La
parola del mese
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri
collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
FEBBRAIO
2020
E’ questa la copertina della recente
riedizione, uscita per i titoli della Marsilio, di un saggio “Ira e tempo” di
Peter Sloterdijk, filosofo tedesco contemporaneo, fra i più seguiti ed
influenti pensatori del nostro tempo e come tale più volte citato nelle nostre
iniziative, già uscito nel 2006. Nessuna
confusione: non stiamo pubblicando il “Saggio del mese”, semplicemente questo
libro, tanto complesso quanto affascinante, ci ha fornito lo spunto per la
“Parola del mese”, che è…….
(passione) TIMOTICA
Timotica/timotico,
sia aggettivi che sostantivi, derivano dalla parola greca θυμός traslata in
Thumos, ma più frequentemente in Thymos,
a indicare l concetto di ‘anima
emozionale’, legandola strettamente al respiro ed al sangue. La sua
traduzione nel latino “fumus” ha non a caso dato a Thymos/Timotica il significato fondamentale di ‘ribollimento’,
connettendolo per l’appunto al flusso sanguigno. In questo quadro il suo
significato si è sovrapposto a quello di “ira”, da intendersi però nella sua originaria
accezione greca classica. La parola esprime altresì il desiderio umano per il
riconoscimento e il principio di vitalità, la capacità di agire in modo forte
ed energico.
Sloterdijk affronta infatti il tema delle odierne
culture e forme dell’ira, della passione
timotica, che dall’essere considerata nel mondo greco un atteggiamento
emozionale con valenza positiva, una vera e propria “virtù”, sembra essersi ridotta
nell‘odierno discorso pubblico, in un legame inscindibile tra le dinamiche
della psiche individuale e collettiva. a semplice e riduttivo collante del rancore
moderno generato dalle profonde, ed incontrollate, mutazioni sociali,
economiche e politiche E’ opinione
condivisa e sostenuta da più studiosi, Sloterdijk compreso, che questo processo
si sia innescato in modo diffuso in concomitanza con la crisi di rappresentanza
dei grandi contenitori politici novecenteschi, partiti di massa e movimenti
ideologici, i quali a lungo hanno svolto la funzione di una sorta di “banche
dell’ira”, essendo capaci di convogliare
tale sentimento verso utopie
rivoluzionarie, o verso l’Aldilà delle religioni monoteiste.. Secondo
Sloterdijk il fallimento delle “banche dell’ira” ha così lasciato spazio
diffuso ad una versione riduttiva, cieca e rancorosa, e in quanto tale
pericolosa e condannabile, della passione
timotica. A suo avviso ben altro ruolo e spazio sarebbe invece ancora necessario
conferirle recuperando il suo vero significato originario. Un significato confinato
ai margini della cultura occidentale, ed europea in particolare, prima dal
prevalere nei primi secoli della cristianità, di una sua condanna morale,
basata sulla piena e serena, se non rassegnata, accettazione del volere divino,
poi a seguire in tempi recenti dall’avvento della psicanalisi freudiana e dal suo
porre al centro dei moti d’animo umani la pulsione erotica. Ma la vera e piena
espropriazione della passione timotica
è stata progressivamente compiuta da dispositivi politici e di potere che
l’hanno egemonizzata, incanalata, ponendola al servizio di interessi piuttosto
che di ideologie. Salvo poi, per l’appunto, non essere più in grado di
indirizzarla sdoganando, come inevitabile reazione, la sua versione puramente rancorosa. (“Ira e tempo” è una finissima analisi di questa involuzione, di questa
cancellazione, della passione timotica). Eppure viviamo tempi e processi che per
esser affrontati e gestiti richiederebbero proprio di porre fine a questa
eclisse della passione timotica, di
tornare a vivere una disposizione
d’animo resa indispensabile dalla posta in palio. Due esempi, fra i tanti, che
aiutano a comprendere cosa si debba intendere, in termini positivi, come passione timotica: pochi anni addietro
ha avuto, soprattutto tra i giovani, un successo, imprevisto e clamoroso, il
pamphlet di Stephane Hessel “Indignatevi”, un accorato e “timotico” appello a reagire alla crescenti ingiustizie e
disuguaglianze. Greta Thumberg è da molti accusata di essere inflessibilmente rigida
ed agguerrita nel denunciare i colpevoli dell’incombente disastro ambientale. L’indignazione
e la durezza critica rientrano pienamente nel novero delle passioni timotiche, quelle che in modo diffuso dovremmo rimettere
in campo. Una passione che inoltre contiene in sé un altro decisivo valore
aggiunto: l’ira, nella sua declinazione nobile, comporta l’indissolubile
passaggio all’azione, alla “prassi”. La passione
timotica non si completa, non è coerente con il moto d’animo che attiva, se
non si traduce in azione concreta. E’ questo in estrema sintesi il senso ultimo
del saggio di Sloterdijk, che ha avuto, fin dal 2006, molti riscontri e riprese
che tuttora proseguono. Citiamo ad esempio l’ottimo saggio di Enrico Donaggio,
professore di Filosofia della Storia presso l’Università di Torino, “La società
livida. Peter Sloterdijk e le catastrofi timotiche”
– Ed. Franco Angeli 2008. E quindi, viste le temperie che l’’umanità deve
affrontare, non è certamente né casuale né fine a sé stesso il fatto che “Ira e
tempo” sia stato di recente ristampato
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Pubblichiamo inoltre, per chi fosse
interessato a meglio conoscere la contraddittoria storica involuzione della “passione timotica” un commento sul
tema:
TYMOS E NATURA UMANA Recensione di: Peter Sloterdijk, Ira e
tempo. Saggio politico-psicologico - Silvia Rodeschini Università di Bologna,
Dipartimento di Filosofia,
Il
tema di questo saggio di Peter Sloterdijk è, come recita il titolo, l’ira: la
ricerca ricostruisce l’evoluzione nella storia dell’Occidente di questa
particolare passione, che per venire correttamente intesa deve essere osservata
nella relazione che intrattiene con il tempo. Essa, infatti, pur venendo
descritta in generale come una passione vincolata al presente, all’esplosività
e alla dispersione momentanea di energia vitale, in realtà svela – nell’ottica
dell’autore – la sua natura e il suo ruolo politico, solo se la si osserva
proiettata all’indietro o in avanti nella dimensione temporale. O meglio, è
possibile cogliere la sua rilevanza entro i rapporti sociali solo se si osserva
il modo in cui essa viene messa in rapporto con il passato e, soprattutto, con
il futuro. Il punto partenza e la prospettiva della ricerca vengono chiarite
proprio nell’introduzione quando l’autore centra l’attenzione su due importanti
questioni: in primo luogo che nella storia della cultura l’insieme di
atteggiamenti, disposizioni d’animo e comportamenti associati al thymós – termine greco che indica il
principio della vitalità, per estensione, la disposizione dell’anima a reagire
energicamente, ad accendersi e quindi, in senso lato, l’ira – sono soggetti a mutamenti rilevanti, pur
conservando un senso di dissipazione energetica e, in secondo luogo, che
nell’ambito delle descrizioni psicologiche novecentesche che definiscono la
natura dell’uomo ad essa è stato riservato pochissimo spazio, poiché tutta
l’attenzione – almeno a partire dall’opera di Sigmund Freud – ha teso a
concentrarsi sulla disposizione erotica dell’individuo nei suoi rapporti tanto
con gli altri quanto con il mondo. La
rappresentazione dell’ira di Achille nell’incipit dell’Iliade ci mostrerebbe,
infatti, sia la centralità che la sfera timotica
ha nella costituzione della natura umana, seppur largamente misconosciuta, sia
la distanza che vi è tra noi e gli antichi. Omero rappresenta Achille adirato
per la morte di Patroclo come un personaggio che – alla stregua di un vaso –
viene riempito dall’energia primaria dell’ira che lo spinge a vendicare l’amico
e che il poeta si accinge a rendere memorabile, essa accompagna l’eroe nelle
sue azioni ma non costituisce un tratto fisso della sua personalità. Questa
rappresentazione inscrive questa passione nel cuore della storia dell’Occidente
e in particolare nella storia delle energie auto-affermative che per mezzo
dell’uomo modificano il mondo ma, d’altro canto, ci indica in quale misura la
nostra antropologia tutta centrata sull’uomo come fucina delle passioni, si sia
mutata nel tempo. Secondo l’autore, infatti, per capire la logica e l’andamento
delle grandi vicende politiche che hanno caratterizzato la storia della nostra
cultura e lo statuto dei rapporti che le nostre società intrattengono con
l’idea di mutamento, di rivoluzione e di giustizia è necessario ripercorrere
proprio l’evoluzione del modo in cui una passione espressiva come l’ira è stata
concettualizzata, descritta e governata tanto sul piano psicologico quanto su
quello politico. Secondo l’autore tanto la filosofia quanto le scienze sociali
contemporanee hanno teso negli ultimi cento anni circa a proporre una visione
dimezzata dell’uomo che ha cercato di ricondurre lo spettro delle azioni umane
e, soprattutto dei loro moventi, alla sfera erotica, ma «mentre l’erotica
mostra delle vie verso gli “oggetti” che ci mancano, e il cui possesso o
vicinanza ci fa sentire completi, la timotica
apre agli uomini la strada sulla quale essi fanno valere ciò che hanno,
possono, sono e vogliono essere». Quella tra impulso alla completezza e
esigenza espressiva non è presentata dall’autore come una visione alternativa,
la prospettiva erotica e quella timotica
devono piuttosto venire integrate per non incorrere nell’errore di perdere
completamente ogni capacità analitica nei contesti politici: orgoglio,
risentimento ed egoismo non possono venire ridotti a complessi nevrotici, a
meno che non si voglia lasciare che cristianesimo e psicoanalisi continuino ad
esercitare il loro «monopolio per la definizione della condizione umana
mediante una carenza costitutiva, che una volta era meglio conosciuta come
peccato», perché «dove la carenza è al potere, l’”etica della mancanza di
dignità” guida la conversazione».
L’autore scegli così di ri-descrivere le società, anziché come insiemi
governati dalla ricerca di appagamento, come «grandezze metaboliche» che
«durano solo come entità che producono e consumano, che trasformano stress e
che lottano contro avversari e altri fattori antropici». Gli insiemi politici
sono perciò da considerare come il risultato di un complesso stratificato di
attriti ed interazioni tra fonti di energie espressive che si compongono tra
loro e che generano autonomamente nuove energie. Sei sono i principi
indispensabili alla costruzione di una «teoria delle unità timotiche»:
- i gruppi politici sono ensembles
sottoposti a tensione timotica
endogena. - le ambizioni politiche sono avviate da casi di tensione fra centri
di ambizione. - i campi politici prendono forma per mezzo dello spontaneo
pluralismo di forze auto-affermative, i cui rapporti reciproci mutano in virtù
di rapporti inter-timotici.
- le opinioni politiche sono condizionate e
redatte per mezzo di operazioni simboliche che mostrano un riferimento continuo
ai moti timotici delle collettività.
-la retorica – come dottrina artistica della guida delle affezioni negli
ensembles politici – è timotica
applicata. - - le lotte di potere all’interno del corpo politico sono sempre
anche lotte per il primato tra individui, tutti timoticamente carichi, detto in modo colloquiale, tra individui
ambiziosi accompagnati dai loro seguaci; l’arte del politico include perciò i
procedimenti di tacitamento dei perdenti»
- La politica è dunque il terreno sul quale
le passioni di autoaffermazione – che possiamo rubricare sotto il nome di ira
ma che contengono un ampio spettro di atteggiamenti disposizioni e moventi che
vanno dal risentimento all’indignazione – strutturano i loro reciproci
rapporti, mediano e dispongono la propria possibilità di esprimersi,
istituiscono e realizzano i loro progetti come risultato di un processo
metabolico:
- in un sistema vitale elevate prestazioni
interne vengono stabilizzate attraverso attività metaboliche, tanto a livello
fisico quanto a quello psichico. Il fenomeno degli animali a sangue caldo ne è
l’incarnazione più impressionante. Con esso si compie […] l’emancipazione
dell’organismo dalla temperatura dell’ambiente – l’avvio biologico della libera
mobilità. Da essa dipende tutto ciò che, più tardi e nelle sfumature di senso
più diverse, verrà chiamata libertà (p. 30).
Da questo punto di vista, quindi, «come animale a sangue caldo, l’uomo
dipende dal mantenimento di un certo livello di autostima – anche questo avvia
una tendenza allo sganciamento dell’”organismo” dal primato del milieu».
- Gli attori sulla scena politica vengono
visti in quest’ottica come individui in grado di aumentare le riserve timotiche che gli consentono,
attraverso un livello energetico più alto, una chiara distinzione tra interno
ed esterno ed una stabile sovranità.
Molteplici sono le conseguenze sul piano
della ridefinizione dei concetti politici. Tra di essi certamente due sono di
particolare rilievo: innanzitutto il concetto di libertà perde la sua radice
morale e razionalistica e diviene il risultato di un processo emancipazione
dalle necessità biologiche ed ambientali che è il risultato di un processo
autopoietico le cui possibilità dipendono dalle cariche passionali degli uomini
e dai loro reciproci attriti: in secondo luogo l’idea di riconoscimento,
centrale nella dimensione politica, non viene più letta come il risultato di
una dinamica di universale iscrizione dei membri della specie dell’homo sapiens
entro la cosiddetta «umanità», ma piuttosto come il contesto della frizione tra
istanze che non sono disposte a ridurre il proprio potenziale energetico. E’ chiaro che qui la metafora del corpo
politico, dopo il meccancismo hobbesiano, l’organicismo hegeliano e le sue
innumerevoli versioni assume un significato nuovo: la ri-descrizione della
storia della cultura occidentale da Platone al crollo delle Torri Gemelle l’11
settembre 2001 nella chiave della ricerca della chimismo timotico entro il corpo politico tenta di leggere questa storia
come una vicenda che non solo ha manifestato l’umana ricerca di ciò che ci
manca ma anche tutte le capacità creative che uno stato d’animo come quello del
thymos hanno saputo produrre. Nel tentativo
di compiere quest’operazione l’autore mutua dall’economia politica un nuovo
linguaggio per descrivere il governo di questa passione nella sfera delle
relazioni umane, ed è proprio questo linguaggio che gli consente di stabilire e
descrivere la sua relazione con il tempo: l’originaria dimensione timotica che caratterizza gli uomini
diventa in questa ricerca una sorta di ricchezza dispersa che gli uomini entro
i collettivi che prendono il nome di società e sotto la guida di figure di
riferimento di volta in volta diverse, vengono riunite, vengono cioè fatte
confluire per mezzo di strumenti simbolici in forme culturali dotate di
peculiari capacità di governo e amministrazione. Il risentimento disperso tra
gli uomini viene così tesaurizzato, messo a valore, investito in progetti a
lungo, medio o breve termine per mezzo di istituzioni che dell’ira fanno un
vero e proprio commercio (p. 77 e sgg.). I grandi mutamenti sociali, politici e
culturali dell’Occidente divengono, così, trasformazioni nel managment del thymos. La prima fase della vicenda di
questo dispositivo amministrativo «di portata globale» (p. 111) è dominata
dalle religioni monoteistiche e dalle rappresentazione di un Dio iroso, che
guida, giudica e prende parte agli umani conflitti e la cui memoria costituisce
il luogo in cui viene depositato un patrimonio timotico pronto a manifestarsi sotto forma di vendetta divina. In
questo contesto l’autore mostra come «il titolo “dio” vada inteso in questi
discorsi come la definizione di un luogo di deposito degli umani risparmi d’ira
e dei congelati desideri di vendetta» (p. 145). Il dio iroso non sarebbe quindi
altro che «l’amministratore del patrimonio di risentimento terrestre» che
rinvia alla fine dei tempi la sua definitiva soddisfazione. Nel mondo cristiano
l’ira è vincolata all’eternità (cap. 2). Una svolta epocale in questa economia
del risentimento ha avuto inizio con la Rivoluzione francese e ha determinato i
caratteri e l’andamento delle dalle rivoluzioni del 20. secolo: il «terzo
stato» segna un tratto essenziale della psico-politica tra Otto e Novecento
quando invoca l’abolizione dei privilegi in nome di una completa simmetria
nella distribuzione dei ruoli sociali, ignorando scientemente le difficoltà di
rendere egualmente felici i suoi cittadini (p. 174). Il sogno di un’assoluta simmetria entro i
rapporti di potere e nella distribuzione della ricchezza è, infatti, condiviso
in pieno anche dall’anarchismo, dal leninismo e dal maoismo che avrebbero
spinto la soglia di differimento delle attese di riscatto sino alla
rivoluzione, producendo capacità di mobilitazione contro l’ordine delle cose ad
un livello prima inaudito (p. 131-216). I partiti comunisti che hanno
progettato i grandi mutamenti rivoluzionari avrebbero, cioè, agito
essenzialmente raccogliendo, differendo e amministrando scoppi di ira, che
altrimenti avrebbero bruciato le loro potenzialità in dissipazioni energetiche
di scarso impatto: essi hanno, cioè, agito da banche dell’ira, hanno eccitato
il potenziale timotico del
proletariato e provveduto contemporaneamente a convogliare nel modo più rigido
le energie distruttive, che da sempre gli sono pertinenti. Il fuoco di paglia
della vendetta per il torto subito si trasforma nel sogno di mettere a ferro e
fuoco la società capitalistica. L’epoca attuale (cap. 4) sarebbe, invece,
caratterizzata dall’assenza di «punti di raccolta dell’ira» (p. 282) e da una
crisi dei suoi principali collettori moderni e premoderni: la Chiesa, al fine
di rendersi compatibile con la modernità, ha dovuto rinunciare al portato
anti-liberale veicolato dalla sua fondamentale natura apocalittica ed è finita
con l’accettare la religione come mera questione privata; il comunismo
sovietico, già a partire dal 1979, ha perso invece la sua capacità di agire
all’esterno con la forza di una minaccia reale e ha dissipato, così, il suo
patrimonio timotico, inducendo una
crisi in tutti gli attori sociali che si rifacevano ad esso. E’, infine, con il ricorso al modo in cui
l’ira viene amministrata da una nuova forza come l’Islam politico che
Sloterdijk cerca di formulare la sua diagnosi sul tempo presente: osservando
gli strumenti della timotica propria
di questo movimento, l’ipotesi dell’autore è che esso – pur costituendo per
motivi demografici e psicologici un potenziale antagonista del capitale – non
possiede strutture di investimento adeguate a trasformare l’antagonismo in un
progetto politico vero e proprio. Tuttavia la sua minaccia evidenzia le
insufficienze della cultura, caratteristica della nostra epoca, che rivela grosse
difficoltà nel superare «la vecchia alleanza tra intelligenza e risentimento»
per favorire nuovi saperi che orientino la vita in un mondo in cui non c’è più
spazio per dottrine che prevedano la redenzione di tutte le disuguaglianze. In
questa psico-politica dell’ira la ricerca di un nuovo linguaggio per descrivere
l’azione di una passione nell’ambito delle iterazioni sociali riesce a mostrare
tutta la centralità che le pulsioni continuano a rivestire e costituisce
un’alternativa teorica all’ipotesi che esse vengano compiutamente
razionalizzate nel contesto dell’interazione politica e sociale. La
ricostruzione storica che l’autore mette in campo al fine di diagnosticare la
natura del terrorismo nel contesto politico attuale ha certamente un impatto e
una veste fortemente polemica sia nei confronti dell’eredità del marxismo sia
in quelli delle teorie critiche nei confronti della globalizzazione ma riesce a
mettere a fuoco una questione che la riscoperta delle passioni politiche – cui
si è assistito in questi anni – tende spesso a lasciare in ombra: quella dello
spazio e delle modalità del loro possibile dispiegamento sotto forma di un
progetto di mutamento sociale, osservato dal peculiare punto di vista del
passaggio delle passioni da individuali a sociali.
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