Il “Saggio” del mese
APRILE 2024
Il tema della “Libertà”, delle sue declinazioni nell’attuale fase
storica, è stato il filo conduttore delle iniziative del nostro programma
2023/2024, iniziato riflettendo su di essa dal punto di vista filosofico. Il saggio
di questo mese offre anch’esso una riflessione filosofica sul tema della
libertà svolta, con la sua abituale verve poliedrica ed istrionica, da uno
dei pensatori più seguiti nell’attuale dibattito filosofico e mediatico
E’ la preoccupazione per lo stato di
salute della libertà nell’attuale fase
storica che ha mosso Zizek a questa sua riflessione. La libertà, intesa nel suo
più ampio significato, è da sempre “oggetto a
contendere”, ma oggi il pericolo più grande che sta correndo sembra
proprio consistere nella scarsa attenzione e cura che ad essa dedica gran parte
di una umanità ad essa così assuefatta da darla per scontata, per acquisita …..
l’illibertà più pericolosa è quella che
sperimentiamo in forma di libertà ….. Non è così, la libertà è un concetto, un valore universale ed
eterno, che va ben oltre l’essere il predicato di un soggetto, rappresenta una
dimensione irrinunciabile dell’animale uomo, mosso da passioni e non da soli
istinti, che storicamente si è sempre confrontata con limiti e restrizioni. Per
meglio capire se questo rischio vale anche ai giorni nostri è necessario
riflettere su di essa risalendo il più possibile alla sua ultima essenza e
valutandola nelle sue due fondamentali accezioni: la libertà
in generale, quella che si esprime come soggetto a sè, e la libertà umana, ossia la declinazione della
prima nella vita sociale.
….. nella libertà non ci sentiamo mai a nostro agio, più siamo liberi più
dimoriamo nell’ansia, è una di quelle nozioni ingannevoli che appaiono
evidenti, ma nel momento in cui cerchiamo di analizzarle ci troviamo impelagati
in ambiguità e contraddizioni ……
lo stile espositivo di
Zizek è straordinariamente arricchito da esempi, aneddoti, critiche e appunti
vari, che impongono al lettore una costante, e per questo magari anche
stancante, attenzione. Va inoltre detto che in questo saggio, già del suo di
non trascurabili dimensioni, il tema centrale della libertà, che Zizek affronta
risalendo alle origini del moderno pensiero filosofico e psicanalitico
occidentale, diventa l’occasione per riflessioni ad ampio raggio su complesse
tematiche (rapporto uomo-natura, forme della conoscenza, realtà e sue
rappresentazioni, tanto per citarne alcune) non così immediatamente collegabili
al tema in sé della libertà. Un esempio fra i tanti è quello della costante
citazione dei concetti di “Altro – il grande Altro” presenti nella teoria psicanalitica di Jacques
Lacan (1901-1981, psicanalista e psichiatra francese) per indicare l’insieme di
oggetti/soggetti, individuali e collettivi, che intervengono nel percorso di
definizione delle nostre individualità, qui non ripresi proprio per l’eccessiva
complessità del tema Si è così
dimostrato del tutto impossibile offrire, nell’abituale spazio dei nostri post,
una seppure sinteticissima panoramica di un complesso di idee così vasto ed
approfondito. E’ stato quindi
inevitabile limitarci ad estrapolare da tale ricchezza espositiva i passaggi
più immediatamente collegabili al tema della libertà
PARTE PRIMA – La libertà in generale
Capitolo primo – Il
disagio della libertà = E’
davvero possibile una definizione universalistica di libertà ossia del valore
che, essendo oggetto di un di più di investimento affettivo, di fatto viene
interpretato in modi diversi, non di rado tra di loro persino conflittuali? E
d’altronde se una piena libertà implica anche quella di poterla declinare in
sensi molteplici, inevitabilmente s’ha da fare i conti con questa sua
poliedricità, ma allora come uscire fuori da questo rebus? In inglese questa
tensione che attraversa la nozione di libertà è indicata da due termini
diversi: freedom
e liberty,
con la prima, più astratta, a indicare la potenzialità di fare ciò che si
desidera e la seconda, più concreta, quella di esercitare la propria freedom
entro i confini fissati dalla legalità di turno. A suo tempo già Hegel (1770-1831)
uno dei padri del moderno concetto di libertà si era premurato di precisare
che, a scanso di equivoci, un conto è parlare di “libertà astratta” e un altro di
“libertà
concreta”, anche se questa distinzione, a ben vedere, implica che la
prima, nel tramutarsi nella seconda, inevitabilmente si auto-restringa. Non deve
allora stupire se nel campo larghissimo che separa questi due concetti si è
storicamente realizzato un infinito corollario di varianti, alla cui
comprensione e valutazione poco aiutano alcune delle formule via
via coniate (la mia libertà
finisce là dove inizia quella di un altro, la libertà
è vuota se disgiunta dalla giustizia sociale, libertà pubbliche e libertà
private, e via discorrendo) e d’altronde sono altrettanto varie, e
continuamente mutevoli, le consuetudini sociali che definiscono i confini della
libertà
concreta. E’ questa una situazione, diffusa e consolidata, nella
quale il perseguimento, l’esercizio e la difesa della libertà, comunque intesa,
richiedono costante attenzione e continue scelte, non fosse altro che per non
incorrere nel paradosso dell’illibertà, di cui si è detto in precedenza, per il
quale libertà potrebbe persino significare rinunciare ad essere liberi. Per
farlo occorre partire da un primo fondamentale aspetto: la libertà sempre si
manifesta come una esigenza che emerge in risposta al manifestarsi di una necessità.
E’ ancora Hegel a portare alla sua estrema conseguenza questa constatazione:
per lui la
vera libertà è in effetti il superamento di una necessità, un
superamento che per essere realizzato richiede però la conoscenza, ovvero la consapevolezza,
delle ragioni
che hanno prodotto tale necessità: la libertà altro non è che la piena
rimozione di tali ragioni. Questa conoscenza, questa consapevolezza,
presuppongono a loro volta un soggetto dotato di una fondamentale dote preliminare: il libero
arbitrio, e cioè il potere, insito in sé stesso, di decidere
autonomamente il proprio pensare ed il proprio agire. Questa forma pura di
libertà è però una dote davvero posseduta dall’uomo? è una
illusoria percezione di sé? o è solo il frutto di un processo evoluzionistico?
Capitolo secondo – Esiste davvero un “libero arbitrio”? = Il secolare dibattito, filosofico e teologico, attorno al libero arbitrio, vale a dire su come la libertà umana possa essere inserita nell’ordine generale della natura, è stato sconvolto dall'irruzione della scoperta neuroscientifica secondo la quale in natura tutto avviene secondo i rigidi canoni del naturalismo deterministico. A dispetto della sua vantata diversità esistenziale non ne è esente neppure l’uomo, è ormai dato accertato che le sue risposte agli stimoli esterni partono “in automatico” (governate in modo inconsapevole dall’ancestrale cervello rettiliano) anticipando la loro gestione volontaria, non solo: questa predisposizione, eredità di una lunghissima evoluzione, interviene, in forma di “predisposizione”, anche nel caso di scelte più complesse, più articolate. Si può quindi affermare che: io faccio quel che voglio, ma quel che voglio è in gran misura determinato. Anche la stessa coscienza (l’idea di sé che muove a capacità di interrompere e indirizzare diversamente un processo già in atto) è in una certa misura condizionata da attività neurali “cieche” (è l’opinione di neuroscienziati come Antonio Damasio il cui saggio “Sentire e conoscere” è alla base della Parola del mese di Giugno 2022 “coscienza”). Se resta sempre vero che l’esercizio del libero arbitrio, in qualunque modo si attivi, è soprattutto l’individuale esercizio di retaggi sociali e culturali (oltre che caratteriali), è però certo che in questo nuovo quadro si impone una qualche ridefinizione delle stesse nozioni di libertà, autonomia e responsabilità etica. L’esercizio del libero arbitrio guarda al presente ed al futuro, ma è certamente determinato dal passato, sia quello generale evoluzionistico sia quello specifico socio-culturale, ed è quindi su questo terreno che si dà il calcio d’inizio della partita della libertà, che si apre ad ogni possibile risultato per la semplice ragione che ambedue questi passati non ci consegnano un esito scontato, la loro eredità è comunque composta da catene causali imperfette che lasciano sempre spazio alla possibilità di scegliere il nesso che le collega e le determina. Il passato sul quale germoglia il seme della libertà, attraverso il libero arbitrio, non è mai solamente il sedimentato comporsi di concreti “fatti”, ma nel nostro ri-viverlo sempre si evolve in un ordine simbolico di interpretazioni, di rappresentazioni, sempre ri-vedibili, sempre ri-adattabili. In questo senso il libero arbitrio non si manifesta solo come occasionale opportunità, ma è, nell'intricato rapporto con il passato, “l’a priori” di ogni conoscenza per quanto deterministico sia il meccanismo che lo attiva. La stessa negazione della sua attiva funzione è in effetti priva di senso proprio perchè esso sempre resta la pre-condizione di ogni conoscenza … se non si ha il libero arbitrio non si ha neppure la giustificazione per credere di non averlo …. Da ciò discende una conseguenza di non poco conto: se il passato è un aspetto del mondo in qualche modo definitivamente compiuto, esso “comprende avendolo formato” anche il soggetto che lo esamina, vale a dire che una sua osservazione, per quanto ritenuta oggettiva, non sarà mai slegata dall’esercizio del libero arbitrio comunque questo si manifesti. Si può allora ritenere che intervenire sul presente per indirizzarlo verso un voluto futuro è una operazione resa possibile solamente dall'esercizio del libero arbitrio inteso come reinterpretazione del passato. La libertà astratta poggia su questa precondizione che va oltre ad ogni meccanismo deterministico….. se anche sappiamo che quel che faremo è in una qualche misura predestinato, dobbiamo prenderci il rischio, soggettivamente, di scegliere tra le possibili predestinazioni quella che ci appare a noi più consona…... Per questa ragione la libertà è, in fin dei conti, una scommessa, un arrischiato salto in avanti inesorabilmente compiuto proprio esercitando il libero arbitrio
Capitolo terzo – Il resto indivisibile e la morte della morte = Comunque possa
essersi delineata l’idea, la libertà è per sua natura destinata ad uscire dal
mondo delle idee per misurarsi con il mondo reale, a completarsi divenendo
concreta prassi ….. è questa la determinazione minima della libertà: sono
libero se, nei limiti del mio possibile, decido della mia interazione con
l’ambiente che mi circonda ….. E’
quindi la vita reale, non quella pensata, la forma fondamentale della libertà: come
organismo vivente interagisco con l’ambiente ed al tempo stesso così facendo,
essendo parte di quell’ambiente, di fatto interagisco anche con me stesso sulla
base delle risposte di ritorno che da esso ricevo. L’idea di libertà che per
completarsi deve tradurre la sua essenza ideale in prassi concreta è quindi
costantemente portata a ridefinire sé stessa proprio in relazione alle risposte
che l’agire (individuale e collettivo) per conseguirla raccoglie. Questo continuo
processo di oggettivazione/ridefinizione della libertà da una parte richiama costantemente
in causa il libero arbitrio nei termini di cui si è detto, ma dall'altra rende però problematica una reale
oggettivazione dell'idea di libertà essendo questa sempre filtrata dalla soggettività protagonista
del processo. Dal punto di vista filosofico si inciampa così in una
insidiosa complicazione che Kant (1724-1804) individuava, e superava, con
queste parole: non
siamo liberi quando facciamo quel che vogliamo, ma solo quando seguiamo la
Legge morale contro le nostre tendenze spontanee che ci rendono schiavi.
Emerge cioè a suo avviso la necessità che la libertà superi la dimensione
istintiva del soddisfacimento delle nostre esigenze e dei nostri desideri, in
sostanza la nostra “natura”, per fondarsi su un corpo condiviso di idee,
filosoficamente definite, capaci di darle un orientamento morale. Al contrario
di Kant, Schelling (1775-1854) ha negato tale contrapposizione ritenendo invece
che spirito
(io) e natura (non-io) potessero
coincidere in una unità ideale (il “resto
indivisibile”, così titola un saggio di Zizek sull’opera di Schelling), la libertà
in questa sua idea emerge proprio dal suo fondarsi ed esprimersi in relazione ad una idea di “assoluto” che già del suo va oltre la soggettività.
L’idea di assoluto permea anche la concezione di libertà di Hegel che però, in
coerenza con il suo procedere dialettico, la fa emergere emerge attraverso un tortuoso
percorso: essa è infatti la vera essenza dello spirito, perché nella natura non
esiste libertà,
ma solo necessità
e accidentalità. Ma questa assoluta coincidenza con lo spirito la
rende pura astrazione, un nulla che in-sé è un assoluto negativo, ossia un’assenza
di vera determinazione. L’unica via di uscita da questa negatività consiste
nell’opporsi ad essa dialetticamente proponendo il suo esatto opposto, vale a
dire la negazione della negazione (che nella sua forma
più pura è definibile come morte della morte) rappresentata
dalla coincidenza fra spirito e libertà. Solo da questo incontro/scontro può a suo avviso emergere un
divenire che è una nuova unità: quella di spirito e necessità
(poggia anche su questa diversa unità l'intera “filosofia dello spirito” hegeliana) che diviene, come sintesi
finale, la vera idea di libertà, un’idea che non è solo pensiero
logico (la libertà astratta),
ma dimensione concreta del vivere nella forma della comunità che assorbe tutte
le singolarità, ovvero lo “Stato” (la libertà concreta), che è quindi la vera
realizzazione della libertà. Un’idea che trova la contemporanea opposizione di
Kierkegaard (1813-1855) per
il quale, se è vero che la comunità serve per la vera libertà, essa da sola non
rende veramente liberi, sempre compete al libero arbitrio individuale il modo
di sciogliere questa limitazione.
A conferma
dell’originalità del suo stile espositivo Zizek affianca ai “normali” Capitoli
di trattazione del tema due “Appendici” che aggiungono considerazioni a margine
che spaziano in svariate direzioni
Appendice
I
La
meccanica quantistica, con le sue teorie sul comportamento delle particelle
elementari, è un ottimo esempio per meglio mettere a fuoco la difficoltà di
definire con esattezza il concetto di libertà. Infatti non diversamente la libertà
sfugge ad una sua definizione/individuazione per comparire unicamente quando un
osservatore/protagonista è chiamato, da impellenze e necessità, a capire in
cosa essa davvero consista e dove può essere così collocata sulla scena di una storia
idealizzata
il
modo in cui Hegel introduce il concetto di libertà in numerosi passaggi della
sua elaborazione filosofica richiama una prassi molto diffusa in vari ambiti
culturali: la dislocazione,
ossia il trasferire un “pacchetto culturale” da un contesto ad un
altro. Succede ad esempio in musica con un accordo o una linea melodica e, passando
a tutt’altro campo, con l’idea di uguaglianza o di rivoluzione diversamente declinata a seconda del paese in cui si afferma. La dislocazione però non è solo un trasferimento, perché implica
sempre una diversità, quelle note evolvono in una differente composizione, e le
idee una diversa concretizzazione (l’idea marxista di rivoluzione,
intesa come superamento del capitalismo giunto al suo pieno compimento, è stata per certi versi paradossalmente adottata sia in Russia che in Cina in un contesto di arretratezza economica).
Allo stesso modo occorre quindi prestare attenzione ai molteplici significati che il concetto di “libertà” assume in Hegel
Viviamo
tempi molto permissivi sotto molti punti di vista. La permissività però non è
automaticamente sinonimo di libertà, spesso questa emerge, sapendola
individuare, in modi anomali. Uno di questi è raccontato dalla miniserie
Netflix “Inventing Anna (inventare Anna)”
che racconta la storia vera di Anna una giovane e povera truffatrice che fingendo,
nel jet set di New York, di essere una ricca ereditiera è riuscita per anni a
vivere di generosi “aiuti” utilizzati per coprire via via quelli già ottenuti.
Anna non ha però una vera attitudine criminale, in un certo senso si è così
immedesimata con questa immagine di sé da credere di ottenere prestiti da una
sé stessa proiettata nel futuro. Rispetta letteralmente la formula lacaniana (Lacan,
1901-1981, psicanalista francese) del “non compromettere il tuo desiderio”.
In fondo anche in questo caso, inimmaginabile in tempi “normali”, si può
intuire che la libertà più profonda è sperimentata come necessità interna
L’arte
moderna del Novecento si è caratterizzata con canoni innovativi capaci di
raccontare, spesso anticipandoli, le tensioni, le paure, le angosce di tempi
troppo veloci e crudeli. E’ stata a lungo osteggiata, prima di venire
fagocitata dal mercato come puro business, anche per questo motivo, oltre per le
sue provocazioni. Eppure anche il solo fatto di esprimere angoscia e dissonanza
è in effetti un atto di liberazione dall’ordine esistente. Neppure tanto
incomprensibilmente molta filosofia non l’ha ritenuta tale.
PARTE SECONDA – La libertà umana
Capitolo quarto – Marx non ha inventato solo il sintomo, ma anche la
pulsione = La
libertà astratta, ovvero il concetto di libertà come dimensione fondante della
vita, per divenire, per l’uomo sociale, autentica libertà concreta segue due
distinti percorsi: quello delle idee e quello delle condizioni materiali di
esistenza. Due filosofi, non a caso fra di loro strettamente
connessi, sono assurti a teorici della prima, Hegel, e della seconda, Marx. Non
si tratta comunque di una distinzione netta: il concetto hegeliano di Storia, visto
come il progressivo realizzarsi dell’Idealismo, è pur sempre anche un’idea di
costante progresso materiale, di graduale concreta realizzazione del concetto
di libertà, ed al tempo stesso in Marx, nella sua concezione materialistica
della Storia, il mondo delle idee è tutt’altro che sottovalutato, sono
esplicite in questo senso le sue parole: … pensare è pur sempre un’attività reale, eseguita da
individui che vivono, interagiscono e producono in una realtà sociale
materiale, pensare è un aspetto della pratica sociale umana. Ciò
detto, resta pur vero che è con il corpo dottrinale di Marx che l’idea di
libertà viene definitivamente e intimamente calata nel mondo reale, nella sfera
delle relazioni economiche e sociali. L’anelito verso di essa nato con l’avvio
della Modernità come liberazione dalle catene del potere nobiliare acquista una
sua nuova e più definita dimensione nella sua declinazione di lotta di classe.
E’ infatti nell’analisi marxiana delle logiche capitalistiche che, anche in
questo caso contraddicendo consolidati luoghi comuni, l’anelito verso la
libertà, anche individuale oltre che collettiva, trova una sua nuova e
specifica definizione: l’essere l’opposto contradditorio della pulsione
capitalistica verso l’accumulazione infinita (quando i
lavoratori comprendono di essere ridotti a merce, cessano di essere merce, di
essere oggetto, per divenire soggetto). Alcuni teorici marxisti (Lukacs,
1885-1971, filosofo ungherese) hanno completato questa idea
di pulsione di libertà di Marx (che in più passaggi ha evidenziato
che, proprio per questa ragione, il capitalismo è in sé già liberatorio)
elevandola ad una dimensione trascendentale assoluta capace cioè di delineare
non solo una diversa struttura economica e sociale, ma anche di dare nuovo e
diverso senso alla sfera politica, all’influsso dell’ideologia, alla stessa scienza.
L’invenzione marxista della pulsione
verso la libertà, vista al tempo stesso come opposizione dialettica alla
pulsione capitalistica e come suo completamento storico, ha permeato tutti i
conflitti, ottocenteschi e novecenteschi, per l’appropriazione e l’estensione
delle libertà collettive, affiancando la visione liberale di libertà che, pur
non meno storicamente rilevante come eredità di lungo periodo del preliminare
affrancamento dal potere nobiliare, ha puntato innanzitutto alla sfera
individuale fino ad essere la base ideale dello stesso spirito capitalistico.
Capitolo quinto – In cammino verso l’anarco-feudalesimo = Il periodo a cavallo
del cambio di secolo sta però rappresentando un momento di radicale svolta per
questo consolidato rapporto di connessione tra mondo delle idee e condizioni
materiali di esistenza. La vita umana e lo stesso concetto di libertà devono
infatti misurarsi con l’irruzione di una nuova dimensione: lo spazio virtuale creato dalle nuove
tecnologie informatiche, di cui il metaverso (uno spazio virtuale a cui accedere tramite piattaforme
digitali in cui si assottigliano fino ad essere quasi impercettibili le
differenze con la realtà) rappresenta
il più completo paradigma. Si tratta della più ardita ambizione (Meta,
ossia oltre, è dal 2021 il nuovo nome di Facebook) di
utilizzo delle tecnologie di comunicazione e 3D finalizzate alla creazione di
una realtà parallela, che spogliata della sua indubbia fascinazione tecnologica
e vista nella sua vera essenza, si rivela una dimensione umana comune
posseduta, filtrata e gestita, da privati ….. dei nuovi signori feudali che in questo
modo potranno sorvegliare e regolare le nostre interazioni con il mondo …..
In apparenza sembra che si siano riaffacciate, dopo essere incredibilmente
evolute dal punto di vista tecnologico, le speranze utopiche che avevano accompagnato
la nascita del primo Internet visto come una nuova dimensione capace di
aggirare i limiti, fisici e ideologici, imposti dal mondo reale fino a
prefigurare una nuova idea di anarchia libertaria (una illusione che ha
avuto ben altro esito). Insomma ancora una volta un inno alle
mirabilie tecnologiche capaci di creare infiniti spazi di libertà. La domanda
resta però sempre la stessa: come si concilia la proprietà privata di questi
strumenti con il presunto allargamento di spazi di libertà e democrazia con un mondo nel
quale questo effettivo neofeudalesimo si presenta come protettore delle libertà?
A questi fondamentali dubbi di ordine politico se ne affiancano poi altri
inerenti il potere salvifico della tecnologia, l’idea cioè che tutti i limiti
ed i problemi dell’agire umano possano essere risolti affidandoci alle
potenzialità delle macchine digitali. Si tratta non solo di un azzardo in sé,
di una scappatoia per non affrontare l’essenza delle tante questioni che
segnano questi tempi, ma di una autentica mistificazione: ancora una volta
occorre tornare al fondamento delle logiche di mercato, siamo infatti
semplicemente di fronte ad una trasformazione (l’ultima?)
del capitalismo (a sua volta in evoluzione verso una
concentrazione neofeudale) che mira a ricorrere sempre meno
all’utilizzo del capitale umano. Al di là delle fantasie anarco-edonistiche,
con l’ulteriore salto tecnologico (Intelligenze Artificiali e
comunicazione diretta tra macchine) diventa possibile
immaginare una gestione dell’economia, e quindi della società, sempre più
affidata alle macchine con gli umani risarciti, certo non gratuitamente, con
scampoli di compensatorio mondo virtuale. Non deve stupire allora che già oggi
il mondo delle merci fisiche, che a lungo hanno rappresentato la base della
produzione capitalistica (e della sfera dei desideri di massa), siano
sempre più sostituite dalle esperienze (in progressivo
passaggio al virtuale), ossia da momenti idealizzati di vita,
da esse rappresentate (questa nuova fase della mercificazione
viene definita “capitalismo culturale” in
cui non è più l’immagine a promuovere il prodotto, ma è il prodotto che viene
ridotto a veicolo per accedere all’immagine). Inevitabile che in
contesto simile la pulsione verso la libertà acquisti nuove forme e si misuri
con nuovi limiti e restrizioni.
Zizek dedica la parte
finale di questo Capitolo alla accurata analisi dei fenomeni delle “criptovalute” e degli NFT
(Non Fungible Token, gettoni di possesso di creazioni virtuali
spendibili in un apposito mercato telematico) a suo avviso emblematici di
questa svolta tecno-capitalistica
Capitolo sesto – Stato e controrivoluzione = Appare
infatti evidente che la svolta tecnologica, esaltata come occasione di nuovi
orizzonti di libertà, la sta al contrario riducendo con la sua invasiva
capacità di incidere sulla sfera delle pulsioni, dei desideri, decidendo in
anticipo per noi che cosa desiderare. Al tempo stesso è divenuta un
formidabile strumento di controllo nella veste del capitalismo della sorveglianza,
reso possibile dai big data. In questo quadro di una libertà pilotata e
limitata è tornato centrale il ruolo del grande assente negli anni del
neoliberismo galoppante: lo Stato, messo in sordina dall’ideologia
liberista dell’ordine
spontaneo della società, mirabilmente
creato dal libero gioco del mercato. Il dibattito attorno al rapporto tra Stato
e libertà attraversa la scena culturale, politica e filosofica in particolare,
fin dal nascere della Modernità, ma risale ben più a monte chiamando in causa
la propensione naturale dell’uomo ad accettare una contrazione dei suoi spazi
individuali per rafforzare la coesione comunitaria e sociale [è
questo il presupposto sul quale poggia l’dea del moderno Stato, il Leviatano,
elaborata da Locke (1632-1704)]. Ancora di recente nel suo
magnifico saggio “L’alba di tutto” l’antropologo David Graeber (1961-2020,
questo saggio è stato presentato in un nostro post del Novembre 2022) ha
rilanciato la contrapposizione tra i presunti maggiori spazi di libertà, di
impronta anarchica, delle culture e delle società pre-moderne e le restrizioni
imposte dagli attuali Stati. Ma è un confronto squilibrato e non sostenibile:
non esisteva in tali precedenti esperienze il senso moderno della libertà
individuale, il cui spazio, paradossalmente, sembra essere oggi garantito
proprio dall’esistenza di una autorità statale che si eleva al di sopra della società
civile, nella quale l’esercizio oggettivo della libertà è definito,
formalmente e concretamente, dagli spazi concessi da tale autorità, ma non
dalla sua assenza. Così come non sembrano condivisibili altre contemporanee
concezioni dello Stato ridotto esclusivamente alla funzione di invasivo
controllo bio-politico delle nostre esistenze (Zizek si riferisce
espressamente alle posizioni assunte dal filosofo Giorgio Agamben sulle
politiche di controllo di massa messe in atto durante la pandemia da Covid 19,
che liquida come inutile chiacchiericcio). Se è indiscutibile
la constatazione che il rapporto tra Stato e cittadini è sempre stato, e
tuttora certamente lo è, condizionato da visioni ed interessi specifici, a
partire da quelli dei rapporti economici di classe, resta comunque vero, ed i
tempi di forte crisi come quello pandemico lo attestano, che lo Stato in quanto
tale non può esimersi da quello che resta il suo scopo principale: l’interesse
generale dei cittadini per quanto diversamente interpretato e declinato. Non a
caso la difesa e l’allargamento di spazi di libertà appaiono ormai inseparabili
da una gestione dello Stato che si muova in tal senso. Questa considerazione
nulla toglie, anzi, all’inderogabile opposizione al crescente
anarco-feudalesimo tecnologico (nella sua versione tecno-populista),
ma ribadisce che perché questa sia efficace è allo Stato, al suo ruolo e alla
sua corretta declinazione, che occorre guardare.
Analogamente a quanto
sopra non inseriamo l’ultima parte di questo Capitolo, quella della
“controrivoluzione” dedicata ad una riflessione su un diverso modo di intendere
il concetto di “Patria” e ad una rivisitazione dell’ideale comunista perchè,
per quanto ricca di interessanti riflessioni, non ci è sembrata immediatamente
riconducibile al tema della libertà. La stessa considerazione è valsa per i
quattro Capitoli della seconda Appendice che contengono affascinanti ed
eccentriche riflessioni su alcuni temi, a nostro avviso così distanti dal cuore
del saggio da imporre, nostro malgrado e differentemente da quelli della prima
Appendice, di essere semplicemente citati
Appendice
II
Temi affrontati:
la forclusione
(nella teoria psicoanalitica lacaniana indica l'assenza della funzione del Terzo nel rapporto
tra soggetto e Altro) del concetto lacaniano di “grande Altro” (vedi
sopra) troppo frequentemente presente nel dibattito culturale
inerente ai rapporti fra soggetti
il
differente ruolo della vergogna e dello svergognamento nell’attuale
comunicazione politica e nella cancel culture (la pratica, diffusa
soprattutto negli USA, di cancellare dalla memoria storica personaggi che
hanno, tempi addietro, sostenuto idee o avuto comportamenti che, oggi, non sono
più condivisibili)
la
prevenzione, diffusa soprattutto nei paesi non democratici, verso le forme
d’arte definibili, spesso troppo genericamente, come postmoderno (termine usato a partire dagli anni ’60 del Novecento, inizialmente
negli Stati Uniti e poi in Europa, per definire le varie tendenze in
architettura, in letteratura, in movimenti culturali e nelle arti in genere
caratterizzate dal rifiuto dell’ideale di progresso proprio del razionalismo
novecentesco)
l’uso strumentale, e storicamente non sostenibile, del termine de-nazificare (epurare da concetti e
ideologie naziste) abitualmente ed insistentemente
fatto dalla propaganda putiniana
FINALE = I quattro cavalieri dell’Apocalisse
Il concetto di libertà, già del suo così
complesso e fragile, si misura quindi costantemente con le ragioni di fondo del
suo manifestarsi (libertà astratta) e
nondimeno con vari contesti storici nei quali è chiamato ad esprimersi (libertà
concreta). Ed è indubbio che guardando ai tempi attuali la
scontata, e perciò trascurata, libertà di cui gran parte del mondo sembra
disporre è chiamata a misurarsi con rilevanti minacce e pericoli che, ancora
indossando le vesti dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, sono rappresentati
dalle eterne crisi che da sempre attanagliano l’umanità. Ma sarebbe un errore
vederle semplicemente come le classiche manifestazioni del male, è alle loro
attuali forme che dobbiamo guardare per meglio comprendere le minacce che
rappresentano per la libertà: la guerra, con la minaccia atomica
all’orizzonte, la
fame e le carestie, con la crescente penuria di acqua e cibo, la malattia,
con l’irruzione di nuove pandemie, la morte, oggi non più solo quella provocata
dai tre precedenti cavalieri, ma ormai anche quella del concetto stesso di uomo
minacciato dal controllo digitale di cui si è detto. La loro diversa intensità
e modulazione, fino a tempi recenti tenute sotto controllo da scienza,
tecnologia, medicina, sembrano aver acquistato maggiore intensità per l’irruzione
sulla scena di un quinto spietato cavaliere: l’umanità stessa colpevole di aver
drammaticamente alterato l’equilibrio ambientale, già del suo sempre fragile e
provvisorio (l’intera storia dell’uomo è potuta
avvenire nelle forme che conosciamo grazie ad una “parentesi”
di circa ventimila anni, già breve del suo se misurata sui tempi geologici, di favorevole
clima equilibrato). La
minaccia del quinto cavaliere non consiste solo nell’aver aggravato quella dei
quattro classici cavalieri, ma anche nell’innescare il contesto più pernicioso
per la libertà: il
caos costante (il crescente squilibrio ambientale e
climatico non procede per costanti linee progressive ma con passaggi da una
crisi all’altra con diverso grado d’intensità),
quello cioè che pregiudica la possibilità di ragionate e stabili politiche e
scelte (il riscaldamento globale ci sta insegnando che gli
uomini possono essere liberi solo se restano stabili i parametri di
temperatura, composizione dell’aria e delle acque, di energia a sufficienza).
Vale a dire che i limiti della nostra libertà sono conseguentemente fissati dal
suo stesso sviluppo: più ci sentiamo liberi, e capaci di cambiare la natura,
più creiamo condizioni naturali che possono cancellare spazi di libertà. Non solo più ci sentiamo liberi, e capaci, di
intervenire sulla stessa natura umana (manipolazione
genetica, biotecnologie), più creiamo un uomo nuovo e nuove idee
di libertà. In un contesto simile i limiti di funzionamento ed efficacia della
democrazia sono inesorabilmente destinate ad esplodere, i vari populismi e
sovranismi ne sono un evidente sintomo. Non è individuabile all’orizzonte una
mobilitazione, di coscienze ed azioni concrete, all’altezza della posta in
gioco, l’intero campo della politica si muove tra egoismi di parte e montante
apatia. L’umanità si trova drammaticamente sprovvista di valori e idee adeguati
e al tempo stesso di soggetti collettivi capaci di essere i potenziali
protagonisti di una svolta: la fine del novecentesco ruolo salvifico della
classe operaia ha lasciato un vuoto al momento non colmato. Nulla di cui
stupirsi: nell’emergenza ambientale e climatica non esiste una individuabile
classe liberatrice, siamo tutti indistintamente chiamati a rispondere a questa
sfida in cui sono in gioco al tempo stesso libertà e sopravvivenza. L’umanità
non è più chiamata solo a rompere le catene delle classiche schiavitù, oggi il
rischio reale è quello di una umanità, tutta asservita a logiche di profitto
nella loro versione ipertecnologica, composta da “servi che comandano servi”.
Zizek in chiusura richiama una considerazione di Ghandi: il destino del servo è peggiore del destino
dello schiavo, perché questi ha solo perso la sua libertà, mentre il servo
della libertà è divenuto indegno. Nelle ultimissime pagine del
saggio Zizek non smentisce sé stesso e la sua provocatoria abilità espositiva
là dove, confermando che il tratto vero del Potere attuale è quello di un autentico
“anarco-capitalismo”, la logica di profitto che si muove senza vincolo alcuno,
al quale nulla e nessuno sembra opporsi con un minimo di efficacia, suggerisce,
come provocatoria iperbole, di recuperare la lacaniana figura del “Grande Altro”
(quella
colpita dalla forclusione di cui sopra)
trasformata nelle vesti di un illuminato “Padre-Capo-Padrone” capace, come il
barone di Munchausen, di tirare fuori dalla palude l’umanità ormai troppo
passiva.
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