Il “Saggio” del mese
GIUGNO
2023
Alcuni
articoli di presentazione, e soprattutto una bella intervista radiofonica,
hanno fatto scattare una curiosità che si è presto collegata con l’idea, già
coltivata da tempo, di proporre una lettura in qualche misura “inconsueta” per
questo nostro blog. Il tema del “Saggio” di questo mese lo è sicuramente per
certi aspetti, quelli suoi più specifici, ma non manca comunque di una evidente
relazione con l’insieme delle riflessioni che CircolarMente da tempo propone.
Stiamo parlando di …..
il cui
autore è Vittorio Lingiardi
(Vittorio Lingiardi,
psichiatra e psicanalista, professore di Psicologia dinamica alla Sapienza di
Roma, Presidente della Società per la ricerca in Psicoterapia, autore di
numerosi saggi)
E’ lo
stesso Lingiardi a premettere l’azzardo di un’opera che affronta la complessità
di un tema sul quale l’uomo da sempre si interroga. Questo suo saggio non ha
quindi l’ambizione di aggiungere una personale interpretazione del mondo dei
sogni, quello che ci propone, ben richiamato nel sottotitolo “Un viaggio onirico” è una esplorazione di come il
sogno abbia accompagnato, interrogandola e facendosi interrogare, l’umanità fin
dalla notte dei tempi. Seppure limitandosi a farci da guida nel mare di quanto
è stato detto, scritto, rappresentato, Lingiardi chiarisce che anche così l’orizzonte
resta troppo vasto. Da qui la sua scelta di proporci tre percorsi, tre
itinerari, che raccontano le tre grandi tappe del viaggio dell’uomo nel mondo
del sogno: la prima, “Divinazioni”, racconta
la visione antica, classica, durata fino all’irruzione, sconvolgente, della
seconda, quella della “Interpretazioni”,
iniziata nel 1900 con l’opera di Freud, ed infine la terza, quella
contemporanea delle “Neurovisioni”, proposta
dalle neuroscienze. Lingiardi illustra questo viaggio onirico affidandosi a
citazioni, collegamenti, incursioni in altre discipline, con una scelta quindi tanto
intrigante quanto complicata, al limite dell’impossibile, per essere tradotta nella
forma consolidata dei nostri post. Ci siamo pertanto limitati a proporre un “racconto del suo racconto”.
…… anche noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni
………
(Prospero, Atto IV,
Scena I, “La tempesta” di William Shakespeare)
DIVINAZIONI
E’ dal mondo greco che prende l’avvio il
viaggio, dalle loro notti sognanti popolate di nomi: Hypnos, il dio del Sonno,
generato da Nyx, la dea della Notte, gemello di Thanatos, il dio della Morte,
e padre di Morfeo, dio del Sogno, con i cui doni tutta la cultura greca
ha sempre avuto un strettissima relazione. Sogna Agamennone che, ingannato da
Zeus nelle vesti di Nestore, suo consigliere, viene così indotto ad attaccare
Troia. E sogna Penelope (Ulisse è appena tornato ad Itaca
nella sua reggia, ma ancora non si è rivelato. Penelope gli racconta di aver
sognato un’aquila che sgozza venti oche, chiara anticipazione dell’uccisione da
parte di Ulisse dei venti Proci) e, raccontando dell’angoscia provata nel
sognare, chiede allo sconosciuto, Ulisse è ancora sotto mentite spoglie, il
significato di tale sogno. Questi due esempi omerici bene raccontano di come
per i Greci il sogno sia uno dei modi che gli dei hanno per parlare agli
uomini, ma anche che spesso il sogno si presenta come mistero da decifrare.
Sono esattamente i due aspetti che compongono quella che Lingiardi chiama “divinazione”,
l’idea del sogno della Grecia classica: da una parte l’ispirazione diretta da parte
della divinità e dall’altra l’interpretazione del messaggio. Non a caso i
greci non usavano dire “ho fatto un sogno”, ma “ho visto un sogno”, proprio
perché lo vivevano come un’esperienza che veniva da fuori, da altri provocata. Peraltro,
spostandoci in altre culture, non diversamente sogna Gilgamesh il re sumero
dell’antichissima Uruk (protagonista di un racconto epico
della Mesopotamia),
e allo stesso modo vivevano i loro sogni gli ebrei dell’Antico Testamento, ce
lo attesta, fra i tanti altri, quello di Giacobbe (sogna una scala alta
fino al cielo, la risale fino a comparire di fronte a Dio che gli annuncia che
diverrà Re della terra sulla quale sta dormendo). Il Dio del
racconto biblico si manifesta spesso al popolo eletto, se lo fa durante le ore
del giorno le sue parole sono chiare, ma se lo fa di notte, nel sonno, le
parole diventano oscure, vanno interpretate, e questo è lavoro da profeti.
Erano tre i tipi di sogno per gli Ebrei: “naturale”, il più comune che racconta i fatti
della vita, “profetico”,
quello di profeti e patriarchi che devono fare da tramite con il popolo, e “custode”,
quello che possono sognare tutti, ma che è ancora più simbolico. Popoli
diversi, culture diverse, dei diversi, ma per tutti il sogno, proprio perché
inteso come divinazione, ha una sola direzione: il “domani”. Sempre dice all’uomo
quello che gli succederà, quello che potrebbe/dovrebbe fare, a patto di saperlo
interpretare, l’essere rivolto verso il futuro rappresenta quindi un tratto caratterizzante
del sogno della classicità. Ed è con questo tratto distintivo che, alcuni
secoli dopo nel II secolo d.C., compare, restando a lungo caso a sé (tanto
da essere visto per molti secoli come una sorta di Bibbia del sogno, e ad
essere apprezzato dallo stesso Freud), il primo tentativo sistematico
d’interpretazione dei sogni: il trattato in ben cinque volumi di Artemidoro di Daldi (scrittore e filosofo greco di Efeso, da non
confondere con l’omonimo Artemidoro di Efeso, il presunto autore del famoso
papiro rivelatosi poi un falso) Lo slancio onirico
verso il tempo a venire viene qui codificato e tradotto in una sorta di
disciplina, l’oniromanzia (l’arte divinatoria basata proprio
sull’interpretazione dei sogni), che decodifica un gran numero di possibili
sogni sempre introdotti con lo stesso incipit: ….. un tale sognò di ….. La casistica con Artemidoro si ampia a
dismisura, ma resta valida la distinzione di base fra quelli, definiti enypnion,
che valgono come banali eventi notturni, e quelli, definiti onar,
che sono invece preziose profezie da interpretare (Lingiardi per
spiegarlo riprende quello il di Penelope che, nel raccontarlo ad Ulisse,
afferma che sono due le porte da cui i sogni fanno ingresso nel sonno: una ha
battenti di duro corno, l’altra di luccicante avorio. Da questa passano i sogni
ingannevoli, dalla prima quelli fidati che si avverano). Artemidoro ha un
altro grande merito: la raccolta di così tanti sogni è in effetti un vivo e
sincero ritratto dell’umanità del tempo, delle sue paure e speranze, in fondo è
un testo che pur
parlando sempre della notte finisce per dire molto anche del giorno.
Non mancano in questo panorama voci diverse: una è sicuramente quella di Lucrezio
nel suo De rerum natura. Contemporaneo di Artemidoro e fedele all’atomismo
epicureo (riprende anche concetti di Democrito) non teme di
affermare che i sogni non hanno sempre potenza divinatoria, una parte di loro
altro non è che l’effetto di particelle, in forma di simulacra, che si staccano dal
mondo fisico per entrare nel sonno umano, un’altra parte ancora sono quelli generati
da stimoli particolari, gli eidola (idoli), immagini degli
dei, ma anche delle anime dei morti. Tutti comunque mantengono sempre lo
sguardo rivolto verso il futuro (quella di Lucrezio è in effetti la
prima distinzione, per quanto incerta e approssimativa, fra una origine fisica
del sogno ed una incorporea, metafisica, una sorta di anticipazione delle idee
di sogno delle neuroscienze). E già Aristotele si era posto, alcuni secoli
prima, sulla stessa falsariga definendo il sogno come risultato incontrollato e
incontrollabile di piccoli stimoli fisici che si manifestano nel sonno. Ma il
controcanto più significativo al sogno come “divinazione” lo si trova nel
pensiero socratico e platonico, per i quali chi ci parla nel sogno non sono sempre
e solo gli dei, ma spesso la nostra anima sua inseparabile compagna. Il divino
non scompare, ma per Socrate è proprio la voce notturna degli dei che ci invita
a prenderci
cura più di ogni altra cosa della parte più importante di noi, la psychè (l’anima,
lo spirito).
E’ soprattutto in Platone che si possono cogliere i primi più definiti segnali
di un approccio al sogno che smette di essere dimensione a sé dominata dal
divino per divenire un’unica cosa con la veglia, l’unione di notte e giorno (ed
è rilevante notare che, quasi in contemporanea, il filosofo cinese Chuang Tzu
pensasse la stessa cosa. E’ famoso il suo apologo “ho sognato di essere una
farfalla, al mio risveglio però non sapevo se ero un uomo che aveva sognato di
essere farfalla o una farfalla che stava sognando di essere uomo”) per quanto spesso si
manifesti come “dubbio
iperbolico”. E se, come per Socrate, la vita onirica è quella che
contiene gli aspetti più veri e profondi dell’anima, ciò non significa che essi
siano sempre le sue parti migliori (i sogni saranno malvagi se chi li
sogna è malvagio, sono buoni se il sognatore è un buono). Per Platone quindi
non esistono “porte
di corno e porte d’avorio”, i sogni sono tutti veri perché tutti
raccontano una parte della nostra anima. La caratteristica etica del sogno inizia
con Platone, ma avrà nel pensiero cristiano di Agostino un significativo
sviluppo, persino anticipatore della futura idea di “inconscio”. Nelle sue
Confessioni racconta infatti che, preoccupato dal sognare sogni impuri,
nonostante la sua diurna scelta dell’astinenza, chiede a Dio “in quei momenti
dov’è la ragione che durante la veglia mi fa resistere?”. Lingiardi
è convinto che la lunga fase della “divinazione” si chiuda proprio con l’insorgere
di domande come questa, che aprono nuove “porte” che guardano alla parte di noi
che emerge nel sogno per ribellarsi ai pensieri diurni.
INTERPRETAZIONI
…… ho le mani nei capelli, pretendo di raccontare in un
capitolo che cos’è il sogno per la psicanalisi ….. inizia con questa confessione il viaggio di
Lingiardi nel nuovo mondo che si apre con l’uscita nel 1900 (il
testo era già pronto l’anno prima ma Freud volle espressamente che uscisse nel
primo anno del nuovo secolo consapevole della rivoluzione che avrebbe
comportato)
del testo freudiano “L’interpretazione dei sogni”, un testo che (per
quanto discutibile e discusso) ha segnato una radicale cesura per
l’intera scena culturale occidentale.
Freud (1856-1939):
“L’interpretazione dei sogni” non è
riducibile alla forma classica del “saggio”, è al tempo stesso anche una
autobiografia (parte dai suoi personali sogni), una personale
elaborazione di un lutto (quello del padre), un catalogo onirico
(contiene
226 sogni). L’idea di partenza è che il sogno abbia
sempre un senso, un significato, in particolare quello di
un “appagamento di
un desiderio”, che possono essere indagati, che devono essere
indagati nel caso di patologie psichiche, un’idea rifiutata dalla comunità
scientifica del tempo che ancora considerava il sogno un inutile fenomeno
neurologico. Una intuizione che Freud sviluppa anche per gestire le personali difficoltà
emotive legate alla morte del padre, in questa fase di autoanalisi alcuni suoi
personali sogni gli sembrano fornire indizi preziosi (il
più famoso di questi sogni è quello di “Irma”, nome fittizio per indicare due
sue pazienti curate con scarso successo, nel corso del sogno Freud ha dialoghi
conflittuale con la stessa Irma e con altri medici che l’hanno seguita). La personale
necessità di trovare elementi per auto-analizzarsi lo induce a recuperare i
propri sogni (parte anche da qui la sua idea di
analisi e della necessità di farsi dire dal paziente “tutto
quello che passa per la testa, i sogni in particolare”), e riflettendo su
quello di Irma comprende che quel sogno rivela la sua fin lì inconsapevole
speranza di non essere incolpato per le sofferenze provocate dal suo
insuccesso: sta in questo passaggio la genesi della sua idea di sogno come “appagamento di
un desiderio”. Ma se il sogno altro non è che un prodotto
dell’inconscio saperlo decodificare rappresenta una preziosa porta, “la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio”, per potervi
accedere, e questa porta ha il nome di “interpretazione dei sogni”, la tecnica che
consente di estrarre da un “sogno manifesto” il suo “contenuto latente”. Per Freud il
sogno non è di per sé l’inconscio, ma “una forma particolare di pensiero resa possibile dalle
condizioni di stato del sonno, la forma nella quale un pensiero scartato dal
preconscio ha potuto rifondersi”. Se quasi tutti i sogni, nel loro
essere l’appagamento di un desiderio, si comportano da “custodi del sonno” annullando
con il loro fittizio appagamento ogni tensione, ogni preoccupazione, alcuni si
manifestano al contrario, fino ad essere dei veri e propri incubi, con segni di
preoccupazione, di punizione, di “contro-desiderio”. Ma per Freud restano, anche
questi, segnali evidenti di desideri che sono però in conflitto con il contesto
etico, estetico, sociale, culturale, nel quale il sognatore vive “da sveglio”,
nasce proprio da questo contrasto, che viene gestito dall’Io con una forza
psichica, “la
censura”, il loro manifestarsi sotto forma di tensioni e senso di
oppressione ….. per
aggirare l’attività censoria della coscienza, i desideri inconsci si
travestono, si deformano …. Ed è sempre legato alla “censura” il
frequente dimenticarsi dei sogni fatti. Se dunque i sogni, e a maggior ragione
proprio quelli più tormentati, formano per queste loro caratteristiche la “via
regia all’inconscio”, per coglierne il vero significato, e le possibili
collegate patologie, occorre indagare sugli “elementi dinamici della formazione del
sogno” su quello che si può definire il “lavoro onirico”. Freud lo fa
codificando, sulla base dei 226 sogni analizzati, un lungo elenco di “simbolizzazioni”
e alcuni fondamentali processi di costruzione del sogno: “la condensazione”, “lo spostamento”,
“la
trasformazione” (in elementi noti ai sensi), “l’elaborazione
secondaria” (quella che avviene appena prima del
risveglio per rendere il sogno più coerente). Sono i primi due quelli più
importanti: “la condensazione” è la sintesi di più significati latenti in uno
solo, quello con contenuto più manifesto, mentre “lo spostamento” opera in due
modi: sostituisce un elemento latente con uno meno facilmente decifrabile,
oppure chiama in gioco altri elementi marginali che celano quello centrale. In
sintesi per Freud (che ha costruito proprio sui sogni
l’architrave della sua concezione di “inconscio”) il sogno (che
la “divinazione” declinava con uno sguardo rivolto al futuro) “racconta il
passato” accumulato nell’inconscio ed il suo scontrarsi con le
complicazioni del presente. Non ha quindi “valore in sé” ma come “contenitore di pensieri latenti”
che rivelano i nostri desideri ed i conflitti che da essi possono nascere.
Jung (1875-1961):
la netta svolta impressa da Freud alle
precedenti consolidate idee del sogno vede da lì a poco una contrapposta evoluzione
tanto clamorosa quanto imprevista perché impressa da quello che era considerato
il “delfino” di Freud, Carl Justav Jung. Per quanto lo stesso Jung ci tenesse a
ribadire di non possedere una teoria dei sogni, dall’insieme delle sue opere ne
emerge una ben precisa anche se, a differenza di Freud, non trattata in modo
sistematico. La spiegazione consiste nel fatto, che segna il distacco dalle
idee freudiane, che per Jung il sogno è una funzione “autonoma rispetto alla coscienza”,
non è un prodotto dell’Io, ma “un evento che lo investe”. E come tale è
autonomo anche rispetto alla psicanalisi. E’ come se ognuno di noi fosse
abitato da un altro essere che ci parla proprio attraverso i sogni e che, in
questo modo, ci aiuta a definire la nostra stessa identità in un costante
lavorio che avviene sulla linea di confine tra “coscienza e inconscio”. Da
questo lavorio scaturiscono le molteplici situazioni mentali che accompagnano
il nostro vivere, quali quelle di “compensazione”, che possono positivamente
contribuire al loro equilibrio (in questo caso la domanda da porsi
è: quale atteggiamento cosciente questo sogno sta “compensando”?), oppure quelle di
“anticipazione”,
che possono aiutare a capire esigenze e speranze altrimenti “coperte”.
Questa consapevolezza è fondamentale per indirizzare un eventuale lavoro
psicoanalitico che per Jung, in questo lontanissimo da Freud (che
indaga le “cause” del sogno), diventa invece
quello di indagare gli “scopi” contenuti nei sogni (una
sua frase bene lo esplicita: “il materiale onirico
non consiste solo di ricordi, ma racchiude anche nuovi pensieri che non sono
ancora coscienti”). Siamo, va da sé, lontanissimi dalla divinazione degli
antichi, ma il capovolgimento junghiano verso un possibile futuro (rispetto
alla sguardo volto verso il passato di Freud) contenuto nei sogni ridà comunque un
qualche spazio anche alle voci del passato, che però non è tanto e solo quello
del sognatore, ma è anche il riaffiorare (aspetto centrale del
pensiero di Jung che crede fermamente ad un “inconscio collettivo”) di “contenuti
collettivi che abitano il sogno con le loro immagini primordiali, universali,
sedimento delle esperienze archetipe dei nostri antenati trasmesse in via
ereditaria come memoria storica inconscia”. In questa loro evidente
divergenza Freud e Jung condividono però, non casualmente, l’identica matrice
dai propri personali sogni, quelli di Freud legati, come si è visto, al lutto del
padre, quelli di Jung indici di paure ed insicurezze ad entrare nel mondo “dei
grandi” (diceva: “l’intera mia vita
è la storia di una autorealizzazione dell’inconscio”). Anche questo
aspetto aiuta a comprendere la “autobiografica” genesi del loro modo di
intendere il sogno: se per Freud era il “custode del sonno”, la “via regia per conoscere l’inconscio”,
per Jung il sogno diventa, come urlo rivelatore di scopi, “il disturbatore del sonno”, e “la via regia per
l’inconscio non sono i sogni, bensì i complessi che li causano”
Bion:
(Wilfred Ruprecht Bion, 1897–1979, psicoanalista britannico)
Lo scontro tra i due grandi
della psicanalisi novecentesca è il terreno sul quale si è formato il pensiero
del terzo grande “modello di sogno” novecentesco. Per Bion (psicanalista molto apprezzato in ambito scientifico ma poco
conosciuto dal gran pubblico) il sogno non è “la protezione
del sonno che dà soddisfazione ai desideri”, come pensa Freud, ma
neppure “la
rivelazione di origine mitica delle nostre proiezioni”, come
sostiene Jung, il sogno è invece una sorta di “laboratorio sempre in attività”,
una attività così necessaria per i nostri pensieri tanto “da svolgersi sia di notte che di giorno”.
Questo perché per sogno, o meglio ancora per “sogno necessario”, Bion intende
la capacità, che denomina “funzione alfa”, della nostra mente di “lavorare sugli
stimoli che provengono dal mondo e dal corpo in forma di impressioni
emotive-sensoriali non elaborate (elementi beta) trasformandole in immagini (elementi alfa) che rendono possibili pensieri consci ed inconsci”. Il sogno, inteso come permanente stato
mentale, è quindi per Bion l’usuale terreno di lavoro della funzione alfa ed il
sognare altro non è che l’espletarsi di questa attività. Tutta l’attività onirica
non è per nulla una “allucinazione” che nasconde (Freud), ma è un “continuo pensare che metabolizza e
trasforma emozioni e sensazioni”. Emerge qui un’altra fondamentale
differenza con Freud e con Jung: per i quali (seppure
con le differenze di cui si è detto), “il sogno è un prodotto dell’inconscio”,
per Bion, come ovvia conseguenza della funzione alfa, è esattamente il contrario,
è “il sogno
che produce l’inconscio”. Nel senso che gli elementi alfa possono
dare origine sia a pensieri consci che inconsci, con i primi che mantengono i
contenuti nella loro forma ed i secondi che li elaborano in storie immaginarie
che devono essere decifrate riandando agli elementi beta che le hanno prodotte.
Bion è quindi il vero cultore del sogno (notturno
e diurno), che vede come “elemento strutturante della vita mentale, dello sviluppo
della personalità”, della formazione del pensiero. Nella scia dei
tre grandi interpreti novecenteschi del sogno è succeduta, in campo
psicoanalitico, una mole impressionante di approfondimenti, variazioni, riprese,
contestazioni (accompagnate da una,
parallela e non casuale, costante
presenza del sogno in tutte le arti) dalla quale Lingiardi si
limita a recuperare le figure di:
Thomas Ogden (1946, psicanalista statunitense)
Al rigore dell’analisi
scientifica Ogden ha abbinato una grande attenzione verso la poesia, capace a
suo avviso di aprire orizzonti interpretativi a partire proprio dai sogni.
Mentre si sogna, e allo stesso modo quando si crea poesia, la mente guarda alle
cose “da più
punti di vista e con diversi momenti temporali” incurante di
concrete destinazioni, trascinata solo “dal proprio stesso movimento”. L’idea del “sogno/poesia”,
così inteso, capovolge l’intero percorso onirico che va vissuto non più “per rendere
cosciente l’inconscio”, ma al contrario come una tensione a “rendere
inconscio il conscio”, immergendo l’esperienza cosciente in più
ricchi processi di pensiero inconscio
Philip Bromberg (1931-2020,
psicanalista statunitense)
Per Bromberg il sogno è invece “un diverso stato
di coscienza”. Riprendendo il filosofo greco Zenone e la sua idea
dell’uomo “abitato
da molti sé” è convinto che una
buona salute mentale consista proprio nella capacità di gestire questa
diversità interiore, di “restare fra gli spazi dei nostri molti sé”, ed
in questo incessante flusso interiore il sogno diventa esattamente questo: una “costante mediazione
degli stati interni di dissociazione”. In più non è soltanto “un luogo dove
risuonano le voci dei nostri tanti sé”, ma è il modo in cui
perveniamo ad un diverso stato di coscienza capace di creare “nuove forme di
integrazione e dialogo tra di loro”. Queste figure di psicanalisti
presentate da Lingiardi sono solo alcune delle più significative voci di una
disciplina che nel corso del Novecento (occidentale) ha acquisito, anche
grazie alla sua visione di sogno, rilevanza clinica e attenzione diffusa. Nella
pratica clinica il ruolo del sogno, al di là delle sue diverse declinazioni, è
assolutamente centrale, le esperienze che di conseguenza si sono sin qui
accumulate consentono una “classificazione” delle forme che con le quali
esso può manifestarsi indipendentemente dalla sua interpretazione. Secondo
Lingiardi quelle più ricorrenti e di maggiore interesse sono:
il sogno “nevrotico” = quello che presenta una narrativa
ricca, persino iper-articolata, con un “qui ed
ora” (solo in parte interrotto da incursioni del passato), che consente al sognatore un suo
racconto accompagnato da una gestibile tensione emotiva
il sogno “borderline” = quello delle persone con disturbi
di personalità “al limite” (instabilità delle
relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore e da una eccessiva
impulsività) che si manifesta in situazioni di angoscia
che ripetutamente riprendono le possibili cause traumatiche e i conflitti
relazionali. Il sognatore manifesta confusione tra “sogno e realtà”
il
sogno “psicotico” =
quello fatto di immagini, di sé e del mondo intorno, frammentate, deteriorate,
mutilate, bizzarre, non di rado terrificanti, che esprimono alti livelli di
stress. Non sono necessariamente frequenti, ma il loro impatto è tale da
impedire un loro racconto e quindi, a maggior ragione, una loro elaborazione
NEUROVISIONI
A partire dalla seconda metà del Novecento
prende consistenza uno sviluppo delle “neuroscienze” (altrimenti definite
“neurobiologia”, raggruppano numerose specializzazioni scientifiche quali:
fisiologia, biologia molecolare, biologia cellulare, biologia evoluzionistica,
biochimica, anatomia, genetica, chimica, accompagnate anche da studi di
carattere psicologico e linguistico) tale da segnare una nuova e profonda svolta
nel “viaggio
onirico”. Si tratta di una sfida, tuttora in corso che, utilizzando
questi vari contributi, si propone di definire (ovviamente in aggiunta
a molteplici altre finalità) una “teoria generale e definitiva” del fenomeno
mentale chiamato sogno in grado di rispondere adeguatamente alla domanda “perché si sogna’”.
Questa sfida si gioca sul tentativo di coniugare i fenomeni mentali con il loro
substrato biologico e fisiologico, entrando però, perlomeno per certi versi, in
contrasto con l’interpretazione psicanalitica. Un quadro di Paul Delvaux (1897-1994,
pittore surrealista belga) lo testimonia benissimo
(“Ecole des savants – la scuola dei sapienti” sullo
sfondo di un muto paesaggio onirico i neurofisiologi sulla sinistra ed i
psicanalisti sulla destra sono distanti, separati, non si parlano)
Questa distanza risale fin dai primordi
della ricerca neurobiologica, allorquando, negli anni Settanta, uno dei suoi
padri fondatori John Allan Hobson (1933-2021, psichiatra statunitense)
contesta apertamente l’idea di sogno
freudiana sostenendo (sulla base di prolungati studi della
fase REM del sonno)
che il sogno nasce quando, casualmente, impulsi neuronali raggiungono la
corteccia cerebrale che, per metterli in ordine, genera immagini senza
significato. E’ quella che viene definito “il modello neurochimico con modalità on-off dei sogni”.
Per Hobson l’aspetto visivo del sogno, le sue immagini, è del tutto casuale: se il suo
contenuto sembra possedere un significato è solo perché è un prodotto
collaterale del lavorio della corteccia cerebrale per riordinare impulsi
neuronali casualmente ricevuti. Le irruenti argomentazioni di Hobson
accentuano, ovviamente, il dibattito attorno alle origini dei sogni e trovano
da subito rilevanti critiche. Se nel campo psicanalitico si obietta che la
casualità neurochimica del lavoro onirico è inconciliabile con l’accertata
esistenza di “sogni
ricorrenti”, anche nello stesso ambito delle neuroscienze maturano
fondate perplessità. Lo straordinario sviluppo delle tecniche di “brain imaging”
(tecniche
che, utilizzando specifici sensori collegati a computer, consentono di rilevare
quali aree celebrali si attivano in relazione a specifiche attività) consente, già pochi
anni dopo, di notare che l’attività onirica non è presente solo nella fase REM,
ma attraversa l’intero periodo del sonno. Allo stesso modo altri studi rilevano
che l’area cerebrale denominata “talamo” (nome greco che
significa camera interna, camera da letto, il talamo cerebrale sta nel centro
del cervello)
svolge una funzione fondamentale nel ciclo del sonno/sogno: quella di essere
una sorta di “porta
della coscienza”. Il talamo riceve infatti in transito tutti segnali
che provengono dagli organi di senso (occhi, orecchie, cellule gustative
del palato, recettori tattili della pelle) e in fase di veglia li lascia
passare per raggiungere i centri superiori del cervello, ma in fase di sonno li
rallenta, fino a bloccarli in quella REM. Nel passaggio dalla veglia al sonno
talamo e corteccia si “sintonizzano e disattivano l’intero cervello”,
ma questa sintonizzazione non coincide temporalmente: se il talamo già blocca i
segnali la corteccia (e altre parti del cervello) rimane ancora in
attività per alcuni minuti: ciò significa che “aree dormìenti” e “aree sveglie”
possono coesistere. Sono solo alcune delle stupefacenti scoperte che le
neuroscienze hanno progressivamente accumulato in questi ultimi decenni (quelle
qui citate da Lingiardi, essendo strettamente connesse al sogno, hanno solo
valore di esempio),
la loro evoluzione è in costante corso (a fronte del fatto che
il cervello è a tutti gli effetti la struttura biologica più complessa in
assoluto),
ma ha già fissato due fondamentali punti fermi: il cervello ha una struttura
molto articolata nella quale ogni sua area è preposta alla gestione di una o
più funzioni, ed inoltre che fra tutte le aree esiste una costante inter-relazione
(l’aspetto più difficile da codificare) che presiede alla elaborazione di ”risposte”
ai segnali che provengono dai sensi piuttosto che da emozioni, sentimenti e
stati d’animo (Lingiardi, sempre a titolo
esemplificativo, cita la scoperta del “Default Mode
Network”, un’ampia rete neurale che sincronizza la sua attività per la
gestione delle attività di introspezione, dei ricordi e dei pensieri rivolti al
futuro ed è quindi indipendente dagli stimoli esterni in corso, ma “riflette”
su quelli passati e su quelli futuri. Questo DMN, non a caso, è perfettamente
funzionante anche durante il sonno). L’attività onirica, secondo le
neuroscienze, va collocata, come ogni altro aspetto della nostra biologia, in
questo quadro, dal quale emerge la sua costante presenza, seppure modulata in
forme differenti, sia nelle fasi di sonno che in quelle di veglia, quasi fosse
una sorta di “vita
parallela” (si spiegano così quelli che
chiamiamo “sogni ad occhi aperti”, quelli
che mettono insieme in modo inspiegabile ricordi a breve con altri che
risalgono a molto prima, quelli che in forma di “incubo”
metabolizzano traumi o situazioni di stress, ma anche quelli che sempre in
forma di incubo vivono i bimbi fin dalla primissima infanzia).
LA VITA E’ SOGNO?
Lingiardi ritiene comunque opportuno, per
meglio comprendere il senso ultimo del sogno, non “gemellare con troppa disinvoltura veglia e
sonno”, soprattutto in relazione all’importante rapporto “sogno-coscienza”.
In ambito psicanalitico sembra infatti possibile parlare di due forme di
coscienza: quella “di veglia” e quella “di sogno”. E forse persino una
terza che si manifesta nelle fasi di passaggio da uno stato all’altro. Se è
vero che nel sonno/sogno la coscienza (di sé, degli altri,
della realtà intera)
sembra affievolirsi, come se non si fosse più “padroni della ragione”, non si
può però confondere (come le stesse neuroscienze
dimostrano)
la mancanza di connessione sensoriale con il contesto con un vuoto di coscienza:
anche il sogno ha “le sue ragioni”. Attorno al rapporto
sogno-coscienza il dibattito, anche alla luce degli apporti neuro-scientifici,
è quanto mai acceso, ed ancora una volta Hodson ha fatto sentire la sua, per
quanto discutibile nei suoi esiti, creatività scientifica. A suo avviso la fase
REM del sonno (suo autentico cavallo di battaglia) è una sorta di “proto-coscienza”,
uno stato primordiale dell’organizzazione cerebrale presente fin dall’infanzia
come eredità evoluzionistica. Nelle fasi di veglia interviene una forma di
coscienza organica (comprende linguaggio, pensiero
astratto, e tutte le funzioni di consapevolezza del mondo esterno e del sé), ma nelle fasi di
sonno REM si riaffaccia la proto-coscienza primordiale ed i sogni che avvengono
in questa fase (in forme spesso bizzarre) sono quelli
essenziali per il riordino e la gestione del flussi dei segnali pervenuti dall’esterno
consentendo così il miglior funzionamento possibile della coscienza “normale”.
Ipotesi quantomeno affascinante (peraltro avanzata, su ben altre
basi, da Nietzsche nel suo aforisma “Logica del
sonno” …. nel sogno continua ad agire questa antichissima parte di
umanità, la base sulla quale si sviluppò, e ancora si sviluppa, in ogni uomo la
superiore ragione….)
anche se, al momento, indimostrabile. Lingiardi chiude, con noi, questo suo
viaggio onirico, con una frase di un suo paziente che, del tutto all’oscuro
delle idee di sogno fin qui esplorate, così lo salutò al termine del percorso
di analisi: non
avrei mai detto che i sogni servono a qualcosa, e sa, secondo me a cosa
servono? A stare meglio quando siamo svegli.
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