Il perché NO di Bia Sarasini
Articolo su “Il Manifesto” del 19/08/2016
È il corpo delle donne
il nervo scoperto toccato dal divieto del burkini sulle spiagge francesi. Nudo
o coperto, chi ha l’autorità di decidere? Ho letto incredula la dichiarazione
del primo ministro francese Manuel Valls: «Non è compatibile con i valori della
Francia e della Repubblica». Perché non si tratta di una moda, ha detto, bensì
dell’affermazione di un progetto basato sull’asservimento della donna. Trovo
sorprendente che sia così difficile soffermarsi a pensare che una decisione
presa da chi rappresenta la Repubblica, non sia molto diversa da quella di chi
impone per legge il velo, la copertura totale. Si tratta di un potere che
decide come deve essere, come si deve presentare il corpo di una donna. E se
Paolo Flores è coerente con le proprie posizioni, nello scrivere, che «la
proibizione del bikini è una giusta protezione dei principi di laicità», mi
stupisce che chi si dichiara femminista, come Lorella Zanardo, consideri
opportuno e necessario, e proprio per le donne, il divieto. Nessuno ha diritto
di dire a una donna come si deve vestire, o svestire, non è questo abbiamo
sempre detto, noi femministe? I codici vestimentari, i codici del corpo, tutti,
sono delle trappole che imprigionano le donne. Non lo aveva ben spiegato la
grande scrittrice e sociologa marocchina Fatema Mernissi, che in “L’harem e
l’occidente (Giunti Astrea) ci aveva svelato la tortura della taglia 42
(peraltro ora ulteriormente diminuita)? : «Fu in un grande magazzino
americano”scrive, “nel corso di un fallimentare tentativo di comprarmi una
gonna di cotone, che mi sentii dire che i miei fianchi erano troppo larghi per
la taglia 42. Ebbi allora la penosa occasione di sperimentare come l’immagine
di bellezza dell’Occidente possa ferire fisicamente una donna e umiliarla tanto
quanto il velo imposto da una polizia statale in regimi estremisti quali
l’Iran, l’Afghanistan o l’Arabia Saudita”. Un’affermazione forte e
provocatoria, a mio parere l’unico quadro concettuale che permetta di ragionare
a mente aperta e lucida sul nodo intricato che il burkini e le donne che lo
portano ci costringono a guardare. Perché si tratta di carne viva, non è un
gioco di parole, provoca sussulti e reazioni. Quali? Che cosa è esattamente in
gioco? La libertà di chi? Se si tratta della libertà delle donne musulmane,
come i sostenitori del divieto affermano, a mia volta non ho dubbi. Meglio che
entrino in acqua, che nuotino, che facciano sport, come vediamo alle Olimpiadi
in corso, con una tenuta che risulti compatibile ai loro principi, al loro
mondo, piuttosto che stiano ferme, chiuse, prigioniere. Muoversi è acquisire
forza, determinazione, provare piaceri e soddisfazioni. La libertà delle donne
è una costruzione, una trasformazione. Meglio che vadano a scuola, piuttosto
che tenute in casa, perché la legge proibisce il velo che la famiglia e la religione
impongono, come è in vigore Francia. Sembrerebbe questa la molla che ha
ispirato l’australiana di origine libanese Aheda Zanetti, che nel 2003 voleva
qualcosa che permettesse a sua nipote di giocare a netball, a ideare il
burkini, il nome è suo. Costume messo in commercio nel 2007, e che finora circa
700.000 pezzi nel mondo in varie versioni, da quella più aderente a quella più
larga, a prezzi che in questo momento sul sito della stilista variano dai 35 ai
143 euro. Compromesso, minor danno? A me sembra una strada praticabile, di
fatto il proibizionismo impedisce ad alcune donne di godere del diritto-libertà
di stare sulla spiaggia e fare il bagno. E se la libertà fosse quella degli
uomini di avere a disposizione sulle spiagge corpi semi-nudi di cui bearsi
senza ostacoli, come del resto capita negli sport, con telecamere che indugiano
del tutto inutilmente, rispetto all’azione atletica, su cosce, culi, pube? O
ancora, è in gioco la libertà delle donne di mostrarsi o no allo sguardo
maschile? E che ne è della libertà delle donne di essere come desiderano
essere, oltre quello sguardo, quei custodi che si arrogano il diritto di
parlare a loro nome? Qual è il codice libero da quello sguardo dominante? Arduo
rintracciarlo, nel libero-liberista mondo dell’unico mercato. E quanto alla
laicità, che laicità è se si trasforma in fondamentalismo? Non si tratta di
confondere libertà e sottomissione. Conosciamo i codici, le leggi, i modelli
culturali che costringono le donne a vite senza respiro e senza luce. Li
combattiamo. Il primo passo è ascoltare le donne, quelle che scelgono di
abbigliarsi in quel modo che tanto ci infastidisce e ci turba. Nulla mi sembra
più liberatorio che guardarsi da vicino, le une e le altre, gli altri forse,
senza schermi, su una spiaggia. Ti guardo, mi guardi. Ci guardiamo. Sono i
divieti che creano distanze, barriere, abissi. Perché impedire che lo sguardo
reciproco conduca al libero pensiero, alle libere scelte?
E tu sei per il SI o per il NO?
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