venerdì 1 luglio 2016

La parola del mese - Luglio 2016


LA PAROLA DEL MESE 

A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni


Luglio 2016

Balcanizzazione

(dal vocabolario on line Treccani)…….s. f. [der. di balcanizzare, sull’esempio dell’ingl. balkanization]. – Il balcanizzare, il balcanizzarsi, l’essere balcanizzato; perturbazione dell’ordine interno di un paese con conseguente indebolimento politico o smembramento artificioso in più stati.  

(da Wikipedia)…….. è un termine geopolitico indicante una situazione interna instabile e condizionata da continue disgregazioni e problemi che causano la frammentazione dello Stato in più regioni o statuti autonomi, usato in correlazione alla dissoluzione della Jugoslavia avvenuta tra il 1991 e il 2008, anche se il fenomeno, in quanto tale, storicamente nasce durante l'espansione degli ottomani in territorio europeo. Il termine è infatti un chiaro riferimento alla penisola dei Balcani, che, a partire dall'espansione in territorio europeo dell'Impero ottomano, è stata oggetto di continui disordini e ripartizioni tra i contendenti, tanto da essere infine marcata spregiativamente come "polveriera d'Europa". Nel gennaio 2007 il primo ministro britannico Gordon Brown ha parlato di "balcanizzazione del Regno Unito" discutendo circa l'indipendenza della Scozia.

(dal sito Diacronie – Studi di Storia Contemporanea)………è un termine che ha trovato una stabile collocazione nel vocabolario politico internazionale e viene generalmente utilizzato per indicare un processo di disgregazione e smembramento di una struttura politica unitaria, nella maggior parte dei casi di carattere statale. Nel linguaggio politico e giornalistico è stato di recente utilizzato per denunciare le minacce all’integrità del Regno Unito e i problemi della Spagna, dove le tendenze separatiste manifestatesi in alcune regioni hanno messo in crisi la tenuta stessa dell’unità dello stato. Allo stesso modo si è parlato del pericolo di “balcanizzazione” dell’intera Europa, soprattutto in seguito alla crisi economica iniziata nel 2008. «Un fantasma si aggira per la cultura occidentale. Il fantasma dei Balcani» ha ricordato Maria Todorova, riadattando la celebre citazione marxiana. La storica di origini bulgare ha voluto ricostruire nel proprio lavoro il processo che ha determinato l’ingresso, carico di particolari connotati semantici, dei Balcani nell’immaginario europeo “occidentale”, al quale va imputata la diffusione di un termine che descrive l’assunzione di caratteristiche che risulterebbero essere “proprie” della regione. Il termine “balcanizzazione” ha conosciuto particolare fortuna in seguito alle guerre jugoslave che, nel corso degli anni Novanta del Ventesimo secolo hanno sconvolto e frammentato il quadro politico dell’Europa sud-orientale. Tuttavia la definizione ha un’origine più lontana nel tempo. Risale infatti ai decenni a cavallo tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, al periodo che vide le cancellerie europee preoccupate dalla cosiddetta “Questione orientale”. All’epoca la penisola balcanica era in gran parte sotto il controllo di un Impero Ottomano ormai considerato il “grande malato d’Europa” ed era attraversata dai moti insurrezionali dei popoli ad esso assoggettati, che rivendicavano un riconoscimento politico e, in alcuni casi, l’indipendenza. Alle tensioni interne si sovrapponevano inoltre gli interessi e le influenze dell’Impero asburgico, dell’Impero russo e delle altre Grandi potenze europee. L’instabilità e la frammentarietà del quadro venne definitivamente sancita nell’immaginario collettivo dalle guerre balcaniche del 1912 e del 1913. Nell’arco di breve tempo il termine “balcanizzazione” cominciò ad essere utilizzato nel linguaggio politico in relazione ad altri contesti geografici, per indicare una situazione che riproduceva quel genere di processi. È piuttosto evidente come il termine si sia sedimentato nella cultura europea ed internazionale condizionato da numerose variazioni semantiche. In alcuni casi “balcanizzazione” viene utilizzato per indicare un processo politico in quanto tale, senza che l’accezione implichi direttamente un giudizio di valore. D’altra parte risultano dominanti le declinazioni peggiorative del termine.

3 commenti:

  1. La parola del mese "balcanizzazione" è un termine quanto mai attuale e sorprendentemente duttile, anche se riesce difficile, travolti come siamo da avvenimenti di portata sempre più drammatica, concentrarci su un singolo concetto. Non sono ancora esauriti gli echi mediatici della Brexit
    che si riaffacciano ora il nazionalismo ungherese ora il militarismo polacco che assestano nuovi colpi alle istituzioni su cui si è costruito l'ordine del secondo dopoguerra.
    Ritorna la fascinazione per la dimensione identitaria nazionale o locale come la sola capace di risolvere i grandi problemi connessi alla crisi del sistema neoliberista, al pericolo del radicalismo islamico, alla crescita delle disuguaglianze, al fenomeno delle migrazioni di massa e al dilagare del razzismo.
    Invece di adeguare all 'ampiezza dei problemi gli strumenti della sovranità, gran parte dell'umanità, persino quella che dovrebbe disporre degli strumenti più adeguati di conoscenza, sembra involversi verso soluzioni prepolitiche ispirate al localismo identitario, percepito come unico balsamo per curare le ferite del tempo, senza accorgersi che questo è spesso il modo in cui, come ha spiegato lucidamente Rumiz in "Maschere per un massacro" dedicato alla guerra in Iugoslavia, i politici, con pochi scrupoli, cercano di preservare il loro potere più che risolvere i problemi in gioco.
    Questa soluzione appare semplice, diretta, capace di attirare naturalmente il consenso. Penso che la politica, in quanto prodotto umano, sia artificio e quindi debba allontanarsi il più possibile dalla natura, che per altro prevede, senza remore, le disuguaglianze e la guerra di tutti contro tutti, la sopraffazione del forte sul debole. Penso che la politica dovrebbe costruire sovranità più ampie e inclusive e lavorare alla costruzione di profili identitari nuovi, che si rivelino all'altezza del potere operativo di cui oggi dispone l'umanità.
    Che fine ha fatto l'Europa? Possibile che non contenga al proprio interno una potenzialità politicamente più ampia e rilevante rispetto all 'immagine tecnocratica che circola?Settant'anni di pace e di benessere sono un 'esperienza così irrilevante?
    Al termine del primo conflitto mondiale Keynes, che partecipò come rappresentate economico del Tesoro alla conferenza di Versailles, diede le dimissioni dal proprio incarico per manifestate il dissenso non solo verso un eccesso di punizione verso la Germania, ma anche verso la "balcanizzazione" dell'area che aveva fatto parte dell'impero austroungarico, parcellizzazione,che secondo il suo giudizio, sarebbe stata generatrice di instabilità e violenza.

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  2. Brexit o la balcanizzazione dell'Europa, di Donatella Sasso.
    L’esito, per molti versi inatteso del referendum sulla Brexit del 23 giugno scorso, che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha richiamato alla mente di alcuni commentatori politici le premesse della dissoluzione della Jugoslavia a inizio anni novanta.
    Il conflitto, pianificato a lungo da esponenti di partiti nazionalisti che aspiravano alla separazione da Belgrado e alla ridefinizione di confini e aree di influenza, ebbe come premessa alcune azioni legali o, comunque, legittimate a livello internazionale. La volontà di separazione da uno stato considerato ormai obsoleto venne letto da molti come legittima rivendicazione di una storia locale soffocata da decenni di internazionalismo socialista e quindi degna di essere sostenuta.
    Già nel 1990 in quasi tutte le repubbliche jugoslave le elezioni erano state vinte a grande maggioranza da partiti nazionalisti che non nascondevano la volontà di separarsi dalla Serbia, accusata di assorbire le risorse economiche delle regioni più ricche del paese e di gestirle malamente. D’altra parte anche la Serbia di Milošević aveva progetti separatisti ed espansionisti.
    È in questo clima di malcontento che, il 25 giugno 1991, venne dichiarata ufficialmente l’indipendenza dalla Jugoslavia da parte dei parlamenti di Slovenia e Croazia.
    Belgrado, che nella seduta del plenum federale del 29 giugno si era dichiarata contraria a un attacco militare, inviò comunque a Lubiana le truppe federali, che iniziarono a scontrarsi con i militari sloveni in maniera più simbolica che sostanziale. Al termine dei combattimenti si contarono 17 morti e 149 feriti per parte slovena e 37 morti e 163 feriti per l’armata jugoslava. Nulla a confronto del massacro che avrebbe colpito da lì a poco i civili di tutte le parti in conflitto. L’8 luglio l’accordo di Brioni sancì la sospensione per tre mesi delle dichiarazioni di indipendenza e pose fine alla «guerra in Slovenia».
    Il 6 settembre la questione fu discussa all’Aia alla Conferenza internazionale di pace. La Germania si dimostrò favorevole a un piano di riconoscimento simultaneo di indipendenza di tutte le repubbliche della Federazione. La Francia, con l’immediato assenso della Gran Bretagna, oppose invece il veto; entrambe temevano l’espansione degli interessi tedeschi sull’area balcanica. I lavori portarono, infine, al riconoscimento dell’indipendenza della Slovenia e, di fatto, alla legittimazione dell’autorità di Milošević sulle restanti repubbliche.La Slovenia divenne troppo facilmente indipendente. Non utile ai piani di spartizione territoriale su base etnica (la Slovenia non comprendeva consistenti minoranze serbe o croate), ma legittimata nell’ottenimento dell’indipendenza dopo una guerra e una presa di posizione a livello europeo, la Slovenia aprì le porte alla legittimazione o, almeno alla comprensione politica, delle altre guerre balcaniche.
    La Gran Bretagna di oggi nulla ha da spartire con le repubbliche jugoslave, non aspira ad avviare un conflitto a livello nazionale, né tanto meno europeo. Il richiamo all’identità locale e le rivendicazioni di carattere economico non si pongono come apripista a una conflittualità agita.Eppure rimangono evidenti le analogie con quel recente passato, in primis la consapevolezza, che sfiora l’arroganza, di voler derogare dal principio di cittadinanza universale a vantaggio di un indeterminato e opinabile concetto di identità nazionale. È in questi termini che si può parlare di balcanizzazione d’Europa. Come la Slovenia aprì alla dissoluzione della Jugoslavia, così la Gran Bretagna può sdoganare non solo forze nazionaliste, dal Fronte nazionale francese di Marine Le Pen ad altri movimenti di estrema destra europei, ma accredita il principio secondo cui la sottrazione di diritti e di condivisione risulta vincente sul breve periodo. Sul lungo periodo certamente no, dall’uso della violenza all’indebolimento economico, nel mentre se ne insegue il rafforzamento, sono effetti ben visibili o, perlomeno, temibili.

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  3. Riflettendo sulla parola balcanizzazione, si riflette in sostanza sulla STORIA. Ma la Storia implica l’utilizzazione della nostra capacità mnemonica, una funzione mentale piuttosto complessa, in cui agisce soprattutto l’ elaborazione dell’informazione.
    Riflettiamo pure su quanto ci viene trasmesso dagli storici, ma non dimentichiamoci che gli storici stessi soggiacciono a quanto indicato sopra, pertanto non è detto che ci trasmettano una Storia “completa”, probabilmente ci trasmettono solo quello che, consapevolmente o meno, hanno “elaborato”.
    Così, per esemplificare, il recente lavoro di Alessandro Barbero ci offre un rilettura sul fallimento dell’integrazione dei Goti nell’impero romano, le cui conseguenze le conosciamo bene.
    La STORIA, pensiero narrativo, è indispensabile, costituisce la nostra memoria episodica che immagazzina avvenimenti che ci servono per evocarli quando avvengono fatti che riteniamo simili a quanto stiamo attualmente analizzando, valutando se la causa che aveva provocato quell’avvenimento “storico” possa essere utilizzata anche per spiegare l’evento attualmente presente e da capire. Questa procedura è senz’altro economica, ci offre soluzioni in breve termine, ma quali potrebbero essere gli inconvenienti?
    Infatti questa nostra capacità cognitiva è uno strumento a doppio taglio, perché per velocizzarne la sua utilizzazione, corriamo il rischio di tralasciare l’analisi di alcune variabili in gioco in quanto, purtroppo, non siamo in grado di conoscerle tutte, anche perché ci giungono filtrate dai media e soprattutto perché scegliamo quelle più congruenti con le nostre teorie mentali.
    Balcanizziamo pure, ma le variabili in gioco sono tante e non dimentichiamo soprattutto che devono essere omogenee, altrimenti sarà inutile il lavoro del povero Galileo sul ragionamento scientifico.

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