La
parola del mese
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri
collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
AGOSTO
2019
E’ sempre più impegnativo individuare
parole che abbiano le giuste caratteristiche per diventare quella “del mese” e
che, oltretutto, il più possibile si possano collegare ai temi che affrontiamo
nei nostri programmi di iniziative. Per ragioni varie, caldo insopportabile
compreso, questo mese il compito sembrava ancor più difficile. Poi nel giro
delle mail scambiate proprio per organizzare un incontro che metterà meglio a
fuoco il programma del prossimo anno all’improvviso ha fatto capolino, uscendo
dal lungo elenco di quelle conosciute ma molto raramente frequentate, una
parola perfetta per diventare quella di Agosto 2019. La tentazione iniziale di
un affettuoso rimbrotto a chi l’ha usata senza pensare di candidarla allo scopo
si è subito trasformata in un ringraziamento,
che qui facciamo alla diretta interessata, visto che di incanto ci ha tolto
dagli impicci. La parola in questione è
ECOSOFIA
Si tratta di un
neologismo di recente adozione in ambito filosofico, tant’è che non compare
ancora sui dizionari ufficiali. La radice “eco” deriva dal greco oïkos, cioè: casa, organizzazione
domestica, habitat, ambiente naturale. “sofia”
anch’essa di derivazione dal greco significa: conoscenza, sapere, saggezza. Una
traduzione letterale, che metta in relazione “ambiente e saggezza”,
lascia pero spazio a più declinazioni legate alla congiunzione che lega i due
termini: potrebbe ad esempio essere intesa come “saggezza dell'ambiente”,
oppure “saggezza verso l’ambiente”, o ancora “saggezza nell’ambiente”. Meglio
capire come è nata e come è stata sin qui utilizzata.
Da Wikipedia:
Il
termine ecosofia è stato utilizzato per la prima volta dal filosofo
norvegese Arne Naess, ed è il
fondamento del movimento di “Ecologia profonda” che invita ad un rovesciamento
della prospettiva antropocentrica: l'uomo non si colloca alla sommità della
gerarchia dei viventi, ma si inserisce al contrario nell'ecosfera; l'essere
umano è una parte nel Tutto. Successivamente il termine è stato usato dal
filosofo e psicanalista francese Félix
Guattarì nella sua opera del 1989 “Le tre ecologie”: l’ecologia ambientale,
ossia il nostro rapporto con la natura e l’ambiente, l’ecologia sociale, il
nostro rapporto con l’economia e la società, e l’ecologia mentale, il nostro
rapporto con la psiche e la formazione della soggettività. Infine il filosofo e
teologo ispano-indiano Raimon Panikkar
utilizza il termine “ecosofia” in molti dei suoi testi, ad esempio “Ecosofia:
la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra” del 2001. Con questo
termine egli intende la saggezza che è propria della terra in quanto soggetto,
in quanto vivente ed in quanto “madre” (molte culture usano ordinariamente
l'espressione “madre terra”) che sa (ed in questo è saggia) come prendersi cura
delle sue creature.
Siamo quindi di fronte a tre distinte versioni
che, per quanto accomunate da un convinto rifiuto dell’antropocentrismo, (“Parola
del mese” – Settembre 2018) conferiscono alla
parola “ecosofia” modulazioni diverse. Pertanto, come per molte altre parole,
non sempre è immediatamente chiaro con quale specifica accezione essa assume
nel contesto in cui viene utilizzata. Il che impone un obbligo di chiarezza da
parte di chi la dice o la scrive e un supplemento di attenzione da parte di chi
la sente o la legge
&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&
Per chi avesse piacere di approfondire il
significato di ecosofia integriamo con alcune aggiunte, nei limiti di spazio di
questo post, quanto sin qui sinteticamente riportato sperando che possano
servire a meglio conoscerla e a meglio capire quale valenza, fra le tre in
questione, essa possa assumere a seconda
dei contesti in cui la si potrà incontrare.
La seguente intervista a Luciano
Valle (teologo, ecosofo, docente all’Università di Pavia e Presidente
del Centro di Etica Ambientale di Bergamo) può essere utile per approfondire
l’accezione più spirituale e religiosa di ecosofia.
Professore, cominciamo da una domanda di
carattere generale: che cosa s’intende per ecosofia?
LUCIANO
VALLE:
Come dice la parola stessa, ecosofia è una forma nuova di saggezza dell’oikos,
ovvero dell’abitare. Ecosofia è sinonimo di ecologia profonda, uno sguardo
diverso sul senso della storia e sui valori della tradizione umanistica. In
questo senso, nel mio libro Dall’ecologia all’ecosofia. Percorsi epistemici
ed etici tra Oriente e Cristianesimo, tra scienza e saggezza, ho fatto un
grande sforzo per andare a recuperare tutti quei percorsi, dall’antica Grecia
all’Oriente, fino all’Occidente, cristiano e non, che testimoniano un
oltrepassamento dello sguardo di un umanesimo antropocentrico.
Che idea ha l’ecosofia della scienza
moderna?
L.V.: Citerei Whitehead
quando sostiene che il limite della scienza moderna è presentarsi come «ragione
con un occhio solo, incapace di percepire la profondità». L’ecosofia sposa il
paradigma relazionistico, vedendo la realtà come una rete dinamica di entità in
relazione. Per fare un nome, penso a Joseph Needam e al gruppo di biologi e
storici della scienza di Cambridge quando, alla fine degli anni ’20, si fecero
promotori di una concezione organicista del sapere: è un importante esempio di
critica al meccanicismo mossa non da pensatori spiritualisti, bensì da
scienziati. Quindi, la riflessione ecosofica si presenta come una rivoluzione
complessiva dei saperi (epistemologia, etica ed antropologia).
Ciò che dice mi fa pensare a Panikkar,
quando sostiene che la frantumazione della conoscenza ha portato alla
frantumazione dell’uomo
L.V.: Esatto. Panikkar
inoltre è un esempio di pensatore-ponte: padroneggia benissimo il linguaggio
della scienza, in quanto chimico, ma anche il linguaggio teologico, in quanto
induista e cattolico.
Quali altri pensatori sente vicino alla
prospettiva ecosofica?
L.V.: Sono molti, ma se mi
chiede quali autori userei nell’incipit di un saggio sull’ecosofia, le direi
Rilke e Nietzsche. In particolare, di Rilke la poesia XIV di Sonetti ad
Orfeo, per me un cantico neofrancescano.
Mentre di Nietzsche citerei il passo di Umano, troppo umano:
"Si deve essere ancora vicini ai fiori, alle erbe e alle farfalle come i
bambini, che non sono molto più alti di loro. Noi adulti invece siamo cresciuti
molto più alti di loro e ci dobbiamo chinare fino ad essi; (…) Chi vuol
prendere parte a ogni cosa buona, in certe ore deve anche saper essere
piccolo."
Passando alla teologia, vorrei riflettere
sul rapporto fra cristianesimo e antropocentrismo: è possibile parlare di un
cristianesimo non antropocentrico?
L.V.: Nel cristianesimo,
così come in qualsiasi cultura – anche nel giainismo, che è la più radicale
delle etiche del rispetto della natura – c’è sempre un primato dell’uomo. Ma si
tratta di un primato spirituale, non di potere giuridico. D’altronde, è solo
l’uomo che possiede la facoltà di giudizio. Bisogna però ricordarsi che nel
messaggio biblico il primato dell’uomo è legato alla relazione e al rispetto
delle altre forme di vita. Fino a Noè l’umanità è vegetariana, non uccide per
mangiare. Dio concede all’umanità di uccidere solo dopo il diluvio universale,
ovvero dopo che il patto fra uomo e Dio si è definitivamente interrotto. Anche
Adamo ed Eva erano vegetariani, anche dopo l’uscita dal Paradiso Terrestre.
Dunque come interpreta il passo di Genesi
1:26–29 «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza,
e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte
le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra (…)”»?
L.V.: L’uomo è sì fatto ad
immagine e somiglianza di Dio, ma bisogna ricordare che il Dio biblico è il Dio
dell’amore, non tanto quello del logos. L’uomo ha dunque un primato nel senso
che solo egli è capace di amore. Nella concezione darwiniana, che io considero
fondamentale, si recupera l’unità del mondo della vita e si restringe l’uomo
attorno alle altre forme di vita. Per la concezione biblica e cristiana solo
l’uomo è colui che può dare la vita per salvare un leprotto. Tornando alla Genesi,
la tradizione cristiana dominante negli ultimi secoli ha dimenticato che se
l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e Dio è amore, anche l’essenza
dell’uomo deve essere l’amore. Si è spesso letto anche il passo 1:18 come
«soggiogate e dominate», mentre gli ebrei hanno sempre interpretato questo
passaggio come un “prendete possesso in senso amministrativo”: la Terra è messa
a disposizione, meglio: è in prestito.
Può sintetizzarci i punti critici e le
novità dell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco?
L.V.: Vi sono due aspetti
che trovo ricchi di criticità: primo, la poca diffusione dell’Enciclica;
secondo, quando se ne parla lo si fa in senso etico-antropocentrico, ovvero ci
si concentra sulla critica al capitalismo finanziario, alla crisi economica del
2008 e alla conseguente crisi sociale, e via dicendo. Ma il vero nucleo è un
altro: è quello che tocca la teologia, l’ontologia e l’antropologia. L’etica è
una conseguenza dell’ontologia e nelle pagine dell’enciclica è scritto a chiare
lettere che il mondo è comunione. Il concetto di relazione è centrale. Esso
viene recuperato in senso scientifico e, soprattutto, teologico: se il mondo
viene dalla Trinità, esso conserva le orme della Trinità (come già diceva
Bonaventura) e dunque non può che conservare l’aspetto relazionale. Il mondo
nasce da uno scambio trinitario fra il Padre – sorgente dell’essere – il Logos
– Cristo – e lo Spirito Santo. Emerge dunque un’immagine di unità del creato.
Ad un certo punto nell’enciclica si sostiene: se tutto è permeato dal Padre,
come possiamo fare del male alle altre creature? Concetto, quello del rispetto
per gli animali, già sviluppato da Giovanni Paolo II quando nel 1990,
riflettendo sulla teologia della creazione, sostenne la presenza di un “soffio
divino” negli animali. Questo perché, nella visione dell’Antico Testamento,
tutto l’essere è sostenuto e vivificato dalla presenza dello spirito, insieme
immanente e trascendente alla creazione. È interessante notare che moltissimi
ebrei del Novecento (ad esempio Kafka, Singer, Luxemburg, Buber) manifestino un
amore profondo nei confronti degli animali: ciò viene proprio dalla cultura
ebraica del mondo come presenza divina.
Come mai il focus posto sull’Enciclica
riguarda in gran parte l’aspetto etico-morale antropocentrato?
L.V.: Perché è quello che
la cultura italiana nelle versioni cattolica, moralista, vuole. Tolte alcune
eccezioni, la sinistra oggi è antropocentrica e guarda unicamente all’aspetto
sociale – importante, ma parziale. Sul tema sociale nell’enciclica di Papa
Francesco non si dice niente di nuovo. La Pacem in Terris, la Mater
et Magistra, la Populorum Progressio ed altre encicliche precedenti
con dei lati ambientali, avevano già detto tutto. Quindi la novità della Laudato
si’ è, come ho detto, una rinnovata attenzione ad un’ontologia relazionale,
basilare per un nuovo discorso etico.
Collegandoci all’attività contemplativa
come strumento per coltivare una coscienza ecosofica, le vorrei chiedere quale
ruolo ha la bellezza in una visione del mondo ecosofica.
L.V.: La bellezza è molto
importante. Proporrei una gerarchia: la bellezza spirituale, quella naturale,
poi quella dell’arte. L’importante è non mitizzare quest’ultima: la bellezza
culturale prepara alla verità, ma non credo porti ad essa. D’altra parte anche
i nazisti amavano l’arte, leggevano Goethe e facevano giardinaggio, amavano gli
animali, eppure c’è qualcosa che non ha funzionato, visto ciò che è successo.
La bellezza deve dunque essere sopratutto spirituale e morale, ecco perché
dobbiamo rifare l’uomo. Se penso alla bellezza ontologica della natura penso,
ad esempio, a quei momenti di estasi che può dare il contatto con il vento.
Spesso nella nostra vita ci dimentichiamo della bellezza del cielo e delle
nuvole, che può avere una potenza rivelativa. Io sono tornato a guardare il
cielo durante la mia crisi politica del post ’68, quando mi accorsi che il
marxismo – non Marx, che continuo a considerare un punto di riferimento – mi
stava schiacciando verso terra. E questo è un limite enorme del marxismo.
L’antropologia materialista va giocata contro l’agostinianesimo, non contro San
Francesco o il buddhismo Zen.
Preceduta da un sintetica sorta di scheda su Guattarrì ed il suo rapporto
con il concetto di ecosofia l’intervista a Tiziana Villani (filosofa, saggista, direttrice di Eterotopia) ci sembra utile per approfondire la versione più
politica e sociale di ecosofia.
Felix Guattari era un pensatore e un militante che riuniva riflessione
teorica, pratica clinica e attivismo politico. Con un background plurale,
Farmacia, Musica, Filosofia, Psicoanalisi, ma senza aver completato alcun corso
di laurea, è stato uno dei protagonisti del movimento internazionale della
Riforma psichiatrica. Il
lavoro intellettuale di Guattari ipuò essere suddiviso n quattro periodi
principali. Il
primo, dalla sua militanza trotskista, e dell’esperienza clinica e
psicoanalitica. Il secondo, negli anni '70, fu il
periodo della rivoluzione molecolare, i movimenti autogestiti e l'incontro e il
lavoro con Deleuze. Il terzo, nella prima metà degli anni '80,
quando vi fu una delusione per la sinistra politica che alla fine salì al
potere in Francia ma non portò alle trasformazioni desiderate; E infine, il quarto, quando costruisce l'ecosofia. Con questo
termine Guattari mira ad articolare
nelle sue riflessioni e indagini un progetto etico-estetico-politico, in cui i
processi psichici, sociali e politici, si fondono in una organica visione psicopolitica.
Per pensare alla soggettività legata alla
sua esteriorità, aggiunta alla preoccupazione della gestione politica e
ambientale del pianeta, si devono lavorare in modo articolato i tre registri
ecologici: ambiente, relazioni sociali e soggettività umana ( L'articolazione di queste tre ecologie è
ciò che Guattari chiama Ecosofia. L'autore ha coniato questo termine per
differenziarlo dal movimento ecologico e per realizzare una concezione più
ampia, come se fosse una filosofia ambientale, una conoscenza ambientale o una
conoscenza della casa, poiché il prefisso "eco" deriva dal greco
oikos, che Significa casa. In questa
conoscenza, le dimensioni etiche e politiche sono inseparabili.
Ecosofia critica – di Tiziana Villani (stralci)
Il
dibattito utilmente aperto, ha per me un pregio fondamentale: aver lanciato un
sasso nello stagno da tempo immobile di percorsi di ricerca che stanno cercando
di confrontarsi con le difficoltà del presente. Cerco dunque di chiarire meglio
il mio pensiero, per comodità procederò per punti………..Sono sempre stata
convinta della necessità di impiegare un lessico coerente con l’ambito di
ricerca cui si riferisce, per far sì che ciò sia possibile occorre declinarlo
nei motivi e nelle linee della sua formulazione, sottraendolo alla
banalizzazione del quotidiano. Termini impropriamente utilizzati non danno
conto, anzi confondono, le diverse pieghe che delle ricerche richiedono.
Riguardo all’ecologia politica, per me soprattutto ecosofia, questo è
davvero necessario, fin dal primo Novecento contesti diversi hanno impiegato
questo concetto con esiti radicalmente e politicamente diversi tra loro.
Inutile dire che esiste un ecologismo conservatore quanto non dichiaratamente
di destra che predica riduzioni dell’impronta umana in chiave mistico-religiosa
e non chiama in causa modelli e forme di sviluppo che SULLA SELEZIONE UMANA,
stanno già agendo. Inoltre, trovo che correnti paesaggistiche, natural
nostalgiche, siano “la foglia di fico” che tenta miseramente di coprire il vero
assetto del modello attuale che privatizza risorse, caccia intere comunità
rurali, precarizza gli ultimi della terra mettendo il tutto a disposizione di
multinazionali che certo poi fanno comunicazione e pubblicità verde mentre
uccidono, eliminano, impediscono forme di autodeterminazione e autoproduzione
di intere popolazioni. La lista è infinita, ma A. Gorz, Vandana Shiva, D.
Haraway, Raul Zeibecchi potrebbero dirci qualcosa. Ecco perché al
termine/concetto ECOLOGIA
POLITICA occorre prestare cura e attenzione. Il nostro mondo è
esausto e cerca nuove narrazioni e queste spesso appaiono sotto forma di mode o
ideologie della colpa, del debito
infinito (che si scrive sempre sui corpi), del sacrificio. È il sacrificio perpetuo che va
rifiutato, è chiaro a tutti, dopo quanto è in corso in Europa e nel mondo, che
questo modello promette una sola alternativa: l’adeguamento al sistema del
sacrificio e della colpa, la vergogna di essere vite che cercano di resistere a
un’offensiva violenta come non se ne vedevano da tempo poiché giocata su uno
scacchiere geopolitico planetario che usa un cinismo tipico del “morto che
domina il morto”……………In ragione di quanto scritto sopra credo anch’io che il
termine decrescita sia fuorviante anche nelle migliori intenzioni di Latouche
quando parla di decrescita
felice, per franchezza credo che sia un mot de passe ben trovato,
ma il cui retroterra filosofico politico è debole rispetto alla sfida in atto,
non fosse che per il fatto che nemmeno decrescere è più possibile vista la
sottrazione permanente di diritti, risorse, esistenze di cui parlavo prima. La
decrescita ha avuto in termini di dibattito miglior esito in Italia che in
Francia (fatta eccezione per una qualche attenzione da parte di certi architetti),
il motivo è abbastanza evidente, in Italia la crisi della grandi narrazione si
sta consumando nei suoi ultimi lapilli ora, grazie all’opera solerte di epigoni
che non hanno nemmeno più da salire sulla spalle dei giganti. Eppure la
tradizione del pensiero critico italiano è stata la più ricca del secondo
Novecento, Panzieri, Montaldi e tanti altri più eccentrici rispetto a filoni
accreditati, ma così interessanti. Insisto sul fatto che i metodi e le analisi
dell’operaismo storico mi sembrano del tutto divergenti dal tema della
decrescita. Con Spinoza vogliamo più “potenze di vita”, ossia liberarci dalle
religioni del risentimento e della colpa…………Dopo corsi e convegni in Francia e
soprattutto a La Villette dove ho insegnato, mi sono resa conto che questo
tardivo interesse (giustificato dal fatto che la ricerca nasce in ambito
anglofono) era strettamente correlato al bisogno di spostarsi d’autorità
dall’antropocentrismo verso una concezione più relazionale di ambiente. Tutto
bene se non fosse che il decoro urbano, pseudo artisti d’avanguardia,
archistar, sociologi etc. non avessero finito per strutturare una nuova
grammatica catalogante giungendo a presupporre “parlamenti degli animali” e
“assemblee del vegetale oppresso”. Al di là di umoristiche considerazioni
ancora una volta non ci si è confrontati con il grande rimosso……….. Guattari fa parte del
grande rimosso delle vampiresche brame accademiche e contro-accademiche,
vecchia questione in cui persino dai nostri ambiti si è voluta attuare la
cesura tra lui e Deleuze, tra loro e i movimenti, tra loro e le
sperimentazioni. Confuso, interessante, incomprensibile, “sin qui si vede che
ha scritto Deleuze qui inizia invece Guattari”. L’ecosofia in Guattari indica
il seguente progetto: “Men che mai la natura può venir separata dalla cultura e
bisogna che impariamo a pensare ‘trasversalmente’ le interazioni tra
ecosistemi, meccanosfere e universi di riferimento sociali e individuali’. Il
suo percorso è oscurato e trovo grave che sia volutamente censurato, confuso e
solo ripreso per slogan da ambiti anche come i nostri. È la non nobiltà di Guattari,
la sua non appartenenza,
il suo essere fuori dagli schemi ad averne permesso il saccheggio e il
misconoscimento, cosa che ci dice della miseria di un presente tutto proteso a
raccogliere punti e visibilità presso riviste di classe A o in contesti di
improbabile dignità. Non è solo accademia, forse e ancor peggio la miseria di
un’anti-accademia priva di luoghi di creazione di sapere e dunque frustrata e
sollecitata dal bisogno di apparire foss’anche per il classico quarto d’ora
evocato da Warhol. Con questa residualità del pensiero odierno noi dobbiamo
fare i conti, così come i conti si devono fare con le sconfitte quando non sono
che sconfitte, intraducibili in epopee. Solo così si reinventa il presente
senza ricorrere a quel carattere
distruttivo, ben indicato da W. Benjamin quando indicava la gioiosa
demolizione del passato: “Il carattere distruttivo non vive per il sentimento
che la vita merita d’essere vissuta, ma perché non vale la pena di suicidarsi”.
Ed infine includiamo una sintesi del
pensiero di Arne Naess e della sua la sua idea di ecosofia, un intreccio
stretto tra “ecologia profonda” e filosofia.
dal sito o-line Brbadillo,it (stralci)
Alpinista
provetto (all’età di 17 anni aveva già scalato le centosei vette più alte della
Norvegia), appassionato di musica classica ed eccellente pianista, professore
di storia della filosofia (unico in tutta la Norvegia dal 1939 al 1954),
attivista ambientalista, Arne Naess (Oslo 1912 – Oslo 2009) è noto al grande
pubblico per essere stato tra i maggiori fautori e teorizzatori dell’ecologia
profonda. Risale al 1973 il famoso articolo in cui Naess distingueva tra
ecologia profonda (che si interroga circa il perché della crisi ecologica,
ponendo domande radicali e cercando di andare al cuore dei problemi) ed
ecologia superficiale (che si limita a proporre correttivi all’interno del
sistema, cercando di conciliare alla bell’e meglio sviluppo e ambiente). Principio
fondamentale dell’ecologia profonda è che tutto è collegato. Ne consegue quella
che Naess definisce piattaforma dell’ecologia profonda, su cui sono d’accordo
tutti i sostenitori dell’ecologia profonda al di là delle loro diverse
concezioni filosofiche o religiose, e che si può riassumere nei seguenti punti:
tutte le varie forme di vita hanno un valore in sé e debbono poter prosperare;
la loro ricchezza e diversità va preservata e difesa dal modello dissennato e
distruttivo sociale ed economico oggi dominante; è necessario cambiare stile di
vita, limitando la crescita della popolazione umana e il saccheggio delle
risorse ed agendo per modificare la politica, l’economia, la tecnologia. Naess
ritiene importante dare all’ecologia profonda una fondazione filosofica: “Uno
dei punti più importanti dell’ecologia profonda è la profondità
dell’argomentazione, ossia, l’argomentare a partire dalle premesse ultime
(filosofiche, religiose. L’ecosofia
è per l’appunto la risposta elaborata dal filosofo norvegese alla crisi
ecologica globale: “Col termine ecosofia intendo una filosofia dell’armonia
o dell’equilibrio ecologico”. L’ecosofia si presenta come una visione
totale della vita, che muove dalla gravità della situazione (ambientale ed
esistenziale) per proporre un cambiamento dello stile di vita. Sotto certi
aspetti l’ecosofia può considerarsi un rilettura attuale del pensiero di
Spinoza, cui Naess dedicò vari saggi: “nessun altro grande filosofo ha tanto
da offrire, sulla via della chiarificazione e dell’articolazione dei
comportamenti ecologici essenziali, quanto Baruch Spinoza.” …………….Obiettivo
primario dell’ecosofia è quello di rileggere l’esperienza e contrastare la
visione filosofica- scientifica del mondo affermatasi nel XVII secolo a partire
da Cartesio, Galileo e Newton, per giungere fino a Kant, che si fonda su una
radicale dicotomia tra oggettivo e soggettivo, tra cosa in sé e cosa per me,
tra qualità primarie dei corpi e qualità secondarie e terziarie. Ricordiamo che
le qualità primarie (struttura geometrico-matematica della natura) sono la
grandezza, la figura, il movimento. Le qualità secondarie sono il colore, il
calore, il gusto, ecc., che erano considerate nient’altro che sensazioni
soggettive. Le qualità terziarie comprendono stati d’animo come doloroso,
bello, minaccioso, patetico, gioioso. La teoria scientifica, che pretende di
descrivere l’oggetto come è “in se stesso” a prescindere dal modo in cui esso è
percepito, impoverisce il mondo, non ci restituisce né la natura né il mondo,
ma solo una struttura astratta. Le scienze, con il loro modello oggettivo di
realtà, ci offrono solamente dei punti di riferimento (come nel caso della
fisica le coordinate di spazio e tempo), ma questi punti non sono luoghi reali,
non esistono come realtà fisiche………..: Bisogna allora, secondo Naess,
modificare la nostra percezione della realtà, distinguendo tra “strutture
astratte”, o entia rationis, ovvero tutti quei concetti più o meno
scientifici, che utilizziamo per organizzare la realtà, e i “contenuti
concreti”, la nostra reale esperienza spontanea del mondo. Al modo
astratto in cui la scienza considera la realtà Naess contrappone dunque
l’esperienza “spontanea” della realtà, cioè non mediata dalle categorie
concettuali-astratte del pensiero. Nella nostra esperienza spontanea non
sussiste alcuna frattura tra oggettivo e soggettivo, tra uomo e natura.
Concetto chiave dell’ecosofia è quella che il filosofo norvegese definisce ontologia della gestalt, cioè il
modo in cui le cose sono nella loro totalità organica: Per Naess, in altre
parole, la realtà non è né soggettiva né oggettiva, ma relazionale.. La realtà
è talmente ricca che hanno pari dignità sia l’albero gioioso che vediamo alla
luce del mattino, sia l’albero malinconico che vediamo di notte, “anche se
nella loro struttura astratta, sono (fisicamente) identici.” Un’ontologia di
questo tipo, che trova connessioni sempre più inclusive fino a giungere alla Gestalt
di ordine supremo, la Natura con la N maiuscola, supera ogni separazione, ogni
dicotomia tra soggetto e oggetto, tra fatti e valori, tra “cosa in sé” e “cosa
per me”. In questo senso, l’ecosofia è innanzitutto un tentativo di offrire
un’ontologia più vera, più autentica, rispetto a quella offerta dalle
concezioni atomistiche e meccanicistiche dominanti…………. Nel pensiero di Naess l’ontologia
fonda l’etica ambientale. La norma etica fondamentale dell’ecosofia di Naess,
che si riassume nel principio della realizzazione di sé, segue naturalmente
dalla particolare ontologia relazionale appena delineata. Segue “naturalmente”
nel senso che non si tratta di una mera norma etica, ma della naturale
conseguenza dell’aver assimilato una certa visione del mondo. Per illustrare il
principio dell’autorealizzazione il filosofo norvegese introduce il concetto di
Sé ecologico, cioè di un Sé più
ampio e profondo rispetto al ristretto io personale. Contro “la concezione
occidentale moderna dell’io definito come ego isolato che si batte in primo
luogo per una gratificazione edonistica o per un limitato senso di salvezza
individuale in questa vita o in quella futura”, Naess sostiene che il Sé
ecologico è solidale con ogni altra forma di vita (in senso ampio, non
strettamente biologico……….Di fronte all’aggravarsi della crisi ecologica
globale Naess, a differenza di altri ecologisti, non ritiene l’uomo un animale
nocivo: “la nostra specie non è destinata ad essere la piaga della Terra. Se
l’uomo è destinato ad essere qualcosa, probabilmente è colui che,
consapevolmente gioioso, coglie il significato di questo pianeta come un’ancor
più grande totalità nella sua immensa ricchezza.”
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