mercoledì 1 maggio 2019

Laa parola del mese - Maggio 2019



La parola del mese

 A turno si propone una parola, 
evocativa di pensieri collegabili 
ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni

MAGGIO 2019

Chiudiamo con questa di Maggio 2019 un ciclo di “parole del mese” in qualche modo tutte collegabili al tema al centro del nostro programma 2018/2019, i “Futuri”. Lo facciamo, dopo diverse parole più impegnative, con una che si presta ad una lettura più leggera, per certi versi persino ironica nel suo evidenziare un rapporto con il futuro che, in questa nostra epoca “liquida”, pressata da diffuse incertezze in ogni campo, continuamente modificata dal costante procedere delle innovazioni tecnologiche, sembra persino richiedere “competenze professionali” per essere analizzato. Come vedremo non si parla più delle visioni di sciamani, profeti e indovini, ma di autentici professionisti di………..

FUTUROLOGIA
 Dall’Enciclopedia on-line Treccani
futurologìa =   Termine con cui si vuole indicare un tipo d’indagine che ha per scopo la previsione degli sviluppi futuri della tecnologia, fondata sull’ipotesi della invarianza, o della variazione costante, di certi parametri considerati primari, e svolta anche mediante simulazioni al calcolatore, con l’uso di modelli matematici e di tecniche stocastiche.

Due articoli reperibili in Rete sembrano infatti attestare la nascita di un nuovo mestiere, quello del futurologo…………..

Dal sito dell’AGI – Agenzia Giornalistica Italiana
Il futurologo è diventata una professione,
molto ambita. E le aziende assumono
Non è un esperto di marketing, piuttosto un sociologo, un antropologo capace di immaginare il comportamento umano nel futuro. Una professione appena nata, che non si studia da nessuna parte, ma già molto richiesta. Tempi di crisi, ci si interroga sul domani. Un tempo erano gli auguri, l'ordine sacerdotale dell'antica Roma, fondato da Romolo, il cui compito era quello di interpretare il volo degli uccelli. In Grecia la Pizia di Delfi, e poi Cassandra con le sue previsioni troppo spesso nefaste. Poi San Malachia e Zarathustra, passando per Nostradamus: la storia è costellata di indovini e profeti. Il futuro è un tema ricorrente, e oggi la capacità di anticiparlo è una professione ricercata da molte aziende. L'automobilistica Volkswagen, l'azienda di cioccolato statunitense Hershey's, la banca Capital One sono alcune delle imprese che sul mercato del lavoro cercano professionisti in questo settore: li chiamano in maniera diversa, ma tutti si guardano attorno per assumere i futurologi.  Non si tratta di predire il futuro - spiega al Financial Times Josef Hargrave, manager di Arup, l'azienda di consulenza ingegneristica londinese con sedi in quattro continenti - quanto piuttosto di pensare ai possibili sviluppi e diffondere all'interno dell'azienda la consapevolezza e la capacità di adattarsi". 'Scenario' è la parola chiave in una professione per la quale anche le università si stanno attrezzando, a cominciare da Stati Uniti e Taiwan, dove la facoltà di Tamkang ha attivato corsi di 'Futures studies' obbligatori per i suoi studenti. Niente improvvisazione, servono competenze, capacità analitiche e sensibilità verso le dinamiche culturali e sociali: "Il lavoro da futurologo è quanto di più lontano dalla profezia - assicura al Ft Erik Overland, responsabile del corso di Berlino e presidente della Federazione mondiale per gli studi del futuro -. Le grandi imprese si sono rese conto che di fronte alla complessità del mondo è possibile agire in modo migliore se vengono esaminati diversi scenari futuri". Il fulcro della professione non è quindi cercare di indovinare quali tecnologie verranno adottate dai consumatori, spiega il quotidiano economico britannico, quanto piuttosto immeainare le applicazioni future e i relativi contesti di utilizzo, della tecnologia. Un mestiere che ha quindi ha a che fare con sociologia ed etnologia, due branche dello studio dell'uomo e del suo comportamento. Come spiega David Johnson, per sette anni futurologo per la compagnia informatica Intel, il mestiere riguarda l'uomo, ma anche la fantascienza aiuta: mescolare la finzione con i fatti scientifici consente di "esaminare i luoghi più oscuri, distopici" della realtà e di "tirar fuori idee incredibili". I team di persone che si occupano di questo settore all'interno delle aziende spesso si rivolgono ad autori di fantascienza. Tim Maughan, autore della serie 'Paintwork', aiuta ad esempio Arup a "ragionare in maniera critica sul futuro", ad esempio provando a immaginare l'impatto delle tecnologie attuali in un lasso di tempo di 10 o 15 anni. In quest'ottica il lavoro dei futurologi è quindi molto diverso da quanto capita spesso di leggere su riviste tecnologiche, dove esperti di varie discipline ingaggiano la propria battaglia nell'immaginare le invenzioni del futuro, come per esempio le nanotecnologie in grado di collegare il cervello umano a cloud informatici, promettendoci di essere più intelligenti in vita, avendo a disposizione molte più informazioni, e al tempo stesso rendendoci immortali, consegnando la nostra conoscenza a un computer. In un ambito informatico che alimenta il dibattito tra vita e morte, eternità ed etica, che mette in discussione i concetti di scienza e religione, il mestiere di futurologo si fa largo in maniera differente. Niente intelligenza superumana che sostituisca le persone in carne e ossa, almeno per il momento: basta studiare l'uomo, e magari chiederci come noi stessi potremmo sfruttare in futuro la tecnologia che sta dietro ai servizi che già oggi usiamo.

……E poi ancora dal sito Businnes Insider Italia
La professione del futuro? Il futurologo.
Lo fanno in pochissimi ma sarà molto richiesto

Conoscere le conseguenze di un’azione prima che venga compiuta è un sogno per chi deve prendere una qualsiasi decisione, un mestiere per alcuni. Se ne occupa il futurologo. Non è un indovino ma un professionista che cerca di prevedere il mondo nel futuro per un’amministrazione o un’azienda. Non è neanche un economista che analizza trend di mercato ma deve avere conoscenze di materie come la sociologia e ipotizzare l’evoluzione dei comportamenti umani. Secondo head hunter come Carola Adami, della società di selezione del personale Adami & Associati, quella del futurologo è fra le figure che più si cercano e meno si trovano. All’estero diverse università hanno introdotto corsi di laurea e di dottorato sui Futures Studies, una disciplina accademica nata alla metà degli anni ’60. Anche in Italia qualcosa si è mosso. L’università di Trento ha iniziato quattro anni fa il Master di secondo livello in Previsione sociale rivolto a chi è già nel mondo del lavoro. Dal 2013 l’Italian Institute for the Future si occupa di introdurre in Italia i Futures studies e l’impiego dei metodi di anticipazione da parte dei decisori politici e del mondo imprenditoriale. Anche il nodo italiano del network Millennium Project svolge attività di previsione, con l’obiettivo di accumulare saggezza sul futuro e fare scelte migliori oggi. Il 7 aprile 2017 questi tre enti hanno tenuto il workshop internazionale “Anticipation, Agency and Complexity” per lavorare alla costituzione di una rete italiana dei futuristi. Secondo Roberto Poli, professore del dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’università di Trento e cattedra Unesco sui sistemi anticipanti, di possibilità di impiego nel settore ce ne sono molte. Aziende, banche, assicurazioni stanno investendo nelle previsioni. Per esempio, Barilla haa lavorato sugli scenari del futuro dell'alimentazione nel 2030. In pochi possiedono un reparto con persone con formazione specifica ma molti si avvalgono di consulenze. Come quelle fornite dalla startup innovativa dell’università di Trento –Skopìa, presieduta dal professor Poli. Si lavora con il privato, ma secondo Poli il settore pubblico dovrebbe essere più attivo. “Quasi tutti i governi europei hanno un ufficio che si occupa di queste cose”, dice il professore, “la Finlandia in particolare, dove è stato costituito un gruppo al seguito del parlamento e non del governo. Qui in Italia ancora non si è visto nulla del genere”. Le previsioni dei futuristi sono diverse da quelle fatte in economia. “Per esempio, se si vuole aprire una fabbrica nel 2025 in Polonia, i metodi economici individuano le scelte più razionali da fare”, spiega Poli, “ma non dicono se ha ancora senso nel 2025 dar vita a un’impresa in Polonia o se ci sarà ancora mercato per quel prodotto. Nel frattempo, nuove leggi potrebbero venir promulgate, diversi tipi di contributi potrebbero sparire. I futurologi intervengono in situazioni di alta incertezza”. Ad aprile 2018 a Bologna, nella sede del Consiglio nazionale delle ricerche, è in programma il secondo incontro dei futurologi italiani, dedicato alle anticipazioni sul lavoro. Faremo un discorso più aperto di quanto non appaia da molti report”, dice Poli, “l'automatizzazione del lavoro non è qualcosa come l’invecchiamento della popolazione rispetto a cui possiamo solo rassegnarci. Dipenderà dalle politiche adottate. È importante muoversi con visione per non farsi travolgere”. All’incontro parteciperà anche Mara Di Berardo, dottoressa di ricerca in Culture, Linguaggi e Politica della Comunicazione e co-chair del nodo italiano del Millennium Project. Dal 2016 ha iniziato a lavorare sullo studio globale “Scenari alternativi su lavoro e tecnologia al 2050”, nel quale vengono sviluppati tre scenari possibili: 



  1. un mondo di governi con capacità strategica ma adozione altalenante della tecnologia 
  2. un’umanità disperata nel disordine politico ed economico
  3. ed una che ha pensato a strategie a lungo termine condivise a livello internazionale. 
Nella seconda fase dello studio i partecipanti ad alcuni workshop cercheranno di definire azioni a breve (5 anni), medio (15 anni) e lungo termine (35 anni) per realizzare il miglior futuro possibile. “Su questi scenari per il lavoro nel 2050 sarebbe utile aprire un discorso con i sindacati”, dice Di Berardo. Secondo la co-chair per l’Italia nel Millennium Project, nel costruire una previsione sono molto usati anche i metodi partecipativi, che mettono insieme esperti, cittadini o rappresentanti. Si discute insieme sul futuro, si creano gli scenari con lo scopo di suggerire politiche che siano fattibili e desiderabili. “L’Unione europea parla di Futures studies in alcune sue attività”, racconta la dottoressa Di Berardo, “Molte politiche europee vengono definite attraverso forum in cui vengono analizzati una serie di attività fattibili e desiderabili. Questo significa fare Futures studies”.


………..la comparsa in scena dei futurologi, “professionisti” della lettura dei futuri possibili, aspetto che qualche sorriso incredulo inevitabilmente produce, sembra sugellare un percorso di cambiamento profondo, ben sintetizzato dal successivo articolo che bene spiega l’evoluzione della futurologia. Senza voler qui riaprire un supplemento di discussione “seriosa” al riguardo, appare però evidente che agli scenari che verranno non volgiamo più lo stesso sguardo degli antichi, da dopo la Rivoluzione Industriale, ed in modo sempre crescente fino al suo massimo nei presenti tempi della rivoluzione digitale, lo facciamo con un miscela tutta nuova di speranze e timori. In fondo è l’indicazione che è emersa dall’insieme delle nostre iniziative: se è vero che i futuri sembrano consentire cambiamenti positivi non pochi però sembrano essere  rischi negativi; il problema pertanto non è tanto quello di immaginare cosa è più probabile che succeda, ma è quello di “governare” i processi di concretizzazione degli scenari futuri, Non di futurologi c’è quindi bisogno, ma di politiche, di culture, di percorsi partecipati e condivisi, che decidano verso quali futuri davvero vogliamo muovere

Dal sito La Tascabile, articolo di Simone Arcagni professore all'Università di Palermo, giornalista, editorialista, consulente e conferenziere.

Futuri passati
Immagini, visioni e parole con cui, nel passato, abbiamo raccontato il futuro.
Nel 1902 lo scrittore H.G. Welles produce un testo scientifico, una philosophical lecture dal titolo emblematico The Discovery of the Future, dando così il via a una particolare forma letteraria che (forse impropriamente, ma spiegheremo meglio in seguito) potremmo chiamare “Futurologia”. A differenza della Fantascienza la Futurologia non inventa di sana pianta, non crea mondi fantastici con l’intento di stupire, ma trae le sue radici nei discorsi scientifici e muove le proprie considerazioni a partire da un’approfondita conoscenza della tecnologia contemporanea. Il suo fine è provare a delineare gli sviluppi e gli impatti futuri della scienza e della tecnologia. Parliamo di un futuro prossimo, un near future che in qualche modo si delinea già all’orizzonte. Non è un caso che proprio il secolo XIX, contraddistinto da un impatto scientifico e tecnologico senza pari, rilanci – già agli albori del nuovo secolo – un piano di studi, progetti e proiezioni che provano, non solo a predire il futuro, ma in qualche modo persino a configurarlo. La Futurologia vera e propria nascerà qualche decennio più tardi come sviluppo di una disciplina che prevede l’apporto fondamentale dell’Economia, della Sociologia e della Statistica. L’atto ufficiale di fondazione viene indicato nel 1973 quando il Club di Roma commissiona al MIT di Boston una ricerca sui tempi, gli impatti e le conseguenze dell’esaurimento delle materie prime fondamentali. Lo studio viene affrontato secondo sistemi logici e statistici applicando la Teoria dei Sistemi e getta le basi per una nuova disciplina che troverà sempre più spazio soprattutto in ambiti politici. Anche in questo caso si può trovare un celebre antecedente nel lavoro di Thomas Robert Malthus dal titolo Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo della società, un vero e proprio trattato sull’impatto futuro della crescita della popolazione mondiale. Figliastra delle urgenze accelerazioniste del Futurismo e, successivamente, dei piani quinquennali stalinisti, la Futurologia si impone sempre più come ambito di studi sociali, economici e politici. E con il Club di Roma si aprono le porte alla declinazione moderna di questa disciplina. Ma la vena letteraria aperta da Wells non si indebolisce, anzi, si alimenta in particolar modo con l’apporto di scrittori di fantascienza che provengono da studi scientifici e spesso fanno della divulgazione scientifica una parte della loro attività letteraria. Per questi scrittori accorti di “cose di scienza e di tecnologia” spesso la narrazione è un modo per declinare felicemente proprio la lettura dei futuri prossimi impatti tecnologici. Pensiamo al polacco Stanislaw Lem, agli americani Isaac Asimov e Arthur C. Clarke o al filone del Cyberpunk con William Gibson e Bruce Sterling. Ma non si tratta solo di letteratura, bensì delle arti tutte: la fotografia, l’architettura, il cinema, le arti visive, la videoarte… innestano i propri percorsi poetici con quelli delle nuove tecnologie e creano racconti che si spingono un po’ più in là (basti pensare alla serie Black Mirror). Un’esigenza che ha le sue radici nell‘800 ma che esplode nel ‘900 e poi, di nuovo, all’alba del nuovo millennio, sollecitata in particolare dalla rivoluzione digitale che impone alla nostra società un’accelerazione scientifica e tecnologica unica e che viene definita come “esponenziale”. Ecco che allora la Futurologia diventa un territorio davvero vasto che include molti settori della Scienza, le arti e la letteratura ma anche la neonata cultura digitale e la filosofia dell’Informatica in un percorso che spesso ibrida motivi, temi e persino forme letterarie: pensiamo a pensatori come Nick Bostrom, Yuval Noah Harari, Kevin Kelly, Chris Anderson, Ray Kurzweil, Parag Khanna… tutti fautori di una “Futurologia digitale”. Ovviamente la Futurologia diviene così figlia anche (e forse, soprattutto) di scelte politiche: e qui possiamo risalire fino all’ Utopia di Thomas Moore. E arrivando ai nostri giorni possiamo individuare due binari ben precisi: da una parte, per l’appunto, l’utopia, e dall’altra la distopia. In fin dei conti lo stesso pensiero di Marx e la conseguente ideologia marxista vivono della spinta utopica che nasce dall’osservazione del presente tecnologicamente (per allora) avanzato. Sul confine tra utopia e distopia si muovono le osservazioni di carattere sociologico sulle metropoli: sia le nuove città della rivoluzione industriale (per il ‘900) che quelle digitali come la smart city (per il 2000). Proviamo allora a concentrare la nostra attenzione sulla divaricazione tra sguardo del ‘900 e sguardo del 2000. Una divaricazione (un po’ forzata ma nemmeno tanto) che ci permette di fotografare perfettamente la Futurologia e il suo portato sociale e culturale: da una parte il ‘900 che guarda il 2000… il secolo della rivoluzione industriale matura, il secolo dell’atomica e del nucleare, dei primi calcolatori e dello sviluppo delle società evolute. E dall’altra il 2000 con il digitale che sente la necessità di sostenere il cambio di paradigma della nuova rivoluzione tecnologica. Tra ‘900 e 2000 si distinguono due sguardi che si appuntano però principalmente sugli stessi obbiettivi: la città, la scienza e la tecnologia con la sua accelerazione senza precedenti. In questa visione duplice si dipana la storia della società occidentale contemporanea e il suo modo di specchiarsi, di proiettarsi e di narrarsi

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