giovedì 15 giugno 2023

Il "Saggio" del mese - Giugno 2023

 

Il “Saggio” del mese

 GIUGNO 2023

Alcuni articoli di presentazione, e soprattutto una bella intervista radiofonica, hanno fatto scattare una curiosità che si è presto collegata con l’idea, già coltivata da tempo, di proporre una lettura in qualche misura “inconsueta” per questo nostro blog. Il tema del “Saggio” di questo mese lo è sicuramente per certi aspetti, quelli suoi più specifici, ma non manca comunque di una evidente relazione con l’insieme delle riflessioni che CircolarMente da tempo propone. Stiamo parlando di …..

il cui autore è Vittorio Lingiardi

(Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicanalista, professore di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma, Presidente della Società per la ricerca in Psicoterapia, autore di numerosi saggi)

E’ lo stesso Lingiardi a premettere l’azzardo di un’opera che affronta la complessità di un tema sul quale l’uomo da sempre si interroga. Questo suo saggio non ha quindi l’ambizione di aggiungere una personale interpretazione del mondo dei sogni, quello che ci propone, ben richiamato nel sottotitolo “Un viaggio onirico” è una esplorazione di come il sogno abbia accompagnato, interrogandola e facendosi interrogare, l’umanità fin dalla notte dei tempi. Seppure limitandosi a farci da guida nel mare di quanto è stato detto, scritto, rappresentato, Lingiardi chiarisce che anche così l’orizzonte resta troppo vasto. Da qui la sua scelta di proporci tre percorsi, tre itinerari, che raccontano le tre grandi tappe del viaggio dell’uomo nel mondo del sogno: la prima, “Divinazioni”, racconta la visione antica, classica, durata fino all’irruzione, sconvolgente, della seconda, quella della “Interpretazioni”, iniziata nel 1900 con l’opera di Freud, ed infine la terza, quella contemporanea delle “Neurovisioni”, proposta dalle neuroscienze. Lingiardi illustra questo viaggio onirico affidandosi a citazioni, collegamenti, incursioni in altre discipline, con una scelta quindi tanto intrigante quanto complicata, al limite dell’impossibile, per essere tradotta nella forma consolidata dei nostri post. Ci siamo pertanto limitati a proporre un “racconto del suo racconto”.

…… anche noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni ………

(Prospero, Atto IV, Scena I, “La tempesta” di William Shakespeare)

DIVINAZIONI

E’ dal mondo greco che prende l’avvio il viaggio, dalle loro notti sognanti popolate di nomi: Hypnos, il dio del Sonno, generato da Nyx, la dea della Notte, gemello di Thanatos, il dio della Morte, e padre di Morfeo, dio del Sogno, con i cui doni tutta la cultura greca ha sempre avuto un strettissima relazione. Sogna Agamennone che, ingannato da Zeus nelle vesti di Nestore, suo consigliere, viene così indotto ad attaccare Troia. E sogna Penelope (Ulisse è appena tornato ad Itaca nella sua reggia, ma ancora non si è rivelato. Penelope gli racconta di aver sognato un’aquila che sgozza venti oche, chiara anticipazione dell’uccisione da parte di Ulisse dei venti Proci) e, raccontando dell’angoscia provata nel sognare, chiede allo sconosciuto, Ulisse è ancora sotto mentite spoglie, il significato di tale sogno. Questi due esempi omerici bene raccontano di come per i Greci il sogno sia uno dei modi che gli dei hanno per parlare agli uomini, ma anche che spesso il sogno si presenta come mistero da decifrare. Sono esattamente i due aspetti che compongono quella che Lingiardi chiama “divinazione”, l’idea del sogno della Grecia classica: da una parte l’ispirazione diretta da parte della divinità e dall’altra l’interpretazione del messaggio. Non a caso i greci non usavano dire “ho fatto un sogno”, ma “ho visto un sogno”, proprio perché lo vivevano come un’esperienza che veniva da fuori, da altri provocata. Peraltro, spostandoci in altre culture, non diversamente sogna Gilgamesh il re sumero dell’antichissima Uruk (protagonista di un racconto epico della Mesopotamia), e allo stesso modo vivevano i loro sogni gli ebrei dell’Antico Testamento, ce lo attesta, fra i tanti altri, quello di Giacobbe (sogna una scala alta fino al cielo, la risale fino a comparire di fronte a Dio che gli annuncia che diverrà Re della terra sulla quale sta dormendo). Il Dio del racconto biblico si manifesta spesso al popolo eletto, se lo fa durante le ore del giorno le sue parole sono chiare, ma se lo fa di notte, nel sonno, le parole diventano oscure, vanno interpretate, e questo è lavoro da profeti. Erano tre i tipi di sogno per gli Ebrei: “naturale”, il più comune che racconta i fatti della vita, “profetico”, quello di profeti e patriarchi che devono fare da tramite con il popolo, e “custode”, quello che possono sognare tutti, ma che è ancora più simbolico. Popoli diversi, culture diverse, dei diversi, ma per tutti il sogno, proprio perché inteso come divinazione, ha una sola direzione: il “domani”. Sempre dice all’uomo quello che gli succederà, quello che potrebbe/dovrebbe fare, a patto di saperlo interpretare, l’essere rivolto verso il futuro rappresenta quindi un tratto caratterizzante del sogno della classicità. Ed è con questo tratto distintivo che, alcuni secoli dopo nel II secolo d.C., compare, restando a lungo caso a sé (tanto da essere visto per molti secoli come una sorta di Bibbia del sogno, e ad essere apprezzato dallo stesso Freud), il primo tentativo sistematico d’interpretazione dei sogni: il trattato in ben cinque volumi di Artemidoro di Daldi (scrittore e filosofo greco di Efeso, da non confondere con l’omonimo Artemidoro di Efeso, il presunto autore del famoso papiro rivelatosi poi un falso) Lo slancio onirico verso il tempo a venire viene qui codificato e tradotto in una sorta di disciplina, l’oniromanzia (l’arte divinatoria basata proprio sull’interpretazione dei sogni), che decodifica un gran numero di possibili sogni sempre introdotti con lo stesso incipit: ….. un tale sognò di ….. La casistica con Artemidoro si ampia a dismisura, ma resta valida la distinzione di base fra quelli, definiti enypnion, che valgono come banali eventi notturni, e quelli, definiti onar, che sono invece preziose profezie da interpretare (Lingiardi per spiegarlo riprende quello il di Penelope che, nel raccontarlo ad Ulisse, afferma che sono due le porte da cui i sogni fanno ingresso nel sonno: una ha battenti di duro corno, l’altra di luccicante avorio. Da questa passano i sogni ingannevoli, dalla prima quelli fidati che si avverano). Artemidoro ha un altro grande merito: la raccolta di così tanti sogni è in effetti un vivo e sincero ritratto dell’umanità del tempo, delle sue paure e speranze, in fondo è un testo che pur parlando sempre della notte finisce per dire molto anche del giorno. Non mancano in questo panorama voci diverse: una è sicuramente quella di Lucrezio nel suo De rerum natura. Contemporaneo di Artemidoro e fedele all’atomismo epicureo (riprende anche concetti di Democrito) non teme di affermare che i sogni non hanno sempre potenza divinatoria, una parte di loro altro non è che l’effetto di particelle, in forma di simulacra, che si staccano dal mondo fisico per entrare nel sonno umano, un’altra parte ancora sono quelli generati da stimoli particolari, gli eidola (idoli), immagini degli dei, ma anche delle anime dei morti. Tutti comunque mantengono sempre lo sguardo rivolto verso il futuro (quella di Lucrezio è in effetti la prima distinzione, per quanto incerta e approssimativa, fra una origine fisica del sogno ed una incorporea, metafisica, una sorta di anticipazione delle idee di sogno delle neuroscienze). E già Aristotele si era posto, alcuni secoli prima, sulla stessa falsariga definendo il sogno come risultato incontrollato e incontrollabile di piccoli stimoli fisici che si manifestano nel sonno. Ma il controcanto più significativo al sogno come “divinazione” lo si trova nel pensiero socratico e platonico, per i quali chi ci parla nel sogno non sono sempre e solo gli dei, ma spesso la nostra anima sua inseparabile compagna. Il divino non scompare, ma per Socrate è proprio la voce notturna degli dei che ci invita a prenderci cura più di ogni altra cosa della parte più importante di noi, la psychè (l’anima, lo spirito). E’ soprattutto in Platone che si possono cogliere i primi più definiti segnali di un approccio al sogno che smette di essere dimensione a sé dominata dal divino per divenire un’unica cosa con la veglia, l’unione di notte e giorno (ed è rilevante notare che, quasi in contemporanea, il filosofo cinese Chuang Tzu pensasse la stessa cosa. E’ famoso il suo apologo “ho sognato di essere una farfalla, al mio risveglio però non sapevo se ero un uomo che aveva sognato di essere farfalla o una farfalla che stava sognando di essere uomo”) per quanto spesso si manifesti come “dubbio iperbolico”. E se, come per Socrate, la vita onirica è quella che contiene gli aspetti più veri e profondi dell’anima, ciò non significa che essi siano sempre le sue parti migliori (i sogni saranno malvagi se chi li sogna è malvagio, sono buoni se il sognatore è un buono). Per Platone quindi non esistono “porte di corno e porte d’avorio”, i sogni sono tutti veri perché tutti raccontano una parte della nostra anima. La caratteristica etica del sogno inizia con Platone, ma avrà nel pensiero cristiano di Agostino un significativo sviluppo, persino anticipatore della futura idea di “inconscio”. Nelle sue Confessioni racconta infatti che, preoccupato dal sognare sogni impuri, nonostante la sua diurna scelta dell’astinenza, chiede a Dio “in quei momenti dov’è la ragione che durante la veglia mi fa resistere?”. Lingiardi è convinto che la lunga fase della “divinazione” si chiuda proprio con l’insorgere di domande come questa, che aprono nuove “porte” che guardano alla parte di noi che emerge nel sogno per ribellarsi ai pensieri diurni.

INTERPRETAZIONI

…… ho le mani nei capelli, pretendo di raccontare in un capitolo che cos’è il sogno per la psicanalisi ….. inizia con questa confessione il viaggio di Lingiardi nel nuovo mondo che si apre con l’uscita nel 1900 (il testo era già pronto l’anno prima ma Freud volle espressamente che uscisse nel primo anno del nuovo secolo consapevole della rivoluzione che avrebbe comportato) del testo freudiano “L’interpretazione dei sogni”, un testo che (per quanto discutibile e discusso) ha segnato una radicale cesura per l’intera scena culturale occidentale.

Freud (1856-1939):


“L’interpretazione dei sogni” non è riducibile alla forma classica del “saggio”, è al tempo stesso anche una autobiografia (parte dai suoi personali sogni), una personale elaborazione di un lutto (quello del padre), un catalogo onirico (contiene 226 sogni).  L’idea di partenza è che il sogno abbia sempre un senso, un significato, in particolare quello di un “appagamento di un desiderio”, che possono essere indagati, che devono essere indagati nel caso di patologie psichiche, un’idea rifiutata dalla comunità scientifica del tempo che ancora considerava il sogno un inutile fenomeno neurologico. Una intuizione che Freud sviluppa anche per gestire le personali difficoltà emotive legate alla morte del padre, in questa fase di autoanalisi alcuni suoi personali sogni gli sembrano fornire indizi preziosi (il più famoso di questi sogni è quello di “Irma”, nome fittizio per indicare due sue pazienti curate con scarso successo, nel corso del sogno Freud ha dialoghi conflittuale con la stessa Irma e con altri medici che l’hanno seguita). La personale necessità di trovare elementi per auto-analizzarsi lo induce a recuperare i propri sogni (parte anche da qui la sua idea di analisi e della necessità di farsi dire dal paziente “tutto quello che passa per la testa, i sogni in particolare”), e riflettendo su quello di Irma comprende che quel sogno rivela la sua fin lì inconsapevole speranza di non essere incolpato per le sofferenze provocate dal suo insuccesso: sta in questo passaggio la genesi della sua idea di sogno come “appagamento di un desiderio”. Ma se il sogno altro non è che un prodotto dell’inconscio saperlo decodificare rappresenta una preziosa porta, “la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio”, per potervi accedere, e questa porta ha il nome di “interpretazione dei sogni”, la tecnica che consente di estrarre da un “sogno manifesto” il suo “contenuto latente”. Per Freud il sogno non è di per sé l’inconscio, ma “una forma particolare di pensiero resa possibile dalle condizioni di stato del sonno, la forma nella quale un pensiero scartato dal preconscio ha potuto rifondersi”. Se quasi tutti i sogni, nel loro essere l’appagamento di un desiderio, si comportano da “custodi del sonno” annullando con il loro fittizio appagamento ogni tensione, ogni preoccupazione, alcuni si manifestano al contrario, fino ad essere dei veri e propri incubi, con segni di preoccupazione, di punizione, di “contro-desiderio”. Ma per Freud restano, anche questi, segnali evidenti di desideri che sono però in conflitto con il contesto etico, estetico, sociale, culturale, nel quale il sognatore vive “da sveglio”, nasce proprio da questo contrasto, che viene gestito dall’Io con una forza psichica, “la censura”, il loro manifestarsi sotto forma di tensioni e senso di oppressione ….. per aggirare l’attività censoria della coscienza, i desideri inconsci si travestono, si deformano …. Ed è sempre legato alla “censura” il frequente dimenticarsi dei sogni fatti. Se dunque i sogni, e a maggior ragione proprio quelli più tormentati, formano per queste loro caratteristiche la “via regia all’inconscio”, per coglierne il vero significato, e le possibili collegate patologie, occorre indagare sugli “elementi dinamici della formazione del sogno” su quello che si può definire il “lavoro onirico”. Freud lo fa codificando, sulla base dei 226 sogni analizzati, un lungo elenco di “simbolizzazioni” e alcuni fondamentali processi di costruzione del sogno: “la condensazione”, “lo spostamento”, “la trasformazione(in elementi noti ai sensi), “l’elaborazione secondaria(quella che avviene appena prima del risveglio per rendere il sogno più coerente). Sono i primi due quelli più importanti: “la condensazione” è la sintesi di più significati latenti in uno solo, quello con contenuto più manifesto, mentre “lo spostamento” opera in due modi: sostituisce un elemento latente con uno meno facilmente decifrabile, oppure chiama in gioco altri elementi marginali che celano quello centrale. In sintesi per Freud (che ha costruito proprio sui sogni l’architrave della sua concezione di “inconscio”) il sogno (che la “divinazione” declinava con uno sguardo rivolto al futuro) racconta il passato” accumulato nell’inconscio ed il suo scontrarsi con le complicazioni del presente. Non ha quindi “valore in sé” ma come “contenitore di pensieri latenti” che rivelano i nostri desideri ed i conflitti che da essi possono nascere.

Jung (1875-1961)

la netta svolta impressa da Freud alle precedenti consolidate idee del sogno vede da lì a poco una contrapposta evoluzione tanto clamorosa quanto imprevista perché impressa da quello che era considerato il “delfino” di Freud, Carl Justav Jung. Per quanto lo stesso Jung ci tenesse a ribadire di non possedere una teoria dei sogni, dall’insieme delle sue opere ne emerge una ben precisa anche se, a differenza di Freud, non trattata in modo sistematico. La spiegazione consiste nel fatto, che segna il distacco dalle idee freudiane, che per Jung il sogno è una funzione “autonoma rispetto alla coscienza”, non è un prodotto dell’Io, ma “un evento che lo investe”. E come tale è autonomo anche rispetto alla psicanalisi. E’ come se ognuno di noi fosse abitato da un altro essere che ci parla proprio attraverso i sogni e che, in questo modo, ci aiuta a definire la nostra stessa identità in un costante lavorio che avviene sulla linea di confine tra “coscienza e inconscio”. Da questo lavorio scaturiscono le molteplici situazioni mentali che accompagnano il nostro vivere, quali quelle di “compensazione”, che possono positivamente contribuire al loro equilibrio (in questo caso la domanda da porsi è: quale atteggiamento cosciente questo sogno sta “compensando”?), oppure quelle di “anticipazione”, che possono aiutare a capire esigenze e speranze altrimenti “coperte”. Questa consapevolezza è fondamentale per indirizzare un eventuale lavoro psicoanalitico che per Jung, in questo lontanissimo da Freud (che indaga le “cause” del sogno), diventa invece quello di indagare gli “scopi” contenuti nei sogni (una sua frase bene lo esplicita: “il materiale onirico non consiste solo di ricordi, ma racchiude anche nuovi pensieri che non sono ancora coscienti”). Siamo, va da sé, lontanissimi dalla divinazione degli antichi, ma il capovolgimento junghiano verso un possibile futuro (rispetto alla sguardo volto verso il passato di Freud) contenuto nei sogni ridà comunque un qualche spazio anche alle voci del passato, che però non è tanto e solo quello del sognatore, ma è anche il riaffiorare (aspetto centrale del pensiero di Jung che crede fermamente ad un “inconscio collettivo”) di “contenuti collettivi che abitano il sogno con le loro immagini primordiali, universali, sedimento delle esperienze archetipe dei nostri antenati trasmesse in via ereditaria come memoria storica inconscia”. In questa loro evidente divergenza Freud e Jung condividono però, non casualmente, l’identica matrice dai propri personali sogni, quelli di Freud legati, come si è visto, al lutto del padre, quelli di Jung indici di paure ed insicurezze ad entrare nel mondo “dei grandi” (diceva: “l’intera mia vita è la storia di una autorealizzazione dell’inconscio). Anche questo aspetto aiuta a comprendere la “autobiografica” genesi del loro modo di intendere il sogno: se per Freud era il “custode del sonno”, la “via regia per conoscere l’inconscio”, per Jung il sogno diventa, come urlo rivelatore di scopi, “il disturbatore del sonno”, e “la via regia per l’inconscio non sono i sogni, bensì i complessi che li causano

Bion: (Wilfred Ruprecht Bion, 1897–1979, psicoanalista britannico)


Lo scontro tra i due grandi della psicanalisi novecentesca è il terreno sul quale si è formato il pensiero del terzo grande modello di sognonovecentesco.  Per Bion (psicanalista molto apprezzato in ambito scientifico ma poco conosciuto dal gran pubblico) il sogno non è “la protezione del sonno che dà soddisfazione ai desideri”, come pensa Freud, ma neppure “la rivelazione di origine mitica delle nostre proiezioni”, come sostiene Jung, il sogno è invece una sorta di “laboratorio sempre in attività”, una attività così necessaria per i nostri pensieri tanto “da svolgersi sia di notte che di giorno”. Questo perché per sogno, o meglio ancora per “sogno necessario”, Bion intende la capacità, che denomina “funzione alfa”, della nostra mente di “lavorare sugli stimoli che provengono dal mondo e dal corpo in forma di impressioni emotive-sensoriali non elaborate (elementi beta) trasformandole in immagini (elementi alfa) che rendono possibili pensieri consci ed inconsci”.  Il sogno, inteso come permanente stato mentale, è quindi per Bion l’usuale terreno di lavoro della funzione alfa ed il sognare altro non è che l’espletarsi di questa attività. Tutta l’attività onirica non è per nulla una “allucinazione” che nasconde (Freud), ma è un “continuo pensare che metabolizza e trasforma emozioni e sensazioni”. Emerge qui un’altra fondamentale differenza con Freud e con Jung: per i quali (seppure con le differenze di cui si è detto),il sogno è un prodotto dell’inconscio”, per Bion, come ovvia conseguenza della funzione alfa, è esattamente il contrario, è “il sogno che produce l’inconscio”. Nel senso che gli elementi alfa possono dare origine sia a pensieri consci che inconsci, con i primi che mantengono i contenuti nella loro forma ed i secondi che li elaborano in storie immaginarie che devono essere decifrate riandando agli elementi beta che le hanno prodotte. Bion è quindi il vero cultore del sogno (notturno e diurno), che vede come “elemento strutturante della vita mentale, dello sviluppo della personalità”, della formazione del pensiero. Nella scia dei tre grandi interpreti novecenteschi del sogno è succeduta, in campo psicoanalitico, una mole impressionante di approfondimenti, variazioni, riprese, contestazioni (accompagnate da una, parallela e non casuale,  costante presenza del sogno in tutte le arti) dalla quale Lingiardi si limita a recuperare le figure di:

Thomas Ogden (1946, psicanalista statunitense)


Al rigore dell’analisi scientifica Ogden ha abbinato una grande attenzione verso la poesia, capace a suo avviso di aprire orizzonti interpretativi a partire proprio dai sogni. Mentre si sogna, e allo stesso modo quando si crea poesia, la mente guarda alle cose “da più punti di vista e con diversi momenti temporali” incurante di concrete destinazioni, trascinata solo “dal proprio stesso movimento”. L’idea del “sogno/poesia”, così inteso, capovolge l’intero percorso onirico che va vissuto non più “per rendere cosciente l’inconscio”, ma al contrario come una tensione a “rendere inconscio il conscio”, immergendo l’esperienza cosciente in più ricchi processi di pensiero inconscio

Philip Bromberg (1931-2020, psicanalista statunitense)

Per Bromberg il sogno è invece “un diverso stato di coscienza”. Riprendendo il filosofo greco Zenone e la sua idea dell’uomo “abitato da molti séè convinto che una buona salute mentale consista proprio nella capacità di gestire questa diversità interiore, di “restare fra gli spazi dei nostri molti sé”, ed in questo incessante flusso interiore il sogno diventa esattamente questo: una “costante mediazione degli stati interni di dissociazione”. In più non è soltanto “un luogo dove risuonano le voci dei nostri tanti sé”, ma è il modo in cui perveniamo ad un diverso stato di coscienza capace di creare “nuove forme di integrazione e dialogo tra di loro”. Queste figure di psicanalisti presentate da Lingiardi sono solo alcune delle più significative voci di una disciplina che nel corso del Novecento (occidentale) ha acquisito, anche grazie alla sua visione di sogno, rilevanza clinica e attenzione diffusa. Nella pratica clinica il ruolo del sogno, al di là delle sue diverse declinazioni, è assolutamente centrale, le esperienze che di conseguenza si sono sin qui accumulate consentono una “classificazione” delle forme che con le quali esso può manifestarsi indipendentemente dalla sua interpretazione. Secondo Lingiardi quelle più ricorrenti e di maggiore interesse sono:

*   il sogno “nevrotico” = quello che presenta una narrativa ricca, persino iper-articolata, con un “qui ed ora(solo in parte interrotto da incursioni del passato), che consente al sognatore un suo racconto accompagnato da una gestibile tensione emotiva

*   il sogno “borderline” = quello delle persone con disturbi di personalità “al limite(instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore e da una eccessiva impulsività) che si manifesta in situazioni di angoscia che ripetutamente riprendono le possibili cause traumatiche e i conflitti relazionali. Il sognatore manifesta confusione tra “sogno e realtà

*   il sogno “psicotico” = quello fatto di immagini, di sé e del mondo intorno, frammentate, deteriorate, mutilate, bizzarre, non di rado terrificanti, che esprimono alti livelli di stress. Non sono necessariamente frequenti, ma il loro impatto è tale da impedire un loro racconto e quindi, a maggior ragione, una loro elaborazione

NEUROVISIONI

A partire dalla seconda metà del Novecento prende consistenza uno sviluppo delle “neuroscienze(altrimenti definite “neurobiologia”, raggruppano numerose specializzazioni scientifiche quali: fisiologia, biologia molecolare, biologia cellulare, biologia evoluzionistica, biochimica, anatomia, genetica, chimica, accompagnate anche da studi di carattere psicologico e linguistico) tale da segnare una nuova e profonda svolta nel “viaggio onirico”. Si tratta di una sfida, tuttora in corso che, utilizzando questi vari contributi, si propone di definire (ovviamente in aggiunta a molteplici altre finalità) una “teoria generale e definitiva” del fenomeno mentale chiamato sogno in grado di rispondere adeguatamente alla domanda “perché si sogna’”. Questa sfida si gioca sul tentativo di coniugare i fenomeni mentali con il loro substrato biologico e fisiologico, entrando però, perlomeno per certi versi, in contrasto con l’interpretazione psicanalitica. Un quadro di Paul Delvaux (1897-1994, pittore surrealista belga) lo testimonia benissimo

(“Ecole des savants – la scuola dei sapienti” sullo sfondo di un muto paesaggio onirico i neurofisiologi sulla sinistra ed i psicanalisti sulla destra sono distanti, separati, non si parlano)

Questa distanza risale fin dai primordi della ricerca neurobiologica, allorquando, negli anni Settanta, uno dei suoi padri fondatori John Allan Hobson (1933-2021, psichiatra statunitense)

contesta apertamente l’idea di sogno freudiana sostenendo (sulla base di prolungati studi della fase REM del sonno) che il sogno nasce quando, casualmente, impulsi neuronali raggiungono la corteccia cerebrale che, per metterli in ordine, genera immagini senza significato. E’ quella che viene definito “il modello neurochimico con modalità on-off dei sogni”. Per Hobson l’aspetto visivo del sogno, le sue immagini, è del tutto casuale: se il suo contenuto sembra possedere un significato è solo perché è un prodotto collaterale del lavorio della corteccia cerebrale per riordinare impulsi neuronali casualmente ricevuti. Le irruenti argomentazioni di Hobson accentuano, ovviamente, il dibattito attorno alle origini dei sogni e trovano da subito rilevanti critiche. Se nel campo psicanalitico si obietta che la casualità neurochimica del lavoro onirico è inconciliabile con l’accertata esistenza di “sogni ricorrenti”, anche nello stesso ambito delle neuroscienze maturano fondate perplessità. Lo straordinario sviluppo delle tecniche di “brain imaging(tecniche che, utilizzando specifici sensori collegati a computer, consentono di rilevare quali aree celebrali si attivano in relazione a specifiche attività) consente, già pochi anni dopo, di notare che l’attività onirica non è presente solo nella fase REM, ma attraversa l’intero periodo del sonno. Allo stesso modo altri studi rilevano che l’area cerebrale denominata “talamo” (nome greco che significa camera interna, camera da letto, il talamo cerebrale sta nel centro del cervello) svolge una funzione fondamentale nel ciclo del sonno/sogno: quella di essere una sorta di “porta della coscienza”. Il talamo riceve infatti in transito tutti segnali che provengono dagli organi di senso (occhi, orecchie, cellule gustative del palato, recettori tattili della pelle) e in fase di veglia li lascia passare per raggiungere i centri superiori del cervello, ma in fase di sonno li rallenta, fino a bloccarli in quella REM. Nel passaggio dalla veglia al sonno talamo e corteccia si “sintonizzano e disattivano l’intero cervello”, ma questa sintonizzazione non coincide temporalmente: se il talamo già blocca i segnali la corteccia (e altre parti del cervello) rimane ancora in attività per alcuni minuti: ciò significa che “aree dormìenti” e “aree sveglie” possono coesistere. Sono solo alcune delle stupefacenti scoperte che le neuroscienze hanno progressivamente accumulato in questi ultimi decenni (quelle qui citate da Lingiardi, essendo strettamente connesse al sogno, hanno solo valore di esempio), la loro evoluzione è in costante corso (a fronte del fatto che il cervello è a tutti gli effetti la struttura biologica più complessa in assoluto), ma ha già fissato due fondamentali punti fermi: il cervello ha una struttura molto articolata nella quale ogni sua area è preposta alla gestione di una o più funzioni, ed inoltre che fra tutte le aree esiste una costante inter-relazione (l’aspetto più difficile da codificare) che presiede alla elaborazione di ”risposte” ai segnali che provengono dai sensi piuttosto che da emozioni, sentimenti e stati d’animo (Lingiardi, sempre a titolo esemplificativo, cita la scoperta del “Default Mode Network”, un’ampia rete neurale che sincronizza la sua attività per la gestione delle attività di introspezione, dei ricordi e dei pensieri rivolti al futuro ed è quindi indipendente dagli stimoli esterni in corso, ma “riflette” su quelli passati e su quelli futuri. Questo DMN, non a caso, è perfettamente funzionante anche durante il sonno). L’attività onirica, secondo le neuroscienze, va collocata, come ogni altro aspetto della nostra biologia, in questo quadro, dal quale emerge la sua costante presenza, seppure modulata in forme differenti, sia nelle fasi di sonno che in quelle di veglia, quasi fosse una sorta di “vita parallela(si spiegano così quelli che chiamiamo “sogni ad occhi aperti”, quelli che mettono insieme in modo inspiegabile ricordi a breve con altri che risalgono a molto prima, quelli che in forma di “incubo” metabolizzano traumi o situazioni di stress, ma anche quelli che sempre in forma di incubo vivono i bimbi fin dalla primissima infanzia).

LA VITA E’ SOGNO?

Lingiardi ritiene comunque opportuno, per meglio comprendere il senso ultimo del sogno, non “gemellare con troppa disinvoltura veglia e sonno”, soprattutto in relazione all’importante rapporto “sogno-coscienza”. In ambito psicanalitico sembra infatti possibile parlare di due forme di coscienza: quella “di veglia” e quella “di sogno”. E forse persino una terza che si manifesta nelle fasi di passaggio da uno stato all’altro. Se è vero che nel sonno/sogno la coscienza (di sé, degli altri, della realtà intera) sembra affievolirsi, come se non si fosse più “padroni della ragione”, non si può però confondere (come le stesse neuroscienze dimostrano) la mancanza di connessione sensoriale con il contesto con un vuoto di coscienza: anche il sogno ha “le sue ragioni”. Attorno al rapporto sogno-coscienza il dibattito, anche alla luce degli apporti neuro-scientifici, è quanto mai acceso, ed ancora una volta Hodson ha fatto sentire la sua, per quanto discutibile nei suoi esiti, creatività scientifica. A suo avviso la fase REM del sonno (suo autentico cavallo di battaglia) è una sorta di “proto-coscienza”, uno stato primordiale dell’organizzazione cerebrale presente fin dall’infanzia come eredità evoluzionistica. Nelle fasi di veglia interviene una forma di coscienza organica (comprende linguaggio, pensiero astratto, e tutte le funzioni di consapevolezza del mondo esterno e del sé), ma nelle fasi di sonno REM si riaffaccia la proto-coscienza primordiale ed i sogni che avvengono in questa fase (in forme spesso bizzarre) sono quelli essenziali per il riordino e la gestione del flussi dei segnali pervenuti dall’esterno consentendo così il miglior funzionamento possibile della coscienza “normale”. Ipotesi quantomeno affascinante (peraltro avanzata, su ben altre basi, da Nietzsche nel suo aforisma “Logica del sonno” …. nel sogno continua ad agire questa antichissima parte di umanità, la base sulla quale si sviluppò, e ancora si sviluppa, in ogni uomo la superiore ragione….) anche se, al momento, indimostrabile. Lingiardi chiude, con noi, questo suo viaggio onirico, con una frase di un suo paziente che, del tutto all’oscuro delle idee di sogno fin qui esplorate, così lo salutò al termine del percorso di analisi: non avrei mai detto che i sogni servono a qualcosa, e sa, secondo me a cosa servono? A stare meglio quando siamo svegli.







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