La
parola del mese
Una parola evocativa di pensieri fra di loro collegabili
in grado di offrirci nuovi spunti di riflessione
AGOSTO 2022
E’ opinione di molti che
un importante contributo alla definizione e alla realizzazione di un diverso
modello di sviluppo possa venire dal connubio delle idealità “di sinistra” con
quelle “ambientaliste”. Non si tratta soltanto della realizzazione di alleanze,
più o meno organiche, fra partiti e movimenti “rossi” e “verdi”, ma del più
arduo ed ambizioso processo di costruzione di una nuova visione strategica che
miri a tenere strettamente connesse giustizia sociale e compatibilità
ecologica. Quanto concretamente sin qui avvenuto non sembra però essere di gran
conforto. Non hanno infatti dato gran prova di sè le, peraltro limitate,
esperienze di governi “rosso-verdi”, i quali hanno semmai evidenziato, con il
loro zoppicante procedere, il permanere di reciproche profonde diffidenze: da
una parte quella per una visione politica esclusivamente concentrata
sull’ambiente, e quindi socialmente troppo asettica e neutrale, dall’altra
quella di una idea di sviluppo ancora troppo condizionata dall’
“industrialismo” di novecentesca memoria e dal mito di una irrinunciabile
“crescita infinita”. E’ difficile districarsi in questo autolesionistico
intreccio, ma una duplice constatazione storica si impone: da un lato va
riconosciuto che il “pensiero ambientalista” è di recente costruzione e non
poco condizionato, nel suo nascere e formarsi, dalla altrui sottovalutazione, se non vera negazione, delle problematiche ecologiche, dall’altro il permanere
di una eredità teorica, quella marxista, certo non più giovane e da sempre così
rigidamente interpretata da aver fatto proprie, nella realtà delle cose, il
“feticismo delle forze produttive” e l’idea antropocentrica di una natura ad
esclusiva disponibilità della crescita economica. Non mancano però alcuni
segnali confortanti, è ad esempio sempre più forte, in campo ambientalista, la
consapevolezza che una reale inversione di tendenza presuppone la messa in
discussione dell’attuale modello di sviluppo nella sua interezza, rapporti
sociali compresi. Nell’altro campo non sono poi poche le proposte politiche che
collegano con pari dignità la finalità della giustizia sociale e quella della
sostenibilità ambientale, lo testimoniano ad esempio, per restare nel contesto
italiano, esperienze come quella del “Forum delle disuguaglianze” piuttosto
che, in ambito torinese, quella di “Sinistra ecologista”. Con un di più, di
carattere teorico: da alcuni decenni si sono affacciate significative riletture
del corpus teorico marxista attente a cogliere spunti, fin qui inesplorati o
trascurati, che vanno esattamente in questa direzione. Si è infatti aperto nel
campo degli studi marxisti un preciso filone che punta a fare luce su quella
che solo fino a vent’anni fa era considerata una “contraddizione in termini”,
una sorta di eresia: “l’ecologia di Marx”. In questo post proponiamo una veloce rassegna di queste
riletture, usandola come spunto per proporre come Parola del mese di Agosto
2022 …..
MATERIALISMO (ecologico)
Questa nostra veloce
rassegna si basa su due saggi, o meglio su un saggio e sulla sintesi/recensione
di un secondo. Nel primo il titolo dell’introduzione cita esattamente: “Per un materialismo ecologico” ed il materialismo
richiamato è proprio quello marxista:
…….
La concezione filosofica classica del “materialismo”, che interpreta eventi naturali e storia umana assumendo la “materia” come fondamentale principio esplicativo, è stata sviluppata in quella
del “materialismo storico scientifico” da Marx e da Engels in diretta polemica
con la filosofia hegeliana. Il nucleo della loro concezione materialistica
della storia sta nell’affermazione che gli uomini, i quali vivono e producono
in una data società, si trovano a muoversi entro «determinati rapporti
necessari e indipendenti dalla loro volontà», che sono i rapporti di
produzione; questi costituiscono la struttura economica della
società, la base reale sulla quale si eleva la sovrastruttura dei
rapporti giuridici e politici, la vita intellettuale, morale e religiosa, e
soprattutto le forme determinate della coscienza sociale. Nelle condizioni
materiali determinanti soprattutto sono le forze produttive (strumenti
di produzione, gli uomini che li producono e li muovono, le esperienze e le
abitudini di lavoro, i beni prodotti) e i rapporti di produzione (sistemi
di produzione: bottega, manifattura, industria; e relazioni di lavoro:
schiavitù, artigianato, salariato), che nel loro insieme caratterizzano
l’ordinamento di una data epoca storica (schiavismo, feudalismo, capitalismo)
…….. Questa concezione ha il suo fondamento nel principio che “la vita non è
determinata dalla coscienza, ma la coscienza è determinata dalla vita”, che “la
coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dell’essere consapevole”
perché “la produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza è direttamente
intrecciata con la vita materiale e con l’attività e lo scambio fra gli uomini”
……. l materialismo storico marxiano è stato
declinato con modalità diverse da numerosi pensatori……ed è stato assunto, per
opera soprattutto di Stalin, a ideologia ufficiale dell’URSS e di molti partiti
comunisti, trasformandosi in una sistema dogmatico e chiuso ……… (dal Dizionario
filosofico on-line Treccani)
I due saggi sono
rispettivamente:
di Kohei Saito (1987, giapponese,
giovanissimo professore universitario di Economia Politica presso l’Università
di Osaka, autore di diversi saggi sul marxismo)
Questo
testo del 2016 (il titolo in italiano cita esplicitamente “La natura contro il
capitale. L’ecologia di Marx nella sua critica incompiuta del capitale”) è al
momento disponibile solo nelle versione in tedesco e francese, ma una sua
accurata sintesi è reperibile on line nel sito “pungolo rosso.wordpress.com”.
Più facilmente reperibile è invece
di Alfred Schmidt (1931-2012,
filosofo tedesco appartenente alla scuola di Francoforte, stretto collaboratore
di Theodor Adorno e di Max Horkheimer
Si
tratta di un saggio (in effetti la sua tesi di dottorato) edito in Italia per
la prima volta nel 1969, che ha avuto numerose riedizioni nelle quali Schmidt
ha di volta in volta ri-commentato sé stesso precisando sempre meglio il
proprio pensiero. A testimonianza del rinnovato interesse verso il “materialismo ecologico” è
stato ristampato, essendo ormai divenuto un “classico” della letteratura su
Marx, nel 2020 con una interessante prefazione di Riccardo Bellofiore (1953,
docente di Economia Politica presso l’Università di Bergamo)
Ambedue questi testi
operano una approfondita disamina a tutto campo delle parti dell’opera omnia di
Marx che di più consentono di dedurre il suo concetto di “natura”, e di ognuna di esse
analizzano genesi, collegamenti e significato. Sono quindi saggi di notevole complessità
filologica e filosofica che va ben oltre lo spazio e lo scopo di questo post.
Ci siamo pertanto limitati a recuperarne i passaggi che, a nostro modesto
avviso, di più consentono di acquisire un minimo di conoscenza di un aspetto
del marxismo sin qui colpevolmente sottovalutato.
……………. Come si è detto da alcuni decenni si
sono moltiplicati gli studi dell’opera di Marx alla luce delle crescenti e
pressanti problematiche ecologiche. Lo scopo è quello di capire se, e in che
misura, il lavoro di Marx possa aiutare a meglio interpretarle e quindi a meglio
formulare risposte appropriate. Si fronteggiano due tendenze: una, di più
lontana origine, ritiene che l’opera di Marx non avrebbe nulla da insegnarci su
questo terreno, essendo prigioniera di un prometeismo ottocentesco tutto teso
ad esaltare, non diversamente dallo spirito capitalistico, la crescita delle
forze produttive. Al punto da rendere cieco il movimento socialista e
comunista, lungo l’intero suo percorso storico, della dinamica del disastro
ecologico in corso, avendone quindi una specifica quota di responsabilità. Invece per altri - Schmidt, Bellofiore, Saito
compresi - l’opera di Marx, correttamente valutata, non solo testimonierebbe
una sicura sensibilità ecologica, ma farebbe emergere prospettive originali sia
per quanto riguarda la comprensione dei presupposti teorici della catastrofe
ecologica, sia per la formulazione di proposte politiche per cercare di
affrontarla. Questo secondo filone interpretativo basa queste sue
considerazioni sulla rilettura di tutta la produzione teorica di Marx partendo
dagli scritti giovanili, per finire ai suoi ultimi scritti - in buona misura
non sistematizzati in forma definitiva vista la sua morte prematura - passando
per la grande mole di quaderni di appunti e di note a
margine che hanno accompagnato l’evoluzione del suo pensiero, quello sulle questioni
relative al concetto di natura compreso. Ambedue queste scuole di pensiero
concordano sul fatto che Marx comunque non abbia avuto tempo e modo per
elaborare una sua teoria sistematica della natura e che quindi ci si trovi di
fronte ad intuizioni, suggestioni, accenni che richiedono accurati
l’approfondimenti. L’iniziale interrogarsi di Marx sulla “natura” ha sicuramente una sua ragione d’essere nella sua ferrea
volontà, di matrice tutta politica, di “occuparsi di economia”, ma, in questa sua fase giovanile, esso resto ancora
strettamente connesso a considerazioni “filosofiche”, misurandosi in particolare con le contrapposte idee di
natura di Hegel (1770-1831, filosofo tedesco) e Feuerbach (1804-1872, filosofo tedesco), i due rappresentanti di maggior rilievo della scena filosofica
tedesca del tempo. Se Hegel, coerentemente con il suo idealismo, considera la
natura un semplice “derivato dell’idea” - l’idea, di per sé stessa, è puro pensiero
astratto e quindi per procedere dialetticamente deve proiettarsi “fuori”, deve essere “altro”, la natura, in quanto tale, non è nulla di
più di questo altro, una sorta di alienazione dell’idea di natura – per Feuerbach, in netta contrapposizione,
la natura, che esiste in quanto tale, è la base materiale di ogni idea, quella
di Dio compresa. Marx, il Marx giovane filosofo, si muove sulla scia di
Feuerbach, ma lo scavalca procedendo oltre con considerazioni che già si
collegano alla sua successiva attenzione ai processi economici. Nei suoi “Manoscritti economici-filosofici” (1844) scrive ……… la natura
presa astrattamente, per sé, scissa dall’uomo, è nulla per l’uomo …… Lontano da Hegel
quanto da Feuerbach Marx non ha interesse per una visione ontologica della natura
in quanto tale, se essa certamente è, come “soggetto”, la totalità di ciò che
esiste, uomo compreso, per l’uomo assume però valore reale solo nel momento in
cui viene ”materialisticamente” coinvolta nel vivere
umano, divenendo “oggetto” della prassi umana. In
questo senso, come bene evidenzia Bellofiore riprendendo le parti di Schmidt
dedicate a questo aspetto, la natura, da Marx definita come “corpo non organico dell’umanità”, è in effetti l’unico
oggetto di conoscenza, è il mondo che diventa “sensibile”, conoscibile. E ciò
avviene quando trovano sintesi, incontro, da un lato l’uomo ed il suo lavoro e
dall’altro la natura ed i suoi componenti. Sta in questo primo presupposto la
costruzione del concetto di natura in Marx: essa non è né semplice materia,
come per Feuerbach, e neppure, come per Hegel, proiezione dello spirito, ma la
fondamentale controparte di un costante “processo” di interazione con
l’uomo nel quale essa è al tempo stesso soggetto, perché racchiude in sé
l’uomo stesso, ed oggetto, perché è da essa, e su
di essa, che il lavoro prende forma, e si completa. Volendo già qui anticipare possibili
considerazioni “ecologiche” si potrebbe allora
affermare che con questa concezione - che assolutamente non va ridotta, come
peraltro da non pochi fatto, ad una esaltazione antropocentrica – Marx pone
sulle spalle dell’uomo l’intera responsabilità dello stato di salute della
natura, dell’ambiente; il loro eventuale
guastarsi non avrebbe infatti altri responsabili se non colui che, riducendola
ad oggetto, la ingloba pienamente nella sfera del suo lavoro. Non solo: già in questa
fase giovanile emergono i presupposti di una seconda decisiva considerazione,
ben più sviluppata nelle opere della maturità. In buona misura poggia infatti
su questa idea della natura come soggetto/oggetto del processo di inter-relazione
con l’uomo, l’intero concetto marxiano del “materialismo
storico”,
della storia vista come progressivo sviluppo di rapporti sociali determinati
dalla struttura economica, dal possesso dei mezzi di produzione. Questo
concetto si colloca tutto all’interno dell’idea, appena prima evidenziata, che
l’intera conoscenza umana della realtà esterna, natura compresa, rispecchi
pienamente le relazioni storicamente mediate fra gli esseri umani tanto da
essere da queste stesse conformata e definita ……. non
esistono “fatti” che possano essere conosciuti estrapolandoli dal vero “oggetto
della conoscenza” che è la società umana nel suo insieme ….. Collocando in questo
ambito dialettico il concetto di natura si potrebbe allora dire - con una dose
non banale di semplificazione utile però come sintetica immagine storica - che
la rivoluzione agricola del neolitico mette fine alla lunga fase del comunismo
primitivo dell’uomo cacciatore e raccoglitore e, dando così forma concreta allo
stretto intreccio di natura ed umanità nella dimensione esistenziale del “lavoro”, da pieno avvio anche alla storia intesa come evoluzione dei
rapporti sociali di produzione, nelle varie forme da essi assunte fino alla
fase finale del capitalismo. Se, non diversamente da prima, si volessero
azzardare anche in questo passaggio letture “ecologiste” si potrebbe
intravedere in questo inglobamento della natura nei rapporti di produzione per
tramite del “lavoro” una spiegazione di fondo della depredazione della natura,
dell’ambiente (come si
vedrà successivamente Marx ben intuisce il rischio di sconvolgimento
ambientale). Se per l’uomo cacciatore/raccoglitore il rapporto con la natura
era finalizzato, non diversamente da ogni altro animale, al soddisfacimento dei
“bisogni primari”, il “lavoro”, ed i “rapporti di produzione” su di esso basati, rompono in modo irreversibile questa
primordiale unità uomo/natura sino a divenire la costante dimensione universale
dell’esistenza umana. Depredazione ambientale e ingiustizia sociale avrebbero
pertanto una comune matrice proprio nell’idea, suggerita da Marx, di una natura
sottomessa al soddisfacimento della costante generazione dei nuovi “bisogni artificiali” (feticismo delle merci) indispensabili per il
mercato capitalistico e le sue logiche di profitto. Va inoltre precisato che
sia Schmidt che Saito ampliano ulteriormente questa più immediata
lettura: la distruzione dei “fondamenti naturali
della vita”
(natura/ambiente) non è riducibile a queste sole logiche, anche nelle pagine di
Marx sono infatti rintracciabili passaggi che lasciano intravedere una accusa
alle forme stesse “dell’industrialismo e
del progresso”, delle quali il capitalismo rappresenterebbe quindi solo la
versione più esasperata. Se così fosse, e così pare essere sia per Schmidt che
per Saito, sarebbe totalmente messa in crisi la lettura troppo meccanicistica
dell’idea di Marx del superamento del capitalismo proprio grazie al definitivo
compimento dello sviluppo da esse avviato. Sono diversi i passaggi, da ambedue
recuperati e riletti, in cui emerge un Marx che al contrario denuncia, seppure
in forme non definitivamente strutturate, una prospettiva di sviluppo che avvilisce
e disprezza la natura, in cui delinea la necessità di un “limite nel prelievo” delle risorse, in cui si preoccupa di ristabilire preesistenti
condizioni naturali. Sembra allora possibile cogliere, come ben richiamato da
Bellofiore, che al pur centrale schema della natura come soggetto/oggetto del
lavoro, definibile come “mediazione sociale
della natura”, Marx avesse l’intenzione, non avendo però il tempo per portarla
a compimento, di affiancarle l’esatto opposto, ossia una permanente “mediazione naturale della società”. Là dove la natura è in
prima istanza ridotta a matrice materiale del lavoro e dei rapporti di
produzione si deve installare la consapevolezza del ripristino di una “totalità della natura” che recuperi l’origine dell’uomo in essa. Riportiamo qui il
passo del saggio di Schmidt che meglio riassume questo concetto, ……… qui si conferma l’idea (di
Marx) che il
mondo forma una unità materiale. Sarebbe un gran guadagno se l’umanità,
rinunciando ad una crescita illimitata, si disponesse a vivere in migliore
armonia con il sistema della natura …….. Ed è questo il passo che di più gli consente di intitolare,
come abbiamo visto, l’introduzione del 1993 alla versione rivista del suo saggio “Per un materialismo
ecologico”. Il salto dalle intuizioni materialistiche del primo Marx alle
considerazioni, purtroppo non portate a pieno compimento, più riflessive del suo
ultimo periodo è colmato, soprattutto nella rigorosa ricostruzione filologica
fatta da Saito, da quella mole sterminata di appunti, commenti, riprese,
sottolineature, che Marx accumula lungo tutta la sua. E’ in questo patrimonio,
composto da suggestioni di varia natura spesso provenienti da discipline
scientifiche e che non smette di fornire conferme e sorprese, che si trovano
spunti fondamentali per comprendere l’origine e la portata di tale salto. Ne citiamo
qui alcune che, anche se lette in successione nella loro disorganicità, riescono comunque a dare l’idea di un fermento analitico
in continua evoluzione proprio sulle tematiche ambientali:
In un passo dei
“Grundrisse” (1857-1858) compare una nuova
nozione del tutto assente nei Manoscritti del 1844, quella dello “scambio di sostanza tra uomo e natura”, vale a dire “metabolismo”, un concetto che Marx mutua dagli studi biologici di Justus von Liebig (1803-1873, chimico accademico tedesco) che lo usano per indicare il sistema di scambi di sostanze diverse tra le
parti di un organismo vivente. Marx lo utilizza per designare sia gli scambi
materiali interni alla società (metabolismo
sociale),
sia gli scambi materiali
interni alla natura (metabolismo
naturale),
ma soprattutto gli scambi
materiali tra gli uomini e la natura, evidenziando con durezza che è
proprio quest’ultimo metabolismo che il capitale viene a sconvolgere, rompendo
l’unità immediata tra l’umanità e il suo corpo inorganico
In diversi appunti Marx
riprende da Liebig anche la sua teoria biochimica della crescita vegetale, in
particolare là dove viene evidenziato la necessità della “restituzione” alla terra dei nutrienti biochimici che la rendono fertile, una
operazione indispensabile ma che ha un “limite biochimico” oltre il quale la restituzione non avrà più effetto duraturo. Su
queste basi Marx elabora in appunti, alcuni dei quali diventano passaggi
compiuti del "Capitale” (prima
pubblicazione 1867), una critica radicale alle
logiche dell’agricoltura capitalistica così sintetizzata: …… ogni progresso dell’agricoltura capitalistica è un progresso non
solo nell’arte di depredare l’operaio, ma
anche nell’arte di depredare il suolo; ogni
progresso nell’incremento della sua fertilità per un certo periodo, è insieme
un progresso nella rovina delle sue sorgenti perenni.
L’interesse verso la produzione
agricola rappresenta una costante negli studi marxiani, sui quali, quantomeno
per un certo periodo, è stata forte l’influenza degli studi scientifici di
Liebig. E’ infatti sulla base di questi che Marx aderisce alla tesi dei
rendimenti agricoli decrescenti. In alcuni passi dei Manoscritti del 1863-1865
chiarisce bene che esistono limiti assoluti alla modificazione antropologica
della natura, che occorre rinunciare all’idea di un dominio totale sulla natura
e di un culto della crescita cieca delle forze produttive. L’esatto opposto
quindi dell’idea stereotipata di un Marx cultore del progresso infinito.
Un concetto che viene poi ripreso ed
ampliato nella parti del Capitale dedicate in modo specifico proprio
alle modalità della produzione agricola, ma con considerazioni che hanno una
valenza generale per il rapporto uomo – natura, rese possibili dal superamento
della proprietà privata. Il regime di gestione collettiva dell’agricoltura deve
a suo avviso essere improntato al rigoroso rispetto dei limiti fisiologici imposti
dalla Terra stessa
In fasi successive Marx sembra
prendere alcune distanze dall’approccio comunque “chimico” di Liebig essendo
stato suggestionato dagli studi di Carl Fraas (1810-1875, botanico e agronomo bavarese) che hanno al loro centro il
rapporto tra vegetazione e clima. Siamo in anni ancora lontani dalle evidenze
del processo di riscaldamento climatico ormai così drammaticamente evidenti ai
giorni nostri, e molte delle osservazioni “scientifiche” del tempo sembrano,
oggi, decisamente inadeguate. Non sfuggono a questa insufficienza gli stessi studi di Fraas, ma resta, ancora oggi, significativa la sua intuizione
del rapporto fra attività umane e clima (nei
suoi studi filtrato dalle modalità di produzione agricola). Ogni ipotesi su quali sviluppi avrebbe
potuto avere sulla stesura del Capitale l’interesse di Marx verso questi studi
è priva di adeguati fondamenti. Resta però significativa perché anch’essa
smentisce, con la sua valenza di dubbio radicale, l’immagine, tanto
stereotipata quanto errata, del Marx profeta del radioso avvenire dello
sviluppo infinito
Al di là poi della pur giustificata
ed importante possibile scoperta di un “materialismo
ecologico” emerge dalla rilettura del suo pensiero fatta sia da
Schmidt, così come evidenziato nella prefazione di Bellofiore, e sia da Saito un
tratto esemplare di Marx: la sua curiosità senza limiti e steccati. Marx non smette mai di
sviluppare e approfondire i suoi precedenti risultati di ricerca, da lui sempre
considerati provvisori, confrontandoli con nuovi campi, nuovi problemi, nuovi
autori, affinandoli, rettificandoli, mettendoli in parte in discussione, o
anche abbandonandoli, per aprire nuove strade di ricerca, per tracciare nuove
prospettive, per porre nuove domande o per
ripensare a vecchie questioni in modo nuovo. Esattamente quello che è
mancato in molti suoi successivi interpreti.
Questo grave limite filologico, e
politico, è ancor più grave proprio perché ha di fatto ignorato la sua
possibile “sensibilità”
ecologica. Una rilettura senza pregiudizi di tutti i suoi scritti, codificati o
provvisori che siano, tra il 1844 ed il 1868
permette di cogliere come Marx non abbia mai cessato di sviluppare e
approfondire l’idea che il capitale sia colpevole di provocare guasti nel rapporto
tra umanità e natura, avendo rotto la loro unità a lungo mantenuta nei rapporti
di produzione pre-capitalistici
Questa idea, della cui esistenza
testimoniano i passaggi precedentemente citati presenti nelle sezioni III e IV del Libro I del
Capitale, stava per essere estesa e completata, come dimostrano proprio
gli appunti ancora disordinati predisposti in questo senso, nel successivo
Libro II, per dimostrare che la trasformazione forzata del “valore d’uso”
di una merce nel suo “valore di scambio” poggiava
sull’appropriazione da una parte della forza lavoro umana e dall’altra della
natura come oggetto del lavoro umano. Vale la pena, per meglio evidenziare
quest’ultimo rilevante passaggio, citare per esteso un passaggio del saggio di
Saito …. se
quindi ci proponiamo di sviluppare e approfondire l’idea marxiana del disturbo
strutturale che il capitale provoca nel rapporto tra uomo e natura, dobbiamo
partire da un’analisi dell’appropriazione capitalistica del processo del lavoro
in quanto questa è anche, fondamentalmente, un’appropriazione capitalistica
della natura, vale a dire una trasformazione della natura per conformarla alle
esigenze fondamentali del capitale come valore
in processo ………
Chiudiamo
questa sinteticissima ripresa degli spunti che di più ci sono sembrati utili,
nella loro limitatezza, per meglio comprendere un dibattito che merita ben altri veri
approfondimenti, in ogni sede e circostanza a partire da quelle più “politicamente preposte”, con una ultima citazione
dal saggio di Schmidt. Nulla aggiunge al “concetto
della natura in Marx”, ma molto dice sul senso ultimo che dovrebbe
ispirare questo dibattito:
…….. compito della
conoscenza è: non capitolare dinanzi alla realtà che come una parete di pietra
circonda gli uomini. E poiché la conoscenza rimette in vita i processi storici
umani ormai spenti nei fatti compiuti, essa dimostra che la realtà è un
prodotto degli uomini e perciò trasformabile: così il concetto più importante
della conoscenza, la prassi, si rovescia nel concetto di azione politica …..
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