giovedì 1 agosto 2019

La parola del mese - Agosto 2019


La parola del mese
 A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni

AGOSTO 2019

E’ sempre più impegnativo individuare parole che abbiano le giuste caratteristiche per diventare quella “del mese” e che, oltretutto, il più possibile si possano collegare ai temi che affrontiamo nei nostri programmi di iniziative. Per ragioni varie, caldo insopportabile compreso, questo mese il compito sembrava ancor più difficile. Poi nel giro delle mail scambiate proprio per organizzare un incontro che metterà meglio a fuoco il programma del prossimo anno all’improvviso ha fatto capolino, uscendo dal lungo elenco di quelle conosciute ma molto raramente frequentate, una parola perfetta per diventare quella di Agosto 2019. La tentazione iniziale di un affettuoso rimbrotto a chi l’ha usata senza pensare di candidarla allo scopo si è subito trasformata in un  ringraziamento, che qui facciamo alla diretta interessata, visto che di incanto ci ha tolto dagli impicci. La parola in questione è

ECOSOFIA

Si tratta di un neologismo di recente adozione in ambito filosofico, tant’è che non compare ancora sui dizionari ufficiali. La radice “eco” deriva dal greco  oïkos, cioè: casa, organizzazione domestica, habitat, ambiente naturale. sofia anch’essa di derivazione dal greco significa: conoscenza, sapere, saggezza. Una traduzione letterale, che metta in relazione “ambiente e saggezza”, lascia pero spazio a più declinazioni legate alla congiunzione che lega i due termini: potrebbe ad esempio essere intesa come “saggezza dell'ambiente”, oppure “saggezza verso l’ambiente”, o ancora “saggezza nell’ambiente”. Meglio capire come è nata e come è stata sin qui utilizzata.
Da Wikipedia:
Il termine ecosofia è stato utilizzato per la prima volta dal filosofo norvegese Arne Naess, ed è il fondamento del movimento di “Ecologia profonda” che invita ad un rovesciamento della prospettiva antropocentrica: l'uomo non si colloca alla sommità della gerarchia dei viventi, ma si inserisce al contrario nell'ecosfera; l'essere umano è una parte nel Tutto. Successivamente il termine è stato usato dal filosofo e psicanalista francese Félix Guattarì nella sua opera del 1989 “Le tre ecologie”: l’ecologia ambientale, ossia il nostro rapporto con la natura e l’ambiente, l’ecologia sociale, il nostro rapporto con l’economia e la società, e l’ecologia mentale, il nostro rapporto con la psiche e la formazione della soggettività. Infine il filosofo e teologo ispano-indiano Raimon Panikkar utilizza il termine “ecosofia” in molti dei suoi testi, ad esempio “Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra” del 2001. Con questo termine egli intende la saggezza che è propria della terra in quanto soggetto, in quanto vivente ed in quanto “madre” (molte culture usano ordinariamente l'espressione “madre terra”) che sa (ed in questo è saggia) come prendersi cura delle sue creature.
Siamo quindi di fronte a tre distinte versioni che, per quanto accomunate da un convinto rifiuto dell’antropocentrismo, (“Parola del mese” – Settembre 2018) conferiscono alla parola “ecosofia” modulazioni diverse. Pertanto, come per molte altre parole, non sempre è immediatamente chiaro con quale specifica accezione essa assume nel contesto in cui viene utilizzata. Il che impone un obbligo di chiarezza da parte di chi la dice o la scrive e un supplemento di attenzione da parte di chi la sente o la legge

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Per chi avesse piacere di approfondire il significato di ecosofia integriamo con alcune aggiunte, nei limiti di spazio di questo post, quanto sin qui sinteticamente riportato sperando che possano servire a meglio conoscerla e a meglio capire quale valenza, fra le tre in questione,  essa possa assumere a seconda dei contesti in cui la si potrà incontrare.

La seguente intervista a  Luciano Valle (teologo, ecosofo, docente all’Università di Pavia e Presidente del Centro di Etica Ambientale di Bergamo) può essere utile per approfondire l’accezione più spirituale e religiosa di ecosofia.
Professore, cominciamo da una domanda di carattere generale: che cosa s’intende per ecosofia?
LUCIANO VALLE: Come dice la parola stessa, ecosofia è una forma nuova di saggezza dell’oikos, ovvero dell’abitare. Ecosofia è sinonimo di ecologia profonda, uno sguardo diverso sul senso della storia e sui valori della tradizione umanistica. In questo senso, nel mio libro Dall’ecologia all’ecosofia. Percorsi epistemici ed etici tra Oriente e Cristianesimo, tra scienza e saggezza, ho fatto un grande sforzo per andare a recuperare tutti quei percorsi, dall’antica Grecia all’Oriente, fino all’Occidente, cristiano e non, che testimoniano un oltrepassamento dello sguardo di un umanesimo antropocentrico.
Che idea ha l’ecosofia della scienza moderna?
L.V.: Citerei Whitehead quando sostiene che il limite della scienza moderna è presentarsi come «ragione con un occhio solo, incapace di percepire la profondità». L’ecosofia sposa il paradigma relazionistico, vedendo la realtà come una rete dinamica di entità in relazione. Per fare un nome, penso a Joseph Needam e al gruppo di biologi e storici della scienza di Cambridge quando, alla fine degli anni ’20, si fecero promotori di una concezione organicista del sapere: è un importante esempio di critica al meccanicismo mossa non da pensatori spiritualisti, bensì da scienziati. Quindi, la riflessione ecosofica si presenta come una rivoluzione complessiva dei saperi (epistemologia, etica ed antropologia).
Ciò che dice mi fa pensare a Panikkar, quando sostiene che la frantumazione della conoscenza ha portato alla frantumazione dell’uomo
L.V.: Esatto. Panikkar inoltre è un esempio di pensatore-ponte: padroneggia benissimo il linguaggio della scienza, in quanto chimico, ma anche il linguaggio teologico, in quanto induista e cattolico.
Quali altri pensatori sente vicino alla prospettiva ecosofica?
L.V.: Sono molti, ma se mi chiede quali autori userei nell’incipit di un saggio sull’ecosofia, le direi Rilke e Nietzsche. In particolare, di Rilke la poesia XIV di Sonetti ad Orfeo, per me un cantico neofrancescano.  Mentre di Nietzsche citerei il passo di Umano, troppo umano: "Si deve essere ancora vicini ai fiori, alle erbe e alle farfalle come i bambini, che non sono molto più alti di loro. Noi adulti invece siamo cresciuti molto più alti di loro e ci dobbiamo chinare fino ad essi; (…) Chi vuol prendere parte a ogni cosa buona, in certe ore deve anche saper essere piccolo."
Passando alla teologia, vorrei riflettere sul rapporto fra cristianesimo e antropocentrismo: è possibile parlare di un cristianesimo non antropocentrico?
L.V.: Nel cristianesimo, così come in qualsiasi cultura – anche nel giainismo, che è la più radicale delle etiche del rispetto della natura – c’è sempre un primato dell’uomo. Ma si tratta di un primato spirituale, non di potere giuridico. D’altronde, è solo l’uomo che possiede la facoltà di giudizio. Bisogna però ricordarsi che nel messaggio biblico il primato dell’uomo è legato alla relazione e al rispetto delle altre forme di vita. Fino a Noè l’umanità è vegetariana, non uccide per mangiare. Dio concede all’umanità di uccidere solo dopo il diluvio universale, ovvero dopo che il patto fra uomo e Dio si è definitivamente interrotto. Anche Adamo ed Eva erano vegetariani, anche dopo l’uscita dal Paradiso Terrestre.
Dunque come interpreta il passo di Genesi 1:26–29 «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra (…)”»?
L.V.: L’uomo è sì fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma bisogna ricordare che il Dio biblico è il Dio dell’amore, non tanto quello del logos. L’uomo ha dunque un primato nel senso che solo egli è capace di amore. Nella concezione darwiniana, che io considero fondamentale, si recupera l’unità del mondo della vita e si restringe l’uomo attorno alle altre forme di vita. Per la concezione biblica e cristiana solo l’uomo è colui che può dare la vita per salvare un leprotto. Tornando alla Genesi, la tradizione cristiana dominante negli ultimi secoli ha dimenticato che se l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e Dio è amore, anche l’essenza dell’uomo deve essere l’amore. Si è spesso letto anche il passo 1:18 come «soggiogate e dominate», mentre gli ebrei hanno sempre interpretato questo passaggio come un “prendete possesso in senso amministrativo”: la Terra è messa a disposizione, meglio: è in prestito.
Può sintetizzarci i punti critici e le novità dell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco?
L.V.: Vi sono due aspetti che trovo ricchi di criticità: primo, la poca diffusione dell’Enciclica; secondo, quando se ne parla lo si fa in senso etico-antropocentrico, ovvero ci si concentra sulla critica al capitalismo finanziario, alla crisi economica del 2008 e alla conseguente crisi sociale, e via dicendo. Ma il vero nucleo è un altro: è quello che tocca la teologia, l’ontologia e l’antropologia. L’etica è una conseguenza dell’ontologia e nelle pagine dell’enciclica è scritto a chiare lettere che il mondo è comunione. Il concetto di relazione è centrale. Esso viene recuperato in senso scientifico e, soprattutto, teologico: se il mondo viene dalla Trinità, esso conserva le orme della Trinità (come già diceva Bonaventura) e dunque non può che conservare l’aspetto relazionale. Il mondo nasce da uno scambio trinitario fra il Padre – sorgente dell’essere – il Logos – Cristo – e lo Spirito Santo. Emerge dunque un’immagine di unità del creato. Ad un certo punto nell’enciclica si sostiene: se tutto è permeato dal Padre, come possiamo fare del male alle altre creature? Concetto, quello del rispetto per gli animali, già sviluppato da Giovanni Paolo II quando nel 1990, riflettendo sulla teologia della creazione, sostenne la presenza di un “soffio divino” negli animali. Questo perché, nella visione dell’Antico Testamento, tutto l’essere è sostenuto e vivificato dalla presenza dello spirito, insieme immanente e trascendente alla creazione. È interessante notare che moltissimi ebrei del Novecento (ad esempio Kafka, Singer, Luxemburg, Buber) manifestino un amore profondo nei confronti degli animali: ciò viene proprio dalla cultura ebraica del mondo come presenza divina.
Come mai il focus posto sull’Enciclica riguarda in gran parte l’aspetto etico-morale antropocentrato?
L.V.: Perché è quello che la cultura italiana nelle versioni cattolica, moralista, vuole. Tolte alcune eccezioni, la sinistra oggi è antropocentrica e guarda unicamente all’aspetto sociale – importante, ma parziale. Sul tema sociale nell’enciclica di Papa Francesco non si dice niente di nuovo. La Pacem in Terris, la Mater et Magistra, la Populorum Progressio ed altre encicliche precedenti con dei lati ambientali, avevano già detto tutto. Quindi la novità della Laudato si’ è, come ho detto, una rinnovata attenzione ad un’ontologia relazionale, basilare per un nuovo discorso etico.
Collegandoci all’attività contemplativa come strumento per coltivare una coscienza ecosofica, le vorrei chiedere quale ruolo ha la bellezza in una visione del mondo ecosofica.
L.V.: La bellezza è molto importante. Proporrei una gerarchia: la bellezza spirituale, quella naturale, poi quella dell’arte. L’importante è non mitizzare quest’ultima: la bellezza culturale prepara alla verità, ma non credo porti ad essa. D’altra parte anche i nazisti amavano l’arte, leggevano Goethe e facevano giardinaggio, amavano gli animali, eppure c’è qualcosa che non ha funzionato, visto ciò che è successo. La bellezza deve dunque essere sopratutto spirituale e morale, ecco perché dobbiamo rifare l’uomo. Se penso alla bellezza ontologica della natura penso, ad esempio, a quei momenti di estasi che può dare il contatto con il vento. Spesso nella nostra vita ci dimentichiamo della bellezza del cielo e delle nuvole, che può avere una potenza rivelativa. Io sono tornato a guardare il cielo durante la mia crisi politica del post ’68, quando mi accorsi che il marxismo – non Marx, che continuo a considerare un punto di riferimento – mi stava schiacciando verso terra. E questo è un limite enorme del marxismo. L’antropologia materialista va giocata contro l’agostinianesimo, non contro San Francesco o il buddhismo Zen.

Preceduta da un sintetica sorta di scheda su Guattarrì ed il suo rapporto con il concetto di ecosofia l’intervista a Tiziana Villani (filosofa, saggista, direttrice di Eterotopia) ci sembra utile per approfondire la versione più politica e sociale di ecosofia.
Felix Guattari era un pensatore e un militante che riuniva riflessione teorica, pratica clinica e attivismo politico. Com formação plural, Farmácia, Música, Filosofia, Psicanálise, mas sem ter concluído nenhum curso de graduação, foi um dos protagonistas do movimento internacional da Reforma Psiquiátrica, sendo um dos principais atores da Clínica La Borde, ao lado de Jean Oury.Con un background plurale, Farmacia, Musica, Filosofia, Psicoanalisi, ma senza aver completato alcun corso di laurea, è stato uno dei protagonisti del movimento internazionale della Riforma psichiatrica. Nadaud (2015) categoriza a obra intelectual de Guattari em quatro principais períodos.Il lavoro intellettuale di Guattari ipuò essere suddiviso n quattro periodi principali. O primeiro, de sua militância trotskista, experiência clínica em La Borde e na psicanálise.Il primo, dalla sua militanza trotskista, e dell’esperienza clinica e psicoanalitica. O segundo, na década de 1970, do período da revolução molecular, dos movimentos autogestionários e do encontro e trabalho com Deleuze.Il secondo, negli anni '70, fu il periodo della rivoluzione molecolare, i movimenti autogestiti e l'incontro e il lavoro con Deleuze. O terceiro, na primeira metade dos anos 1980, quando ocorre uma desilusão com a esquerda política que finalmente chegou ao poder na França, mas não trouxe as transformações almejadas;Il terzo, nella prima metà degli anni '80, quando vi fu una delusione per la sinistra politica che alla fine salì al potere in Francia ma non portò alle trasformazioni desiderate; os anos de inverno. E finalmente, o quarto, quando constrói a Ecosofia.E infine, il quarto, quando costruisce l'ecosofia. Con questo termine  Guattari mira ad articolare nelle sue riflessioni e indagini un progetto etico-estetico-politico, in cui i processi psichici, sociali e politici, si fondono in una organica visione psicopolitica. Portanto entende que para pensar a subjetividade relacionada à sua exterioridade, somada à preocupação da gestão política e ambiental do planeta, deve-se trabalhar de forma articulada os três registros ecológicos: do meio ambiente, das relações sociais e da subjetividade humana (Guattari, 1989/1990).Per pensare alla soggettività legata alla sua esteriorità, aggiunta alla preoccupazione della gestione politica e ambientale del pianeta, si devono lavorare in modo articolato i tre registri ecologici: ambiente, relazioni sociali e soggettività umana (A articulação dessas três ecologias é o que Guattari denomina como Ecosofia.L'articolazione di queste tre ecologie è ciò che Guattari chiama Ecosofia. O autor criou esse termo para diferenciá-lo do movimento ecológico, e trazer uma concepção mais ampla, como se fosse uma Filosofia do ambiente, Saberes do ambiente, ou Saberes da casa, visto que o prefixo "eco" vem do grego óikos, que significa casa.L'autore ha coniato questo termine per differenziarlo dal movimento ecologico e per realizzare una concezione più ampia, come se fosse una filosofia ambientale, una conoscenza ambientale o una conoscenza della casa, poiché il prefisso "eco" deriva dal greco oikos, che Significa casa. Nesses saberes, as dimensões ética e política são indissociáveis.In questa conoscenza, le dimensioni etiche e politiche sono inseparabili.
Ecosofia critica – di Tiziana Villani (stralci)
Il dibattito utilmente aperto, ha per me un pregio fondamentale: aver lanciato un sasso nello stagno da tempo immobile di percorsi di ricerca che stanno cercando di confrontarsi con le difficoltà del presente. Cerco dunque di chiarire meglio il mio pensiero, per comodità procederò per punti………..Sono sempre stata convinta della necessità di impiegare un lessico coerente con l’ambito di ricerca cui si riferisce, per far sì che ciò sia possibile occorre declinarlo nei motivi e nelle linee della sua formulazione, sottraendolo alla banalizzazione del quotidiano. Termini impropriamente utilizzati non danno conto, anzi confondono, le diverse pieghe che delle ricerche richiedono. Riguardo all’ecologia politica, per me soprattutto ecosofia, questo è davvero necessario, fin dal primo Novecento contesti diversi hanno impiegato questo concetto con esiti radicalmente e politicamente diversi tra loro. Inutile dire che esiste un ecologismo conservatore quanto non dichiaratamente di destra che predica riduzioni dell’impronta umana in chiave mistico-religiosa e non chiama in causa modelli e forme di sviluppo che SULLA SELEZIONE UMANA, stanno già agendo. Inoltre, trovo che correnti paesaggistiche, natural nostalgiche, siano “la foglia di fico” che tenta miseramente di coprire il vero assetto del modello attuale che privatizza risorse, caccia intere comunità rurali, precarizza gli ultimi della terra mettendo il tutto a disposizione di multinazionali che certo poi fanno comunicazione e pubblicità verde mentre uccidono, eliminano, impediscono forme di autodeterminazione e autoproduzione di intere popolazioni. La lista è infinita, ma A. Gorz, Vandana Shiva, D. Haraway, Raul Zeibecchi potrebbero dirci qualcosa. Ecco perché al termine/concetto ECOLOGIA POLITICA occorre prestare cura e attenzione. Il nostro mondo è esausto e cerca nuove narrazioni e queste spesso appaiono sotto forma di mode o ideologie della colpa, del debito infinito (che si scrive sempre sui corpi), del sacrificio. È il sacrificio perpetuo che va rifiutato, è chiaro a tutti, dopo quanto è in corso in Europa e nel mondo, che questo modello promette una sola alternativa: l’adeguamento al sistema del sacrificio e della colpa, la vergogna di essere vite che cercano di resistere a un’offensiva violenta come non se ne vedevano da tempo poiché giocata su uno scacchiere geopolitico planetario che usa un cinismo tipico del “morto che domina il morto”……………In ragione di quanto scritto sopra credo anch’io che il termine decrescita sia fuorviante anche nelle migliori intenzioni di Latouche quando parla di decrescita felice, per franchezza credo che sia un mot de passe ben trovato, ma il cui retroterra filosofico politico è debole rispetto alla sfida in atto, non fosse che per il fatto che nemmeno decrescere è più possibile vista la sottrazione permanente di diritti, risorse, esistenze di cui parlavo prima. La decrescita ha avuto in termini di dibattito miglior esito in Italia che in Francia (fatta eccezione per una qualche attenzione da parte di certi architetti), il motivo è abbastanza evidente, in Italia la crisi della grandi narrazione si sta consumando nei suoi ultimi lapilli ora, grazie all’opera solerte di epigoni che non hanno nemmeno più da salire sulla spalle dei giganti. Eppure la tradizione del pensiero critico italiano è stata la più ricca del secondo Novecento, Panzieri, Montaldi e tanti altri più eccentrici rispetto a filoni accreditati, ma così interessanti. Insisto sul fatto che i metodi e le analisi dell’operaismo storico mi sembrano del tutto divergenti dal tema della decrescita. Con Spinoza vogliamo più “potenze di vita”, ossia liberarci dalle religioni del risentimento e della colpa…………Dopo corsi e convegni in Francia e soprattutto a La Villette dove ho insegnato, mi sono resa conto che questo tardivo interesse (giustificato dal fatto che la ricerca nasce in ambito anglofono) era strettamente correlato al bisogno di spostarsi d’autorità dall’antropocentrismo verso una concezione più relazionale di ambiente. Tutto bene se non fosse che il decoro urbano, pseudo artisti d’avanguardia, archistar, sociologi etc. non avessero finito per strutturare una nuova grammatica catalogante giungendo a presupporre “parlamenti degli animali” e “assemblee del vegetale oppresso”. Al di là di umoristiche considerazioni ancora una volta non ci si è confrontati con il grande rimosso……….. Guattari fa parte del grande rimosso delle vampiresche brame accademiche e contro-accademiche, vecchia questione in cui persino dai nostri ambiti si è voluta attuare la cesura tra lui e Deleuze, tra loro e i movimenti, tra loro e le sperimentazioni. Confuso, interessante, incomprensibile, “sin qui si vede che ha scritto Deleuze qui inizia invece Guattari”. L’ecosofia in Guattari indica il seguente progetto: “Men che mai la natura può venir separata dalla cultura e bisogna che impariamo a pensare ‘trasversalmente’ le interazioni tra ecosistemi, meccanosfere e universi di riferimento sociali e individuali’. Il suo percorso è oscurato e trovo grave che sia volutamente censurato, confuso e solo ripreso per slogan da ambiti anche come i nostri. È la non nobiltà di Guattari, la sua non appartenenza, il suo essere fuori dagli schemi ad averne permesso il saccheggio e il misconoscimento, cosa che ci dice della miseria di un presente tutto proteso a raccogliere punti e visibilità presso riviste di classe A o in contesti di improbabile dignità. Non è solo accademia, forse e ancor peggio la miseria di un’anti-accademia priva di luoghi di creazione di sapere e dunque frustrata e sollecitata dal bisogno di apparire foss’anche per il classico quarto d’ora evocato da Warhol. Con questa residualità del pensiero odierno noi dobbiamo fare i conti, così come i conti si devono fare con le sconfitte quando non sono che sconfitte, intraducibili in epopee. Solo così si reinventa il presente senza ricorrere a quel carattere distruttivo, ben indicato da W. Benjamin quando indicava la gioiosa demolizione del passato: “Il carattere distruttivo non vive per il sentimento che la vita merita d’essere vissuta, ma perché non vale la pena di suicidarsi”.


Ed infine includiamo una sintesi del pensiero di Arne Naess e della sua la sua idea di ecosofia, un intreccio stretto tra “ecologia profonda” e filosofia.
dal sito o-line Brbadillo,it (stralci)
Alpinista provetto (all’età di 17 anni aveva già scalato le centosei vette più alte della Norvegia), appassionato di musica classica ed eccellente pianista, professore di storia della filosofia (unico in tutta la Norvegia dal 1939 al 1954), attivista ambientalista, Arne Naess (Oslo 1912 – Oslo 2009) è noto al grande pubblico per essere stato tra i maggiori fautori e teorizzatori dell’ecologia profonda. Risale al 1973 il famoso articolo in cui Naess distingueva tra ecologia profonda (che si interroga circa il perché della crisi ecologica, ponendo domande radicali e cercando di andare al cuore dei problemi) ed ecologia superficiale (che si limita a proporre correttivi all’interno del sistema, cercando di conciliare alla bell’e meglio sviluppo e ambiente). Principio fondamentale dell’ecologia profonda è che tutto è collegato. Ne consegue quella che Naess definisce piattaforma dell’ecologia profonda, su cui sono d’accordo tutti i sostenitori dell’ecologia profonda al di là delle loro diverse concezioni filosofiche o religiose, e che si può riassumere nei seguenti punti: tutte le varie forme di vita hanno un valore in sé e debbono poter prosperare; la loro ricchezza e diversità va preservata e difesa dal modello dissennato e distruttivo sociale ed economico oggi dominante; è necessario cambiare stile di vita, limitando la crescita della popolazione umana e il saccheggio delle risorse ed agendo per modificare la politica, l’economia, la tecnologia. Naess ritiene importante dare all’ecologia profonda una fondazione filosofica: “Uno dei punti più importanti dell’ecologia profonda è la profondità dell’argomentazione, ossia, l’argomentare a partire dalle premesse ultime (filosofiche, religiose. L’ecosofia è per l’appunto la risposta elaborata dal filosofo norvegese alla crisi ecologica globale: “Col termine ecosofia intendo una filosofia dell’armonia o dell’equilibrio ecologico”. L’ecosofia si presenta come una visione totale della vita, che muove dalla gravità della situazione (ambientale ed esistenziale) per proporre un cambiamento dello stile di vita. Sotto certi aspetti l’ecosofia può considerarsi un rilettura attuale del pensiero di Spinoza, cui Naess dedicò vari saggi: “nessun altro grande filosofo ha tanto da offrire, sulla via della chiarificazione e dell’articolazione dei comportamenti ecologici essenziali, quanto Baruch Spinoza.” …………….Obiettivo primario dell’ecosofia è quello di rileggere l’esperienza e contrastare la visione filosofica- scientifica del mondo affermatasi nel XVII secolo a partire da Cartesio, Galileo e Newton, per giungere fino a Kant, che si fonda su una radicale dicotomia tra oggettivo e soggettivo, tra cosa in sé e cosa per me, tra qualità primarie dei corpi e qualità secondarie e terziarie. Ricordiamo che le qualità primarie (struttura geometrico-matematica della natura) sono la grandezza, la figura, il movimento. Le qualità secondarie sono il colore, il calore, il gusto, ecc., che erano considerate nient’altro che sensazioni soggettive. Le qualità terziarie comprendono stati d’animo come doloroso, bello, minaccioso, patetico, gioioso. La teoria scientifica, che pretende di descrivere l’oggetto come è “in se stesso” a prescindere dal modo in cui esso è percepito, impoverisce il mondo, non ci restituisce né la natura né il mondo, ma solo una struttura astratta. Le scienze, con il loro modello oggettivo di realtà, ci offrono solamente dei punti di riferimento (come nel caso della fisica le coordinate di spazio e tempo), ma questi punti non sono luoghi reali, non esistono come realtà fisiche………..: Bisogna allora, secondo Naess, modificare la nostra percezione della realtà, distinguendo tra “strutture astratte”, o entia rationis, ovvero tutti quei concetti più o meno scientifici, che utilizziamo per organizzare la realtà, e i “contenuti concreti”, la nostra reale esperienza spontanea del mondo. Al modo astratto in cui la scienza considera la realtà Naess contrappone dunque l’esperienza “spontanea” della realtà, cioè non mediata dalle categorie concettuali-astratte del pensiero. Nella nostra esperienza spontanea non sussiste alcuna frattura tra oggettivo e soggettivo, tra uomo e natura. Concetto chiave dell’ecosofia è quella che il filosofo norvegese definisce ontologia della gestalt, cioè il modo in cui le cose sono nella loro totalità organica: Per Naess, in altre parole, la realtà non è né soggettiva né oggettiva, ma relazionale.. La realtà è talmente ricca che hanno pari dignità sia l’albero gioioso che vediamo alla luce del mattino, sia l’albero malinconico che vediamo di notte, “anche se nella loro struttura astratta, sono (fisicamente) identici.” Un’ontologia di questo tipo, che trova connessioni sempre più inclusive fino a giungere alla Gestalt di ordine supremo, la Natura con la N maiuscola, supera ogni separazione, ogni dicotomia tra soggetto e oggetto, tra fatti e valori, tra “cosa in sé” e “cosa per me”. In questo senso, l’ecosofia è innanzitutto un tentativo di offrire un’ontologia più vera, più autentica, rispetto a quella offerta dalle concezioni atomistiche e meccanicistiche dominanti…………. Nel pensiero di Naess l’ontologia fonda l’etica ambientale. La norma etica fondamentale dell’ecosofia di Naess, che si riassume nel principio della realizzazione di sé, segue naturalmente dalla particolare ontologia relazionale appena delineata. Segue “naturalmente” nel senso che non si tratta di una mera norma etica, ma della naturale conseguenza dell’aver assimilato una certa visione del mondo. Per illustrare il principio dell’autorealizzazione il filosofo norvegese introduce il concetto di Sé ecologico, cioè di un Sé più ampio e profondo rispetto al ristretto io personale. Contro “la concezione occidentale moderna dell’io definito come ego isolato che si batte in primo luogo per una gratificazione edonistica o per un limitato senso di salvezza individuale in questa vita o in quella futura”, Naess sostiene che il Sé ecologico è solidale con ogni altra forma di vita (in senso ampio, non strettamente biologico……….Di fronte all’aggravarsi della crisi ecologica globale Naess, a differenza di altri ecologisti, non ritiene l’uomo un animale nocivo: “la nostra specie non è destinata ad essere la piaga della Terra. Se l’uomo è destinato ad essere qualcosa, probabilmente è colui che, consapevolmente gioioso, coglie il significato di questo pianeta come un’ancor più grande totalità nella sua immensa ricchezza.”  


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