Il
“saggio” del mese
Agosto 2018
Di certo non
occorrono molte parole per evidenziare quanto il tema del “lavoro” sia centrale
nelle culture, e soprattutto nella vita reale, di tutto il pianeta. Non a caso
quindi il “lavoro” è argomento affrontato, con specifiche attenzioni, in tutte
le discipline umane: dalla sociologia alla narrativa, dalla politica alla
filosofia, dal cinema all’economia, dalla psicologia alla statistica, dalla
demografia alla storia, dal diritto alla religione, dalla antropologia alla
medicina. Domenico De Masi (Professore emerito
di Sociologia del Lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma, autore di
moltissimi saggi e pubblicazioni)) con il suo ultimo libro “Il lavoro nel XXI secolo” (titolo che richiama, non casualmente
crediamo, il saggio di Thomàs Piketty “Il Capitale nel XXI secolo) offre ai lettori e,
speriamo, ai tanti “addetti ai lavori” che di lavoro discettano con poca
competenza “vera”, un percorso ambizioso di sintesi e di lettura “olistica” di
questa tematica. Nelle oltre settecento pagine - che non debbono spaventare poiché, a dispetto
della vasta competenza scientifica, De Masi scrive con stile semplice, lineare
e coinvolgente – viene infatti presentato un viaggio nel mondo del “lavoro”
che, coniugando passato presente e futuro, e andando ben oltre la specifica
competenza sociologica, offre diverse chiavi di lettura del tema. Lo scopo,
apertamente dichiarato, non è tanto quello di offrire una “summa” di quanto è
finora stato, per quanto di fatto questo saggio lo sia, quanto quello di
proporre, su questa base, una proposta, una “visione” proiettata verso gli scenari
a venire in grado di aiutarci nell’affrontare “l’emergenza lavoro” esplosa con
la globalizzazione neo-liberista, la crisi del 2008 e i grandi cambiamenti
dell’innovazione tecnologica. Impossibile nelle poche righe disponibili per
questa presentazione offrirne una sorta di sintesi ragionata, per consentire a
tutti noi quantomeno una panoramica dell’ampiezza e della qualità del lavoro di
De Masi presentiamo, nel modo più articolato possibile, il piano dell’opera,
accompagnandolo per ogni Capitolo da un brevissimo riassunto delle
considerazioni di fondo che legano i singoli paragrafi
Parte
Prima
Cosa
è il lavoro
De Masi inizia, giustamente, cercando di capire cosa si
è inteso definire, nella storia culturale umana, con il termine “lavoro”. E lo
fa, con una scelta in qualche modo originale, partendo dal suo significato
nelle grandi religioni.
Capitolo primo =
Genesi
In che modo nella Bibbia il Dio creatore consegna
all’uomo il lavoro
Capitolo secondo =
L’interpretazione cattolica del lavoro
Con un notevole salto temporale, giustificato dalla
sostanziale immutabilità della visione biblica fino all’avvento della
modernità, si passa alla dottrina cattolica del lavoro letta attraverso le
encicliche che l’hanno via via definita: dalla Rerum Novarum del 1891 alla
Centesimus annus del 1991
Capitolo terzo =
L’interpretazione protestante del lavoro
Nel novero delle tante, e profonde differenze, fra
cattolicesimo e protestantesimo quella del lavoro ha assunto, anche per i
percorsi storici quasi opposti che ha prodotto, un ruolo preminente. La celebre
interpretazione weberiana dell’etica protestante dal lavoro fa ovviamente da
guida
Capitolo quarto =
L’interpretazione laica dalla parte dei datori di lavoro
Il lavoro come “merce” nelle concezioni dei padri nobili
della borghesia e delle teorie liberali classiche
Capitolo quinto =
L’interpretazione laica dalla parte dei lavoratori
La visione conflittuale del lavoro dai primi socialisti
utopisti al marxismo
Capitolo sesto =
Altre interpretazioni
Uscendo dall’ottica occidentale si affronta cosa
intendono per “lavoro” le altre culture e religioni: India e induismo, Cina tra
Confucio e comunismo, il Giappone buddhista, taoista e iper-moderno, l’altro
“lavoro” del mondo mussulmano
Capitolo settimo =
Lo sguardo sociologico
La multidisciplinarietà del lavoro alla prova del ramo
della sociologia specificamente dedicato al tema – testo base di partenza il “Trattato di sociologia del lavoro” di
Friedmann e Navile del 1961 – il lavoro come “costrizione” e come “ambiguità”
(alienazione – sei aspetti base del lavoro:
teorico/fisiologico/morale/sociale/economico/meta-lavorativo – lavoro come
attività di gruppo – il lavoro secondo un dizionario: quello redatto
dall’indimenticabile Luciano Gallino che nel 1978 pubblica il “Dizionario di
Sociologia”, che contiene in particolare una sequenza storica che dal 1767 al
1970 evidenzia l’intreccio tra cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e la
qualità di vita dei lavoratori misurabile su quattro parametri:
ergonomia/complessità/autonomia/controllo
Parte
Seconda
Il
lavoro nella società preindustriale
Ma al di là di cosa si è inteso con “lavoro” come è
stato effettivamente svolto e vissuto nella storia di homo sapiens? Chi
lavorava e chi no, come si lavorava, come era considerato il “lavoratore”?
Giustamente De Masi suddivide questo lungo excursus storico, che prende le
mosse ancora una volta dal racconto biblico, in due parti: la società
preindustriale e quella industriale
Capitolo ottavo =
L’ottavo giorno della creazione
Il Creatore completato il sesto giorno il suo “lavoro” il
settimo giorno si concesse un meritato riposo, ma prima affidò ad Adamo ed Eva
il compito, a partire dall’ottavo giorno, di continuare l’opera creatrice di
modellamento della terra: nell’ottavo giorno quindi l’umanità inizia a lavorare
Capitolo nono = Le
opere ed i giorni
“Le opere ed i giorni” è il titolo dell’opera di Esiodo
che sintetizza la cultura greca fino al VII secolo a.C..In economia fin lì
vigeva il sistema del baratto, a partire dal VI secolo si affermano la moneta
ed il commercio, il lavoro che li sosteneva era considerato dai Greci un
castigo divino non diversamente dalla cultura ebraica e poi da quella
cristiana. Meglio far cadere su spalle altrui questo castigo
Capitolo decimo =
Spartani, professionisti della guerra
E lo si può fare come gli Spartani riservando al alcuni
il mestiere della guerra e ai vinti, gli iloti, l’onere del lavoro
Capitolo undicesimo
= Ateniesi, professionisti della democrazia
Oppure come gli Ateniesi imponendo la supremazia delle
leggi, con al centro democrazia diretta, educazione, formazione professionale, virtù
riservate però solo ad alcuni, ai cittadini liberi, che potevano inoltre godere
della “skolé”, l’ozio creativo, grazie al fatto che il lavoro fisico pesante
era affidato a schiavi, accanto a commercianti, artigiani, contadini e pastori.
E grazie al fatto che il “lavoro domestico” era affidato alle donne, anch’esse
escluse dalla skolé. Il connubio fra chi pensa e chi fa genera e sviluppa la
“techné”, la tecnica
Capitolo dodicesimo
= La schiavitù in Grecia
L’apparente contraddizione tra democrazia della polis e
schiavitù merita ovviamente un supplemento di riflessione
Capitolo tredicesimo
= Romani, professionisti dell’Impero
La concezione greca trova nella cultura romana la sua
esaltazione e trasformazione in “sistema”, scelta indispensabile per sostenere
la prima “globalizzazione”
Capitolo quattordicesimo
= Liberti e schiavi
La divisione giuridica romana del lavoro si basava su
tre posizioni: gli “ingenui”, nome che non deve trarre in inganno, ossia i
cittadini romani liberi, i liberti, ex schiavi, e gli schiavi
Capitolo quindicesimo
= Il plebeo, il soldato, il gladiatore, il sacerdote, l’ozioso
Il mercato globalizzato dell’impero affina però alcune
figure sociali anche sotto l’aspetto del lavoro
Capitolo sedicesimo
= Da schiavi a servi
La fine dell’Impero romano, la crisi del suo mercato
globalizzato spezzettato in economie locali autarchiche, l’affermarsi del
cristianesimo come religione “di Stato”, implicano il declino della schiavitù
così come era stata fin lì intesa. L’avvento della “servitù” impone un cambio
di paradigma che è l’antesignano del lavoro dipendente. Poco cambia in effetti
per le condizioni reali del lavoro. Ma è da qui in poi, con un percorso che
attraverserà tutto il feudalesimo, che iniziano a mutare gli stessi concetti di
spazio e tempo del lavoro. La servitù implica la misura del suo tempo ed il rapporto
con uno spazio definito entro cui svolgersi, sono i parametri su cui da qui in
poi si fonderà la “produttività. Cresce il ruolo della “bottega”
Capitolo diciassettesimo
= Il fervore dell’invenzione
Ed è nella bottega che si afferma il “lavoro come arte”,
nel passaggio tra Medioevo e Rinascimento la “techné”, sviluppata da
“inventori” e da artigiani bottegai, inizia ad avere un ruolo ed un peso
importanti. Alcune invenzioni, il mulino ad acqua ad esempio, stravolgono la
“produzione” ed il modo di lavorare: La suddivisione del lavoro inizia ad
essere più sfumata, più articolata, nascono nicchie professionali e “mestieri”.
Inizia ad affermarsi con le “corporazioni” un associazionismo diffuso basato appunto
sul “mestiere”
Capitolo diciottesimo
= Instauratio magna
Il fermento degli ultimi secoli prima dell’esplosione
dell’industrializzazione non a caso investe la stessa concezione religiosa del
lavoro, favorendo la differenziazione fra cattolicesimo e protestantesimo (capitolo secondo e
terzo). Idee nuove certo, ma la miseria è
quella antica. La fine, positiva in sé, della schiavitù e della servitù crea
una figura nuova nel mondo del lavoro: il disoccupato, il senza lavoro. E con
esso le istituzioni sociali che lo affrontano e lo gestiscono, reclusori
compresi
Parte
Terza
Il
lavoro nella società industriale
Inizia con la rivoluzione industriale la moderna
concezione del lavoro, la sua gestione ed organizzazione, la divisione in
classi che ne consegue, il modo diffuso con cui il lavoro viene vissuto,
subito, accettato, esaltato, alienato, rifiutato, combattuto. L’intera società
si è da allora fondata su di esso. Questo è quanto è avvenuto fino ai nostri
giorni. Sono temi enormi attorno ai quali è cresciuto a dismisura il dibattito
culturale in senso lato. Impossibile darne conto compiuto in una sola opera. De
Masi, inevitabilmente e giustamente, lo affronta a volo d’uccello cercando cioè
di cogliere le più importanti linee guida che lo hanno caratterizzato.
Capitolo diciannovesimo
= I due pilastri teorici della società industriale
Difficile peraltro tracciare una linea netta di
demarcazione tra un prima ed un dopo, la stessa data di nascita della
“industrializzazione” è da sempre discussa e opinabile, così come è una
probabile forzatura far coincidere automaticamente industrializzazione e
capitalismo. Tutto ciò fermo restando è possibile sostenere, come fa David
Landes nella sua opera “Prometeo liberato” del 1969, che la metà del 1700
rappresenti un riferimento imprescindibile, non a caso il sottotitolo
dell’opera è “Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa
Occidentale dal 1750 ai giorni nostri”. E’ infatti la tecnologia a sancire da
quel momento il passaggio dall’economia prevalentemente agricola a quella
industriale. Ma accanto alla tecnologia centrale è stata la rivoluzione
culturale attuata dall’Illuminismo, che sgombra il terreno dai lacci della
tradizione conservatrice. Sviluppo umanistico e progresso tecnologico sono i
due pilastri dell’industrializzazione. E’ interessante in questo quadro leggere
la definizione di lavoro dell’Encyclopédie…….l’occupazione giornaliera cui
l’uomo è condannato per il suo bisogno e al quale egli deve, allo stesso tempo,
la sua salute, la sua sussistenza, la sua serenità, il suo buon senso e la sua
virtù….. Parallelamente l’economia si afferma come disciplina tanto autorevole
quanto a sé stante
Capitolo ventesimo =
Il lavoro meccanizzato
La società industriale, ed il lavoro ad essa connesso,
con la collegata definitiva affermazione della borghesia come classe dominante
si afferma, come è noto, inizialmente in Inghilterra attraverso sconvolgimenti,
tra loro collegati, nell’agricoltura, nella demografia, nel commercio. Il
vapore, come fonte energetica primaria, lancia i suoi sbuffi sull’intero ordine
sociale, creando un sistema integrato con al centro una dimensione, spaziale e
temporale, fin lì inesistente: la fabbrica
Capitolo ventunesimo
= Il lavoro sfruttato
In poco più di cinquanta pagine De Masi condensa, con le
caratteristiche evidenziate in precedenza, i processi produttivi, economici,
sociali e politici, e le collegate elaborazioni teoriche, attivati
dall’industrializzazione. Impossibile offrire una sintesi discorsiva anche solo
della traccia seguita; crediamo sia sufficiente citare i titoli dei singoli
paragrafi:……. classismo illuminista – classismo liberale – classe agiata – i
calcoli di Babbage – la fabbriche salubri e ariose di Ure – lavoratori indocili
e meccanizzazione – la New Lanark di Owen – cooperazione e socialismo – l’età
meccanica di Carlyle – le scimmiette di De Quincey – l’Inghilterra di Engels –
lavoro ripugnante – ignoranti, altezzosi, tirannici – la Napoli di Jessie White
Mario – ribellione e animalità – dall’individuo al movimento – dall’Inghilterra
al mondo – l’albero e i rami del socialismo – la parabola cartista – Francia:
il Quarantotto e la Comune – la Fabian Society – Germania: massimalismo e
minimalismo – welfare: sicurezza ed equità
Capitolo ventiduesimo
= Il lavoro studiato
La diffusione del “lavoro” come dimensione produttiva,
sociale ed esistenziale ha progressivamente implicato che il “lavoro” in quanto
tale diventasse l’oggetto di analisi e ricerche, scientifiche ed umanistiche
fra di loro intrecciate, che hanno via via coinvolto tutti quei diversi
approcci citati in apertura. Questo fervore indagatore si è, in sintesi,
articolato sulla base di alcuni “paradigmi”: quello liberale, quello riformista,
quello comunista, quello burocratico, quello cattolico, quello critico, con
evidenti aspetti distintivi piuttosto che comuni fra di loro
Capitolo ventitreesimo
= Il lavoro organizzato
L’inarrestabile progressione tecnologica,
l’elettro-meccanica in primis, coniugata con la “scienza del lavoro” di cui al
capitolo precedente, consente agli inizi del XX secolo una ulteriore e
sconvolgente trasformazione. Ciò avviene negli USA che soppiantano così
l’Inghilterra nel ruolo di paese guida. Attorno al modo di produrre si è infatti
via via definita una autentica “scienza della produzione e del lavoro”. Ogni
suo aspetto è valutato, soppesato, perfezionato, incastonato in una successione
“scientifica” di gesti e procedure. Frederick Winslow Taylor ed henry Ford sono
i due nomi simbolo di questa evoluzione, che ha nella “catena di montaggio” la
sua concretizzazione ed in alcuni “principi” i suoi capisaldi teorici: il
principio gerarchico, quello dell’unità di comando, quello di eccezione, della
divisione infinitesimale del lavoro, quello dell’accentramento, quello della
selezione e dell’addestramento. Che si trascinano dietro anche una visione
“paternalistica” delle relazioni umane, altro aspetto che, in questo quadro
complessivo, diventa decisivo ed istituzionalizzato. Si alternano e si
intrecciano nella successiva evoluzione del lavoro organizzato alcuni nuovi
paradigmi che variano in relazione al porre al centro dell’interesse il singolo
lavoratore, piuttosto che il gruppo, piuttosto che l’intera organizzazione: il
paradigma sistemico, quello comportamentale, quello decisionale, e quello
sociotecnico. Con il lavoro organizzato si completa l’occupazione totale degli
spazi individuali e collettivi di vita, ormai se il lavoro, quel lavoro, manca,
si sposta, si trasforma, è l’esistenza stessa, le sue forme e le sue
motivazioni, che, giusto o sbagliato che sia, rischia di venire a mancare
Parte
Quarta
Il
lavoro nella società post-industriale
Ed è esattamente quello che da alcuni decenni sta
avvenendo, l’orizzonte entro il quale il pianeta intero, unificato dalla
“globalizzazione”, deve muoversi. Questa ultima parte del saggio di De Masi,
qui ancora presentata come piano dell’opera, è quella che sicuramente merita
maggiore attenzione per capire le future possibili prospettive. In relazione a
prossime iniziative di Circolarmente dedicate al “lavoro” sarà utile una sua
ripresa più dettagliata .
Capitolo ventiquattresimo
= la grande transizione
Raymond Aron in piena guerra fredda sostenne che
capitalismo e socialismo (quello reale) sono due specie dello stesso genere: la
società industriale. Ma in quegli stessi anni, quelli quindi del pieno
affermarsi dell’industria come perno dell’intera società, di tutte le società,
iniziano ad affermarsi tensioni intellettuali, sociali e politiche, tendenze in
ambito produttivo, scenari di disgregazione dall’interno di quello che pareva
un monolite indistruttibile. Gli anni sessanta mettono in campo fermenti diffusi
che in modo trasversale raccolgono l’insoddisfazione latente verso il modello
fabbrica ed il collegato modello di relazioni sociali. Qui in Italia lo
“Statuto dei Lavoratori” del 1970 sancisce il punto più alto della protesta e
delle rivendicazioni e al tempo stesso l’inizio del declino del modello di
organizzazione del lavoro fordista. Un analogo e contemporaneo processo caratterizza
tutte le società industriali occidentali. Sta in questo zenit l’avvio, con una
transizione di alcuni decenni, del passaggio alla società post-industriale, un
passaggio che, riprendendo quelle intuizioni e quelle premonizioni del secondo
dopoguerra, è condotto come reazione, suggerito da soluzioni tecnologiche,
guidato da un “nuovo” liberismo, operato delle classi dominanti, inglobato nei
modi diffusi di pensare anche degli strati bassi della società. L’esplosione
del terziario, l’avvento della sfera economica dei servizi, sanciscono il
cambio di paradigma. Il totem del lavoro industriale si frantuma in mille
rivoli, una delle conseguenze è l’impossibilità di una “risposta” univoca di
massa, perché la massa stessa dei lavoratori è stata frantumata in una
pluralità di soggetti indotti a muoversi con ottiche individualistiche. A
fronte di tensioni inevitabili di grande portata la transizione al lavoro
post-industriale avviene pertanto in un clima di conflitto esorcizzato.
Capitolo venticinquesimo
= I fattori del mutamento
E’ fuori di dubbio che la globalizzazione fosse da tempo
nello “spirito” del modello capitalistico, certo è però che il profondo
mutamento del quadro politico internazionale degli anni ottanta apre scenari di
espansione “globale” senza limiti. L’attuale accezione del termine
“globalizzazione” intende però non solo la creazione di un mercato planetario
ma anche, grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, una globalizzazione di
modelli, comportamenti, atteggiamenti psicologici individuali e di massa, seppure
con una certa diversità di approccio fra le varie aree. L’elettronica, che sta
alla base dello sviluppo del web, è a sua volta figlia del crescente utilizzo
di nuovi materiali, la cui relativa “leggerezza” fa da contraltare simbolico
della “pesantezza” dell’acciaio su cui poggiava l’industrializzazione. Altri
fattori che incidono sul cambiamento e sulle sue caratteristiche sono le
biotecnologie, le tecnologie ottiche, i big data, l’intelligenza artificiale,
in particolare nella versione della automatizzazione, della robotizzazione.
Inevitabili sono le conseguenze sulle logiche di mercato, sulle tipologie di
merci e dei relativi processi produttivi, sui comportamenti dei consumatori. Altrettanto
inevitabile e di forte impatto la ricaduta sulle modalità, tipologie e concetto
stesso di “lavoro”. Non è un caso, una coincidenza, come già evidenziato nel
Capitolo Ventiquattresimo, che l’ideologia dominante alla base del mutamento
sia ispirata da una sorta di “rivincita” delle classi dominanti. La inarrestabile
disuguaglianza, figlia del mutato quadro, non sembra produrre le reazioni
tipiche delle fasi storiche precedenti, i conflitti, là dove si manifestano,
sembrano “senza classi”. Stentano però a definirsi e ad affermarsi nuovi
soggetti sociali in grado di catalizzare innovative strategie alternative
Capitolo ventiseiesimo
= Metamorfosi del mercato
Sullo sfondo dei cambiamenti strutturali del mercato del
lavoro si muovono alcuni fattori che, accanto a quelli più specifici della
produzione, svolgono già ora, e sempre di più lo faranno nel futuro, un ruolo
importante: demografia, ecologia, longevità, androginia, ubiquità, tempo
libero, etica, estetica, cultura. Difficile prevedere quali “figure sociali” si
muoveranno in questo nuovo contesto, ma è prevedibile che quella del “prosumer”
(produttore e consumatore insieme) acquisti sempre più rilevanza. La
professionalità, il mestiere, non potranno più caratterizzare l’individuo per
l’intera sua vita. Dando per scontato che l’intensificarsi dei cambiamenti tecnologici
(la “nuova età delle macchine”) renderà tutti potenzialmente “in soprannumero”,
acquisterà sempre più valore la profezia di Keynes della opportunità di
sostituire la “perizia nel lavoro” con la “perizia nella vita”. Sono, su queste
basi, già ora ipotizzabili undici tesi (a
giudizio di chi scrive provocatoriamente “ottimistiche”) sul lavoro nel XXI secolo:
1 – il progresso tecnologico offrirà una potenzialità di
liberazione dalla “fatica del lavoro”
2 – per una lunga fase sarà comunque inevitabile un
surplus crescente di manodopera
3 – si porrà sicuramente il problema di gestire diffuso
“tempo libero” dal lavoro
4 – economia e statistica non potranno nascondere a
lungo questa nuova “disoccupazione”
5 – la sbornia di prodotti inutili lascerà il posto a
“meno ma meglio”
6 – alle macchine il lavoro fisico e buona parte di
quello intellettuale, all’uomo quello creativo
7 – saranno inevitabili nuove forme di welfare
8 – al nuovo sicuramente si arriverà passando attraverso
il “lavorare meno lavorare tutti”
9 – occorrerà una lunga fase di preparazione al nuovo
“ozio creativo”
10 - in Occidente
in particolare sarà necessario “uscire” dalla ideologica “vita per il lavoro”
11 – nel resto del mondo sarà necessaria l’operazione
opposta
Capitolo ventisettesimo
= Metamorfosi del lavoro
Per quanto votato all’ottimismo questo quadro non
nasconde lo scoglio della necessità di “riconvertire” l’ideologia manageriale
del lavoro, e, in logica progressione, il superamento della logica del
“profitto” come motore del mercato, creando una miscela di competizione,
cooperazione, solidarietà, primato motivazionale del “non profit”. In fondo l’essenza
più vera e pura del Marx filosofo.
a cura di Giancarlo Fagiano