La parola del mese
A
turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di
aprirsi verso nuove riflessioni
Gennaio
2018
Fra pochi mesi gli elettori italiani saranno
chiamati a votare per il nuovo Parlamento e, conseguentemente, per il muovo
Governo. E’ molto lungo e complesso l’elenco delle questioni sul tappeto - in
campo economico, sociale, politico, interne ed internazionali - sulle quali
dovrebbe avvenire il confronto elettorale fra i partiti e le coalizioni.
L’augurio è ovviamente quello di un dibattito magari acceso ed aspro ma
decisamente orientato ad “entrare nel merito”, ossia il più possibile capace di
fornire sullo specifico di tali questioni elementi utili agli elettori per
capire le diverse proposte politiche e, su queste basi, per esprimere un voto
“ragionato”. Va da sé che è presso che impossibile che la prossima compagna
elettorale risponda a questo augurio.
Sono già iniziati il balletto delle promesse, insostenibili ed
irrealizzabili, il gioco a “demolire l’avversario”, magari ricorrendo alle “bufale”
(Parola del Mese di Dicembre 2016), la personalizzazione della proposta
politica incentrata sulla figura del “leader”. Si muovono in questo quadro, per
altro in linea con quello di buona parte delle democrazie occidentali, alcune
tendenze di fondo che da tempo sembrano caratterizzare le crescente crisi della
democrazia, delle istituzioni, delle forme di rapporto tra elettori ed eletti,
dei meccanismi di creazione e raccolta del consenso. Una di queste tendenze, l’Oclocrazia,
è stata la Parola del Mese di maggio 2017. Lo è anche la parola scelta per
questo mese di Gennaio 2018:
Gentismo
gentismo (dal Vocabolario
on-line Treccani) = s. m. (derivato dal s. f. gente con l'aggiunta del suffisso -ismo.) Atteggiamento politico di calcolata condiscendenza verso
interessi, desideri, richieste presuntivamente espressi dalla gente,
considerata come un insieme vasto e, sotto il profilo sociologico, indistinto
per meglio entrare nei risvolti del suo
significato abbiamo raccolto alcuni stralci di opinioni ed interpretazioni
seguendone l’evoluzione nel tempo
· Il
'populismo' sarebbe però diventato in realtà, e non solo in Italia, per usare
un orrendo neologismo, 'gentismo', e cioè trionfo
dell'indistinto, dell'omogeneo sempre mutevole, del 'senza radici'. Si sarebbe
infatti affermato, secondo i sociologi, che già da tempo ragionano di
"folla solitaria", il regno della moltitudine, frutto della
globalizzazione (o mondializzazione) che fa implodere le masse, affossa le
appartenenze, deterritorializza, produce sradicamento e spaesamento. (Bruno
Bongiovanni, Treccani.it, Enciclopedia delle scienze sociali, 1996, s. v. Populismo)
• Oggi
si tratta di blandire la gente, di parassitarne gli umori, di imitarne le
pulsioni. Il gentismo è la vera e trionfale novità introdotta da Berlusconi
in politica, tal quale il Mike Bongiorno ritratto da Eco egli è in grado di far
sentire intelligente e utile anche l'ultimo dei fresconi. Si chiamava
demagogia, ora si chiama marketing. (Michele Serra, Repubblica,
8 maggio 2002, p. 14, Prima Pagina)
• Il
gentismo,
malattia infantile del populismo, è tutto intorno a noi. Ormai ha colpito pure
Matteo Renzi, fra il taglio alle poltrone ai politici in campagna elettorale
per il referendum e il “lavoro di cittadinanza” di oggi. (David
Allegranti, Foglio.it, 1° marzo
2017).
·
La neolingua capitalistica procede in modo solo apparentemente paradossale.
Per un verso, inaridisce e sterilizza il lessico, in quanto impone una galassia
semantica composta da un “numero
chiuso” di termini il cui scopo è sempre il medesimo: glorificare i rapporti di forza
sempre più asimmetrici del capitalismo liquido-finanziario e ostracizzare
aprioricamente ogni possibilità di pensare e dire altrimenti. Per un altro
verso, in modo apparentemente antitetico,
viene arricchendosi di sintagmi e locuzioni che rinsaldano sempre più l’ordine
simbolico egemonico di santificazione del nuovo ordine reale del capitalismo
americano-centrico globalizzato post-1989.
E, così, nel proliferare delle nuove locuzioni con cui viene arricchendosi la neolingua liberista v’è un termine di
nuovo conio su cui vale la pena soffermare l’attenzione, sia pure
cursoriamente: “gentismo” è la
nuova figura concettuale forgiata dai padroni delle grammatiche dominanti.
Organica alla Destra
liberista-finanziaria del Danaro, la Sinistra
liberal-libertaria del Costume ha, per questa via, coniato una nuova categoria
per demonizzare ogni anelito delle classi nazionali-popolari dei lavoratori:
“gentismo” è la nuova etichetta
con cui il pensiero unico politicamente corretto ostenta il suo disprezzo per
la gente comune, per i lavoratori, per le masse nazionali-popolari,
irredimibilmente colpevoli di
volere un posto di lavoro e
dignità sociale, protezionismo economico e più Stato, e poco attente ai
matrimoni gay, al culto
dell’immigrazione di massa, al veganesimo
modaiolo, al genderismo
militante e alle richieste femministe. “Gentismo”
dice il disprezzo della aristocrazia finanziaria dominante per la gente comune,
proprio come “populismo”
esprime l’odio palese che suddetta aristocrazia mondialista prova per il popolo
realmente dato. È bene decostruire
la neolingua, svelando gli occulti rapporti di forza che essa
nasconde e legittima. (Diego Fusaro – Il Fatto Quotidiano del 14/10 /2017)
·
La rete è ormai precipitata sulla terra. L’uso superficiale del
mix di linguaggi vecchi e nuovi – che chiamiamo per semplicità web 2.0 – è
arrivato in strada, ha contagiato un pezzo di mondo intellettuale, colonizzato
il confronto politico mainstream, ha smesso di essere soltanto una bolla
virtuale. Di questi fenomeni si occupa La Gente. Viaggio nell’Italia del
risentimento, libro con cui il giornalista Leonardo Bianchi raccoglie anni
di studi e osservazioni di un fenomeno che, adottando una definizione ancora
sperimentale ma urgente, viene chiamato «gentismo».
Bianchi parla di un tema globale, è impossibile non pensare alla vittoria di
Donald Trump negli Stati Uniti. Ma nel paese che ha inventato la Lega e
Berlusconi, questa storia assume caratteri peculiari. Il titolo rimanda
direttamente a «La Casta», il mega-seller figlio di una campagna stampa messa
in piedi anni fa dal Corriere della Sera. Secondo alcuni testimoni, il tutto
era funzionale alla discesa in campo dell’ennesimo imprenditore da contrapporre
ai «politici di professione». Come è noto, se ne avvantaggiarono Grillo e
Casaleggio, che rimodularono la loro comunicazione sui temi degli sprechi della
politica corrotta. Se già è difficile definire il concetto di populismo, non è
affatto semplice cogliere l’essenza del gentismo.
Obbligati ad una certa approssimazione, diremmo che se il populismo è la
capacità di costruire un popolo sul quale poi esercitare sovranità, il gentismo è una sua variante. Muove i
primi passi nelle piazze microfonate inventate da Michele Santoro ai tempi di
Tangentopoli e poi traslocate nei preserali a tema unico (immigrati e rom) di
Mediaset come dai comizi su YouTube di leader autoproclamatisi voce della
«gente». Il capo gentista usa i media per dialogare col suo popolo, ma è al
tempo stesso consapevole del fatto che il suo discorso è impossibile da
disarticolare perché non ha, e non può avere, nessuna linearità. È una
narrazione sincretistica e disarmonica, priva di ogni consequenzialità. Solo
così, ad esempio, è possibile spiegare per quale motivo Yair Netanyahu, figlio
del premier israeliano, abbia potuto diffondere via social la paccottiglia
antisemita sul miliardario ebreo Soros come burattinaio occulto del mondo. O
capire come, per tornare in Italia, ad un convegno sui beni comuni si sia
finiti a discutere anche della bufala della Hazard Circular, una lettera tra
banchieri scritta al tempo dell’abolizione della schiavitù negli Usa, che
conterrebbe il disegno del governo della moneta come forma più sottile e
subdola di sottomissione. Il gentista può infischiarsene delle contraddizioni,
attinge dall’estrema destra e dall’estrema sinistra, si appiglia ai cardini del
liberalismo e al tempo stesso sventola lo spettro di una qualche dittatura
stalinista e/o nazista. Grazie alle micro-nicchie di cui è composto l’audience
cui ogni gentista si rivolge, il suo argomentare sarà composto da brandelli di
storie rimescolate alla bisogna. Siamo oltre le fake news: è lo spappolamento
della verità. Il tema comporta due
rischi, opposti e speculari, che Leonardo Bianchi evita con perizia. Da un
lato, si potrebbe cedere alla tentazione di porsi su di un piedistallo,
inarcare il sopracciglio e giudicare con scalpore lo sgrammaticare della
«ggente». D’altro canto, c’è il pericolo parallelo di blandire questa parodia
della rivoluzione. Questo secondo atteggiamento, a ben vedere, è ancora più
elitario del primo, è animato dalla pretesa di indirizzare gli umori della
gente dall’alto di una qualche posizione d’avanguardia, manovrando le leve
della comunicazione e della tattica. Bianchi bada all’osso, come quando
ripercorre l’origine del fantomatico Piano Kalergi, volto a sostituire le
popolazioni occidentali con masse di schiavi meticci. Fino a pochi anni fa argomento
da neonazisti, oggi quel testo viene citato con piglio serioso dal sedicente
marxista Diego Fusaro (vero filosofo del gentismo,
apprezzato da xenofobi e indignati qualunque, ben introdotto nei salotti
televisivi e pubblicato dalle grandi case editrici progressiste). Si sarà
capito: questo non è un libro sul web o sulla comunicazione, contiene pagine
scritte sull’asfalto rovente, che raccontano il tentativo neofascista di
prendersi le periferie romane modulando il discorso gentista. Dulcis in fundo,
documenta le tattiche gentiste sul web di certa comunicazione renziana.
Ennesima prova del fatto che i primi gentisti non erano bizzarri agitatori ma
pionieri esponenti di una nuova mutazione della politica dopo la fine della
rappresentanza (Giuliano Santoro – Il Manifesto del 24/12/2017, articolo di
presentazione del libro La Gente. Viaggio nell’Italia del risentimento,
di Leonardo Bianchi)
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