Con Ferragosto ormai alle spalle lo sguardo,
lentamente ma inesorabilmente, inizia a volgersi verso la ripresa post
vacanziera. Fra non molto sarà anche tempo di conoscere le iniziative che
Circolarmente ha inserito nel Programma 2017/2018. Come sempre saranno
affrontati temi nuovi, tesi ad arricchire il bagaglio di argomenti del nostro
comune viaggio di conoscenza ed approfondimento culturale, e come sempre questo
avverrà mantenendo un collegamento di fondo con quanto finora già esplorato e
discusso. Con questo spirito abbiamo ritenuto utile presentare qui in Agorà
alcune tabelle che illustrano interessanti dati riferiti a tematiche in
particolare al centro dello scorso Programma 2016/2017, ma già presenti in
Programmi precedenti. Sono tutte tratte da un interessante saggio: “Lavoro 2025.
Il futuro dell’occupazione (e della disoccupazione)” a cura del sociologo
Domenico De Masi. Si tratta di un ponderoso studio che raccoglie le opinioni di
numerosi esperti che, partendo da competenze diverse e multi disciplinari,
analizzano il presente ed immaginano il futuro a breve per quanto concerne il
mondo del lavoro, in Italia, in Europa, nel mondo. Se le opinioni di questi
studiosi alcune volte convergono, su molti temi divergono, anche di molto, a
dimostrazione della complessità oggettiva del tema. Impossibile darne una
sintesi ancor che di massima (le tesi conclusive sono articolate su 1.025
previsioni molto articolate) ma è sembrato utile ed interessante recuperare
alcuni dei dati (tra quelli non eccessivamente specialistici) sui quali sono
basate queste previsioni:
1)- Il lavoro in Italia
Il raffronto della situazione 2015 con
quella del 2005, e la previsione di trend al 2025, della prima tabella confermano
quanto illustrato dal Prof. Berta nella sua conferenza a chiusura del Programma
2016/2017 in merito al crescente peso del settore dei servizi (ex terziario) a
scapito dei settori dell’agricoltura e dell’industria in costante discesa. Dato
che viene illustrato in modo più analitico nella seconda tabella che monitora
il trend del peso relativo di ogni specifico settore Un processo, in linea con
la tendenza generale del mondo occidentale, che proseguirà seppure in modo
graduale e con tempistiche che potranno essere condizionate da fattori di
rallentamento piuttosto che di ulteriore accelerazione. Ad esempio il
sorprendente dato della prevista ripresa del settore delle costruzioni (seppure
non in grado di recuperare i livelli del 2005) è fortemente legato al ruolo
degli investimenti pubblici nelle grandi opere, sempre soggetti a ripensamenti
e dilazionamenti anche drastici. Allo stesso modo la previsione di crescita
della popolazione non è certo basata sulle future nascite (in Italia il saldo
fra nascite e morti è ormai negativo) bensì sull’ipotesi (basata sugli attuali
trend) di flussi migratori in ingresso (regolarizzati) passibili anch’essi di
restrizioni e chiusure. Il conforto comunque fornito dalla ripresa percentuale
del numero di occupati sul totale della popolazione “attiva” è però guastato
dal crescente peso degli “inattivi” sul totale della popolazione. A conferma
che il trend demografico (da noi a suo tempo affrontato nelle conferenze della prof
Mencarini e del prof. Molina) resta uno delle problematiche centrali per il
nostro paese sia per la parte riferita alle nascite sia per quella
sull’allungamento delle aspettative di vita (utile ricordare la piramide
generazionale illustrata dal prof. Molina che rischia seriamente per il nostro
paese di rovesciarsi con molti anziani alla base e pochi giovani alla sua cima).
Se è opinione condivisa la tendenza del
mercato di lavoro, come conseguenza della globalizzazione, dell’automazione e
dell’informatizzazione, verso un crescente innalzamento delle professionalità
richieste per accedere ad occupazione (relativamente) stabili è però
altrettanto vero che questo processo può non essere così accelerato e definito
in tutti i suoi aspetti. Sembrano dimostrarli i dati raccolti nelle seguenti
due tabelle che analizzano la situazione delle professioni negli USA. La
situazione del mercato del lavoro americano ha ovviamente sue specifiche
caratteristiche, ma da sempre traccia tendenze che, stante il peso,
quantitativo e qualitativo, dell’economia statunitense, in buona parte si
diffondono nel resto delle economie occidentali.


E’ opportuno tenere conto che questi dati
sono riferiti al totale dei profili professionali presenti nel mercato del
lavoro USA composto da ben 702 diverse occupazioni. Una previsione parallela a
quella evidenziata nella tabella 4 ipotizza che al 2033 il 47% (quarantasette
per cento!) di queste sarà fortemente a
rischio di sostituzione totale/parziale da parte di robot ed algoritmi
(automatizzazione e informatizzazione).
Colpisce comunque il permanere di una
situazione professionale non così sbilanciata verso i livelli più alti di
formazione. Anche in questo caso vale quanto detto dal prof. Berta in merito
allo spazio che continuerà ad esistere, con ricadute significative sugli
specifici livelli occupazionali, per i cosiddetti “mestieri” e per le
produzioni (di qualità) artigianali ed agricole, attività solo in parte legate
ai percorsi ed ai livelli di studio.
Non emerge direttamente dalla tabella ma è
dato in buona parte scontato che i mestieri più umili, ma non per questo, come
si evince, meno importanti in termini di numeri occupazionali, sono quasi esclusivamente
affidati a lavoratori di recente (se non clandestina) immigrazione. Una
considerazione che dovrebbe indurre a valutare il fenomeno migratorio, per
quanto complesso ed impattante, da più angolazioni.
La successiva tabella fornisce dati molto
significativi sulle dimensioni e dinamiche globali di questo fenomeno, che e stato
discusso, in merito a sue molteplici ricadute, nel corso di diverse nostre
conferenza e seminari

Siamo indubitabilmente di fronte a numeri impressionanti tali da giustificare ampiamente la definizione di “evento epocale” e tali da rendere molto complicata e controversa la loro gestione. Le esperienze quotidiane dimostrano quanto poco pesino i dati oggettivi nel modo diffuso di “vivere” quella che alcuni definiscono “invasione” .Anche nel nostro paese il dibattito è troppo orientato, in modo spesso strumentale, ad enfatizzare aspetti che, al di là della oggettiva valenza, accentuano atteggiamenti ed opinioni emotivi e istintivi. Inquadrare lo specifico italiano in questo contesto globale che evidenzia flussi in entrata/uscita non così sbilanciati in un solo senso, e su una sola area, sarebbe operazione razionale quanto mai necessaria. Ma difficilmente vincente su paure, diffidenze, strumentalizzazioni, se lasciata a sé senza accompagnarla con politiche adeguate di gestione e di governo del problema.