La Parola del mese
Una
parola in grado di offrirci nuovi spunti di riflessione
OTTOBRE 2024
La storia antica, ma non di meno quella
recente, racconta di molte situazioni giunte ad esiti distruttivi perché le
parti in causa si sono dimostrate incapaci di uscire dal circolo vizioso di
reciproche diffidenze e progressive ostilità. Hanno sicuramente pesato le ragioni
specifiche alla base di tali situazioni, molto spesso di oggettiva difficile
soluzione, ma non di rado è parso, con il senno di poi, che non siano state
adeguatamente valutate alternative possibilità di diversa soluzione. La Parola
di questo mese offre, dal punto di vista antropologico (ci si perdoni l’insistenza, che però
sembra ogni volta ben motivata),
una possibile chiave di lettura. Va infine riconosciuto che alla sua scelta non poco ha
contribuito la sintesi del Saggio “L’alba di tutto” all’interno del quale
rappresenta un concetto chiave
SCHISMOGENESI
schismogenesi = (sostantivo femminile) composto dal greco antico skhisma (divisione)
e genesis (nascita, creazione) indica l’insieme delle interazioni tra singoli
individui oppure tra gruppi che dà origine a divisioni e che, se non tenuto
sotto controllo e in qualche modo interrotto, può ingenerare un circolo vizioso
capace di esasperare le ragioni di contrasto fino al loro evolvere in
situazioni distruttive
E’ una parola di recente conio introdotta
negli scorsi anni Trenta da Gregory Bateson
(1904/1980, antropologo e sociologo britannico, le sue ricerche si sono rivolte anche a discipline come semiotica, linguistica, cibernetica e teoria dei sistemi) che, durante la sua permanenza di studio presso la popolazione Iatmul della Nuova Guinea, fu particolarmente colpito da un rituale chiamato “naven”, una particolare celebrazione che l’intera comunità dedica ad un suo membro in occasione di momenti della sua vita considerati importanti, nel corso della quali gli altri membri si travestono con indumenti del sesso opposto. Bateson intravide il senso di questa particolare cerimonia nella sua finalità di creare un ponte, un superamento, fra i due modi, quello maschile e quello femminile, di porsi nei confronti della vita da lui tradotti, trasferendoli in categorie culturali europee, nella contrapposizione tra ”ethos” (inteso come carattere, temperamento) tipicamente maschile, espresso con fierezza e vigore, ed “eidos” (inteso come aspetto, forma), tipicamente femminile, che lascia spazio all’espressione dei sentimenti. Il rituale naven obbligava quindi gli uomini, indossati indumenti femminili, ad esternare sensazioni emotive altrimenti compresse e consentiva alle donne, in abiti maschili, di ostentare, come controcanto, atteggiamenti forti, virili. Bateson in particolare colse il fatto che tale capovolgimento di ruoli, ritualizzato in occasioni speciali e quindi avvalorato ed enfatizzato, consentiva, grazie all’immedesimazione nella condizione opposta, di evitare l’esasperarsi della loro contrapposizione. L’esperienza con gli Iatmul è stata tradotta in un saggio, non a caso intitolato Naven
di straordinario successo in ambito antropologico, ma non solo, che
ha consentito a Bateson di mettere a punto il concetto di schismogenesi successivamente elaborato ed
ampliato in un secondo saggio non meno rilevante
In questo saggio, considerato la summa dell’intera sua elaborazione
antropologica, Bateson riprende infatti il concetto di schismogenesi trasferendolo in una dimensione culturalmente
più ampia, comprensiva quindi di quella occidentale, nella quale inoltre presta
particolare attenzione ai meccanismi di interazione tra gruppi e culture
diverse. Bateson è infatti convinto che tutti i sistemi di relazione siano
processi in costante evoluzione ed in equilibrio dinamico fra le diverse
tendenze che li compongono e che raggiungere la consapevolezza di questo stato
di cose consenta di meglio indirizzare tali processi. In questo contesto
individua due specifiche forme di schismogenesi che possono
potenzialmente divenire, se non individuate e raffreddate, autodistruttive per
tutte le parti coinvolte:
schismogenesi complementare = è quella che si
manifesta nel caso in cui le azioni/comportamenti dei due individui o gruppi coinvolti siano
sostanzialmente opposti. In tale situazione è molto probabile
che ad ogni azione dell’uno corrisponda una reazione di segno contrario da
parte dell’altro, la quale a sua volta fa nuovamente scattare, in un pericoloso
crescendo, un’analoga ri-reazione da parte del primo (difficile non applicare questo schema alle pericolose situazioni di
tensione storica fra Stati tuttora all’ordine del giorno in diverse aree del
mondo ma, limitando la sua applicazione alle relazioni tra individui, binomi
comportamentali di questo tipo sono, ad esempio, quelli di
autorità/sottomissione, assistenza/dipendenza, esibizionismo/ammirazione). Appare evidente che quella complementare è una forma di schismogenesi che può anche molto rapidamente portare
al collasso dell’intera relazione
schismogenesi simmetrica = al contrario di quella complementare in questo caso la relazione tra le due parti coinvolte stimola
reciprocamente la medesima azione/comportamento. Il rischio di una dinamica schismogenica
non consiste quindi nella diversa qualità dell’azione/comportamento, ma
nell’eccesso quantitativo del suo manifestarsi che implica inevitabilmente un
suo pericoloso andamento esponenziale (l’esempio classico è dato dalla corsa agli armamenti). Il rischio del collasso ha quindi
caratteristiche più quantitative che temporali.
Nell’ambito di questo post non c’è ovviamente spazio per approfondire più
di tanto gli elementi di una elaborazione così complessa come quella messa a
punto da Bateson in questi suoi due collegati saggi, vale però la pena di segnalare
che per Bateson la schismogenesi può essere efficacemente utilizzata anche per
analizzare le
relazioni tra diverse culture (consiste in questo aspetto il collegamento con il saggio “L’alba di
tutto” di David Graeber e David Wengrow la cui sintesi è in corso di
pubblicazione su questo nostro blog). A
maggior ragione non è qui possibile entrare nel merito di una tematica quanto mai
complessa, storicamente e culturalmente, ci limitiamo qui in estrema sintesi ad
indicare che nel caso di contatto tra due, o più, culture diverse tale
relazione (che sempre comunque si articola in passaggi
molto dilatati nel tempo, molto variegati, e non di rado molto condizionati da
fattori esterni) può sostanzialmente
pervenire a tre esiti diversi:
la loro completa
fusione/assorbimento (avviene quando le due culture si integrano con pari riconoscimento di
dignità)
l’eliminazione/cancellazione
di uno dei due (di norma per il prevalere di fattori non necessariamente culturali che
sbilanciano, anche in modo violento, il loro rapporto)
la persistenza di
entrambi in equilibrio dinamico come gruppi differenziati a formare un’unica
grande comunità (ciò che riduttivamente viene definito “melting pot”). E’ questo, secondo Bateson il caso più illuminante perché, se per i primi
due l’esito è raggiunto con la sostanziale dissoluzione della differenza
culturale, quest’ultimo richiede un adeguato processo di superamento delle
differenze. Le quali, a suo avviso, sono sostanzialmente raggruppabili in tre
categorie, due sono riconducibili a quelle usate per le due forme di schismogenesi:
simmetriche e
complementari. In quella simmetrica le diverse culture possono condividere
le stesse forme di azione/comportamento, ma orientandole verso valori diversi,
una situazione che può pertanto evolvere verso una progressiva schismogenesi
lasciando però maggiore spazio per un confronto culturale. In quella
complementare invece sono già differenti le azioni/comportamenti oltre che i
valori che le ispirano, in questo caso la schismogenesi si manifesta da
subito ed occorrono maggiori sforzi per cauterizzarla. Esiste infine anche una
terza forma, da Bateson definita quella della reciprocità, ossia una struttura
di relazioni in cui le diversità culturali sempre producono delle ineliminabili
reazioni a catena, inserite però in una consapevole gestione tale da consentire,
sul lungo periodo, un progressivo reciproco riconoscimento. Questa
configurazione è quindi compensata e riequilibrata e perciò non tende alla schismogenesi.
(Bateson è convinto che a questo terzo esito debbano tendere tutte le
società umane per realizzare il maggior equilibrio possibile nelle relazioni
che le compongono, un obiettivo raggiungibile solamente depurando le menti
dalle tossine che predispongono alla schismogenesi. Da qui il titolo del suo
secondo saggio sul tema)
E’ ovvio che ognuna delle considerazioni qui sintetizzate richiederebbe, per non restare una valutazione di ordine teorico, di essere rafforzata da esempi concreti a suo sostegno. E’ altrettanto vero che per farlo occorrerebbe sforare, anche di molto, lo spazio abituale di un nostro post. Ci limitiamo quindi a pubblicare a titolo di testimonianza significativa di cosa si debba intendere per schismogenesiun articolo che interpreta una concreta situazione culturale e politica sufficientemente “neutra” perché, essendo sufficientemente lontana, ci è apparsa priva di un sovraccarico polemico. Si tratta di un articolo che riflette sulla questione catalana (ossia la richiesta di indipendenza dalla Spagna da parte della Catalogna) valutandola proprio a partire dal concetto di schismogenesi.
Sapete cosa
sta succedendo in Catalogna?
Articolo
di Jose Maria Camps (docente spagnolo di antropologia culturale) pubblicato 10
Novembre 2017 sul sito di controinformazione InfoAut
Ciò che sta succedendo in Catalogna si può definire come un processo di schismogenesi. Per chi non la conosce, questa parola è stata coniata 80 anni fa dall’antropologo e teorico della comunicazione Gregory Bateson ed è un concetto che descrive e analizza i conflitti cronici che hanno un aumento considerevole di aggressività reciproca tra le due parti contrapposte. Secondo questo concetto questi processi sono graduali e sostenuti nel tempo, di modo che giunge un momento nel quale non è chiaro quando è iniziato tutto e abitualmente le parti si accusano a vicenda di essere gli iniziatori e gli unici responsabili del conflitto. E lo fanno adducendo e ingigantendo dettagli e parti che gli danno ragione, e minimizzano l’importanza dei fatti e delle argomentazioni equivalenti di cui si serve la controparte. Dovuto alla gradualità, succede che, fin quando il processo non è avanzato, le persone che vi sono coinvolte non arrivino ad essere coscienti né della gravità che ha raggiunto il conflitto né del cambio profondo che stanno patendo come soggetti a causa di questa escalation di aggressività. Usare il concetto di schismogenesi permette di stabilire che molti tipi di conflitti individuali e collettivi gravi cominciano così – per esempio le separazioni matrimoniali o anche le guerre, soprattutto quelle civili. In questi processi, l’altro” è convertito in una ossessione, e succedono cose e si arriva a situazioni che i soggetti consideravano impossibili, inimmaginabili. Le motivazioni, per quante analisi si facciano a posteriori, molto spesso non hanno spiegazione razionale possibile – perché ciò che più definisce il processo di schismogenesi è la ri-alimentazione che trova ciascuna parte in ciò che fa e dice l’altro, e che porta a reagire, in una catena azione-reazione ogni volta più aggressiva e più puramente emotiva. È qui che stiamo: ci sono due legittimità, quella spagnola centralista e quella catalana indipendentista. Queste due legittimità hanno natura e ricorrenza differenti, però in questi momenti son vissute entrambe come pienamente legittime dalle persone dei due gruppi umani coesi tra loro. Ciò, chiaramente, è molto problematico perché sta succedendo in un unico spazio politico, nel quale c’è una unica legalità vigente. In questa dinamica si sono configurati due paradigmi opposti che si negano la legittimità a vicenda e che impossibilitano stabilire del tutto la comunicazione. Il peggio di tutto ciò è che gli effettivi di una o dell’altra parte hanno ogni volta meno rispetto di quella contraria, perché ne considerano illegittime la loro posizione e le loro credenze, cosa che comporta una disumanizzazione sempre più cruenta dell’“altro”. Questa polarizzazione finisce col coinvolgere tutti, che si vedono ogni volta di più obbligati a posizionarsi a favore di una delle parti. E il risultato ce lo abbiamo davanti ogni giorno da anni, nell’azione politica e giudiziaria, come negli spazi pubblici, nei tg, nei giornali, nei dibattiti, in strada, nelle conversazioni, a tutto tondo. E negli ultimi mesi e nelle ultime settimane il conflitto si è andato estendendo, passando da essere politico a civile, e ora è sul punto di tracimare del tutto. L’approfondirsi di questa schismogenesi ha beneficiato la destra spagnola aggregata attorno al Partido Popular: negli ultimi due anni, ammesso che il PP abbia perso nelle elezioni del 2016 buona parte del supporto cittadino che aveva, gli effetti politici della schismogenesi lo hanno facilitato nel mantenere il controllo del potere esecutivo e anche del discorso della parte spagnola del conflitto. Però ha anche aiutato a far crescere l’egemonia dell’indipendentismo in Catalogna, secondo la dinamica dell’escalation progressiva e della radicalizzazione che la schismogenesi comporta. Ora, quando il conflitto è già parecchio maturo e la schismogenesi già avanzata, il governo di Mariano Rajoy sembra aver approntato una via simile a quella che nei Paesi Baschi poco più di un decennio fa ha portato all’espulsione della sinistra abertzale dalla politica istituzionale. Però le differenze con il caso basco sono molto grandi, e molto probabilmente non si potrà raggiungere un tale effetto: in Catalogna non c’è stata, né ci fu, la violenza dell’ETA, e il supporto cittadino all’indipendentismo sorpassa di molto quello che aveva la sinistra abertzale in Euskadi. Gregory Bateson ha coniato il concetto di schismogenesi definendone due varianti; la complementare e quella asimmetrica. Nel primo caso, le due parti si scontrano da due posizioni diseguali, e l’acuirsi del conflitto rinforza il ruolo dominante della più forte e il ruolo dominante della debole. In questa variante si può parlare, pertanto, di due ruoli chiaramente distinti, con una parte che si rivendica tutto il tempo come egemonica e un’altra che, poco o tanto, assume la sua stessa subalternità. Pertanto, la dinamica risultante rende a un rafforzamento della complementarità tra i due ruoli, di modo che se ci sono momenti in cui il conflitto sembra scatenarsi, è certo che esso stesso si ricondurrà alla stabilità. E’ uno schema concettuale che si può applicare a molte situazioni umane: per esempio, i casi di alterchi lavorativi o a scuola, o anche le relazioni conflittuali di una coppia dentro uno schema maschilista. Il fatto che alcune finiscano come finiscano, con la donna uccisa, non toglie che nella stragrande maggioranza si possano mantenere rapporti stabili nel corso del tempo.
Nella schismogenesi simmetrica, invece, i ruoli delle due parti sono equivalenti, di modo che il conflitto ha più tendenza a scatenarsi, in una dinamica d’escalation bellica progressiva, affinché una delle due parti accetti un ruolo subalterno. Questo concetto è molto utile per analizzare l’origine delle guerre, civili, o tra paesi. Precisamente Bateson lo concepisce soffermandosi sui processi pre-bellici in corso nell’ Europa degli anni ’30. Il conflitto che ci riguarda appartiene chiaramente ad una schismogenesi complementare nella quale il ruolo dominante ha l’idea egemonica di una Spagna unitaria e più o meno omogenea, e il ruolo subalterno ostenta l’idea di una Catalogna con voce politica propria e pienamente sovrana, che sia indipendente o meno. L’intenzione dell’indipendentismo è che il conflitto si converta in simmetrico, però la parte centralista sta forzando la situazione perchè resti come complementare. E perciò reagisce secondo questo schema: si tratta di dettare le regole del gioco al subalterno, e perciò attiva meccanismi che si applicano in queste situazioni, che sono il sistema giudiziario e le misure di sicurezza. Ci troviamo, dunque, due bandoli che or ora si appellano agli stessi grandi principi – democrazia, uguaglianza, libertà ecc. - ma con significati reali opposti. Ed è opportuno rimarcare che tutte e queste due parti basano questi concetti così illuminati e trascendentali su fantasie poco rigorose. Per la parte indipendentista la fantasia è basata sul credere che l’indipendenza sarebbe un cammino relativamente facile per la semplice ragione che era evidente che Catalogna ha diritto all’autodeterminazione, e le istituzioni centrali dello stato lo devono riconoscere costi quel che costi. Su questa idea si sono basati alcuni dei concetti chiave dell’indipendentismo, che potremo qualificare come eufemistici: il diritto a decidere, il rimettersi alle urne, la “disconnessione”, il vogliamo votare e voteremo, ecc.. Non sto affermando che si siano usati per mescolare le carte o ingannare qualcuno – probabilmente quelli che li hanno promossi si sono autoconvinti – però tutto ciò ha messo da parte che, in realtà, l’intenzione andasse molto più in là di esprimere un voto semplice, che implicava, di fatto, cambiare aspetti essenziali dell’architettura istituzionale e legale della Catalogna, e non solo “disconnettere” le istituzioni autonomiste esistenti e punto. E’ evidente che l’amministrazione centrale avrebbe opposto tutta, TUTTA la resistenza possibile a tutto ciò. Per la parte centralista la fantasia si basa sul credere che l’indipendentismo sia come una sorta di malattia virale che si è diffusa nei catalani e che l’unica cosa che c’è da fare è applicare il trattamento indicato e curarli. Apparentemente non sembrano coscienti della loro responsabilità in questa situazione, del fatto che molti catalani si sono impegnati nell’indipendentismo come una reazione alla ri-centralizzazione dello Stato che comporta il suo programma, né tantomeno che il “trattamento” l’unica cosa che farà sarà aggravare la situazione e molto possibilmente farà precipitare in una uscita molto traumatica della Catalogna dallo Stato Spagnolo. In ultima istanza, sarebbe buono dire ad alta voce che la trascendenza della situazione non è assoluta, ma che si può relativizzare abbastanza. Cioé, che la vita dei catalani non migliorerà sicuramente in maniera radicale se effettivamente la Catalogna si converte in uno stato indipendente. Non sarà sicuramente tutto rose e fiori e toccherà continuare a sforzarsi giorno dopo giorno per conseguire dei risultati che possa essere realmente soddisfacenti. Né tantomeno la Spagna si “romperà” se la Catalogna si rende indipendente, semplicemente si farà più piccola. E probabilmente avrà l’opportunità di ripensarsi e anche i leaders che la controllano dovranno chiedersi il perché, di fronte a una crisi come quella attuale, han reagito con criteri simili a quelli che 100 anni fa hanno portato la Spagna alla perdita di Cuba e delle Filippine
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