domenica 1 settembre 2019

La parola del mese - Settembre 2019


La parola del mese

 A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni

SETTEMBRE 2019

Sicuramente molti di noi hanno vissuto con un poco di sgomento lo spettacolo, perché di spettacolo si deve parlare, di un vicepremier della nostra Repubblica, in aggiunta Ministro degli Interni, che annuncia urbi et orbi di voler far cadere il Governo di cui faceva parte agghindato in costume da bagno, dalla consolle di un club in riva al mare, circondato da cubiste in tanga. Non ha colpito il merito politico, sempre che di merito si possa parlare, ma hanno fatto impressione il luogo, il contesto, il (non) abbigliamento, i modi, il linguaggio. Eufemisticamente si potrebbe dire che si trattava di qualcosa di più di una dimostrazione di sfrontato anticonformismo. Difficile se non impossibile non aver avuto un moto di sgomento per noi di Circolarmente che continuiamo, compatibilmente con le nostre modeste risorse e capacità, l’impegno a promuovere una migliore cittadinanza attiva basata innanzitutto su conoscenza e cultura attraverso, elemento non secondario, un confronto pacato anche nelle forme, ma tutt’altro che “bacchettone”. Uno sgomento accentuato dalla consapevolezza che quell’episodio è emblematico di una situazione generale sempre più diffusa. Quasi in contemporanea allo spettacolo in questione è apparso un articolo di Alberto Asor Rosa che, riflettendo sui medesimi fenomeni, usava un termine che riassumeva perfettamente il nostro stesso giudizio. Ci è sembrato utile presentare questa parola come quella “del mese” ,perché se tanto è semplice ed immediato il suo significato, tanto sono complessi e preoccupanti gli scenari che ne derivano.

Imbarbarimento

Imbarbarimento = Diffuso decadimento del livello culturale e dei valori civili.

E’ bene ogniqualvolta si richiamano i barbari nella loro ormai consolidata accezione negativa, ricordare il torto che viene loro fatto. Torto che ci è stato illustrato dal prof. Alessandro Barbero nella conferenza tenuta, per il nostro programma di allora, nel Novembre 2017 dal titolo “Le invasioni barbariche”. Il termine “barbaro” deriva dal greco antico “barbaros” . letteralmente balbuzienti”, ed indicava semplicemente le genti che, venendo da fuori, non parlavano greco.  Solo successivamente è diventato il modo di definire genti “selvagge”. Ma i barbari che spiegano l’attuale imbarbarimento non vengono da fuori. E’ quanto evidenzia Asor Rosa nell’articolo citato

I barbari visti da vicino
articolo di Alberto Asor Rosa – La Repubblica 12 agosto 2019
È da molto tempo che non mi capitava di cogliere un’eco di cose da me dette e pensate nelle dichiarazioni di politici illustri (o presunti tali). Accade oggi, quando leggo che Beppe Grillo denuncia con forza il rischio in Italia di “nuovi barbari”. È la conclusione cui io giungo in una delle pagine finali del mio “Machiavelli e l’Italia” recentemente apparso. I veri “barbari”, in Italia, non vengono più da fuori, come lamentavano e temevano Machiavelli e Guicciardini e tanti altri nella fase conclusiva del nostro Rinascimento, ma ora, — scrivo io, — sono qui da noi dappertutto, un’invasione cresciuta internamente, che rischia di diventare catastrofe. Naturalmente non si tratta — suppongo — di una citazione, ma di una coincidenza. Però anche le coincidenze hanno un loro peso e significato. Perciò, legittima è secondo me la domanda: è vero che siamo minacciati da “nuovi barbari”, da una nuova ondata barbarica?  La mia risposta è senz’altro positiva. La “barbarie” è quel tipo di fenomeno storico che prevede, sia istituzionalmente sia spontaneamente, la distruzione di ogni aspetto dell’assetto precedente, nell’assoluta vaghezza dei tratti e delle caratteristiche di quello che dovrebbe sostituirlo. In questo senso Matteo Salvini è un autentico barbaro, anche fisionomicamente, direi (o almeno così ha deciso di apparire, e ci riesce benissimo), e non semplicemente un Ostrogoto o un Visigoto, che per lunga contiguità finirono per addomesticarsi e “aderire”, ma un Unno, un Vandalo, cui importa soltanto che il vecchio sistema precipiti. Se le cose stanno così, — e io penso che stiano così, — è evidente che appare lecito e giusto esperire innanzi tutto tutte le misure atte a contrastare l’ondata barbarica. Anche Romolo Augustolo ce l’avrebbe fatta, se nei decenni precedenti qualcuno si fosse mosso seriamente, in provincia e a Roma, in questa direzione. Quindi, l’isolamento bellico (faccio per dire naturalmente) del barbaro è la condizione preliminare di qualsiasi passaggio successivo. E però... E però... Affidarsi in prospettiva a qualche (apparentemente) astuta manovra parlamentare e politica sarebbe anche questa volta un rimedio peggiore del male. Infatti: se il Barbaro oggi avanza, ciò accade perché l’Italia è stata sottoposta nel suo complesso, nel corso degli ultimi decenni, — come l’antica Roma, si potrebbe azzardare. — a un autentico processo di “barbarizzazione”. È assolutamente ovvio quello che sto per dire, ma devo dirlo, per concludere. Il capo barbaro rischia di prevalere, soprattutto perché, come ho già scritto altrove, la “barbarie” oggi è dappertutto, costumi, persuasioni etiche, forme della politica, rapporti umani, persino, come è stato più volte notato, usi e abitudini della lingua, impropriamente ormai, definita nazionale, ecc. ecc. Se non s’interviene a cambiare tutto questo (cominciare a cambiare), il barbaro avrà comunque il sopravvento, come accadde nell’antica Roma. Per farlo, non basta l’ampiezza formale della risposta. Bisogna cambiare le cose, tutte le cose, con idee, programmi, comportamenti... e una visibile, da chiunque inattaccabile buona fede. Lo raccomandava già cinquecento anni fa, dalla sua altezza di pensiero, Niccolò Machiavelli, possibile che non abbiamo ancora imparato questa semplice lezione?

Questo è l’indubbio quadro dell’italico imbarbarimento. Con il quale siamo costretti a fare quotidiani conti, in tutti gli aspetti delle relazioni sociali. Perché deve essere chiaro che i barbari non vivono e si muovono solo nell’ambito politico. Purtroppo persone e comportamenti barbari albergano in modo diffuso, e purtroppo crescente, nella società italiana tutta e semmai alimentano, venendo a loro volta alimentati e sdoganati, le barbarie in campo politico. Quella a cui siamo chiamati è quindi una riflessione autocritica ad ampio raggio. Non è sufficiente lo sgomento, non ci si può fermare al prenderne le distanze e s degnarsi. Occorre individuare le cause di questa decadenza ed attivare ogni possibile azione correttiva. In ogni ambito della nostra società ed in ogni luogo preposto alle relazioni sociali. Un primo contributo in questo senso può venire da questo articolo tratto dal sito on-line “Cosmopolis, rivista di filosofia e teoria politica” N° 1–2/2018 a firma di Stefano Martelli (professore di Sociologia dei processi culturali ed educativi presso l’Università di Bologna) che offre una riflessione a campo lungo sulle possibili matrici culturali e sociali dell’imbarbarimento, in particolare con un interessante aggancio ai modelli comportamentali indotti dal mondo dello spettacolo e dello sport

L'erosione del tessuto civile dell'Italia
Premessa
Maleducateneo: è questo il titolo della copertina di “Campus” (ottobre 2009). La rivista, di grande diffusione perché distribuita gratuitamente in molti atenei italiani, già in quel anno ha dedicato sia l’editoriale del primo numero del nuovo anno accademico (p. 6), sia un dossier (pp. 18-22) a stigmatizzare comportamenti incivili di docenti e studenti universitari. Per restare ai primi, si legge di professori che chiacchierano tra di loro di argomenti privatissimi e ridacchiano mentre stanno svolgendo esami orali o ascoltando la discussione di tesi di laurea; di altri che rispondono al cellulare interrompendo la lezione o gli esami; di altri ancora che fissano un ricevimento studenti il 22 agosto senza poi presentarsi e senza neppure avvisare gli studenti, alcuni fuorisede, con un foglio scritto o con un avviso messo sul sito web di Facoltà. Ciascuno di noi potrebbe contribuire al cahier de doléance dell’inciviltà raccontando episodi di cui è stato testimone – dal comportamento in autobus irriguardoso verso anziani disabili o mamme in dolce attesa o con bambini piccoli, a quello degli automobilisti prepotenti nel traffico delle ore di punta, al gergo insolente e volgare che inframmezza anche le normali conversazioni. Tuttavia il fine di questa sezione monografica è quello di riflettere sull'imbarbarimento della vita civile in Italia, e pertanto darò un contributo di tipo sociologico per individuare le cause che favoriscono l’erosione del tessuto civile del nostro Paese. A mio avviso occorre distinguere tra la tendenza evolutiva generale – l’affermarsi della società “post”-moderna, ovvero della comunicazione “glocale” – e ciò che appare invece specifico del nostro Paese. A livello generale occorre interrogarsi sui diversi fattori, materiali e culturali, che favoriscono o, al contrario, si oppongono all’evoluzione sociale. Seguendo l’appassionata ricostruzione fatta da Norbert Elias del processo di incivilimento, mi chiederò se oggi non si sia giunti ad una battuta d’arresto e mi interrogherò sulle caratteristiche della società “post”-moderna. Adottando la prospettiva offerta dalla sociologia relazionale noterò che fattori strutturali sono legati a cambiamenti nella sfera culturale e anche a modifiche nella socializzazione e nella formazione dell’identità personale, che oggi avviene in un ambiente ricco di simboli e di messaggi provenienti dai mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi, ma anche straordinariamente povero di relazioni umane significative e privo di contesti comunitari che favoriscano l’interiorizzazione dei valori.
L’individualismo consumistico che si sta diffondendo costituisce una situazione inedita, che pone grandi sfide educative alle capacità di una società di restare integrata. È, questa, una condizione comune a tutte le nazioni sviluppate, ma essa in Italia assume aspetti di particolare gravità a causa di una particolare situazione politica, creata da tendenze a delinquere proprie delle élite dominanti, che oggi si traducono in atti di governo, in leggi ad hominem e in programmi di revisione della Carta costituzionale e quindi del patto stesso di cittadinanza, in senso oligarchico e censuario. Su questa pericolosa deriva italiana non è il caso qui di trattenersi, perché già approfondita da questa rivista. L’obiettivo invece di questo contributo, perseguito collegando l’analisi “macro”-sociologica del processo di incivilimento al piano “micro” dei comportamenti individuali, sarà invece quello di illustrare le trasformazioni materiali e socio-culturali in atto, che favoriscono comportamenti incivili o “barbari” nella vita quotidiana. Questi ultimi appaiono conseguenze impreviste – anzi, «perverse» – dei grandi progressi tecnologici e materiali finora compiuti, i quali tuttavia non si sono accompagnati a strutture culturali e a trasformazioni nella personalità di base in grado di reggere le esigenze dell’ulteriore avanzamento nel processo d’incivilimento. Qualche esempio sul formarsi di inedite connessioni tra i sistemi sociali, ad esempio tra lo sport, da un lato, e il mondo della produzione e della pubblicità, dall’altro, grazie alla presenza diffusa dei mezzi di comunicazione – specie la televisione –, favorirà la comprensione dell’attuale dinamica socio-culturale. In effetti la «società dello spettacolo. favorisce il formarsi di personalità narcisisticamente orientate, e questo a mio avviso costituisce la causa prossima dell’inciviltà lamentata, così come della disgregazione del tessuto sociale nelle società occidentali, fenomeno più accentuato nel nostro Paese per ragioni specifiche di lungo e breve periodo
1. Il processo di incivilimento e le sue lentezze
Com’è noto Norbert Elias, il sociologo tedesco di cultura ebraica che, fuggito dalla Germania nazista, a Leicester (GB) ha fondato assieme ad Eric Dunning la prima scuola europea di sociologia dello sport, nelle sue opere ha inserito il processo di sportivizzazione all’interno di una grande analisi sullo sviluppo sociale dell’umanità. Specie ne La civiltà delle buone maniere e in Potere e civiltà Elias ha ricostruito il lento e faticoso consolidarsi in Europa, a partire dalla società feudale, di strutture di addomesticamento della violenza; queste si collocano sia a livello “micro”-sociologico (controllo degli impulsi individuali), sia a livello “macro” (consolidarsi dell'apparato statale). Nelle suddette opere, ora riunite nel volume dal titolo Il processo di civilizzazione egli mostra di aver tenuto presente sia la lezione di Max Weber sulla genesi delle istituzioni moderne, in particolare lo stato, sia l’istanza freudiana della necessità dell'autocontrollo e della repressione istintuale, al fine di prevenire il «disagio della civiltà». Quest'ampio lavoro – in cui il sociologo tedesco padroneggia un imponente materiale storico sforzandosi di cogliere le tendenze sociali emerse nell’arco dell’ultimo millennio, e ciò senza cadere nell’idiografia ma facendo sociologia processuale – ricostruisce il lento incivilirsi della cavalleria feudale a partire dal X secolo, il suo parziale trasformarsi in una “curia” intorno al sovrano, il sorgere nelle corti principesche di una «civiltà delle buone maniere» che si esprime in varie forme, tra cui hanno avuto una funzione di tutto rilievo le regole dell'etichetta (come comportarsi bene a tavola, come tenere una conversazione o comportarsi educatamente nelle relazioni interpersonali, ecc.). Alcune norme – ad esempio, l'uso delle posate per portarsi il cibo alla bocca anziché afferrarlo con le mani; il nettarsi la bocca col tovagliolo anziché colla manica della giacca, ecc. – hanno faticato molto a vincere la resistenza dei comportamenti tradizionali; una volta però che i comportamenti più “civili” sono stati socialmente approvati, essi – nota Elias – vengono trasmessi nella socializzazione dei nuovi nati come cosa “ovvia”. Lentamente il processo di incivilimento avanza elevando le soglie delle “buone maniere”, ovvero rafforzando l'autocontrollo individuale e la repressione degli istinti: in tal modo si stabilizzano personalità più civili – è una legge fondamentale della psicogenesi – e, al tempo stesso, nella storia emergono formazioni sociali più evolute – è la sociogenesi della civiltà. In sintesi il sociologo tedesco condivide la concezione evolutiva della storia ma, a differenza di altri – sia “classici” (Comte, Spencer, Durkheim) sia contemporanei (Parsons) –, è consapevole della lentezza e, soprattutto, della precarietà del processo. Se la direzione verso cui scorre il fiume della storia è un grado maggiore di civiltà, non è affatto certo che la corrente sia rapida, né che il cammino sia privo di ostacoli; si verificano pertanto stagnazioni o, addirittura, riflussi. Elias non offre previsioni sugli esiti futuri del processo di incivilimento, però si dimostra convinto della validità del percorso fatto dalla civiltà europea e appare prudentemente ottimista sull’estendersi ad altre società dell’unica civilizzazione. La ragione di questa prudenza eliasiana è dettata dall’attenzione a una duplice pre-condizione della riuscita: occorre infatti che le strutture sociali, pur nelle inevitabili trasformazioni e adattamenti a un ambiente via via più complesso, restino coerenti con i valori universali e, al tempo stesso, favoriscano l’emergere di nuove interpretazioni di detti valori; inoltre, che personalità all’altezza degli imperativi e delle competenze sociali richieste continuino a riprodursi nei gruppi primari (famiglia, reti parentali) e secondari (scuola, chiesa, gruppi giovanili, ambienti di lavoro, ecc.). In breve il processo di civilizzazione si regge e potrà svilupparsi solo combinando la creazione di strutture della personalità progressivamente più controllate e distaccate dalle emozioni (livello psico-genetico), con strutture della società progressivamente più differenziate ma anche coordinate da centri organizzatori e propulsori (livello socio-genetico).
In breve l’intera opera di Elias è dedicata ad individuare le strutture sociali e psichiche che si sono formate in questa lunga evoluzione socioculturale, che ha interessato l’ultimo millennio dell’umanità. Egli mette in evidenza il gioco reciproco di rafforzamento o, al contrario, di indebolimento delle strutture sociali e di quelle della personalità: in tal modo ammette pure la possibilità di retrocedere dai livelli di civiltà faticosamente raggiunti, com'è avvenuto in Europa negli anni 1930-'40 con la barbarie dei regimi totalitari (nazismo, fascismo, comunismo).
2. La società “post”-moderna o “dello spettacolo”: una battuta d’arresto nell’incivilimento della società occidentale?
Una battuta d’arresto del processo di incivilimento: è, questa, l’impressione diffusasi nei primi anni di questo terzo millennio, iniziati col crollo delle Twin Towers di New York abbattute dal gruppo terrorista islamico Al Kaheda (2001), e poi proseguiti con guerre in Medio Oriente, che hanno offerto il pretesto per l’arretramento dei diritti civili fondamentali persino nei paesi occidentali. Ciò nel quadro di un aggrovigliarsi della crisi economica, in cui il rincaro delle materie prime (non solo petrolifere!) e le insolvenze della finanza internazionale (2008-09), combinandosi con politiche di restrizione del credito al fine di evitare l’inflazione, ha provocato chiusure di fabbriche e di istituti bancari, licenziamenti in massa, e la crisi di un intero modello di produzione, basato sullo sviluppo illimitato e libero da valori che non siano la massimizzazione del profitto individuale.
Solo dopo il crollo di tante certezze si torna a ragionare sui limiti dello sviluppo, sulla necessità dei valori negli affari e si dichiarano i primi impegni per evitare conseguenze irreparabili sull’ambiente (vertice di Copenhagen 2009). Documenti come l’enciclica di Papa Benedetto XVI Caritas in Veritate (2008) richiamano a un modello di sviluppo solidaristico tra i popoli, basato su energie rinnovabili e tecnologie “soft” e a basso consumo, a cominciare dalla micro-elettronica e dalle bio-tecnologie.  Nel frattempo analoghe profonde trasformazioni sono avvenute nelle strutture culturali. Le «narrazioni della modernità», le grandi ideologie che hanno animato guerre e rivoluzioni per oltre un secolo, appaiono oggi de-costruite, eppure il loro posto è stato preso da nuove ideologie “dimezzate”, come il consumismo. La maggiore libertà acquisita appare illusoria, a fronte della caduta di tensione morale verso l’avanzamento della società, sostituito da un’idea ingenua di facile arricchimento individuale. Il progresso sociale oggi viene messo in discussione non solo in termini di possibilità, ma – cosa ancora più preoccupante – in termini di valore: si nega l’idea stessa di evoluzione sociale, e con ciò ci si condanna a non avere più un modello collettivo di riferimento. La negazione di un tal fine – il progresso della e nella civiltà – avviene non solo a livello etico, ma anche epistemologico: crescono i dubbi sulla capacità della ragione di conoscere oggettivamente la natura e la società. Viene così compromessa la plausibilità stessa del «modello-scala» – l’avanzamento di tutte le società su una via comune perché unica, così tenacemente difeso da Elias contro la sociologia funzionalista allora dominante, e si teorizzano vie plurali – il «modello-collana» –, o anche l’impossibilità stessa che i processi sociali in corso portino a un progresso. Il relativismo oggi sembra prevalere, ed erodere, qualsiasi posizione costruttiva e progressiva; però in tal modo il pensiero occidentale dubita del progresso stesso – il progetto della modernità! – e rinnega la propria eredità culturale, condannandosi a restare privo di identità e di orientamento per l’avvenire.
Uno dei compiti oggi irrinunciabili per le scienze – tra cui la stessa sociologia dei processi culturali – potrebbe essere proprio questo: comprendere le pre-condizioni socio-culturali del relativismo “post”-moderno e reagire, ri-legittimando il progresso come processo orientato ad un fine di incivilimento. Vorrei riassumere un’ampia analisi, che richiederebbe tempi e spazi assai maggiori di quanto siano disponibili in questa sede, facendo un solo esempio: al fine di sostenere la tesi che l’imbarbarimento della vita civile, di cui si parla in questo fascicolo, è un effetto imprevisto e perverso dei successi ottenuti dalla modernità, mostrerò che lo sviluppo dei mass media – specie la televisione! – e la diffusione dello sport, quale pratica – sia attiva, sia passiva – nel tempo libero favoriscono l’affermarsi di comportamenti consumistici e orientati al self individuale, i quali però hanno un effetto deleterio in termini di incivilimento. Più precisamente l’esempio che porterò mostra la convergenza in atto tra strutture sociali – sia materiali, sia culturali –, che per brevità chiamerò la «società dello spettacolo», e il tipo oggi dominante di personalità, che chiamerò «individualismo consumista», la quale ha come effetto collaterale il lamentato imbarbarimento della vita civile.
3. Il circuito media-sport-aziende: le basi strutturali dell’individualismo consumista
L’enorme sviluppo dei media nella società contemporanea alimenta l’immaginazione degli individui in molteplici modi, offrendo loro modelli di comportamento, quadri d’azione e modi di pensare, che diventano per ciascuno di essi altrettante risorse nella vita di tutti i giorni e nella costruzione della propria identità. Le riviste offrono ricette che sollecitano l’ambizione di poter realizzare un pranzo perfetto; la pubblicità delle vacanze genera il sogno ad occhi aperti di potersi godere spiagge incontaminate, sole e libertà; la televisione offre nelle soap opera esempi di interazione tra individui, che possono divenire risorse nei rapporti sociali; il cinema tramite i suoi divi, e lo sport tramite i suoi campioni offrono alla gente, specie ai più giovani, modelli di identificazione su cui fantasticare. In breve, i media nella società contemporanea sono risorse per l’immaginazione degli individui: essi abituano la gente a guardare la realtà come uno «spettacolo». Muoversi nella vita sociale come se si assistesse ad una rappresentazione, di cui ciascuno di noi è solo uno spettatore, è un modo di vivere tipicamente “post”-moderno, che si distingue sia per la durata – che è indefinita, rispetto alla brevità dell’evento che gli antichi vivevano recandosi al teatro o al tempio –, sia per le sue cause: la società dello spettacolo a molti appare una delle conseguenze della colonizzazione della vita quotidiana tramite lo scambio di merci, attuata dal capitalismo “maturo”. Anche sotto questo aspetto si può misurare tutta la distanza che intercorre tra l’attuale formazione sociale e la prima modernità, in cui filosofi e sociologi di opposta ideologia, come Karl Marx, Auguste Comte ed Herbert Spencer, concordavano però nella pretesa di trasformare il mondo per migliorarlo. Oggi, invece, nella società “post”-moderna, ci si accontenta di osservarlo. L’attuale società è pure caratterizzata dal diffuso narcisismo. Una società è tale se la gente agisce come se fosse sempre osservata da qualcuno, come se ciascun individuo fosse al centro dell’attenzione di un pubblico, reale o immaginario che sia. Christopher Lasch ha notato che la società attuale è caratterizzata dalla diffusione di un tipo particolare di personalità, la narcisistica, più di frequente rintracciabile nelle posizioni sociali più elevate ed influenti. Nel lavoro il narcisista non è interessato a ottenere risultati duraturi né al progresso sociale, ma mira solo all’apparenza e al successo immediato.
Cambiamenti nei modelli di socializzazione, sia in famiglia, sia nei luoghi di lavoro, i quali sono stati favoriti dal grande sviluppo di televisione e altri media, hanno favorito l’emergere di personalità, che sono preoccupate narcisisticamente solo delle apparenze, mentre non si preoccupano affatto di conseguire obiettivi socialmente rilevanti o di fornire prestazioni utili alla comunità. Il tratto principale è un’ipertrofia del sé, che non conosce limiti o confini rispetto al mondo. Ne consegue pure l’aumento dei problemi sociali e un accresciuto senso di disagio individuale.In una società narcisista la realtà è concepita come un succedersi di spettacoli, in cui c’è qualcosa da vedere e in cui farsi vedere. Il legame tra il narcisismo come pratica socializzatrice diffusa, lo spettacolo, la produzione di merci e la formazione sociale “post”-moderna e della comunicazione globale è assicurato dai media, la cui pervasività in ogni ambiente sociale consente il funzionamento di questo sistema. Lo sport, in particolare i grandi eventi teletrasmessi come le Olimpiadi, le Paralimpiadi e i Campionati internazionali di calcio, sono un esempio di come la società dello spettacolo al tempo stesso promuova i consumi e rafforzi le tendenze narcisistiche degli individui.
Lo sport è un campo che offre molti e rilevanti esempi della riuscita circolarità tra strutture sociali – materiali e culturali – e la formazione delle identità personali, su cui si fonda la società “post”-moderna. La fig. 1 mostra il circolo “virtuoso” realizzatosi tra media, vita quotidiana, rappresentazione e spettacolo/narcisismo a livello individuale (micro-sociologico); la disciplina sportiva scelta per l’esemplificazione è il calcio, mentre i media sportivi svolgono una funzione lubrificante del circuito. In questa prospettiva anche le audience, e in particolare le audience sportive, hanno assunto nuove caratteristiche rispetto al pubblico che nelle formazioni sociali pre-moderne si recava a teatro o al tempio. L’audience mediale attuale è pure differente dalle masse che nella prima età moderna leggevano i giornali, andavano al cinema oppure ascoltavano la radio. Tifosi e fan per Abercrombie e Longhurst sono esempi di audience diffusa, che essi considerano un terzo tipo di pubblico, apparso nella seconda fase della modernità grazie alla pervasività dei media e al formarsi di un senso di appartenenza ad una «comunità immaginata» – un processo favorito dall’attuale società narcisistica e dello spettacolo. Oggi è evidente il nesso stabilitosi tra costruzione dell’identità individuale e media – bypassando gli ambienti educativi tradizionali (famiglia, scuola e chiesa), che altrove ho proposto di chiamare «videosocializzazione». Ad esempio i tifosi di una squadra di calcio che gioca nei tornei internazionali sviluppano più facilmente un senso di appartenenza ad una comunità immaginata: seguire in televisione (a pagamento) le partite internazionali della propria squadra vestiti della maglia del club e festeggiare i goal e le sue vittorie uscendo in piazza e sventolando la bandiera o la sciarpa, consente a questi tifosi di sentirsi parte di una collettività. Questa si distingue dalla comunità tradizionale, basata sugli incontri “faccia a faccia”, per il fatto che le relazioni tra i membri, pur decontestualizzate, sono assicurate da simboli sportivi e vengono ricreate virtualmente dalla fruizione televisiva della partita e dal gossip che la segue.  In breve lo sport “mediato” svolge una funzione rilevante nel quadro della società “post”-moderna, ovvero dello spettacolo e della comunicazione globale, che qui ho sinteticamente descritto. I media sportivi oggi si sono moltiplicati: oltre ai mass media tradizionali (giornali a stampa, radio e cinema) oggi il tifoso ha a disposizione la televisione digitale terrestre e quella satellitare (free o a pagamento), ma anche internet e il videocellulare. Tali mezzi di comunicazione riversano nelle case e negli ambienti sociali una quantità finora inimmaginabile di immagini e di eventi sportivi, e questi consentono ai tifosi di plasmare la propria identità, coltivando il proprio senso di appartenenza ad una (o più) squadre acquistandone la maglia i gadget e i prodotti sponsorizzati, seguendola nelle trasferte e così aderendo nei fatti all’individualismo consumista, che è l’ideologia soft della società “post”-moderna e dello spettacolo.
Conclusione
Come qualsiasi fenomeno sociale, il reciproco rafforzamento oggi in atto tra industria dello spettacolo (piano “macro”-sociologico) e narcisismo individuale (piano “micro”) comporta aspetti positivi e aree di debolezza. Dal mero punto di vista economico i conti “tornano” per ciascuna delle istituzioni – sportive, mediali e aziendali – che compongono il circuito dello spettacolo. Dalla vendita dei diritti di trasmissione televisiva dei grandi eventi sportivi il Comitato olimpico internazionale e la Fifa incassano miliardi di dollari, con i quali riescono ad organizzare Olimpiadi, Paralimpiadi e Campionati mondiali di calcio, e in più a sostenere l’espansione dell’olimpismo o del football/soccer nei paesi in via di sviluppo. A loro volta, trasmettendo le competizioni sportive, le grandi catene televisive – la Nbc negli Usa, le antenne europee aderenti all’Ebu, l’australiana Channel 7, ecc. – sono in grado di attirare pubblici immensi e quindi a loro volta di rifarsi delle spese incassando cifre ancora maggiori dalla vendita degli spazi pubblicitari inseriti nei programmi sportivi. Infine le aziende sono felici di pagare tali cifre, pur di promuovere i propri prodotti con spot pubblicitari che saranno visti da audience vastissime e che, trasformatesi in clienti, riverseranno profitti decuplicati nelle loro casse. Eppure i conti non tornano dal punto di vista sociale. Lo spettacolo sportivo – come gli altri tipi di spettacolo ma di certo in maniera assai più incisiva – rafforza la personalità narcisistica, che appare il tipo prevalente nella formazione sociale “post”-moderna. Gli individui non sono solo centrati su se stessi, assorti nel piacevole compito di consumare beni e di auto-gratificarsi materialmente e simbolicamente, ma soprattutto appaiono insensibili ai diritti altrui, disattenti al bene comune e disimpegnati nella sfera pubblica. Peraltro questi narcisisti sono anche pericolosamente soli e per di più appaiono impauriti di fronte alle sfide che un cambio epocale comporta, tanto da prestare orecchio a politici che, novelli profeti di sventura, fanno leva sulla demagogia e sulla xenofobia per far passare leggi ed azioni incivili. In altri termini l’imbarbarimento che si nota nella società italiana non è solo la somma di tante cadute individuali dalle buone maniere, ma è pure il risultato di paure e tensioni collettive dovute al forte cambiamento in atto, che richiederebbe personalità all’altezza delle tante possibilità offerte da una società complessa, ma che dai più vengono rifiutate in nome del quieto vivere o della sindrome narcisistica. Purtroppo l’aver smarrito la via dello sviluppo come incivilimento ha un prezzo elevato: l’aggressività e la paura alimentano scelte irrazionali, che vengono adottate solo perché “nuove”. Se poi a queste difficoltà a individuare soluzioni virtuose – che l’Italia condivide con gli altri paesi sviluppati –, si accompagnano condizioni depressive locali, quali quelle create nel Belpaese da politiche di governo cesaristiche e demagogiche, il quadro non potrà non essere preoccupante e confermare la diceria corrente, che i barbari sono di nuovo tra noi, anzi, siamo noi stessi, nella misura in cui cediamo all’illusoria potenza delle tecnologie più avanzate e alle suggestioni della società dello spettacolo.

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