La
parola del mese
A turno si propone una parola,
evocativa di pensieri collegabili
ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
evocativa di pensieri collegabili
ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
MAGGIO 2019
Chiudiamo con questa di Maggio 2019 un ciclo di
“parole del mese” in qualche modo tutte collegabili al tema al centro del
nostro programma 2018/2019, i “Futuri”. Lo facciamo, dopo diverse parole più impegnative,
con una che si presta ad una lettura più leggera, per certi versi persino
ironica nel suo evidenziare un rapporto con il futuro che, in questa nostra
epoca “liquida”, pressata da diffuse incertezze in ogni campo, continuamente
modificata dal costante procedere delle innovazioni tecnologiche, sembra
persino richiedere “competenze professionali” per essere analizzato. Come
vedremo non si parla più delle visioni di sciamani, profeti e indovini, ma di
autentici professionisti di………..
FUTUROLOGIA
Dall’Enciclopedia on-line
Treccani
futurologìa = Termine con cui si vuole indicare un tipo
d’indagine che ha per scopo
la previsione degli sviluppi futuri della tecnologia, fondata sull’ipotesi
della invarianza, o della variazione costante, di certi parametri considerati
primari, e svolta anche mediante simulazioni al calcolatore, con l’uso di
modelli matematici e di tecniche stocastiche.
Due articoli reperibili in Rete sembrano
infatti attestare la nascita di un nuovo mestiere, quello del futurologo…………..
Dal
sito dell’AGI – Agenzia Giornalistica Italiana
Il futurologo è diventata una professione,
molto ambita. E le aziende assumono
Non è un esperto di
marketing, piuttosto un sociologo, un antropologo capace di immaginare il
comportamento umano nel futuro. Una professione appena nata, che non si studia
da nessuna parte, ma già molto richiesta. Tempi di crisi, ci si interroga
sul domani. Un tempo erano gli auguri, l'ordine sacerdotale dell'antica Roma,
fondato da Romolo, il cui compito era quello di interpretare il volo degli
uccelli. In Grecia la Pizia di Delfi, e poi Cassandra con le sue previsioni
troppo spesso nefaste. Poi San Malachia e Zarathustra, passando per
Nostradamus: la storia è costellata di indovini e profeti. Il futuro è un tema
ricorrente, e oggi la capacità di anticiparlo è una professione ricercata da
molte aziende. L'automobilistica Volkswagen, l'azienda di cioccolato
statunitense Hershey's, la banca Capital One sono alcune delle imprese che sul
mercato del lavoro cercano professionisti in questo settore: li chiamano in
maniera diversa, ma tutti si guardano attorno per assumere i futurologi. Non si tratta di predire il futuro - spiega al
Financial Times Josef Hargrave, manager di Arup, l'azienda di consulenza
ingegneristica londinese con sedi in quattro continenti - quanto piuttosto di
pensare ai possibili sviluppi e diffondere all'interno dell'azienda la
consapevolezza e la capacità di adattarsi". 'Scenario' è la parola
chiave in una professione per la quale anche le università si stanno
attrezzando, a cominciare da Stati Uniti e Taiwan, dove la facoltà di Tamkang
ha attivato corsi di 'Futures studies' obbligatori per i suoi studenti. Niente improvvisazione, servono competenze, capacità analitiche e sensibilità verso le
dinamiche culturali e sociali: "Il lavoro da futurologo è quanto di più
lontano dalla profezia - assicura al Ft Erik Overland, responsabile del corso di
Berlino e presidente della Federazione mondiale per gli studi del futuro -. Le
grandi imprese si sono rese conto che di fronte alla complessità del mondo è
possibile agire in modo migliore se vengono esaminati diversi scenari
futuri". Il fulcro della professione non è quindi cercare di
indovinare quali tecnologie verranno adottate dai consumatori, spiega il
quotidiano economico britannico, quanto piuttosto immeainare le applicazioni future e i relativi contesti di utilizzo,
della tecnologia. Un mestiere che ha quindi ha a che fare con sociologia ed
etnologia, due branche dello studio dell'uomo e del suo comportamento. Come
spiega David Johnson, per sette anni futurologo per la compagnia informatica
Intel, il mestiere riguarda l'uomo, ma anche la fantascienza aiuta: mescolare
la finzione con i fatti scientifici consente di "esaminare i luoghi più
oscuri, distopici" della realtà e di "tirar fuori idee
incredibili". I team di persone che si occupano di questo settore
all'interno delle aziende spesso si rivolgono ad autori di fantascienza. Tim
Maughan, autore della serie 'Paintwork', aiuta ad esempio Arup a
"ragionare in maniera critica sul futuro", ad esempio provando a
immaginare l'impatto delle tecnologie attuali in un lasso di tempo di 10 o 15 anni.
In quest'ottica il lavoro dei futurologi è quindi molto diverso da quanto
capita spesso di leggere su riviste tecnologiche, dove esperti di varie
discipline ingaggiano la propria battaglia nell'immaginare le invenzioni del
futuro, come per esempio le nanotecnologie in grado di collegare il cervello
umano a cloud informatici, promettendoci di essere più intelligenti in vita,
avendo a disposizione molte più informazioni, e al tempo stesso rendendoci
immortali, consegnando la nostra conoscenza a un computer. In un ambito informatico che alimenta il dibattito tra vita e morte, eternità ed etica, che mette in
discussione i concetti di scienza e religione, il mestiere di futurologo si fa
largo in maniera differente. Niente intelligenza superumana che sostituisca le
persone in carne e ossa, almeno per il momento: basta studiare l'uomo, e magari
chiederci come noi stessi potremmo sfruttare in futuro la tecnologia che sta
dietro ai servizi che già oggi usiamo.
……E poi ancora dal sito
Businnes Insider Italia
La
professione del futuro? Il futurologo.
Lo fanno in pochissimi ma sarà molto richiesto
Conoscere
le conseguenze di un’azione prima che venga compiuta è un sogno per chi deve prendere una
qualsiasi decisione, un mestiere per alcuni. Se ne occupa il futurologo. Non è un indovino ma
un professionista che cerca
di prevedere il mondo nel futuro per un’amministrazione o
un’azienda. Non è
neanche un economista che analizza trend di mercato ma deve
avere conoscenze di
materie come la sociologia e ipotizzare l’evoluzione dei
comportamenti umani. Secondo head hunter come Carola Adami, della società di
selezione del personale Adami & Associati, quella del futurologo è fra le figure che più si cercano
e meno si trovano. All’estero diverse università hanno introdotto corsi di laurea e di
dottorato sui Futures Studies, una disciplina
accademica nata alla metà degli anni ’60. Anche in Italia qualcosa si è mosso.
L’università di Trento
ha iniziato quattro anni fa il Master di secondo livello in Previsione sociale
rivolto a chi è già nel mondo del lavoro. Dal 2013 l’Italian Institute for the Future
si occupa di introdurre in Italia i Futures
studies e l’impiego dei metodi di anticipazione da parte dei
decisori politici e del mondo imprenditoriale. Anche il nodo italiano del
network Millennium
Project svolge attività di previsione, con l’obiettivo di
accumulare saggezza sul futuro e fare scelte migliori oggi. Il 7 aprile 2017
questi tre enti hanno tenuto il workshop internazionale “Anticipation, Agency and Complexity”
per lavorare alla costituzione di una rete italiana dei futuristi. Secondo Roberto Poli,
professore del dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’università di
Trento e cattedra
Unesco sui sistemi anticipanti, di possibilità di impiego nel
settore ce ne sono molte. Aziende, banche, assicurazioni stanno investendo
nelle previsioni. Per esempio, Barilla haa lavorato sugli scenari del futuro dell'alimentazione nel 2030. In pochi possiedono un reparto con
persone con formazione specifica ma molti si avvalgono di consulenze. Come quelle fornite dalla startup
innovativa dell’università di Trento –Skopìa, presieduta dal
professor Poli. Si lavora con il privato, ma secondo Poli il settore pubblico dovrebbe essere più attivo.
“Quasi tutti i governi
europei hanno un ufficio che si occupa di queste cose”, dice il
professore, “la Finlandia in particolare, dove è stato costituito un gruppo al seguito del
parlamento
e non del governo. Qui in Italia ancora non si è visto nulla del genere”.
Le previsioni dei futuristi sono diverse da quelle fatte in economia. “Per esempio, se si vuole aprire una fabbrica nel 2025 in Polonia, i metodi economici
individuano le scelte più razionali da fare”, spiega Poli, “ma non dicono se ha ancora senso nel
2025 dar vita a un’impresa in Polonia o se ci sarà ancora mercato per quel
prodotto. Nel frattempo, nuove leggi potrebbero venir promulgate, diversi tipi
di contributi potrebbero sparire. I futurologi intervengono in
situazioni di alta incertezza”. Ad aprile 2018 a Bologna,
nella sede del Consiglio nazionale delle ricerche, è in programma il secondo incontro
dei futurologi italiani, dedicato alle anticipazioni sul
lavoro. “Faremo un discorso più aperto di
quanto non appaia da molti report”, dice Poli, “l'automatizzazione del lavoro non è qualcosa come l’invecchiamento della popolazione rispetto a cui possiamo
solo rassegnarci.
Dipenderà dalle politiche adottate. È importante muoversi con visione
per non farsi travolgere”.
All’incontro parteciperà anche
Mara Di Berardo, dottoressa di ricerca in Culture, Linguaggi e
Politica della Comunicazione e co-chair del nodo italiano del Millennium
Project. Dal 2016 ha iniziato a lavorare sullo studio globale “Scenari alternativi su lavoro e
tecnologia al 2050”, nel quale vengono sviluppati tre scenari possibili:
- un mondo di governi con capacità strategica ma adozione altalenante della tecnologia
- un’umanità disperata nel disordine politico ed economico
- ed una che ha pensato a strategie a lungo termine condivise a livello internazionale.
Nella seconda fase dello studio i partecipanti ad alcuni workshop cercheranno di definire azioni a breve (5 anni), medio (15 anni) e lungo termine (35 anni) per
realizzare il miglior futuro possibile. “Su
questi scenari per il lavoro nel 2050 sarebbe utile aprire un discorso con i sindacati”,
dice Di Berardo. Secondo la co-chair per l’Italia nel Millennium Project, nel
costruire una previsione sono molto usati anche i metodi partecipativi, che mettono
insieme esperti, cittadini o rappresentanti. Si discute insieme
sul futuro, si creano gli scenari con lo scopo di suggerire politiche che siano
fattibili e desiderabili. “L’Unione
europea parla di Futures studies in alcune sue attività”, racconta
la dottoressa Di Berardo,
“Molte politiche europee vengono definite attraverso forum in cui vengono
analizzati una serie di attività fattibili e desiderabili. Questo significa
fare Futures studies”.
………..la comparsa in scena dei futurologi, “professionisti” della
lettura dei futuri possibili, aspetto che qualche sorriso incredulo
inevitabilmente produce, sembra sugellare un percorso di cambiamento profondo,
ben sintetizzato dal successivo articolo che bene spiega l’evoluzione della
futurologia. Senza voler qui riaprire un supplemento di discussione “seriosa”
al riguardo, appare però evidente che agli scenari che verranno non volgiamo
più lo stesso sguardo degli antichi, da dopo la Rivoluzione Industriale, ed in
modo sempre crescente fino al suo massimo nei presenti tempi della rivoluzione
digitale, lo facciamo con un miscela tutta nuova di speranze e timori. In fondo
è l’indicazione che è emersa dall’insieme delle nostre iniziative: se è vero
che i futuri sembrano consentire cambiamenti positivi non pochi però sembrano
essere rischi negativi; il problema
pertanto non è tanto quello di immaginare cosa è più probabile che succeda, ma è
quello di “governare” i processi di concretizzazione degli scenari futuri, Non
di futurologi c’è quindi bisogno, ma di politiche, di culture, di percorsi
partecipati e condivisi, che decidano verso quali futuri davvero vogliamo
muovere
Dal sito La Tascabile, articolo di Simone
Arcagni professore all'Università di Palermo,
giornalista, editorialista, consulente e conferenziere.

Futuri passati
Immagini, visioni e parole con cui, nel passato,
abbiamo raccontato il futuro.
Nel 1902 lo scrittore H.G. Welles produce un testo scientifico, una philosophical
lecture dal titolo emblematico The Discovery of the Future, dando
così il via a una particolare forma letteraria che (forse impropriamente, ma
spiegheremo meglio in seguito) potremmo chiamare “Futurologia”. A differenza della Fantascienza la Futurologia non inventa di sana pianta,
non crea mondi fantastici con l’intento di stupire, ma trae le sue radici nei
discorsi scientifici e muove le proprie considerazioni a partire da
un’approfondita conoscenza della tecnologia contemporanea. Il suo fine è
provare a delineare gli sviluppi e gli impatti futuri della scienza e della
tecnologia. Parliamo di un futuro prossimo, un near future che in
qualche modo si delinea già all’orizzonte. Non è un caso che proprio il secolo
XIX, contraddistinto da un impatto scientifico e tecnologico senza pari,
rilanci – già agli albori del nuovo secolo – un piano di studi, progetti e
proiezioni che provano, non solo a predire il futuro, ma in qualche modo
persino a configurarlo. La Futurologia
vera e propria nascerà qualche decennio più tardi come sviluppo di una
disciplina che prevede l’apporto fondamentale dell’Economia, della Sociologia e
della Statistica. L’atto ufficiale di fondazione viene indicato nel 1973 quando
il Club di Roma commissiona al MIT di Boston una ricerca sui tempi, gli impatti
e le conseguenze dell’esaurimento delle materie prime fondamentali. Lo studio
viene affrontato secondo sistemi logici e statistici applicando la Teoria dei
Sistemi e getta le basi per una nuova disciplina che troverà sempre più spazio
soprattutto in ambiti politici. Anche in questo caso si può trovare un celebre
antecedente nel lavoro di Thomas Robert Malthus dal titolo Saggio sul
principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo della società,
un vero e proprio trattato sull’impatto futuro della crescita della popolazione
mondiale. Figliastra delle urgenze accelerazioniste del Futurismo e,
successivamente, dei piani quinquennali stalinisti, la Futurologia si impone sempre più come ambito di studi sociali,
economici e politici. E con il Club di Roma si aprono le porte alla
declinazione moderna di questa disciplina. Ma la vena letteraria aperta da
Wells non si indebolisce, anzi, si alimenta in particolar modo con l’apporto di
scrittori di fantascienza che provengono da studi scientifici e spesso fanno
della divulgazione scientifica una parte della loro attività letteraria. Per
questi scrittori accorti di “cose di scienza e di tecnologia” spesso la
narrazione è un modo per declinare felicemente proprio la lettura dei futuri
prossimi impatti tecnologici. Pensiamo al polacco Stanislaw Lem, agli americani
Isaac Asimov e Arthur C. Clarke o al filone del Cyberpunk con William Gibson e
Bruce Sterling. Ma non si tratta solo di letteratura, bensì delle arti tutte:
la fotografia, l’architettura, il cinema, le arti visive, la videoarte…
innestano i propri percorsi poetici con quelli delle nuove tecnologie e creano
racconti che si spingono un po’ più in là (basti pensare alla serie Black
Mirror). Un’esigenza che ha le
sue radici nell‘800 ma che esplode nel ‘900 e poi, di nuovo, all’alba del nuovo
millennio, sollecitata in particolare dalla rivoluzione digitale che impone
alla nostra società un’accelerazione scientifica e tecnologica unica e che
viene definita come “esponenziale”. Ecco che allora la Futurologia diventa un
territorio davvero vasto che include molti settori della Scienza, le arti e la
letteratura ma anche la neonata cultura digitale e la filosofia
dell’Informatica in un percorso che spesso ibrida motivi, temi e persino forme
letterarie: pensiamo a pensatori come Nick Bostrom, Yuval Noah Harari, Kevin
Kelly, Chris Anderson, Ray Kurzweil, Parag Khanna… tutti fautori di una “Futurologia digitale”. Ovviamente la Futurologia diviene così figlia anche
(e forse, soprattutto) di scelte politiche: e qui possiamo risalire fino all’ Utopia
di Thomas Moore. E arrivando ai nostri giorni possiamo individuare due binari
ben precisi: da una parte, per l’appunto, l’utopia, e dall’altra la distopia.
In fin dei conti lo stesso pensiero di Marx e la conseguente ideologia marxista
vivono della spinta utopica che nasce dall’osservazione del presente
tecnologicamente (per allora) avanzato. Sul confine tra utopia e distopia si
muovono le osservazioni di carattere sociologico sulle metropoli: sia le nuove
città della rivoluzione industriale (per il ‘900) che quelle digitali come la
smart city (per il 2000). Proviamo allora a concentrare la nostra attenzione
sulla divaricazione tra sguardo del ‘900 e sguardo del 2000. Una divaricazione
(un po’ forzata ma nemmeno tanto) che ci permette di fotografare perfettamente
la Futurologia e il suo portato
sociale e culturale: da una parte il ‘900 che guarda il 2000… il secolo della
rivoluzione industriale matura, il secolo dell’atomica e del nucleare, dei
primi calcolatori e dello sviluppo delle società evolute. E dall’altra il 2000
con il digitale che sente la necessità di sostenere il cambio di paradigma
della nuova rivoluzione tecnologica. Tra ‘900 e 2000 si distinguono due sguardi
che si appuntano però principalmente sugli stessi obbiettivi: la città, la
scienza e la tecnologia con la sua accelerazione senza precedenti. In questa
visione duplice si dipana la storia della società occidentale contemporanea e
il suo modo di specchiarsi, di proiettarsi e di narrarsi
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