Pubblichiamo il seguente
articolo, segnalato dalla nostra socia Carla Toscano, in cui Piero Banucci, più
volte relatore alle nostre conferenze, recensisce il saggio “Tecnosofia”, di
Maurizio Ferraris e Guido Saracco, che affronta l’attuale evoluzione del progresso
scientifico ed il suo rapporto con il sapere umanistico, tema al quale abbiamo
prestato più volte la giusta attenzione
Tecnosofia, l’umanesimo
incontra la scienza
Maurizio Ferraris, professore di
filosofia teoretica, e Guido Saracco, ingegnere chimico e rettore del
Politecnico di Torino, tracciano un progetto di rilancio per la società e
l’economia del nostro paese
Scuola d’Atene – Affresco di
Raffaello Sanzio (Stanze Vaticane)
Nel
1972 Adriano Celentano cantava “Un albero di 30 piani”. Il numero è un
compromesso tra metrica e urbanistica. Nel mirino del cantante c’era il
grattacielo Pirelli di 33 piani ora sede della Regione Lombardia ma 33 non
andava d’accordo con il ritmo della ballata. Quella canzone fu il manifesto pop
della “decrescita felice” poi teorizzata da Serge Latouche all’Université de
Paris Sud. Era l’alba del movimento ecologista: il 24 dicembre 1968 l’umanità –
all’epoca 3,5 miliardi di persone, meno della metà di oggi – per la prima volta
aveva visto la Terra come una fragile pallina azzurra inquadrata dagli
astronauti dell’Apollo 8 che circumnavigavano la Luna.
Un
minotauro concettuale
Maurizio
Ferraris, ordinario di filosofia teoretica all’Università di Torino, nasce nel
1956, l’anno che precede la Nuova 500 Fiat, simbolo del miracolo economico
italiano, e il primo satellite artificiale – lo Sputnik, lanciato dall’Unione
Sovietica il 4 ottobre 1957. Con Ferraris la filosofia torinese ha regolato
definitivamente i conti con l’antiscientismo di Martin Heidegger e seguaci.
Guido Saracco, ingegnere chimico, attuale rettore del Politecnico di Torino,
nasce nel 1965 – il Pirellone svettava da cinque anni davanti alla stazione
centrale di Milano – e abita per i primi 33 anni della sua vita in un palazzo
di 9 piani rivolto verso le Officine Grandi Riparazioni (OGR) che ora ospitano
mostre d’arte, startup e un ristorante. Sono dati utili per situare nelle giuste
coordinate il libro che Ferraris e Saracco hanno scritto insieme dandogli un
titolo che suona come un minotauro concettuale: “Tecnosofia” (Laterza, 185
pagine, 20 euro).
Scalare
nove piani
Il
palazzo di 9 piani è un punto di osservazione sui cambiamenti sempre più rapidi
del nostro tempo; scalarlo diventa la metafora delle sfide sociali,
conoscitive, etiche e politiche che ci attendono. Tecnosofia riassume il
programma di una “scienza nuova” che Ferraris e Saracco elaborano facendo
convergere scienza e umanesimo in un minotauro amico e illuminato, pur
rendendosi conto di quanti ostacoli frappongano i pregiudizi e i luoghi comuni
correnti alla loro operazione di ingegneria intellettuale.
Capitalismo
prometeico
Tre
assiomi guidano la scalata: 1) il progresso è un valore inerente alla nostra
natura di animali culturali; 2) di conseguenza “la tecnologia è un farmaco”:
l’unico, non esiste un ritorno all’Arcadia; 3) “il capitale è lo strumento più
potente” che abbiamo a disposizione.
Tradotto
in sistema, il capitale diventa “capitalismo”, termine all’origine di ambiguità
e conflitti violenti, al punto che in un recentissimo saggio pubblicato con il
Mulino Alberto Mingardi, docente di storia delle dottrine politiche, suggerisce
di sostituirlo con “innovismo”, neologismo di cui, peraltro, è facile prevedere
l’insuccesso. Procedendo nella lettura si capirà tuttavia che i due scalatori
intendono sì il capitale come accumulo economico da investire, ma ne ricuperano
“il carattere faustiano e prometeico” che non sfuggì a Marx. In questo senso il
capitale più importante è rappresentato dalla conoscenza, dalle risorse umane e
dai valori senza i quali il capitale rimane sterile e si chiama finanza.
L’ascensore
rotto
Al
livello terreno dell’edificio di nove piani c’è l’ascensore. Nella metafora si
tratta di un ascensore sociale, e oggi è rotto. Ripararlo è la prima cosa da
fare. Non c’è progresso, anzi, non c’è giustizia né democrazia, se l’ascensore
sociale non funziona. Il “miracolo economico” degli Anni 50 e 60 fu essenzialmente
dovuto a meccanismi di mobilità tra le classi dei lavoratori (da contadino a
operaio, da operaio a impiegato, da dipendente a libero professionista etc.).
Altrettanto importanti furono i meccanismi di distribuzione della ricchezza
prodotta. Sono due fattori fondamentali che oggi mancano.
Da
troppo tempo l’Italia non tiene il passo con i paesi più avanzati. Non ci si
dovrebbe rassegnare al declino recuperandolo in modo consolatorio come
“decrescita felice”, dicono Ferraris e Saracco. Si scoprirebbe facilmente che
la decrescita non può essere felice e che la natura è natura, di per sé né
buona né cattiva ma certamente matrigna se l’uomo svolge il suo ruolo di Homo
sapiens. Non si vive senza farmaci sempre migliori, trasporti sempre più
efficienti, energia sempre più pulita, agricoltura sempre più produttiva.
Scienza + tecnologia + umanesimo è la formula che emerge dalla tecnosofia di
Ferraris e Saracco.
Salita
alla terrazza con vista
Sarebbe
interessante ma troppo lungo risalire analiticamente i nove livelli
dell’edificio costruito sul terreno della “natura”. Filosofo e tecnologo
dialogano di web e tracciamento al primo piano (un cardine per Ferraris), di
capitale umano e infosfera al secondo piano (in contrasto ontologico con la
visione di Luciano Floridi, filosofo dell’informazione a Oxford), discutono
sulla docusfera (altro cavallo di battaglia di Ferraris) al terzo piano. Al
quarto piano, quello dell’antroposfera, incontriamo il capitale umano; al
quinto la biosfera, cioè il capitale ecologico; al sesto la noosfera, vale a
dire il capitale della conoscenza; al settimo i valori (axiosfera) identificati
con il “patrimonio dell’umanità”; all’ottavo le specifiche capacità individuali
che esigono il giusto riconoscimento del merito di ognuno e di tutti; al nono piano
il tema dell’equa distribuzione dei beni (°a ognuno secondo i suoi bisogni”).
Arrivati
in cima, si esce sulla terrazza con vista. Vista sul futuro, essenzialmente,
con le sue promesse e i suoi spettri. Promettenti macchine intelligenti che
potrebbero diventare spettrali se messe in mano a stupidi o disonesti. Il
filosofo le esorcizza: “la macchina assoluta, ossia l’intelligenza artificiale,
consiste esclusivamente nella registrazione e nella elaborazione delle forme di
vita umana, ossia si alimenta esclusivamente di sangue umano ma, a differenza
dei vampiri, non ha alcuna urgenza, bisogno o pulsione”. Tranquilli, “i
computer non sono interessati a prendere il potere più di quanto un leone possa
essere interessato a giocare a rubamazzetto”.
Il
salvagente di Condorcet
Già,
ma al potere sono interessati i modelli umani dai quali l’IA apprende; è ben
noto come i programmatori, consciamente o non, traferiscano nei loro algoritmi
pregiudizi, valori e disvalori. Su quegli algoritmi e sui dati (in gran parte
nostri) che rastrella nel cloud, la macchina intelligente potrà sviluppare
meta-algoritmi via via più lontani dai presupposti di partenza, amplificando in
modo incontrollato gli errori, le divergenze o semplicemente l’incompletezza
dei dati a cui ha attinto. Neppure gli specialisti che progettano sanno che
cosa succede tra l’input e l’output delle loro reti neurali.
Si
scivola così su un terreno controverso e si aprirebbe un lungo discorso, che
qui non toccheremo. Conviene afferrare il salvagente lanciato nelle ultime
righe da Condorcet – “Non è stato posto alcun limite al perfezionamento delle
facoltà umane” – e dagli stessi scalatori: “i nove piani che abbiamo percorso”
sono tutti suscettibili di miglioramenti, “ma tutti migliori dell’abisso da cui
viene l’umanità allo stato di natura”.
Cauta
navigazione nell’arcipelago
Osservazione
a margine. Certi temi sono nell’aria. Il lavoro di Ferraris e Saracco è un
tentativo generoso di mettere ordine nella complessità del nostro mondo. Il
fisico teorico Ignazio Licata tenta la stessa impresa con “Arcipelago”
(Nutrimenti, 246 pagine, 17 auro), in libreria dal mese scorso. L’obiettivo è
sempre arrivare a una visione sistemica del mondo, nel caso di Licata
disegnando, con le teorie della complessità e della computazione, una mappa dove
trovino posto i meccanismi della mente umana, la cultura, il lavoro, la
comunicazione e la tecnologia, Intelligenza Artificiale inclusa. Anche Licata
cerca una via di uscita ottimistica: “riappropriarsi della virtualità come
strumento politico di liberazione”. Ma, rispetto all’assertività fiduciosa di
Ferraris e Saracco, si muove con titubante cautela: “L’epistemologia della
complessità mostra come mai era accaduto prima nella scienza che l’osservatore
è qualcuno che scommette sulle emergenze di una nuvola di eventi possibili”.
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