mercoledì 3 gennaio 2018

La parola del mese - Gennaio 2018


La parola del mese
 A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni


Gennaio 2018

Fra pochi mesi gli elettori italiani saranno chiamati a votare per il nuovo Parlamento e, conseguentemente, per il muovo Governo. E’ molto lungo e complesso l’elenco delle questioni sul tappeto - in campo economico, sociale, politico, interne ed internazionali - sulle quali dovrebbe avvenire il confronto elettorale fra i partiti e le coalizioni. L’augurio è ovviamente quello di un dibattito magari acceso ed aspro ma decisamente orientato ad “entrare nel merito”, ossia il più possibile capace di fornire sullo specifico di tali questioni elementi utili agli elettori per capire le diverse proposte politiche e, su queste basi, per esprimere un voto “ragionato”. Va da sé che è presso che impossibile che la prossima compagna elettorale risponda a questo augurio.  Sono già iniziati il balletto delle promesse, insostenibili ed irrealizzabili, il gioco a “demolire l’avversario”, magari ricorrendo alle “bufale” (Parola del Mese di Dicembre 2016), la personalizzazione della proposta politica incentrata sulla figura del “leader”. Si muovono in questo quadro, per altro in linea con quello di buona parte delle democrazie occidentali, alcune tendenze di fondo che da tempo sembrano caratterizzare le crescente crisi della democrazia, delle istituzioni, delle forme di rapporto tra elettori ed eletti, dei meccanismi di creazione e raccolta del consenso. Una di queste tendenze, l’Oclocrazia, è stata la Parola del Mese di maggio 2017. Lo è anche la parola scelta per questo mese di Gennaio 2018:



Gentismo

gentismo (dal Vocabolario on-line Treccani) = s. m. (derivato dal s. f. gente con l'aggiunta del suffisso -ismo.) Atteggiamento politico di calcolata condiscendenza verso interessi, desideri, richieste presuntivamente espressi dalla gente, considerata come un insieme vasto e, sotto il profilo sociologico, indistinto

per meglio entrare nei risvolti del suo significato abbiamo raccolto alcuni stralci di opinioni ed interpretazioni seguendone l’evoluzione nel tempo

·      Il 'populismo' sarebbe però diventato in realtà, e non solo in Italia, per usare un orrendo neologismo, 'gentismo', e cioè trionfo dell'indistinto, dell'omogeneo sempre mutevole, del 'senza radici'. Si sarebbe infatti affermato, secondo i sociologi, che già da tempo ragionano di "folla solitaria", il regno della moltitudine, frutto della globalizzazione (o mondializzazione) che fa implodere le masse, affossa le appartenenze, deterritorializza, produce sradicamento e spaesamento. (Bruno Bongiovanni, Treccani.it, Enciclopedia delle scienze sociali, 1996, s. v. Populismo)

   Oggi si tratta di blandire la gente, di parassitarne gli umori, di imitarne le pulsioni. Il gentismo è la vera e trionfale novità introdotta da Berlusconi in politica, tal quale il Mike Bongiorno ritratto da Eco egli è in grado di far sentire intelligente e utile anche l'ultimo dei fresconi. Si chiamava demagogia, ora si chiama marketing. (Michele Serra, Repubblica, 8 maggio 2002, p. 14, Prima Pagina)

   Il gentismo, malattia infantile del populismo, è tutto intorno a noi. Ormai ha colpito pure Matteo Renzi, fra il taglio alle poltrone ai politici in campagna elettorale per il referendum e il “lavoro di cittadinanza” di oggi. (David Allegranti, Foglio.it, 1° marzo 2017).

·      La neolingua capitalistica procede in modo solo apparentemente paradossale. Per un verso, inaridisce e sterilizza il lessico, in quanto impone una galassia semantica composta da un “numero chiuso” di termini il cui scopo è sempre il medesimo: glorificare i rapporti di forza sempre più asimmetrici del capitalismo liquido-finanziario e ostracizzare aprioricamente ogni possibilità di pensare e dire altrimenti. Per un altro verso, in modo apparentemente antitetico, viene arricchendosi di sintagmi e locuzioni che rinsaldano sempre più l’ordine simbolico egemonico di santificazione del nuovo ordine reale del capitalismo americano-centrico globalizzato post-1989. E, così, nel proliferare delle nuove locuzioni con cui viene arricchendosi la neolingua liberista v’è un termine di nuovo conio su cui vale la pena soffermare l’attenzione, sia pure cursoriamente: “gentismo” è la nuova figura concettuale forgiata dai padroni delle grammatiche dominanti. Organica alla Destra liberista-finanziaria del Danaro, la Sinistra liberal-libertaria del Costume ha, per questa via, coniato una nuova categoria per demonizzare ogni anelito delle classi nazionali-popolari dei lavoratori: “gentismo” è la nuova etichetta con cui il pensiero unico politicamente corretto ostenta il suo disprezzo per la gente comune, per i lavoratori, per le masse nazionali-popolari, irredimibilmente colpevoli di volere un posto di lavoro e dignità sociale, protezionismo economico e più Stato, e poco attente ai matrimoni gay,  al culto dell’immigrazione di massa, al veganesimo modaiolo, al genderismo militante e alle richieste femministe. “Gentismo” dice il disprezzo della aristocrazia finanziaria dominante per la gente comune, proprio come “populismo” esprime l’odio palese che suddetta aristocrazia mondialista prova per il popolo realmente dato. È bene decostruire la neolingua, svelando gli occulti rapporti di forza che essa nasconde e legittima. (Diego Fusaro – Il Fatto Quotidiano del 14/10 /2017)

·      La rete è ormai precipitata sulla terra. L’uso superficiale del mix di linguaggi vecchi e nuovi – che chiamiamo per semplicità web 2.0 – è arrivato in strada, ha contagiato un pezzo di mondo intellettuale, colonizzato il confronto politico mainstream, ha smesso di essere soltanto una bolla virtuale. Di questi fenomeni si occupa La Gente. Viaggio nell’Italia del risentimento, libro con cui il giornalista Leonardo Bianchi raccoglie anni di studi e osservazioni di un fenomeno che, adottando una definizione ancora sperimentale ma urgente, viene chiamato «gentismo». Bianchi parla di un tema globale, è impossibile non pensare alla vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Ma nel paese che ha inventato la Lega e Berlusconi, questa storia assume caratteri peculiari. Il titolo rimanda direttamente a «La Casta», il mega-seller figlio di una campagna stampa messa in piedi anni fa dal Corriere della Sera. Secondo alcuni testimoni, il tutto era funzionale alla discesa in campo dell’ennesimo imprenditore da contrapporre ai «politici di professione». Come è noto, se ne avvantaggiarono Grillo e Casaleggio, che rimodularono la loro comunicazione sui temi degli sprechi della politica corrotta. Se già è difficile definire il concetto di populismo, non è affatto semplice cogliere l’essenza del gentismo. Obbligati ad una certa approssimazione, diremmo che se il populismo è la capacità di costruire un popolo sul quale poi esercitare sovranità, il gentismo è una sua variante. Muove i primi passi nelle piazze microfonate inventate da Michele Santoro ai tempi di Tangentopoli e poi traslocate nei preserali a tema unico (immigrati e rom) di Mediaset come dai comizi su YouTube di leader autoproclamatisi voce della «gente». Il capo gentista usa i media per dialogare col suo popolo, ma è al tempo stesso consapevole del fatto che il suo discorso è impossibile da disarticolare perché non ha, e non può avere, nessuna linearità. È una narrazione sincretistica e disarmonica, priva di ogni consequenzialità. Solo così, ad esempio, è possibile spiegare per quale motivo Yair Netanyahu, figlio del premier israeliano, abbia potuto diffondere via social la paccottiglia antisemita sul miliardario ebreo Soros come burattinaio occulto del mondo. O capire come, per tornare in Italia, ad un convegno sui beni comuni si sia finiti a discutere anche della bufala della Hazard Circular, una lettera tra banchieri scritta al tempo dell’abolizione della schiavitù negli Usa, che conterrebbe il disegno del governo della moneta come forma più sottile e subdola di sottomissione. Il gentista può infischiarsene delle contraddizioni, attinge dall’estrema destra e dall’estrema sinistra, si appiglia ai cardini del liberalismo e al tempo stesso sventola lo spettro di una qualche dittatura stalinista e/o nazista. Grazie alle micro-nicchie di cui è composto l’audience cui ogni gentista si rivolge, il suo argomentare sarà composto da brandelli di storie rimescolate alla bisogna. Siamo oltre le fake news: è lo spappolamento della verità.  Il tema comporta due rischi, opposti e speculari, che Leonardo Bianchi evita con perizia. Da un lato, si potrebbe cedere alla tentazione di porsi su di un piedistallo, inarcare il sopracciglio e giudicare con scalpore lo sgrammaticare della «ggente». D’altro canto, c’è il pericolo parallelo di blandire questa parodia della rivoluzione. Questo secondo atteggiamento, a ben vedere, è ancora più elitario del primo, è animato dalla pretesa di indirizzare gli umori della gente dall’alto di una qualche posizione d’avanguardia, manovrando le leve della comunicazione e della tattica. Bianchi bada all’osso, come quando ripercorre l’origine del fantomatico Piano Kalergi, volto a sostituire le popolazioni occidentali con masse di schiavi meticci. Fino a pochi anni fa argomento da neonazisti, oggi quel testo viene citato con piglio serioso dal sedicente marxista Diego Fusaro (vero filosofo del gentismo, apprezzato da xenofobi e indignati qualunque, ben introdotto nei salotti televisivi e pubblicato dalle grandi case editrici progressiste). Si sarà capito: questo non è un libro sul web o sulla comunicazione, contiene pagine scritte sull’asfalto rovente, che raccontano il tentativo neofascista di prendersi le periferie romane modulando il discorso gentista. Dulcis in fundo, documenta le tattiche gentiste sul web di certa comunicazione renziana. Ennesima prova del fatto che i primi gentisti non erano bizzarri agitatori ma pionieri esponenti di una nuova mutazione della politica dopo la fine della rappresentanza (Giuliano Santoro – Il Manifesto del 24/12/2017,  articolo di presentazione del libro La Gente. Viaggio nell’Italia del risentimento, di Leonardo Bianchi)

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