prassi concreta è quindi costantemente portata a ridefinire sé stessa proprio in relazione alle risposte che l’agire (individuale e collettivo) per conseguirla raccoglie. Questo continuo processo di oggettivazione/ridefinizione della libertà da una parte richiama costantemente in causa il libero arbitrio nei termini di cui si è detto, ma dall'altra rende però  problematica una reale oggettivazione dell'idea di libertà essendo questa sempre filtrata dalla soggettività protagonista del processo. Dal punto di vista filosofico si inciampa così in una insidiosa complicazione che Kant (1724-1804) individuava, e superava, con queste parole: non siamo liberi quando facciamo quel che vogliamo, ma solo quando seguiamo la Legge morale contro le nostre tendenze spontanee che ci rendono schiavi. Emerge cioè a suo avviso la necessità che la libertà superi la dimensione istintiva del soddisfacimento delle nostre esigenze e dei nostri desideri, in sostanza la nostra “natura”, per fondarsi su un corpo condiviso di idee, filosoficamente definite, capaci di darle un orientamento morale. Al contrario di Kant, Schelling (1775-1854) ha negato tale contrapposizione ritenendo invece che spirito (io) e natura (non-io) potessero coincidere in una unità ideale (il “resto indivisibile”, così titola un saggio di Zizek sull’opera di Schelling), la libertà in questa sua idea emerge proprio dal suo fondarsi ed esprimersi in relazione ad una idea di “assoluto” che già del suo va oltre la soggettività. L’idea di assoluto permea anche la concezione di libertà di Hegel che però, in coerenza con il suo procedere dialettico, la fa emergere emerge attraverso un tortuoso percorso: essa è infatti la vera essenza dello spirito, perché nella natura non esiste libertà, ma solo necessità e accidentalità. Ma questa assoluta coincidenza con lo spirito la rende pura astrazione, un nulla che in-sé è un assoluto negativo, ossia un’assenza di vera determinazione. L’unica via di uscita da questa negatività consiste nell’opporsi ad essa dialetticamente proponendo il suo esatto opposto, vale a dire la negazione della negazione (che nella sua forma più pura è definibile come morte della morte) rappresentata dalla coincidenza fra spirito e libertà. Solo da questo incontro/scontro può a suo avviso emergere un divenire che è una nuova unità: quella di spirito e necessità (poggia anche su questa diversa unità l'intera “filosofia dello spirito” hegeliana) che diviene, come sintesi finale, la vera idea di libertà, un’idea che non è solo pensiero logico (la libertà astratta), ma dimensione concreta del vivere nella forma della comunità che assorbe tutte le singolarità, ovvero lo “Stato(la libertà concreta), che è quindi la vera realizzazione della libertà. Un’idea che trova la contemporanea opposizione di Kierkegaard (1813-1855) per il quale, se è vero che la comunità serve per la vera libertà, essa da sola non rende veramente liberi, sempre compete al libero arbitrio individuale il modo di sciogliere questa limitazione.

A conferma dell’originalità del suo stile espositivo Zizek affianca ai “normali” Capitoli di trattazione del tema due “Appendici” che aggiungono considerazioni a margine che spaziano in svariate direzioni

Appendice I

*   La meccanica quantistica, con le sue teorie sul comportamento delle particelle elementari, è un ottimo esempio per meglio mettere a fuoco la difficoltà di definire con esattezza il concetto di libertà. Infatti non diversamente la libertà sfugge ad una sua definizione/individuazione per comparire unicamente quando un osservatore/protagonista è chiamato, da impellenze e necessità, a capire in cosa essa davvero consista e dove può essere così collocata sulla scena di una storia idealizzata

*   il modo in cui Hegel introduce il concetto di libertà in numerosi passaggi della sua elaborazione filosofica richiama una prassi molto diffusa in vari ambiti culturali: la dislocazione, ossia il trasferire un “pacchetto culturale” da un contesto ad un altro. Succede ad esempio in musica con un accordo o una linea melodica e, passando a tutt’altro campo, con l’idea di uguaglianza o di rivoluzione diversamente declinata a seconda del paese in cui si afferma. La dislocazione però non è solo un trasferimento, perché implica sempre una diversità, quelle note evolvono in una differente composizione, e le idee una diversa concretizzazione (l’idea marxista di rivoluzione, intesa come superamento del capitalismo giunto al suo pieno compimento, è stata per certi versi paradossalmente adottata sia in Russia che in Cina in un contesto di arretratezza economica). Allo stesso modo occorre quindi prestare attenzione ai molteplici  significati che il concetto di  “libertà” assume in Hegel

*   Viviamo tempi molto permissivi sotto molti punti di vista. La permissività però non è automaticamente sinonimo di libertà, spesso questa emerge, sapendola individuare, in modi anomali. Uno di questi è raccontato dalla miniserie Netflix “Inventing Anna (inventare Anna)” che racconta la storia vera di Anna una giovane e povera truffatrice che fingendo, nel jet set di New York, di essere una ricca ereditiera è riuscita per anni a vivere di generosi “aiuti” utilizzati per coprire via via quelli già ottenuti. Anna non ha però una vera attitudine criminale, in un certo senso si è così immedesimata con questa immagine di sé da credere di ottenere prestiti da una sé stessa proiettata nel futuro. Rispetta letteralmente la formula lacaniana (Lacan, 1901-1981, psicanalista francese) del “non compromettere il tuo desiderio”. In fondo anche in questo caso, inimmaginabile in tempi “normali”, si può intuire che la libertà più profonda è sperimentata come necessità interna

*   L’arte moderna del Novecento si è caratterizzata con canoni innovativi capaci di raccontare, spesso anticipandoli, le tensioni, le paure, le angosce di tempi troppo veloci e crudeli. E’ stata a lungo osteggiata, prima di venire fagocitata dal mercato come puro business, anche per questo motivo, oltre per le sue provocazioni. Eppure anche il solo fatto di esprimere angoscia e dissonanza è in effetti un atto di liberazione dall’ordine esistente. Neppure tanto incomprensibilmente molta filosofia non l’ha ritenuta tale.

PARTE SECONDA – La libertà umana

Capitolo quarto – Marx non ha inventato solo il sintomo, ma anche la pulsione = La libertà astratta, ovvero il concetto di libertà come dimensione fondante della vita, per divenire, per l’uomo sociale, autentica libertà concreta segue due distinti percorsi: quello delle idee e quello delle condizioni materiali di esistenza. Due filosofi, non a caso fra di loro strettamente connessi, sono assurti a teorici della prima, Hegel, e della seconda, Marx. Non si tratta comunque di una distinzione netta: il concetto hegeliano di Storia, visto come il progressivo realizzarsi dell’Idealismo, è pur sempre anche un’idea di costante progresso materiale, di graduale concreta realizzazione del concetto di libertà, ed al tempo stesso in Marx, nella sua concezione materialistica della Storia, il mondo delle idee è tutt’altro che sottovalutato, sono esplicite in questo senso le sue parole: … pensare è pur sempre un’attività reale, eseguita da individui che vivono, interagiscono e producono in una realtà sociale materiale, pensare è un aspetto della pratica sociale umana. Ciò detto, resta pur vero che è con il corpo dottrinale di Marx che l’idea di libertà viene definitivamente e intimamente calata nel mondo reale, nella sfera delle relazioni economiche e sociali. L’anelito verso di essa nato con l’avvio della Modernità come liberazione dalle catene del potere nobiliare acquista una sua nuova e più definita dimensione nella sua declinazione di lotta di classe. E’ infatti nell’analisi marxiana delle logiche capitalistiche che, anche in questo caso contraddicendo consolidati luoghi comuni, l’anelito verso la libertà, anche individuale oltre che collettiva, trova una sua nuova e specifica definizione: l’essere l’opposto contradditorio della pulsione capitalistica verso l’accumulazione infinita (quando i lavoratori comprendono di essere ridotti a merce, cessano di essere merce, di essere oggetto, per divenire soggetto).  Alcuni teorici marxisti (Lukacs, 1885-1971, filosofo ungherese) hanno completato questa idea di pulsione di libertà di Marx (che in più passaggi ha evidenziato che, proprio per questa ragione, il capitalismo è in sé già liberatorio) elevandola ad una dimensione trascendentale assoluta capace cioè di delineare non solo una diversa struttura economica e sociale, ma anche di dare nuovo e diverso senso alla sfera politica, all’influsso dell’ideologia, alla stessa scienza. L’invenzione marxista della pulsione verso la libertà, vista al tempo stesso come opposizione dialettica alla pulsione capitalistica e come suo completamento storico, ha permeato tutti i conflitti, ottocenteschi e novecenteschi, per l’appropriazione e l’estensione delle libertà collettive, affiancando la visione liberale di libertà che, pur non meno storicamente rilevante come eredità di lungo periodo del preliminare affrancamento dal potere nobiliare, ha puntato innanzitutto alla sfera individuale fino ad essere la base ideale dello stesso spirito capitalistico.

Capitolo quinto – In cammino verso l’anarco-feudalesimo = Il periodo a cavallo del cambio di secolo sta però rappresentando un momento di radicale svolta per questo consolidato rapporto di connessione tra mondo delle idee e condizioni materiali di esistenza. La vita umana e lo stesso concetto di libertà devono infatti misurarsi con l’irruzione di una nuova dimensione: lo spazio virtuale creato dalle nuove tecnologie informatiche, di cui il metaverso (uno spazio virtuale a cui accedere tramite piattaforme digitali in cui si assottigliano fino ad essere quasi impercettibili le differenze con la realtà) rappresenta il più completo paradigma. Si tratta della più ardita ambizione (Meta, ossia oltre, è dal 2021 il nuovo nome di Facebook) di utilizzo delle tecnologie di comunicazione e 3D finalizzate alla creazione di una realtà parallela, che spogliata della sua indubbia fascinazione tecnologica e vista nella sua vera essenza, si rivela una dimensione umana comune posseduta, filtrata e gestita, da privati ….. dei nuovi signori feudali che in questo modo potranno sorvegliare e regolare le nostre interazioni con il mondo ….. In apparenza sembra che si siano riaffacciate, dopo essere incredibilmente evolute dal punto di vista tecnologico, le speranze utopiche che avevano accompagnato la nascita del primo Internet visto come una nuova dimensione capace di aggirare i limiti, fisici e ideologici, imposti dal mondo reale fino a prefigurare una nuova idea di anarchia libertaria (una illusione che ha avuto ben altro esito). Insomma ancora una volta un inno alle mirabilie tecnologiche capaci di creare infiniti spazi di libertà. La domanda resta però sempre la stessa: come si concilia la proprietà privata di questi strumenti con il presunto allargamento di spazi di libertà e democrazia con un mondo nel quale questo effettivo neofeudalesimo si presenta come protettore delle libertà? A questi fondamentali dubbi di ordine politico se ne affiancano poi altri inerenti il potere salvifico della tecnologia, l’idea cioè che tutti i limiti ed i problemi dell’agire umano possano essere risolti affidandoci alle potenzialità delle macchine digitali. Si tratta non solo di un azzardo in sé, di una scappatoia per non affrontare l’essenza delle tante questioni che segnano questi tempi, ma di una autentica mistificazione: ancora una volta occorre tornare al fondamento delle logiche di mercato, siamo infatti semplicemente di fronte ad una trasformazione (l’ultima?) del capitalismo (a sua volta in evoluzione verso una concentrazione neofeudale) che mira a ricorrere sempre meno all’utilizzo del capitale umano. Al di là delle fantasie anarco-edonistiche, con l’ulteriore salto tecnologico (Intelligenze Artificiali e comunicazione diretta tra macchine) diventa possibile immaginare una gestione dell’economia, e quindi della società, sempre più affidata alle macchine con gli umani risarciti, certo non gratuitamente, con scampoli di compensatorio mondo virtuale. Non deve stupire allora che già oggi il mondo delle merci fisiche, che a lungo hanno rappresentato la base della produzione capitalistica (e della sfera dei desideri di massa), siano sempre più sostituite dalle esperienze (in progressivo passaggio al virtuale), ossia da momenti idealizzati di vita, da esse rappresentate (questa nuova fase della mercificazione viene definita “capitalismo culturale” in cui non è più l’immagine a promuovere il prodotto, ma è il prodotto che viene ridotto a veicolo per accedere all’immagine). Inevitabile che in contesto simile la pulsione verso la libertà acquisti nuove forme e si misuri con nuovi limiti e restrizioni.

Zizek dedica la parte finale di questo Capitolo alla accurata analisi dei fenomeni delle “criptovalute” e degli NFT (Non Fungible Token, gettoni di possesso di creazioni virtuali spendibili in un apposito mercato telematico) a suo avviso emblematici di questa svolta tecno-capitalistica

Capitolo sesto – Stato e controrivoluzione = Appare infatti evidente che la svolta tecnologica, esaltata come occasione di nuovi orizzonti di libertà, la sta al contrario riducendo con la sua invasiva capacità di incidere sulla sfera delle pulsioni, dei desideri, decidendo in anticipo per noi che cosa desiderare. Al tempo stesso è divenuta un formidabile strumento di controllo nella veste del capitalismo della sorveglianza, reso possibile dai big data. In questo quadro di una libertà pilotata e limitata è tornato centrale il ruolo del grande assente negli anni del neoliberismo galoppante: lo Stato, messo in sordina dall’ideologia liberista dell’ordine spontaneo della società, mirabilmente creato dal libero gioco del mercato. Il dibattito attorno al rapporto tra Stato e libertà attraversa la scena culturale, politica e filosofica in particolare, fin dal nascere della Modernità, ma risale ben più a monte chiamando in causa la propensione naturale dell’uomo ad accettare una contrazione dei suoi spazi individuali per rafforzare la coesione comunitaria e sociale [è questo il presupposto sul quale poggia l’dea del moderno Stato, il Leviatano, elaborata da Locke (1632-1704)]. Ancora di recente nel suo magnifico saggio “L’alba di tutto” l’antropologo David Graeber (1961-2020, questo saggio è stato presentato in un nostro post del Novembre 2022) ha rilanciato la contrapposizione tra i presunti maggiori spazi di libertà, di impronta anarchica, delle culture e delle società pre-moderne e le restrizioni imposte dagli attuali Stati. Ma è un confronto squilibrato e non sostenibile: non esisteva in tali precedenti esperienze il senso moderno della libertà individuale, il cui spazio, paradossalmente, sembra essere oggi garantito proprio dall’esistenza di una autorità statale che si eleva al di sopra della società civile, nella quale l’esercizio oggettivo della libertà è definito, formalmente e concretamente, dagli spazi concessi da tale autorità, ma non dalla sua assenza. Così come non sembrano condivisibili altre contemporanee concezioni dello Stato ridotto esclusivamente alla funzione di invasivo controllo bio-politico delle nostre esistenze (Zizek si riferisce espressamente alle posizioni assunte dal filosofo Giorgio Agamben sulle politiche di controllo di massa messe in atto durante la pandemia da Covid 19, che liquida come inutile chiacchiericcio). Se è indiscutibile la constatazione che il rapporto tra Stato e cittadini è sempre stato, e tuttora certamente lo è, condizionato da visioni ed interessi specifici, a partire da quelli dei rapporti economici di classe, resta comunque vero, ed i tempi di forte crisi come quello pandemico lo attestano, che lo Stato in quanto tale non può esimersi da quello che resta il suo scopo principale: l’interesse generale dei cittadini per quanto diversamente interpretato e declinato. Non a caso la difesa e l’allargamento di spazi di libertà appaiono ormai inseparabili da una gestione dello Stato che si muova in tal senso. Questa considerazione nulla toglie, anzi, all’inderogabile opposizione al crescente anarco-feudalesimo tecnologico (nella sua versione tecno-populista), ma ribadisce che perché questa sia efficace è allo Stato, al suo ruolo e alla sua corretta declinazione, che occorre guardare.

Analogamente a quanto sopra non inseriamo l’ultima parte di questo Capitolo, quella della “controrivoluzione” dedicata ad una riflessione su un diverso modo di intendere il concetto di “Patria” e ad una rivisitazione dell’ideale comunista perchè, per quanto ricca di interessanti riflessioni, non ci è sembrata immediatamente riconducibile al tema della libertà. La stessa considerazione è valsa per i quattro Capitoli della seconda Appendice che contengono affascinanti ed eccentriche riflessioni su alcuni temi, a nostro avviso così distanti dal cuore del saggio da imporre, nostro malgrado e differentemente da quelli della prima Appendice, di essere semplicemente citati

Appendice II

Temi affrontati:

*   la forclusione (nella teoria psicoanalitica lacaniana indica l'assenza della funzione del Terzo nel rapporto tra soggetto e Altro) del concetto lacaniano di “grande Altro(vedi sopra) troppo frequentemente presente nel dibattito culturale inerente ai rapporti fra soggetti

*   il differente ruolo della vergogna e dello svergognamento nell’attuale comunicazione politica e nella cancel culture  (la pratica, diffusa soprattutto negli USA, di cancellare dalla memoria storica personaggi che hanno, tempi addietro, sostenuto idee o avuto comportamenti che, oggi, non sono più condivisibili)

*   la prevenzione, diffusa soprattutto nei paesi non democratici, verso le forme d’arte definibili, spesso troppo genericamente, come postmoderno (termine usato a partire dagli anni ’60 del Novecento, inizialmente negli Stati Uniti e poi in Europa, per definire le varie tendenze in architettura, in letteratura, in movimenti culturali e nelle arti in genere caratterizzate dal rifiuto dell’ideale di progresso proprio del razionalismo novecentesco)

*   l’uso strumentale, e storicamente non sostenibile, del termine de-nazificare (epurare da concetti e ideologie naziste) abitualmente ed insistentemente fatto dalla propaganda putiniana

FINALE = I quattro cavalieri dell’Apocalisse

Il concetto di libertà, già del suo così complesso e fragile, si misura quindi costantemente con le ragioni di fondo del suo manifestarsi (libertà astratta) e nondimeno con vari contesti storici nei quali è chiamato ad esprimersi (libertà concreta). Ed è indubbio che guardando ai tempi attuali la scontata, e perciò trascurata, libertà di cui gran parte del mondo sembra disporre è chiamata a misurarsi con rilevanti minacce e pericoli che, ancora indossando le vesti dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, sono rappresentati dalle eterne crisi che da sempre attanagliano l’umanità. Ma sarebbe un errore vederle semplicemente come le classiche manifestazioni del male, è alle loro attuali forme che dobbiamo guardare per meglio comprendere le minacce che rappresentano per la libertà: la guerra, con la minaccia atomica all’orizzonte, la fame e le carestie, con la crescente penuria di acqua e cibo, la malattia, con l’irruzione di nuove pandemie, la morte, oggi non più solo quella provocata dai tre precedenti cavalieri, ma ormai anche quella del concetto stesso di uomo minacciato dal controllo digitale di cui si è detto. La loro diversa intensità e modulazione, fino a tempi recenti tenute sotto controllo da scienza, tecnologia, medicina, sembrano aver acquistato maggiore intensità per l’irruzione sulla scena di un quinto spietato cavaliere: l’umanità stessa colpevole di aver drammaticamente alterato l’equilibrio ambientale, già del suo sempre fragile e provvisorio (l’intera storia dell’uomo è potuta avvenire nelle forme che conosciamo grazie ad una “parentesi” di circa ventimila anni, già breve del suo se misurata sui tempi geologici, di favorevole clima equilibrato).  La minaccia del quinto cavaliere non consiste solo nell’aver aggravato quella dei quattro classici cavalieri, ma anche nell’innescare il contesto più pernicioso per la libertà: il caos costante (il crescente squilibrio ambientale e climatico non procede per costanti linee progressive ma con passaggi da una crisi all’altra con diverso grado d’intensità), quello cioè che pregiudica la possibilità di ragionate e stabili politiche e scelte (il riscaldamento globale ci sta insegnando che gli uomini possono essere liberi solo se restano stabili i parametri di temperatura, composizione dell’aria e delle acque, di energia a sufficienza). Vale a dire che i limiti della nostra libertà sono conseguentemente fissati dal suo stesso sviluppo: più ci sentiamo liberi, e capaci di cambiare la natura, più creiamo condizioni naturali che possono cancellare spazi di libertà.  Non solo più ci sentiamo liberi, e capaci, di intervenire sulla stessa natura umana (manipolazione genetica, biotecnologie), più creiamo un uomo nuovo e nuove idee di libertà. In un contesto simile i limiti di funzionamento ed efficacia della democrazia sono inesorabilmente destinate ad esplodere, i vari populismi e sovranismi ne sono un evidente sintomo. Non è individuabile all’orizzonte una mobilitazione, di coscienze ed azioni concrete, all’altezza della posta in gioco, l’intero campo della politica si muove tra egoismi di parte e montante apatia. L’umanità si trova drammaticamente sprovvista di valori e idee adeguati e al tempo stesso di soggetti collettivi capaci di essere i potenziali protagonisti di una svolta: la fine del novecentesco ruolo salvifico della classe operaia ha lasciato un vuoto al momento non colmato. Nulla di cui stupirsi: nell’emergenza ambientale e climatica non esiste una individuabile classe liberatrice, siamo tutti indistintamente chiamati a rispondere a questa sfida in cui sono in gioco al tempo stesso libertà e sopravvivenza. L’umanità non è più chiamata solo a rompere le catene delle classiche schiavitù, oggi il rischio reale è quello di una umanità, tutta asservita a logiche di profitto nella loro versione ipertecnologica, composta da “servi che comandano servi”. Zizek in chiusura richiama una considerazione di Ghandi: il destino del servo è peggiore del destino dello schiavo, perché questi ha solo perso la sua libertà, mentre il servo della libertà è divenuto indegno. Nelle ultimissime pagine del saggio Zizek non smentisce sé stesso e la sua provocatoria abilità espositiva là dove, confermando che il tratto vero del Potere attuale è quello di un autentico “anarco-capitalismo”, la logica di profitto che si muove senza vincolo alcuno, al quale nulla e nessuno sembra opporsi con un minimo di efficacia, suggerisce, come provocatoria iperbole, di recuperare la lacaniana figura del “Grande Altro(quella colpita dalla forclusione di cui sopra) trasformata nelle vesti di un illuminato “Padre-Capo-Padrone” capace, come il barone di Munchausen, di tirare fuori dalla palude l’umanità ormai troppo passiva.




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