Giacomo
Pettenati , Geografo,
insegna attualmente Geografia del cibo presso l’Università di Parma dopo un
periodo di ricerca e specializzazione presso l’Università di Torino.
Federico
Borrelli, Agronomo, ha
partecipato a diverse iniziative di cooperazione, sostenute dal Ministero degli
Esteri in centro Africa e successivamente, in Haiti, su un progetto supportato
dalla Banca Mondiale. Attualmente opera presso ENI nella divisione che si occupa della
costruzione di rapporti con la Cooperazione.
Introduce i lavori G.Pettenati con una panoramica sugli scenari globali dei sistemi del cibo in cui si evidenziano alcuni fenomeni rilevanti. “Mangiare è un atto globalizzato e globalizzante” questa affermazione di partenza sottolinea come oggi ogni cibo che poniamo sui nostri piatti e nella nostra dieta contiene ingredienti provenienti da luoghi molto distanti dal nostro paese, e di ciò il più delle volte non ne siamo direttamente consapevoli. Nello stesso tempo ogni scelta alimentare che noi compiamo contribuisce a sviluppare processi di globalizzazione. Più nello specifico osserviamo un articolarsi del fenomeno attraverso questi vettori:
Introduce i lavori G.Pettenati con una panoramica sugli scenari globali dei sistemi del cibo in cui si evidenziano alcuni fenomeni rilevanti. “Mangiare è un atto globalizzato e globalizzante” questa affermazione di partenza sottolinea come oggi ogni cibo che poniamo sui nostri piatti e nella nostra dieta contiene ingredienti provenienti da luoghi molto distanti dal nostro paese, e di ciò il più delle volte non ne siamo direttamente consapevoli. Nello stesso tempo ogni scelta alimentare che noi compiamo contribuisce a sviluppare processi di globalizzazione. Più nello specifico osserviamo un articolarsi del fenomeno attraverso questi vettori:
· Provenienza
delle materie prime
·
Catene del valore globali
·
Influenze culturali
· Impatti
ambientali e sociali
Pensiamo,
a titolo di esempio, a come scelte legate al cambiamento di trend alimentari
legati a fenomeni socio-culturali (alimenti ritenuti più salutistici come la
Quinoa ) possano avere effetti rilevanti sulle zone di produzione, dove tali
alimenti venivano prodotti in logiche di sostenibilità circolare per la
popolazione locale e che, spinte da tali cambiamenti di domanda, si trasformano
in monoculture problematiche per le aree produttrici.
“Antichità
dello spostamento delle pratiche alimentari” Dalle culle alimentari più
storiche, dove si sono sviluppati spontaneamente o sono stati selezionati dalle
primordiali pratiche agricole, le sette culle del cibo individuate dagli
antropologi si sono nel corso dei millenni via via spostate nel mondo a
sostegno delle necessità alimentari dell’umanità in rapido sviluppo. Anche
storicamente la conquista di nuovi territori si è spesso accompagnata con la
diffusione di pratiche agricole non autoctone (pensiamo alla politica di
diffusione della coltivazione del grano in area mediterranea conseguente allo
sviluppo dell’impero Romano). O altresì la ricerca di approvvigionamento di
peculiari alimenti ha condizionato e sviluppato la scoperta del mondo (La
ricerca di nuove rotte per il commercio delle SPEZIE apre la strada all’età delle
grandi scoperte geografiche e del mercantilismo (XV-XVIII secolo).
“Il
commercio di alcuni prodotti è alla base della globalizzazione economica” Con
la scoperta di nuovi mondi, dall’Africa,all’America, alle Indie nei secoli che
vanno dal XVI al XIX , si producono vasti fenomeni di globalizzazione economica
secondo un modello “Coloniale” che tende alla produzione e commercializzazione
di alcuni specifici alimenti con enormi stravolgimenti socio-politici. Ad
esempio la produzione di zucchero (piantagioni) sostiene la struttura
socio-economica e politica del primo colonialismo in America Latina (XVI
secolo) con pesanti conseguenze in termini di: Schiavismo, Trasformazione territoriale,
Saccarocrazia (Eduardo Galeano). Da queste premesse deriva l’idea occidentale
dello sviluppo economico dei paesi del sud del mondo, dove l’equazione lineare “maggiore
globalizzazione = maggiore sviluppo” , ha permeato anni di intervento delle
politiche internazionali nella fase di post e decolonizzazione. Ciò si è
rivelato a distanza di diversi decenni pesantemente errato, in quanto al
crescere della globalizzazione non si è parimenti ridotta la differenza tra
Nord e Sud del mondo, mantenendo alta la disparità di reddito, di sviluppo, di
condizioni sociali e più in generale di distribuzione di ricchezza tra paesi e
all’interno dei paesi stessi, non contribuendo, se non in modo insufficiente, a
ridurre le disuguaglianze. Di ciò si trae immediata consapevolezza da un
grafico mostrato, detto a “Coppa di Champagne”, dove si evidenzia come il 20%
della popolazione mondiale più ricca, detiene l’82,7 % della ricchezza globale,
mentre il 20% più povero dispone di solo l’1,4 % del reddito globale.
A
questa visione di uno sviluppo lineare per i paesi del sud del mondo, legato al
modello di globalizzazione, si contrappongono teorie economiche diffusesi a
partire dagli anni settanta del novecento, che dimostrano come questo
squilibrio tra economie sviluppate e sottosviluppate, sia invece funzionale al
mantenimento di “privilegi” per i paesi più evoluti, dopo il superamento del
modello coloniale. Quella che oggi noi chiamiamo globalizzazione è di fatto la
diffusione a livello globale di un modello economico. Questo riportato al
settore della produzione di cibo è di fatto l’esportazione del modello Agro-Industriale
capitalistico ed in senso più ampio del neoliberismo. Sicuramente portatore di
alcuni elementi positivi come la crescita della produttività, ma che a fronte
del fallimento di altri modelli legati all’economia pianificata, viene ora
presentato come l’unico modello possibile. (C’è una frase molto famosa di
Margaret Thatcher degli anni ‘80 che dice: “There is no alternative”, non c’è
alternativa).
Questi i cinque elementi chiave della
globalizzazione contemporanea:
·
Il
capitale è sempre più mobile (ricerca di profitti e di mercati su scala
globale)
·
Innovazioni
organizzative delle imprese (multinazionali)
·
Riduzione
dei costi e dei tempi di trasporto e comunicazione
·
Aumento
dei flussi di capitale finanziario
·
Diffusione
di politiche e programmi che favoriscono tutto questo.
Questo come si
riflette sul sistema di produzione del cibo su scala globale?
Queste le
principali caratteristiche del consumo e post consumo( sprechi,
distruzioni,etc) del cibo globalizzato:
·
globalizzazione
degli scambi commerciali a livello internazionale
o Valore delle esportazioni agroalimentari
italiane: da 5.500 mln $ (1980) a 41.000 mln $ (2016)
o Valore delle importazioni
agroalimentari italiane: da 13.000 mln $ (1980) a 45.000 mln $ (2016)
·
ruolo
delle grandi imprese multinazionali
o Le 10 principali aziende multinazionali
del food (Big Food) possiedono centinaia di marchi di cui siamo abitualmente
consumatori, ed attraverso tale concentrazione determinano le politiche di
prezzo e di approvvigionamento. (fonte OxFam – ONG Inglese)
·
Divisione
internazionale del lavoro e le global value chain
o Nei prodotti al consumo la catena del
valore della filiera delle materie prime è sempre più globale e distribuita in
varie parti del mondo, parte per necessità ( tipicità delle produzione) parte
per scelta economica di costi di produzione, incidendo sulle scelte di sviluppo
di intere aree geografiche.
La filiera agro alimentare mondiale è
rappresentabile dal modello a clessidra. Dove ai due estremi ( i lati più ampi
della clessidra) troviamo una pluralità di soggetti dediti alla produzione del
cibo / materie prime e dall’altro lato la massa dei consumatori. I punti di
strozzatura della clessidra sono rappresentati dal sistema di aziende di
trasformazione e dal sistema distributivo sempre più rappresentato dalla grande
distribuzione organizzata, con caratteristiche sempre più internazionali ( Multinazionali
di Food Producers e Multinazionali GDO).Questa strozzatura fatalmente determina
il concentrarsi del potere di determinazione del prezzo di remunerazione ai
produttori agricoli ed il prezzo di vendita al consumo, concentrando in queste
organizzazioni un potere enorme. Per provare a superare questo modello, una
delle linee di cambiamento è rappresentato dal passaggio da una produzione su
larga scala a qualità indistinta o non peculiare, a produzioni su medio-piccola
scala ad alta impronta qualitativa. In questo secondo caso sarà più agevole
ottenere remunerazioni più significative del prodotto all’origine
caratterizzato da qualità alta e peculiare. Il lato oscuro della medaglia è che
ancora non è dato conoscere come si potranno soddisfare le esigenze alimentari
di una popolazione mondiale che raggiungerà i 10 miliardi di abitanti a metà di
questo secolo, con produzioni di nicchia su scala ridotta. (da commodity a
specialty) Ambienti diseguali caratterizzano da un punto di vista geografico il
panorama dei sistemi di produzione del cibo globalizzati. Vi troveremo:
·
Centri
urbani dove si prendono le decisioni e si consuma
· Spazi della produzione
agroindustriale globalizzata
· Spazi dell’agricoltura specializzata
·
Spazi
della produzione per l’esportazione (eterodiretta)
Uno dei fenomeni emergenti nel
contesto prima delineato è quello del “Land Grabbing” (Accaparramento dei
terreni), che si sta verificando soprattutto in Africa, dove nazioni straniere
stanno comprando o affittando a lunga scadenza, dai governi locali, vaste aree
di territorio per impiantare nuove coltivazioni sostanzialmente per le
esportazioni verso i loro mercati ( Es. Cina,Paesi Arabi,India ma anche
USA,GranBretagna e Germania). Ciò avviene senza tener conto dell’utilizzo
tradizionale dei territori per la soddisfazione dei fabbisogni locali, ed in
contesti tendenzialmente a bassa capacità di gestione statale o peggio ad alto
tasso di corruzione. Elementi che frenano la globalizzazione della produzione
di cibo, sono rappresentati in primo luogo dalla rilevanza e peculiarità dei
territori ( elemento Naturale) ed in secondo luogo dall’aspetto culturale, in
quanto l’adattamento a cibi o abitudini alimentari diverse da quelle
tradizionali della propria area, richiedono lunghi tempi di adattamento. Al
contrario forze che spingono verso la globalizzazione sono costituite dal Libero Mercato con:
·
Integrazione
dell’agricoltura nelle dinamiche globali dell’accumulazione capitalistica
· Accordi commerciali internazionali
(GATT, NAFTA, TTIP, CETA, CEE),
·
Governance
globale scambi economici (WTO)
e dalla Lotta alla Fame con:
·
Sforzi
internazionali per diritto al cibo hanno esportato un modello economico
· FAO, World Bank, FMI
· Rivoluzione verde
·
Passaggio
autosufficienza-sicurezza-sovranità
Occorrerà insistere sulla diffusione
del concetto di Sovranità Alimentare che si declina nella seguente definizione:
“il diritto dei popoli, delle
comunità e dei Paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro,
della pesca, del cibo e della terra che siano appropriate sul piano ecologico,
sociale, economico e culturale alla loro realtà unica. Esso comprende il vero
diritto al cibo e a produrre cibo, il che significa che tutti hanno il diritto
a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato, alle risorse per
produrlo e alla capacità di mantenere se stessi e le loro società”. Via
Campesina, 1996
Dal punto di vista dell’agronomo ( F.
Borrelli )
viene sottolineato come la discussione sulla produzione di cibo affronti una
realtà complessa che fino ad ora ha scontato per lo più un approccio puramente
economicistico o, al più basso livello, quello folcloristico, mentre sarà
sempre più necessario un approccio scientifico multidisciplinare. Qualche dato sul sistema dei
Produttori:
90% della produzione agricola
mondiale è in mano ad agricoltori con aziende agricole di carattere familiare
(500 milioni di aziende agricole per un numero di circa 2,5 miliardi di
addetti)
80% di queste aziende agricole
familiari opera su appezzamenti inferiori ad un ettaro (Sostanzialmente deve
utilizzare circa la metà di questa produzione per autoconsumo, e con la vendita
dell’altra metà ricavare i mezzi per l’azienda agricola stessa e per le
necessità di vita non strettamente alimentari come lo studio, la sanità, la
casa, etc.)
Risulta evidente che una struttura
del genere è fortemente esposta e vulnerabile a qualsiasi stress proveniente
dall’esterno, sia di origine economica sia di origine naturale. L’evidenza dei cambiamenti climatici
di questi ultimi decenni porta ad un aumento considerevole del rischio di perdita dei raccolti dovuti a
condizioni meteorologiche estreme e sfavorevoli che inducono, in ultima istanza,
ad un aumento consistente della malnutrizione. La sfida posta dall’agenda dell’ONU
al 2030 è quella di ridurre a zero la Fame nel mondo. Tale obiettivo, se si
considerano le proiezioni disponibili ad oggi, resta purtroppo ancora una
utopia, in quanto vengono previsti in base all’evoluzione delle dinamiche
attuali, al 2050 ancora 600 milioni di persone che soffriranno la fame. Questo della malnutrizione è un
carattere endemico che porta al sottosviluppo di interi paesi, in quanto
risulta l’origine di un circolo vizioso che collega la fame alla carenza di
cultura/istruzione ed alla fine alla incapacità culturale ed oggettiva di
migliorare le condizioni di sviluppo di un’area ed il conseguente tenore di
vita. La centralità del
modello di agricoltura familiare sarà fondamentale da qui al 2050, e deve
essere compreso sia dai consumatori sia dal mercato e dagli organismi che
dettano le regole dello sviluppo globale (Governi Occidentali, Governi dei
Paesi emergenti, Organizzazioni Internazionali di Sviluppo e Cooperazione, Enti
mondiali di regolazione del Commercio e della Finanza). Di fatto ciò non è
avvenuto finora e, come si diceva prima, al crescere del modello basato sul Mercato
libero, abbiamo riscontrato una crescita delle disuguaglianze, al contrario di
ciò che si auspicava. Esempio Haitiano – a seguito di una crisi politica nel 1986
WTO condiziona la concessione di aiuti alla abolizione dei dazi sulle
importazioni di cereali. Ciò determina che il paese che era in una condizione
di autosufficienza nella produzione di riso, si trova inondato da importazioni
a prezzi competitivi del riso americano con conseguente distruzione dell’intera
filiera di produzione nazionale, con la conseguenza finale di rendere il paese
totalmente dipendente, per il cibo base della dieta locale, dalle importazioni
dall’estero. Analogamente nel 1991, a seguito di un embargo statunitense alle
importazioni di cacao e caffè, la filiera di produzione del caffè haitiano,
caratterizzato da una qualità superiore, entra in profonda crisi. Gli
agricoltori disperati abbandonano le piantagioni e le estirpano per la
produzione residuale di carbon fossile. Ciò causa la completa distruzione della
filiera del caffè generando di fatto lo spopolamento delle campagne ed un
movimento di inurbamento misero nelle bidonville attorno alla capitale. Quando
nel 2010 avviene il terremoto, la conseguenza tragica è quella di un bilancio
di 300.000 morti. Questa ricostruzione forse schematica non è però così
distante dalla realtà vissuta. Analogamente la povertà rurale in Africa non è
immediatamente percepita dal pubblico occidentale, ma lo squilibrio che essa
genera tra città e campagna causa un forte inurbamento precario verso le città
maggiori e da qui, successivamente, dà origine alla spinta dei flussi migratori
verso aree occidentali più agiate. Tale risultato finale è invece molto ben
recepito ed enfatizzato dalle popolazioni ricche.
Le
soluzioni?
Il
modello di sviluppo agricolo esportato dai Paesi Occidentali, anche attraverso
i programmi legati alla rivoluzione verde, di fatto non ha funzionato e ha
contribuito ad inasprire le disuguaglianze. Ciò è largamente dovuto ad un
approccio economicistico che ha teso a semplificare il modello di produzione,
non tenendo conto delle realtà geopolitiche locali, e di fatto esportando un
modello agroindustriale intensivo adatto ai climi temperati e ad una struttura
di aziende agricole ad ampia estensione terriera. Ciò ha prodotto il risultato
che il 72% dell’intera produzione agricola mondiale è costituito da 14 prodotti
(grano, mais, riso, manioca, patate, etc), con una notevole perdita di
biodiversità e l’abbandono di colture locali selezionate naturalmente nel corso
dei secoli, che meglio potrebbero adattarsi anche ai cambiamenti climatici in
corso. Ovviamente affrontare modelli diversificati implica mettere in campo
molte più conoscenze di quelle richieste da un modello semplificatorio che
tende ad esportare il modello Agroindustriale estensivo, ma ciò sarà reso
ineluttabile dalla necessità di considerare anche la capacità di rigenerazione
della fertilità dei suoli. Soprattutto in aree tropicali e subtropicali ci si
trova ad affrontare un Eco Sistema dalle caratteristiche della foresta
primordiale e non certo quello delle grandi estensioni di pianure in zone
temperate. Da ciò ne deriva, inoltre, la necessità di trovare modelli di
sviluppo che richiedano minori investimenti per unità agricola e che siano
capaci di aumentare l’efficienza produttiva e la sostenibilità; avendo sempre
in mente l’imperativo di dover sfamare 11 miliardi di umani alla fine del
secolo, in modo sostenibile per il nostro pianeta Terra. Dovremmo provvedere ad
un cambio del modello di sviluppo che tenga conto della frammentazione delle
proprietà, che non si basi su una logica di colture estensive e che sia capace
di coniugare la piccola dimensione delle aziende agricole con l’incremento
dell’efficienza e con la capacità di fare rete lungo l’intera filiera. Per
avere speranza di successo in questo indirizzo occorrerà investire soprattutto
sulla cultura e sullo sviluppo delle capacità organizzative. Altra leva
imprescindibile potrà essere l’uso di tecnologie digitali applicate
all’agricoltura che supportino lo sviluppo organizzativo delle filiere, che
agevolino la gestione della dinamica dei prezzi nei differenti periodi di raccolto,
per agevolare il bilanciamento di remuneratività tra produttori e grandi
acquirenti. Tali tecnologie saranno ancora più determinanti nella diffusione
delle conoscenze sulle migliori pratiche agricole (Best Practice),
sull’istruzione degli agricoltori e sulla diffusione di modelli cooperativi. E
lo saranno ancor più di quanto avvenuto attraverso la meccanizzazione, in parte
forzata dall’esportazione del nostro modello agroindustriale.
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