Il “Saggio” del mese


Come anticipato lo scorso mese si chiude con quest’ultimo post la
pubblicazione della sintesi del saggio di Thomas Piketty “Capitale e
Ideologia”. Siamo consapevoli della consistenza complessiva di questa sintesi
ma, come più volte già evidenziato, si tratta di un testo di circa
milleduecento pagine ricco di grafici e tabelle, che non potevano non essere
inserite per rendere comprensibile l’analisi e le ricostruzioni storiche di
Piketty. Riteniamo che ne valesse comunque la pena. Unitamente al suo
precedente saggio “Il Capitale nel XXI secolo” Piketty completa una
ricostruzione esaustiva del peso delle disuguaglianze nell’intera storia delle
società umane, fornendo un quadro analitico che a lungo rimarrà fondamentale
per ogni politica seriamente intenzionata a realizzare una maggiore giustizia
sociale. In particolare emerge dall’insieme delle sue analisi la stretta
correlazione tra disuguaglianza e ideologia. La prima non può essere
considerata come il risultato di fenomeni esclusivamente economici, essendo
fondamentale la costruzione ideologica che li sostiene e li giustifica. Vale a
dire che anche l’attuale sistema delle disuguaglianze, che sta conoscendo dagli
anni Ottanta del secolo scorso, una impressionante crescita, può essere
fronteggiato adottando adeguati correttivi che possono essere individuati solo
sulla base di una condivisa diversa idea di società. In quest’ultimo Capitolo,
che volutamente presentiamo a sé stante, Piketty presenta alcune proposte che,
sulla base del complesso dell’analisi svolta, a suo avviso si muovono
concretamente in questa direzione. Per meglio valutarle sono opportune alcune
considerazioni preliminari:
Piketty nel formularle non intende presentare un progetto
complessivo di cambiamento sociale ed economico, ma, coerentemente con la sua
formazione di economista specializzato in teoria dei sistemi fiscali, propone
idee volutamente mirate a contrastare l’attuale sistema globale delle
disuguaglianze agendo innanzitutto proprio sulle leve fiscali
In questo senso non avanza una visione “rivoluzionaria” di
soppressione del mercato capitalistico globalizzato, ma presenta alcune idee
che mirano specificatamente a contenere e a correggere il più possibile quelle
sue distorsioni che di più sono la causa delle attuali disuguaglianze
Non si tratta comunque di idee “morbide”, anzi, alcune possono
sembrare persino utopiche, o quantomeno difficilmente realizzabili su tempi
brevi. Piketty precisa però che il loro vero scopo non è quello di presentare
un pacchetto definito di proposte, ma di avviare sulla loro base, con uno scopo
anche “provocatorio”, un dibattito allargato dichiaratamente rivolto alla
“sinistra globale”, intesa in senso lato, per recuperare il più possibile la
sua perduta capacità di contrastare adeguatamente il predominio delle logiche
neo-liberiste che hanno ispirato l’attuale globalizzazione.
Valutandole nel dettaglio sarà infatti possibile constatare che
idee che oggi sembrano sproporzionate sono in fondo le stesse che nei decenni
del secondo dopoguerra hanno consentito di realizzare, fatto unico nella storia
delle disuguaglianze, una loro reale significativa riduzione.
Capitolo 17
Elementi per un socialismo
partecipativo nel XXI secolo
Lo scopo ultimo
di questo saggio, e del precedente “Il Capitale nel XXI secolo”, è quello di
fornire elementi di analisi e proposte per fronteggiare il grave aumento delle
disuguaglianze socioeconomiche avvenuto a partire dagli anni Ottanta. In
assenza di una adeguata risposta ugualitaria su scala globale è molto forte il
rischio di reazioni nazionalistiche ed identitarie, tanto inefficaci quanto
foriere di altri gravissimi problemi, i cui segnali sono divenuti evidenti in
questi ultimi anni. L’insieme delle analisi qui svolte ha illustrato i tratti
fondamentali del lungo percorso storico dei vari regimi di disuguaglianza –
società trifunzionale, coloniale e schiavista, proprietaristica, comunista e
socialdemocratica, ipercapitalistica e post coloniale – in cui ogni cambiamento
si è realizzato grazie a vincenti mobilitazioni sociali e politiche promosse
dall’affermarsi di nuove concezioni ideologiche in contrasto con quelle che
giustificavano il modello di società fin lì dominante. Da sempre infatti ogni
società esprime uno specifico regime delle disuguaglianze strutturato attorno a
narrazioni ideologiche che giustificano i rapporti tra i gruppi sociali, e quelli
di proprietà e di confine. Nel corso del XX secolo le forti mobilitazioni
popolari, promosse e sostenute dalle ideologie anti proprietaristiche e anti
capitalistiche, sono riuscite, anche grazie a specifiche congiunture storiche,
a realizzare una considerevole riduzione delle disuguaglianze. Nel corso degli
ultimi decenni del secolo si è però manifestata, come si è potuto rilevare
dalle analisi del Capitolo Terzo, una crescente inadeguata risposta al
prepotente affacciarsi della reazione ideologica ipercapitalistica alla base
della impressionante ripresa delle disuguagliazne. Nei Capitolo precedenti di
questa Parte Quarta si è inoltre constatato il profondo cambiamento
dell’identità politica dei partiti della “sinistra” che, seppur eredi di quelle
forti mobilitazioni, hanno perso buona parte della capacità di rappresentanza
dei ceti popolari. Occorre allora, come
sviluppo coerente di quanto analizzato ed evidenziato, rilanciare su nuove basi
ideologiche una idea di “società giusta”, farla poi maturare all’interno del non
aggirabile quadro politico, ma in un’ottica globale perché globale è il terreno
di scontro. Gli elementi di analisi
sviluppati portano P. a sostenere apertamente che ……….. sia possibile andare oltre l’attuale sistema
capitalistico e delineare i contorni di una nuovo socialismo partecipativo per
il XXI secolo ………. Vale a dire una
visione ideologica capace di delineare una nuova prospettiva di uguaglianza di
portata globale basata sulla proprietà sociale, sull’istruzione e sulla
condivisione delle conoscenze e dei poteri. In questo ultimo Capitolo P.
espone alcune sue proposte che, con questo respiro ideologico, hanno lo scopo
di avviare percorsi concreti di confronto allargato e diffuso. L’impegnativo
lavoro alla base di questo saggio perderebbe infatti molto del suo valore se,
nel passare alla fase propositiva, sci i limitasse ad una generico richiamo ad
una ideale “società giusta”. P. è convinto, avendo presente lo storico progredire ideologico, che
solo una reale ……. deliberazione collettiva …… può consentire di riempire questo concetto di
significati coerenti con il contesto culturale e politico in cui ci si muove.
Se in generale una società più giusta è quella che …. organizza i rapporti socioeconomici, la
proprietà, la distribuzione dei redditi,
al fine di assicurare all’intera collettività, nessuno escluso, le migliori
condizioni di vita possibili …….solo la sua traduzione in concrete politiche
può dare senso al suo valore ideale. La fase storica che di più si è avvicinata
a questa condizione è sicuramente consistita negli esiti positivi del
socialismo democratico del XX secolo, in particolare nell’Europa Occidentale.
Il termine ……..socialismo,
partecipativo ….. ha ancora oggi
un suo valore proprio perché vuole recuperare quella tensione ideale
coniugandola con il mutato quadro sociale ed economico. Le proposte che P.
avanza hanno quindi questa finalità: avviare, riflettendo da subito su ipotesi
praticabili, un dibattito il più allargato possibile capace di ottimizzarle dando loro valenza
concreta su alcune specifiche problematiche per avviare un più generale
percorso di concreta costruzione di una “società giusta”.
Superare il
capitalismo e la proprietà privata
Una prima
fondamentale domanda alla quale rispondere riempendo di contenuti l’idea di
socialismo partecipativo consiste nel capire ……. che cos’è (oggi) la proprietà
giusta ….. Si è visto nella Parte Terza che l’ottocentesco proprietarismo, e la
sua successiva estensione nel capitalismo industriale e finanziario, poggiava
sulla affermazione ideologica della difesa assoluta, sulla sacralizzazione,
della proprietà privata. Le mobilitazioni popolari, e le teorie politiche che
le hanno promosse e sostenute, sono riuscite nel corso del XX secolo ad
attenuare in modo consistente questa ideologia. I sistemi giuridici, sociali e
fiscali, sorti in numerosi paesi sono stati in grado di porre importanti limiti
alle concezioni proprietaristiche, ma hanno poi dimostrato di non riuscire a
contrastare l’avvento della globalizzazione ed il predominio ideologico
neoliberista. Diventa quindi necessario ed urgente elaborare nuovi sistemi
giuridici, sociali e fiscali, che, facendo tesoro dei successi passati, siano
meglio in grado di opporsi all’attuale stato delle cose e di ridefinire lo
stesso concetto di “giusta proprietà”. Ad iniziare da quella fondamentale del
possesso e della gestione dei “mezzi di produzione”, della struttura
produttiva. Nella direzione del socialismo partecipativo P. ritiene che alcuni
importanti passi in avanti possano essere ottenuti procedendo lungo due
direttive:
l’istituzione
di una vera …… proprietà
sociale del capitale …… attraverso una maggiore condivisione del potere gestionale delle
imprese
l’adozione di
un ……. principio di
proprietà temporanea …. finalizzato a creare una circolazione permanente della
proprietà
Condividere
il potere nelle imprese: una strategia di sperimentazione
Nella Parte
Terza si è visto, nel novero delle conquiste di una parte della
socialdemocrazia, l’importante ruolo della …. “cogestione” …., attuata nei
paesi di lingua tedesca ed in quelli nordici, ossia nella presenza,
istituzionalizzata e regolamentate, di rappresentanti dei lavoratori nei
consigli di amministrazione delle imprese. I risultati storici attestano oggettive
ricadute positive della cogestione sul livello delle disuguaglianze e sullo
stesso buon andamento economico e produttivo. Non sono mancati però evidenti limiti
nella effettiva condivisione degli indirizzi aziendali e nella sua più ampia
applicazione ad ogni ordine di impresa. E’ allora necessario proporre, accanto
alla sua estensione globale convincendo della sua validità la consistente parte
della sinistra mondiale che l’ha finora sottovalutata se non osteggiata, un suo
superamento, una sua maggiore applicabilità. Sono due le possibili alternative:
deconcentrazione della proprietà = consentendo ai dipendenti di acquisire azioni della società in
cui lavorano, anche grazie a dotazioni finanziarie ad hoc anche da parte del
pubblico, in modo da acquisire una maggiore effettiva rappresentanza nella
gestione aziendale
revisione delle regole che legano i contributi in
conto capitale ai diritti di voto = se non è
nell’interesse pubblico rimuovere, soprattutto nelle imprese più piccole,
qualsiasi legame tra investimenti nel capitale aziendale e gestione dell’impresa è però sempre più
necessario superare la regola aurea delle gestioni azionarie basata
sull’assioma “un’azione, un voto”. Non mancano già adesso interessanti
esperienze in tal senso, quali le “società senza scopo di lucro nel campo della
comunicazione”, oppure alcune forme di “fondazioni”, oppure ancora l’idea,
ripresa in alcuni disegni di legge, di far eleggere una parte degli
amministratori da assemblee miste di dipendenti ed azionisti. Deve in sostanza
imporsi il concetto che il solo possesso della maggioranza azionaria, non è
garanzia di una più efficace gestione imprenditoriale, di una positiva ricaduta
immediata sui bilanci aziendali, e ancor meno sul valore sociale dell’impresa
Deconcentrare
la proprietà e limitare, razionalizzandoli, i diritti di voto azionari sono due
concrete possibilità di ottimizzare la cogestione, ma da sole non sono certo sufficienti.
L’imposta
progressiva sulla proprietà e la circolazione di capitale
Anche queste proposte
per intervenire sulla gestione aziendale, che cercano di coniugare
coinvolgimento e più equa ripartizione degli utili, chiamano in gioco il ruolo
della tassazione, della fiscalità. Si è visto nella Parte Terza quanto questa
leva abbia giocato un ruolo decisivo nella riduzione delle disuguaglianze nei
primi decenni del secondo dopoguerra, soprattutto quando è stata ispirata da
una forte progressività delle aliquote e dalla volontà di intervenire su tutte
le fonti di ricchezza. Ma si è anche visto come la svolta neoliberista abbia,
non a caso, capovolto questa idea di fiscalità introducendo criteri di strenua
difesa della ricchezza, quale ad esempio la “flat tax”, un sistema di
sostanziale non-tassazione dei redditi più alti sostenibile solo a fronte di
una radicale riduzione del welfare e del ruolo attivo dello Stato. Occorre quindi
intervenire reintroducendo una idea di fiscalità che, applicata a tutte le fonti
di ricchezza, con una forte progressività sia in grado di incidere sui livelli
di disuguaglianza. Con due consapevolezze aggiuntive rispetto a quanto pur
egregiamente messo in atto nel migliore periodo delle socialdemocrazie:
il prelievo
fiscale così ottenuto non deve essere genericamente destinato ad una non meglio
precisata “redistribuzione” ed al sostegno di un welfare “tradizionale”, ma,
come vedremo, deve essere meglio indirizzato a percorsi più definiti di lotta
alla disuguaglianza
non appare
sostenibile immaginare una “società giusta” basata sulla soppressione della
proprietà privata, la quale è destinata ad avere un suo ruolo, ma è essenziale
strutturare un sistema fiscale che impedisca l’eccessiva concentrazione di
ricchezza, un aspetto non soltanto inaccettabile come etica sociale ma persino di
ostacolo al miglior funzionamento dell’economia.
Queste due
consapevolezze aggiuntive comportano precisi indirizzi fiscali ed implicano un
diverso equilibrio della tassazione sulle tre voci di base della ricchezza:
reddito, successioni, patrimonio. E’ su quest’ultima che si deve basare una
diversa fiscalità basata su …… un’imposta progressiva annuale sui patrimoni ……Sono tre gli ordini di motivi più importanti
che giustificano una strategia fiscale che punti in modo importante sulla
ricchezza patrimoniale:
perché è una
forma di ricchezza più stabile e meno occultabile
perché, a
differenza di quella sulle successioni che colpisce una tantum ad una scadenza
non prevedibile, fornisce un ritorno programmabile e costante
perché, sulla
base delle due ragioni precedenti, può essere articolata su aliquote non
necessariamente elevate, a differenza di quelle di norma applicate sulle
successioni che non per nulla è una forma di tassazione molto invisa
Nonostante
negli ultimi decenni sia stata, per ragioni ideologiche e di marketing
elettorale, il prelievo fiscale più ridimensionato, quando non abolito, forme
di imposta patrimoniale, seppur imperfette, sono state in Occidente, come si è
visto nella Parte Terza, un prelievo fiscale decisivo per uscire dai disastri
finanziari del Novecento, e sono tuttora relativamente attive, basti pensare
alla “property tax” statunitense ed alla “imposta fondiaria” francese. Non si
tratta quindi di qualcosa di nuovo e di originale, ma occorre però che sia
coraggiosa ed in grado di incidere su tutte le voci, sempre più diversificate,
che attualmente la compongono, nelle quali la componente finanziaria è ormai
centrale. Ma la vera caratteristica innovativa, determinata proprio dalla natura
della ricchezza patrimoniale, quella che di più segna la disuguaglianza
economica, consiste nelle specifica finalità alla quale destinare un’imposta
progressiva annuale sui patrimoni. E’ bene richiamare alcuni dati, già
analizzati nella Parte Terza che evidenziano l’attuale livello di
disuguaglianza patrimoniale:
a partire
dagli anni Ottanta la quota parte in capo al 50% più povero si è notevolmente
ridotta attestandosi attorno al 5% della ricchezza totale
la quota
detenuta dal 10% più ricco è contemporaneamente salita ad una media del 60-70%,
con alcuni paesi come gli USA, la Cina, la Russia, l’India che segnano le medie
più alte
quella in
quota al 40% intermedio, le “classi medie” che di più avevano beneficiato della
riduzione delle disuguaglianze nei primi decenni del secondo dopoguerra, si è
contratta al restante 25-30%.
E’ difficile
immaginare altre forme di intervento su questo stato di cose, che siano in
grado di invertire in tempi ragionevolmente brevi l’attuale trend verso la
concentrazione di ricchezza, al di fuori dell’imposta progressiva annuale sui
patrimoni. La quale però, per avere un’incidenza reale, deve essere finalizzata
ad un ….. trasferimento
effettivo di ricchezza che, con la creazione di una apposita dotazione di
capitale ottenuta grazie all’imposta patrimoniale, versi ad ogni giovane adulto
(ad es. all’età di 25 anni) un finanziamento da utilizzare per investimenti di
valore (quali ad es. l’acquisto di casa, il completamento di studi di alto
livello, l’avvio di una attività economica)
……. E’ chiaro che non è possibile indicare entità del prelievo, della
dotazione e del finanziamento, molto dipende dalle specifiche situazioni, anche
se sarebbe consigliata una certa omogeneità globale, ma l’aspetto centrale di
questa proposta consiste proprio nel legare strettamente la forma del prelievo
fiscale alla finalità ugualitaria. Lo scopo ultimo, allo stesso tempo concreto
e ideologico, è in sostanza quello di inserire nelle logiche economiche e
fiscali il concetto di …… proprietà temporanea
……. Una idea di proprietà che, seppur contenuta entro limiti eticamente
accettabili, nulla toglie all’esercizio del suo diritto, ma che, sulla base del
concetto di “temporaneità”, punta ad escludere il più possibile la sua
sedimentazione e a ridimensionare la sua
trasmettibilità generazionale. L’intervento sulla “proprietà” sin qui delineato
fornisce al modello di “socialismo partecipativo” due principi di base
essenziali: la proprietà
sociale dei mezzi di produzione e
la proprietà
temporanea. Due proposte solo all’apparenza radicali, l’analisi
storica della Parte Terza ha infatti evidenziato che gli elementi ideologici
che le sostengono erano ampiamente presenti nella fase di maggior contrasto
dell’ideologia proprietaristica. La cogestione, tedesca e nordica, e la tassa
sulle successioni poggiano ambedue sulla considerazione ideologica di porre dei
limiti alla “sacralità della proprietà privata”. La stessa considerazione che è
alla base di questi due principi. Non si tratta quindi di una irruzione senza
precedenti nel terreno ideologico che ha sin qui sostenuto una società
fortemente disegualitaria proprio perché basata sulla inviolabilità della
proprietà privata. Sono al contrario due principi che estendono considerazioni
già formulate in precedenza adattandole ad una fase nuova in cui il livello di
disuguaglianza è tornato ai suoi massimi livelli, anche per la rinuncia ad
azioni coerenti con quelle considerazioni. Non mancano semmai ostacoli di
ordine pratico: ambedue i principi hanno senso solo se inseriti in un quadro
globale nel quale armonizzare le basi della concorrenza sui mercati e condividere
le banche dati sulle proprietà immobiliari finanziarie.
Reddito di
base e salario equo: il ruolo dell’imposta progressiva sul reddito
Tornando al
piano più strettamente operativo si creerebbe inoltre, sulla base delle due
proposte precedenti, la possibilità di inserire tutte le varie imposte (su
reddito, successioni e patrimoni) entro una cornice d’insieme più logica. Se
l’imposta sulle successioni potrebbe, a patrimoniale annuale avviata e
finalizzata ad un introito decisamente superiore, vedere un suo
ridimensionamento ed una destinazione di finanziamento aggiuntivo per
interventi pubblici giudicati strategici (ad es. innovazione, formazione e
ricerca) quella sul reddito, non meno modulata su una forte progressività,
dovrebbe avere aliquote calibrate al finanziamento di tutte le voci di spesa
pubblica, non ultime quelle del welfare universale. P. prima di entrare nel merito di
quest’ultimo aspetto, introduce una sua opinione sulla possibilità di una ……. tassa sulle emissioni
di CO2 ……. che, in linea con un
sentire comune sempre più diffuso, ritiene necessaria ed utile nell’insieme
delle misure per ridurre l’impatto del cambiamento climatico. E’ infatti ormai evidente
la necessità di attivare forme più o meno rigorose di “carbon tax” in particolare sulle fonti più significative di
emissione, industriali ed impiantistiche in particolare. Ed è augurabile che la
sua globale applicazione sia calibrata per essere una adeguata una forma di
ulteriore pressione ad adottare tutte le misure di contenimento delle emissioni
ed al tempo stesso per essere destinata in modo preciso a finanziare tutti gli
interventi pubblici di indirizzo e realizzazione della transizione energetica.
Se si passa però a valutarla come una forma di misura atta ad intervenire sui
comportamenti di massa e sugli stili di vita individuali è necessario, a suo
avviso, tenere nella giusta considerazione il loro intimo collegamento con la
struttura delle disuguaglianze. L’esperienza, per quanto complessa e di non
semplice lettura, dei “gilet gialli” francesi dimostra che scaricare in modo
generico su prodotti di largo consumo una tassa sulla CO2
rischia di gravare in modo significativo sui redditi più bassi creando reazioni
di rifiuto e di conseguente pregiudizio per le stesse politiche ambientali.
Sono infatti già allo studio forme di tassazione abbinate a sistemi di
gradualità delle emissioni consentite, ad esempio una sorta di “carte di
credito della CO2”, ma quasi tutte non sono di facile applicabilità tecnica. Resta
però opportuno uno sforzo in questo senso proprio per definire norme di
giustizia ambientale e fiscale accettabili da tutti e soprattutto dalla grande
parte della popolazione più colpita dalle disuguaglianze economiche. Tornando
al ruolo dell’imposta progressiva sul reddito, che come si è detto costituisce,
congiuntamente alla correlata e significativa voce dei contributi sociali, il
principale strumento per il finanziamento dello welfare e della spesa pubblica
in generale, sono allo stesso modo possibili percorsi più mirati al contrasto
alle disuguaglianze. Lo stretto abbinamento tra imposta progressiva sul reddito
e contributi sociali deve essere considerato un aspetto decisivo della
struttura del bilancio pubblico, la quale deve legare il più strettamente
possibile ogni voce in entrata ad una corrispondente voce in uscita sulla base
di un loro collegamento “logico” …… è infatti
fondamentale l’informazione sul sistema fiscale e sull’uso delle tasse
garantendo la massima trasparenza sull’origine e sulla destinazione delle
singole voci del bilancio pubblico e ciò può avvenire ridisegnando a tal fine
la sua struttura ………… All’interno di un quadro fiscale e di
correlata spesa pubblica avente questa caratteristica, decisiva per contrastare
l’istintiva avversione verso il sistema delle “tasse”, può avere, nell’ambito
delle politiche di contrasto delle disuguaglianza, un suo importante ruolo
l’idea di ……. un
reddito di base, ossia un sistema di reddito minimo garantito ….. Si tratta di forme di sostegno sociale già
presenti in molti paesi seppure con forme e consistenza diversificati. E’ però essenziale
secondo P. che si esca dalla sola concezione di un sussidio di disoccupazione
per farlo divenire una voce finalizzata a garantire a chiunque di avere un
reddito che garantisca le condizioni di vita giudicate irrinunciabili in ogni
specifico contesto sociale ed economico. Un versione quindi decisamente molto
più ambiziosa che deve puntare a sostenere sia chi è, provvisoriamente, escluso
dal lavoro ma anche chi, per condizioni di mercato non modificabili, non
percepisce un salario adeguato. Va da sé che a monte di ciò deve sussistere la
capacità dello Stato di incidere sul mercato del lavoro riformandone lo
specifico sistema giuridico di riferimento, in particolare per quanto riguarda
il sistema delle contrattazione salariali, in evidente collegamento che le
precedenti proposte di modifica della gestione aziendale e di adozione della
proprietà temporanea. Riprendendo quanto in precedenza ciò implica anche una
complessiva revisione del sistema fiscale che, fermo restando quanto già
indicato per le imposte progressive sulla proprietà e sulle successioni,
definisca in modo più preciso entità e finalità generali dell’imposta
progressiva sul reddito. Per rendere più facilmente comprensibile un quadro
d’insieme che leghi le varie voci di tassazione alla loro finalità di contrasto
e superamento delle disuguaglianze economiche P. inserisce
una tabella (dalla quale sono ovviamente escluse le imposte indirette che, in
una condizione di piena applicazione , potrebbero conoscere una certa riduzione)
che …… a solo titolo esemplificativo e di sintesi ….. riassume in termini quantitativi la sua idea
di fiscalità diretta

Il senso di
queste indicazioni è quello di visualizzare in modo sintetico un quadro di
politiche fiscali, meglio finalizzate al contenimento delle disuguaglianze con
un progressione decisamente rilevante, che deve essere interpretato come il
risultato finale di un percorso che, inevitabilmente, deve tenere conto del
contesto specifico in cui viene adottato. Occorre inoltre tenere conto che il
prelievo fiscale globale così ottenuto è relazionato alla copertura del volume
medio della spesa pubblica per le voci di bilancio che hanno una relazione
diretta con il regime delle disuguaglianze. P. valuta,
sulla base delle medie di spesa dei paesi industrializzati, che la copertura
delle voci più rilevanti di un adeguato welfare (sanità, istruzione, pensioni,
assistenza) vale circa il 40% del reddito nazionale medio, a cui si potrebbe
aggiungere un 5% per l’attuazione del reddito di base ed un altro 5% per la
dotazione di capitale. Le percentuali delle imposte su patrimonio, successioni
e reddito indicate nella Tabella 5 hanno una
stretta relazione con questi volumi di spesa pubblica e, come evidenziato nella
Parte Terza, non rappresentano assolutamente una novità storica. All’interno di
questo quadro complessivo di spesa pubblica un settore riveste, a giudizio di
P., una valenza primaria per avviare processi di superamento delle
disuguaglianze: l’istruzione.
Istituire
equità nel campo dell’istruzione
Come più
volte evidenziato nella Parte Terza è
infatti centrale Il ruolo
dell’istruzione, e della correlata acquisizione di competenze professionali,
nella struttura delle attuali disuguaglianze. Nei primi tre Capitoli di questa
Parte Quarta P. ha poi analizzato dettagliatamente l’evoluzione dell’elettorato
della sinistra che ha visto crescere l’influenza di quello più istruito, e
quindi anche con un reddito più alto, tanto da trasformarsi da “partito dei
lavoratori” a “sinistra benestante intellettuale”. L’insieme di questi due
fattori implica per ogni percorso di contrasto delle disuguaglianze la massima
attenzione per le politiche dell’istruzione e della formazione. Le quali al
momento evidenziano al contrario limiti e problematiche di ordine classista,
non essendo globalmente garantito in modo diffuso l’accesso a livelli adeguati
di percorso scolastico e universitario. Sono molti i fattori che determinano
questo stato di cose; rapporto pubblico-privato, diversità geografica e sociale
dell’offerta formativa e correlata diversità qualitativa del personale,
sperequazione nella destinazione delle risorse, livelli dei costi di accesso,
sono solo alcuni dei temi che una istruzione più egualitaria deve affrontare. P.,
dichiarando al riguardo la sua personale incompetenza, ritiene però che un
primo fondamentale passo debba consistere nell’avviare un serio e approfondito
dibattito pubblico ……. nella massima trasparenza possibile grazie alla
diffusione e condivisione di tutti i relativi dati ….. All’interno dei quali l’entità e la
suddivisione delle risorse finanziarie riveste un peso prioritario, qualsiasi
idea di coraggiosa riforma, come ad esempio la politica adottata in India di
riservare quote alla caste basse, può sperare di essere realizzata, e mantenuta
su tempi lunghi, solamente se l’istruzione viene individuata come un settore
prioritario di investimento. In questo senso è ipotizzabile un primo criterio
di partenza, già traducibile in provvedimenti concreti: le analisi specifiche
raccolte da P. evidenziano una media della spesa pubblica totale, per i paesi
industrializzati, per il percorso scolastico e formativo fino alle soglie dell’università
pari a circa 120.000 euro, un dato medio che però si forma all’interno di una
forbice che vede ad un estremo il 10% degli studenti che di meno ne beneficiano
attestarsi ad 65.000/70.000 euro e a quello apposto del 10% che di più nego
dono arrivare a 250.000/300.000 euro. Un divario notevole che si spiega
soprattutto con i fenomeni di abbandono scolastico e di iscrizione a percorsi
scolastici più brevi e meno qualificati. L’idea potrebbe allora essere quella
…….. di
garantire che tutti abbiano comunque diritto alla stessa spesa ……
“dotando” ogni nuovo studente che inizi il suo percorso di istruzione di questo
capitale medio spendibile secondo percorsi individuali di preferenza formativa.
La gestione di questo “capitale formativo” deve ovviamente coinvolgere più
soggetti e protagonisti, deve armonizzare il rapporto scuola pubblica-scuola
privata, deve essere spalmato territorialmente nel modo più omogeneo possibile,
e deve essere, coerentemente con quanto prima, monitorato costantemente e
pubblicamente. Non mancano di certo difficoltà ed ostacoli ma il senso vero di
questa proposta consiste, secondo P., nell’attivare una attenzione molto più importante e diffusa sul
ruolo dell’istruzione nell’ambito della sua idea di un “socialismo
partecipativo”. Ancor più complesso è poi il passaggio alla fase di istruzione
universitaria, soprattutto quella di più alto livello, nella quale le differenze
classiste trovano i loro massimi livelli. Al momento attuale, in attesa che gli
scenari auspicati di appiattimento delle disuguaglianza trovino realizzazione,
è però possibile estendere ed ottimizzare il sistema delle quote riservate e
del sostegno finanziario per gli studenti meno ricchi ottenuto anche grazie ad
un suo parziale finanziamento con una maggiorazione delle quote a carico di
quelli più benestanti. Una prospettiva che dovrebbe ovviamente includere,
armonizzandole verso l’alto, le università pubbliche e quelle private, le più
prestigiose comprese.
Verso una
democrazia partecipativa, egualitaria e con giusti confini
Completano il
quadro delle proposte che P. , a definire la sua idea di un
“socialismo partecipativo del XXI secolo, avanza in questo ultimo Capitolo del
suo saggio alcune considerazioni sulla partecipazione politica e sul quadro
delle relazioni fra Stati. Come per le precedenti sono contributi che non
intendono essere già organicamente definiti, ma che si prefiggono l’obiettivo
di sollecitare, su una base non solo teorica, discussione e confronto. E’
sempre più urgente recuperare l’eredità delle esperienze che hanno costituito,
nel secondo dopoguerra, la prima e finora unica esperienza di effettiva
riduzione della disuguaglianza per adattarla al nuovo preoccupante attuale
contesto globale. Il primo passo in questo senso consiste proprio nel
rilanciare un confronto politico capace di recuperare una forte tensione ideale
ed una partecipazione adeguata alla posta in palio. Appare d’altronde evidente
che il “classico” modello socialdemocratico dimostra …… una grave incapacità di far fronte
all’aumento delle disuguaglianze …… ed allo stesso modo gli attuali
percorsi di analisi, discussione, elaborazione, e coinvolgimento di massa sono
del tutto inadeguati. E’ l’intera dimensione della “politica” che non attrae
più perché ormai percepita come strumento inefficace, trascinando con sé le
stesse istituzioni della democrazia elettorale. Si tratta, anche in questo
caso, di una problematica enorme che implica un insieme di azioni di varia
natura, P. concentra per intanto la sua attenzione sul tema del ….. finanziamento
della politica ……. Un tema, mai
affrontato in modo razionale e con soluzioni molto diversificate da un paese
all’altro, che è centrale per il rapporto partiti-elettori. Il trasferimento su
media e Rete delle campagne elettorali ha ormai da anni elevato il loro costi a
livelli incredibilmente alti aprendo così ulteriori margini di manovra a
finanziamenti privati in grado di condizionare le stesse linee politiche.
Puntare ad una democrazia partecipativa che si ponga l’obiettivo di una
uguaglianza democratica significa allora riportare ai cittadini, agli elettori,
il diritto/dovere di un finanziamento trasparente e controllato. Questo può
avvenire attivando un finanziamento pubblico, basata su un sistema di ……. buoni per
l’eguaglianza democratica …….. di
modesta entità che annualmente ogni singolo elettore può conferire, ad esempio
tramite una scelta on-line, ad un movimento o partito di suo gradimento.
Rispetto al sistema adottato in alcuni paesi (Italia compresa), che già prevede
la destinazione di un percentuale del proprio reddito netto effettuata nella
dichiarazione dei redditi, quello dei buoni fissa un importo definito (quota
buono per numero elettori) ed implica un obbligo di scelta, cosa che non
avviene nel primo sistema, ovvero, nel caso in cui tali scelte non siano state
esercitate, il monte finanziario residuo verrebbe comunque assegnato ai partiti
ripartito in proporzione alle scelte esercitate. Parallelamente dovrebbero
essere vietate donazioni e finanziamenti da parte di società e altre persone
giuridiche, e dovrebbe essere fissato un limite drastico anche per i contributi
dei singoli cittadini. Ai partiti e movimenti spetterebbe poi il dovere di
rendere pubbliche le modalità di utilizzo dei finanziamenti così ottenuti. La
crisi della democrazia ha cause profonde di diversa natura che richiedono
percorsi complicati per possibili soluzioni, ma questa proposta, che si colloca
nella prospettiva di un socialismo democratico e partecipativo, ……. consentirebbe quantomeno una diretta e trasparente
influenza dei cittadini sul sistema dei partiti ……… Un secondo problema, altrettanto delicato e
decisivo nell’epoca della globalizzazione, è quello ….. dei giusti confini …… L’attuale organizzazione per Stati ha ormai
una consistenza storica di lunga durata tale da farla ritenere insuperabile, ma
in realtà è il risultato, per definizione provvisorio, di precisi percorsi
politico/ideologici che sono entrati manifestamente in crisi proprio in
conseguenza della globalizzazione e dello svuotamento di buona parte
dell’effettiva sovranità degli Stati. Si impone quindi una vera presa d’atto della
necessità di una maggiore considerazione della dimensione transnazionale con evidenti
ricadute su tutte le tipologie di rapporto internazionale. La libera circolazione
di beni e capitali, e le sue ricadute sui singoli regimi fiscali e sociali, la
più o meno libera circolazione di persone, con le ovvie conseguenze sui locali
mercati del lavoro, la collegata gestione dei flussi migratori e l’intero
sistema degli aiuti internazionali, la condivisa ricaduta delle globali
emergenze ambientali e climatiche, sono solo le più evidenti problematiche che
impongono, nell’ottica di un socialismo partecipativo del XXI secolo e di una
….. democrazia
transnazionale ….., la necessità di
attuare forme istituzionali diverse di rapporto fra gli Stati in grado di
andare oltre l’attuale impostazione prevalentemente basata su accordi e
trattati su specifiche questioni. Può aiutare a definire questo diverso quadro
l’esperienza di costruzione dell’unità europea, i cui limiti attuali sono stati
esaminati nel precedente Capitolo 16. Molte, e complesse, sono le ragioni che
spiegano il contraddittorio percorso di realizzazione di una autentica unità
sovrannazionale europea. L’insufficiente volontà di procedere verso un più
definito federalismo europeo capace di andare oltre la mera convenienza della
creazione di un “mercato comune” ha implicato, inevitabilmente, il crearsi di
numerosi e continui conflitti che hanno prodotto un lento, ma inesorabile,
distacco di buona parte dell’opinione pubblica europea dagli ideali iniziali.
Rientrano in questi conflitti, che altro non producono se non reazioni di
difesa nazionalistica, fino al caso estremo della Brexit, le problematiche dei
“trasferimenti”, ossia quanto ogni Stato versa alla UE e quanto da questa
ritorna ai singoli Stati, delle “regole del debito”, decise come modelli
teorici e applicate senza tenere adeguato conto dei singoli percorsi storici
sicuramente molto diversificati. Due esempi fra i tanti che testimoniano l’inadeguatezza
dei percorsi decisionali comunitari e delle istituzioni chiamate a deciderli.
Come già evidenziato nel Capitolo 16 P. ritiene
che la sola efficace via di uscita consista nell’avviare processi di reale
trasferimento di “potere statale” ad entità istituzionali sovrannazionali in
un’ottica di compiuto federalismo. Evitando da subito l’errore, fin qui
compiuto, di rafforzare il solo potere “esecutivo” comunitario senza aver
preliminarmente ridisegnato l’architettura di quello “parlamentare/assembleare”.
Allo stesso modo sarebbe un errore grave immaginare che, in una fase ormai
priva delle tensioni ideali del secondo dopoguerra, sia possibile realizzare
una compiuta costruzione federalistica. Occorre, tenendo insieme questi due
aspetti, puntare su passaggi intermedi che da una parte diano il senso
dell’obiettivo finale e dall’altra realizzino significativi passi in avanti su
alcune problematiche strategiche. Una evidenza storica può essere di importante
conforto ….. nessuna
costruzione statale è sorta spontaneamente, tutte sono state costruite
storicamente e politicamente attraverso attività e risultati comuni che hanno
dimostrato come i benefici dell’inclusione in una stessa comunità superassero
le logiche dei confini …… Per entrare nel merito, riprendendo quanto
già evidenziato nel Capitolo 16, P. pensa quindi ad una Assemblea transnazionale europea
specificamente preposta alla gestione legislativa parlamentare di problematiche
comunitarie a valenza strategica globale quali: la gestione dei beni pubblici
(clima, ricerca, etc.) la giustizia fiscale (sistema impositivo, progressività,
voci tassabili CO2 compresa) composta in quota parte da deputati eletti nei singoli
Parlamenti nazionali e da altri di diretta elezione europea. Un modello di
democrazia transnazionale che inizia a costruirsi su specifiche tematiche
concrete per estendersi progressivamente anche ad altri decisivi aspetti, ad
esempio: nuove regole sulla circolazione delle persone, le politiche per
l’istruzione, il diritto del lavoro e gli standard del welfare. Due avvertenze
devono essere tenute in giusta considerazione: l’insieme non poco disordinato
di norme e trattati che regolano questi settori dovrà essere sicuramente
sostituito, ma questa operazione è possibile solo definendo un nuovo quadro
giuridico di riferimento, rimettendo quindi mano alla Costituzione europea. Al
tempo stesso è …….. impossibile attendere, come adesso sta succedendo, che
tutti siano d’accordo ……..
Sarebbe un primo decisivo passaggio che alcuni Stati, meglio ancora se fossero
quelli più rappresentativi, decidano di avviare un percorso di questo genere
per definire comuni, e vincolanti, politiche. Si è detto dell’Europa, ma nulla
vieta di pensare, e di lavorare perché ciò avvenga, che analoghi processi di
costruzione di elementi di democrazia transnazionale inizino a realizzarsi,
andando oltre l’inadeguato e fragile sistema dei trattati, fra aree politiche
più allargate, per esempio una analoga Assemblea euro-africana potrebbe nascere per affrontare in modo
democratico e costituzionalmente stabile problemi quali la regolamentazione dei
flussi migratori, le politiche di compensazione per l’emergenza climatica ed
ambientale, la tassazione dei profitti delle multinazionali. P.
ricorda, in chiusura, che l’insieme delle sue proposte, finalizzate ad avviare
un dibattito il più ampio possibile, trova consistenza, riprendendo
l’insegnamento che emerge dalle analisi di questo saggio, nella potenzialità
delle costruzioni ideologiche. Tutte le società esaminate, tutti i regimi delle
disuguaglianze analizzati, poggiano su precise ideologie che altro non sono che
processi di evoluzione culturale di lungo periodo. La situazione attuale delle
disuguaglianze impone una netta inversione di rotta che, conseguentemente, deve
poggiare su una diversa concezione ideologica di una disuguaglianza più giusta,
più accettabile ….. le società umane non possono vivere senza ideologie che
cerchino di dare un senso alle loro disuguaglianze. Così sarà anche per il
futuro, soprattutto a livello transnazionale …….