lunedì 26 giugno 2023

Tecnosofia - l'umanesimo incontra la scienza - Articolo di Piero Banucci

Pubblichiamo il seguente articolo, segnalato dalla nostra socia Carla Toscano, in cui Piero Banucci, più volte relatore alle nostre conferenze, recensisce il saggio “Tecnosofia”, di Maurizio Ferraris e Guido Saracco, che affronta l’attuale evoluzione del progresso scientifico ed il suo rapporto con il sapere umanistico, tema al quale abbiamo prestato più volte la giusta attenzione

Tecnosofia, l’umanesimo

 incontra la scienza

Maurizio Ferraris, professore di filosofia teoretica, e Guido Saracco, ingegnere chimico e rettore del Politecnico di Torino, tracciano un progetto di rilancio per la società e l’economia del nostro paese

Articolo di Piero Banucci – La Stampa del 23 Giugno 2023

Scuola d’Atene – Affresco di Raffaello Sanzio (Stanze Vaticane)

Nel 1972 Adriano Celentano cantava “Un albero di 30 piani”. Il numero è un compromesso tra metrica e urbanistica. Nel mirino del cantante c’era il grattacielo Pirelli di 33 piani ora sede della Regione Lombardia ma 33 non andava d’accordo con il ritmo della ballata. Quella canzone fu il manifesto pop della “decrescita felice” poi teorizzata da Serge Latouche all’Université de Paris Sud. Era l’alba del movimento ecologista: il 24 dicembre 1968 l’umanità – all’epoca 3,5 miliardi di persone, meno della metà di oggi – per la prima volta aveva visto la Terra come una fragile pallina azzurra inquadrata dagli astronauti dell’Apollo 8 che circumnavigavano la Luna.

Un minotauro concettuale

Maurizio Ferraris, ordinario di filosofia teoretica all’Università di Torino, nasce nel 1956, l’anno che precede la Nuova 500 Fiat, simbolo del miracolo economico italiano, e il primo satellite artificiale – lo Sputnik, lanciato dall’Unione Sovietica il 4 ottobre 1957. Con Ferraris la filosofia torinese ha regolato definitivamente i conti con l’antiscientismo di Martin Heidegger e seguaci. Guido Saracco, ingegnere chimico, attuale rettore del Politecnico di Torino, nasce nel 1965 – il Pirellone svettava da cinque anni davanti alla stazione centrale di Milano – e abita per i primi 33 anni della sua vita in un palazzo di 9 piani rivolto verso le Officine Grandi Riparazioni (OGR) che ora ospitano mostre d’arte, startup e un ristorante. Sono dati utili per situare nelle giuste coordinate il libro che Ferraris e Saracco hanno scritto insieme dandogli un titolo che suona come un minotauro concettuale: “Tecnosofia” (Laterza, 185 pagine, 20 euro).

Scalare nove piani

Il palazzo di 9 piani è un punto di osservazione sui cambiamenti sempre più rapidi del nostro tempo; scalarlo diventa la metafora delle sfide sociali, conoscitive, etiche e politiche che ci attendono. Tecnosofia riassume il programma di una “scienza nuova” che Ferraris e Saracco elaborano facendo convergere scienza e umanesimo in un minotauro amico e illuminato, pur rendendosi conto di quanti ostacoli frappongano i pregiudizi e i luoghi comuni correnti alla loro operazione di ingegneria intellettuale.

Capitalismo prometeico

Tre assiomi guidano la scalata: 1) il progresso è un valore inerente alla nostra natura di animali culturali; 2) di conseguenza “la tecnologia è un farmaco”: l’unico, non esiste un ritorno all’Arcadia; 3) “il capitale è lo strumento più potente” che abbiamo a disposizione.

Tradotto in sistema, il capitale diventa “capitalismo”, termine all’origine di ambiguità e conflitti violenti, al punto che in un recentissimo saggio pubblicato con il Mulino Alberto Mingardi, docente di storia delle dottrine politiche, suggerisce di sostituirlo con “innovismo”, neologismo di cui, peraltro, è facile prevedere l’insuccesso. Procedendo nella lettura si capirà tuttavia che i due scalatori intendono sì il capitale come accumulo economico da investire, ma ne ricuperano “il carattere faustiano e prometeico” che non sfuggì a Marx. In questo senso il capitale più importante è rappresentato dalla conoscenza, dalle risorse umane e dai valori senza i quali il capitale rimane sterile e si chiama finanza.

L’ascensore rotto

Al livello terreno dell’edificio di nove piani c’è l’ascensore. Nella metafora si tratta di un ascensore sociale, e oggi è rotto. Ripararlo è la prima cosa da fare. Non c’è progresso, anzi, non c’è giustizia né democrazia, se l’ascensore sociale non funziona. Il “miracolo economico” degli Anni 50 e 60 fu essenzialmente dovuto a meccanismi di mobilità tra le classi dei lavoratori (da contadino a operaio, da operaio a impiegato, da dipendente a libero professionista etc.). Altrettanto importanti furono i meccanismi di distribuzione della ricchezza prodotta. Sono due fattori fondamentali che oggi mancano.

Da troppo tempo l’Italia non tiene il passo con i paesi più avanzati. Non ci si dovrebbe rassegnare al declino recuperandolo in modo consolatorio come “decrescita felice”, dicono Ferraris e Saracco. Si scoprirebbe facilmente che la decrescita non può essere felice e che la natura è natura, di per sé né buona né cattiva ma certamente matrigna se l’uomo svolge il suo ruolo di Homo sapiens. Non si vive senza farmaci sempre migliori, trasporti sempre più efficienti, energia sempre più pulita, agricoltura sempre più produttiva. Scienza + tecnologia + umanesimo è la formula che emerge dalla tecnosofia di Ferraris e Saracco.

Salita alla terrazza con vista

Sarebbe interessante ma troppo lungo risalire analiticamente i nove livelli dell’edificio costruito sul terreno della “natura”. Filosofo e tecnologo dialogano di web e tracciamento al primo piano (un cardine per Ferraris), di capitale umano e infosfera al secondo piano (in contrasto ontologico con la visione di Luciano Floridi, filosofo dell’informazione a Oxford), discutono sulla docusfera (altro cavallo di battaglia di Ferraris) al terzo piano. Al quarto piano, quello dell’antroposfera, incontriamo il capitale umano; al quinto la biosfera, cioè il capitale ecologico; al sesto la noosfera, vale a dire il capitale della conoscenza; al settimo i valori (axiosfera) identificati con il “patrimonio dell’umanità”; all’ottavo le specifiche capacità individuali che esigono il giusto riconoscimento del merito di ognuno e di tutti; al nono piano il tema dell’equa distribuzione dei beni (°a ognuno secondo i suoi bisogni”).

Arrivati in cima, si esce sulla terrazza con vista. Vista sul futuro, essenzialmente, con le sue promesse e i suoi spettri. Promettenti macchine intelligenti che potrebbero diventare spettrali se messe in mano a stupidi o disonesti. Il filosofo le esorcizza: “la macchina assoluta, ossia l’intelligenza artificiale, consiste esclusivamente nella registrazione e nella elaborazione delle forme di vita umana, ossia si alimenta esclusivamente di sangue umano ma, a differenza dei vampiri, non ha alcuna urgenza, bisogno o pulsione”. Tranquilli, “i computer non sono interessati a prendere il potere più di quanto un leone possa essere interessato a giocare a rubamazzetto”.

Il salvagente di Condorcet

Già, ma al potere sono interessati i modelli umani dai quali l’IA apprende; è ben noto come i programmatori, consciamente o non, traferiscano nei loro algoritmi pregiudizi, valori e disvalori. Su quegli algoritmi e sui dati (in gran parte nostri) che rastrella nel cloud, la macchina intelligente potrà sviluppare meta-algoritmi via via più lontani dai presupposti di partenza, amplificando in modo incontrollato gli errori, le divergenze o semplicemente l’incompletezza dei dati a cui ha attinto. Neppure gli specialisti che progettano sanno che cosa succede tra l’input e l’output delle loro reti neurali.

Si scivola così su un terreno controverso e si aprirebbe un lungo discorso, che qui non toccheremo. Conviene afferrare il salvagente lanciato nelle ultime righe da Condorcet – “Non è stato posto alcun limite al perfezionamento delle facoltà umane” – e dagli stessi scalatori: “i nove piani che abbiamo percorso” sono tutti suscettibili di miglioramenti, “ma tutti migliori dell’abisso da cui viene l’umanità allo stato di natura”.

Cauta navigazione nell’arcipelago

Osservazione a margine. Certi temi sono nell’aria. Il lavoro di Ferraris e Saracco è un tentativo generoso di mettere ordine nella complessità del nostro mondo. Il fisico teorico Ignazio Licata tenta la stessa impresa con “Arcipelago” (Nutrimenti, 246 pagine, 17 auro), in libreria dal mese scorso. L’obiettivo è sempre arrivare a una visione sistemica del mondo, nel caso di Licata disegnando, con le teorie della complessità e della computazione, una mappa dove trovino posto i meccanismi della mente umana, la cultura, il lavoro, la comunicazione e la tecnologia, Intelligenza Artificiale inclusa. Anche Licata cerca una via di uscita ottimistica: “riappropriarsi della virtualità come strumento politico di liberazione”. Ma, rispetto all’assertività fiduciosa di Ferraris e Saracco, si muove con titubante cautela: “L’epistemologia della complessità mostra come mai era accaduto prima nella scienza che l’osservatore è qualcuno che scommette sulle emergenze di una nuvola di eventi possibili”.


Nessun commento:

Posta un commento