La
Parola del mese
Una
parola in grado di offrirci nuovi spunti di riflessione
GENNAIO
2024
La Parola di questo mese è
di recente salita alla ribalta del dibattito pubblico essendo stata
provocatoriamente usata per definire gli Italiani alle prese con le tante
problematiche del presente. Ci è sembrato interessante recuperarla proprio per
questa sua sintetica efficacia descrittiva e per (ri)proporre le più rilevanti osservazioni
analitiche che l’hanno suggerita
SONNAMBULO
sonnambulo (dal latino “somnus”,sonno,
e “ambulare”,
camminare = affetto da sonnambulismo, un disturbo del sonno che porta il
soggetto a muoversi nella fase del sonno profondo senza quindi avere pieno controllo del suo vagare.
Sonnambuli sono stati
definiti gli Italiani dal CENSIS (Centro
Studi Investimenti Sociali, un istituto di ricerca socio-economica fondato nel
1964 e divenuto nel 1973 una Fondazione, il cui storico Presidente è il
sociologo Giuseppe De Rita)
nel suo annuale “Rapporto sulla situazione sociale
del Paese”, unanimemente considerato il più qualificato e completo
strumento di interpretazione della realtà italiana.
Nella prefazione della
edizione 2023 si legge infatti:
I sonnambuli:
ciechi dinanzi ai presagi. Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro
effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o sono comunque
sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del
sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole
irresolutezza. La società italiana sembra
affetta da sonnambulismo, precipitata in un sonno profondo del calcolo
raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti
funesti ………. il nostro Paese ha costruito in decenni il proprio meccanismo
di vita sociale preferendo lo sciame allo
schema, l’arrangiamento istintivo al disegno razionale. Uno sciame che però
oggi appare disperdersi, distaccando dietro di sé mille scie divergenti ……
Si tratta
senza ombra di dubbio di un ammonimento preoccupato e preoccupante (al quale
non sembra invece che sia stata prestata la giusta attenzione) che dovrebbe far scattare in chi di dovere, e in
tutti noi, una reazione adeguata. I medici sostengono che non è opportuno
svegliare bruscamente un sonnambulo, ma questo è un caso a sé stante.
Gli italiani sonnambuli
devono al contrario svegliarsi, essere svegliati. Un buon rimedio in
questo senso è scorrere i dati e le rilevazioni che il Censis propone in questo
suo ultimo Rapporto. Ne presentiamo, fra i tantissimi che lo compongono, solo
alcuni di quelli che ci sono sembrati più significativi per fotografare le
attuali tendenze e, su questa base, per condividere le preoccupazioni e
l’esigenza di recuperare un disegno razionale.
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Alcuni dati
mettono bene in luce la consistenza di un fenomeno che, essendo l’effetto
finale di diversi processi fra di loro intrecciati
e dei correlati modi di (non)affrontarli, appare al momento inarrestabile: l’inverno
demografico
Nel 2050
l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti (come se le
due più grandi città, Roma e Milano insieme, scomparissero). La
flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di
persone con meno di 65 anni (-3,7 milioni con meno di 35 anni) e di un
contestuale aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre (+1,6
milioni con 85 anni e oltre)
Talvolta si
affaccia nel chiacchiericcio politico qualche segnale di allarme al riguardo,
ma non pare proprio di cogliere una adeguata attenzione a questa situazione (i cui
effetti già ora si fanno sentire) a maggior
ragione se si guarda alla sua articolazione generazionale
Gli anziani over
65 rappresentano oggi il 24,1% della popolazione, nel 2050 saranno 4,6 milioni
in più e saranno quindi pari al 34,5% della popolazione, più di uno su tre
abitanti
I 18-34enni
sono poco più di 10 milioni (nel 2003 superavano i 13 milioni) pari al
17,5% della popolazione totale, nel 2050 saranno poco più di 8 milioni, appena
il 15,2% della popolazione (meno di uno su sei abitanti)
Il numero
medio dei componenti delle famiglie scenderà da 2,31 nel 2023 a 2,15 nel 2040.
Le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare nel 2040 solo il 25,8%
del totale, mentre le famiglie unipersonali aumenteranno fino a 9,7 milioni, il
37,0% del totale). Di queste, quelle costituite da anziani diventeranno nel
2040 quasi il 60%
All’interno
di questo quadro si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno
nel 2050
Da
quest’ultimo dato appare evidente che ogni strategia di lungo periodo sul piano
economico, produttivo, e di sostenibilità della spesa sociale, se avulsa da
questa tendenza appare velleitaria, inapplicabile. Altri dati illustrano alcuni
importanti dettagli di queste tendenze e forniscono al contempo interessanti
indicazioni sugli attuali stili di vita:
Le famiglie
in Italia sono 25,3 milioni. Quelle tradizionali, composte da una coppia, con o
senza figli, sono il 52,4% del totale (erano il 60,0% nel 2009). Il 32,2%
delle famiglie è formato da una coppia con figli (erano il 39,0% nel 2009). 1,8 milioni
di famiglie (il 7,0% del totale) sono composte esclusivamente da
stranieri
Il numero
dei matrimoni si riduce (ne erano stati celebrati 246.613 nel 2008, solo
180.416 nel 2021) e oggi 1,6 milioni di famiglie, (l’11,4% del
totale), sono costituite da coppie non coniugate. Inoltre, dal 2018 al 2021 sono
state celebrate 8.792 unioni civili
Emerge
inoltre un altro processo che non poco incide su questo quadro
più di 5,9
milioni di cittadini italiani, pari al 10,1% della popolazione, attualmente
risiedono all’estero e valgono più dei 5 milioni, pari all’8,6% della popolazione, di stranieri residenti
A
caratterizzare questo flusso centrifugo è l’aumento significativo della
componente giovanile. Nell’ultimo anno gli espatriati sono stati 82.014, di cui
il 44,0% tra 18 e 34 anni. Con i minori al seguito delle loro famiglie (13.447) si sfiorano
le 50.000 unità: il 60,4% di tutti gli espatriati nell’ultimo anno
Anche il
peso dei laureati sugli espatriati 25-34enni è aumentato significativamente,
passando dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021, a confermare un saldo migratorio
dei laureati costantemente negativo per il nostro Paese.
i 15-29enni, che non studiano e non
lavorano (definiti NEET), sono il 19,0% del totale, a fronte
di una media europea dell’11,7% (siamo
secondi solo alla Romania).
Il 26,8% dei 18-24enni (oltre
un milione) ha conseguito al più la
licenza media e di questi l’11,5% (oltre
460.000) è classificabile
come early school leaver (i
giovani che lasciano precocemente il ciclo di studi)
Nessuna sorpresa, il problema della attuale
(dis)occupazione giovanile (che
moltissimo incide sulle personali prospettive di vita e quindi sull’evoluzione
dell’inverno demografico) emerge con evidenza:
Tra i 25-34enni i tassi di
occupazione sono particolarmente bassi, collocando il nostro Paese all’ultimo
posto in Europa (il
66,1% a fronte del 79,0% medio).
Nel 2022 il tasso di occupazione dei 25-34enni con la licenza media è del
53,9%, sale al 67,6% tra chi è in possesso del diploma e arriva al 72,8% tra i
laureati
La situazione economica e produttiva è qui chiamata in
causa, i dati del Rapporto bene illustrano l’attuale quadro in chiaro/scuro (più scuro che chiaro)
che non appare possa conoscere, stanti le attuali linee di tendenza di lungo periodo, facile soluzione:
Il segno
negativo davanti alla variazione del Pil nel secondo trimestre del 2023 (-0,4%) seguito
dalla stagnazione del terzo trimestre (0,0%) certificano
una nuova fase di incertezza (che peraltro ancora non incorpora gli effetti del
conflitto in Medio Oriente)
Tra il primo
e il secondo trimestre di quest’anno si sono ridotti dell’1,7% gli investimenti
fissi lordi (in particolare nelle costruzioni: -3,3%).
Tra il 2021
e il 2022 gli occupati sono aumentati del 2,4% e nei primi sei mesi del 2023 la
crescita rispetto allo stesso periodo del 2022 è stata del 2,0%. Sono
23.449.000 gli occupati al primo semestre: il dato più elevato di sempre.
Eppure si sono ridotte le ore lavorate in tutti i settori produttivi: -3,0%
nell’agricoltura, -1,1% nell’industria, -1,9% nelle costruzioni, -0,5% se si
considera l’intera economia (molti occupati hanno contratti saltuari e part time)
L’Italia
rimane comunque all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di occupazione:
il 60,1%, ancora al di sotto del dato medio europeo (69,8%) di quasi 10 punti
nel 2019 il numero delle dimissioni
volontarie si attestava poco sopra le 800.000 unità, nel 2022 ha superato il
milione, con un incremento significativo: +236.000 ovvero +29,2%. Il tasso di
ricollocazione, che indica il reimpiego entro tre mesi dalle dimissioni, è
anch’esso cresciuto, passando dal 63,2% del 2019 al 66,9% del 2022. La
motivazione principale che spinge le persone a cercare un nuovo lavoro è
l’attesa di un guadagno maggiore (per
il 36,2% degli occupati)
e l’interesse per prospettive di carriera migliori (per
il 36,1%)
La fase espansiva dell’occupazione
del 2023 ha portato a un recupero dei livelli di impiego precedenti la
pandemia. Il numero degli occupati nel 2022 rispetto a quattro anni fa si
attesta sui 60.000 in più (+0,6%). Si registra però tra i due anni una
variazione negativa del 2,2% delle professioni qualificate e tecniche.
All’opposto, aumentano i dirigenti e gli imprenditori del 6,2%, gli impiegati
dell’8,5%. L’area del personale non qualificato perde invece circa 14.000
addetti. Gli ultimi mesi mostrano una maggiore intensità nel processo di
crescita delle professioni più elevate (qualificate
e tecniche: +5,4%) e
della categoria impiegatizia (+1,6%), mentre si riducono operai e
artigiani (-0,6%), e si riduce il personale non
qualificato. A cavallo della pandemia (2018-2022) il lavoro indipendente in Italia si
riduce del 5,5%, con il principale contributo negativo proveniente dai
lavoratori autonomi (247.000
in meno: -8,1%). Si
riduce anche la consistenza dei liberi professionisti (-5,3%), mentre gli imprenditori vanno in
controtendenza, con un aumento del 27,0% in quattro anni
Quest’ultimo dato (che
non specifica tipologia e dimensioni della relativa attività)
non deve stupire nell’era neoliberista degli “imprenditori di sé stessi”,
mentre, mettendo in relazione inverno demografico ed economia, diventa sempre
più importante il ruolo, ed il peso, del fenomeno immigratorio
I lavoratori stranieri sono 2.374.000
e rappresentano il 10,3% del totale degli occupati. Di questi, 2.068.000 (l’87,1%) sono lavoratori dipendenti. Tra i
lavoratori dipendenti stranieri il 22,5% (465.000) è occupato a tempo determinato e il
24,4% (579.000) ha un lavoro part time.
Tra gli stranieri occupati, il 29,9%
svolge lavori per cui non è necessaria alcuna qualifica professionale, contro
il 9,5% degli occupati italiani, e solo l’8,2% è impiegato in professioni
tecniche e qualificate, contro il 37,3% degli italiani.
Il 48,2% degli stranieri che lavorano
è in possesso al massimo della licenza media
(tra gli italiani la quota è del 27,4%), mentre l’11,5% è in possesso di un titolo terziario (tra gli italiani la quota sale al
25,8%).
il 61,4% degli stranieri laureati comunque
svolge lavori di livello più basso rispetto al titolo conseguito.
Nei prossimi tre anni saranno ammessi
in Italia attraverso il “Decreto flussi” 452.000 cittadini stranieri, un numero
decisamente più alto rispetto al passato, ma, dato 2023, del tutto
insufficiente per la domanda effettiva (le
richieste di personale sono state tre volte tanto le assunzioni possibili in
base al Decreto flussi)
L’immigrazione
straniera, già oggi, non rappresenta soltanto una preziosa stampella per le attività
economiche e produttive, ma sembra esserlo ancora di più per l’aspetto
demografico (anche
perché ogni eventuale politica che miri a contenere l’inverno demografico
italiano se mai dovesse sortire risultati concreti nella migliore delle ipotesi
non è pensabile che incida prima di due/tre decenni)
Già oggi senza gli stranieri l’Italia
sarebbe un Paese di poco meno di 54 milioni di abitanti. Sono 5.050.000, pari all’8,6% della
popolazione totale, in aumento del 9,5% rispetto a dieci anni fa (oltre 400.000 in più nel decennio), ma sono aumentati solo dello 0,4%
nell’ultimo anno (circa
20.000 in più).
Mentre tra gli italiani gli under 35
sono circa 17 milioni (pari
al 31,7% della popolazione)
il 45,6% degli stranieri residenti (circa
2,3 milioni) ha meno
di 35 anni (tra questi, il
20,8% è un minore e il 24,8% è un giovane di 18-34 anni). Solo il 5,4% è
ultrasessantacinquenne
Inoltre, più della metà (il 55,6%) delle donne straniere residenti è in
età feconda mentre tra le italiane tale percentuale scende al 37,0%. L’età
media delle madri al parto è di 29,7 anni per le straniere e di 32,8 anni per
le italiane. Il numero medio di figli per donna per le italiane è di 1,2, per
le straniere è di 1,9.
Nel 2022 sono nati più di 53.000
figli da entrambi i genitori stranieri, pari al 13,5% dei nati. E quasi 30.000
da almeno un genitore straniero. Senza di loro, le nascite in Italia sarebbero
state ridotte a sole 311.000.
Sono questi gli ultimi dati che si è ritenuto importante
recuperare dal Rapporto Censis, è sembrato infatti giusto limitarli per non
appesantire una lettura sicuramente molto interessante ma decisamente complessa
e articolata. Li completiamo con un ultimo disordinato elenco di opinioni
raccolte dal Censis per cogliere gli umori prevalenti fra gli italiani. Le
pubblichiamo così in ordine sparso e senza commento per lasciare spazio alle
personali impressioni. Ci limitiamo ad evidenziare che alcune (in particolare le ultime dell’’elenco)
ci sono apparse sorprendenti e confortanti
il 56,0% (il 61,4% tra
i giovani) è convinto di contare poco nella società.
il 69,3% pensa
che la globalizzazione abbia portato all’Italia più danni che benefici
l’80,1% (l’84,1% tra
i giovani) è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino
L’84,0% è
impaurito dal clima “impazzito”
il 73,4%
teme che i problemi strutturali irrisolti del nostro Paese provocheranno nei
prossimi anni una crisi economica e sociale molto grave con povertà diffusa e
violenza
per il 73,0%
gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi
migratori sempre più intensi che non
saremo in grado di gestire
il 53,1% ha
paura che il colossale debito pubblico provocherà un collasso
il 59,9%
degli italiani teme che scoppi un conflitto mondiale che coinvolgerà anche
l’Italia
il 73,8%
degli italiani ha paura che negli anni a venire non ci sarà un numero
sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni
il 69,2%
pensa che non tutti potranno curarsi, perché la sanità pubblica non riuscirà a
garantire prestazioni adeguate
per l’87,3%
degli occupati mettere il lavoro al centro della vita è un errore
il 94,7%
rivaluta la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno
il 57,3% riconosce
che i giovani sono la generazione più penalizzata, mentre il 30,8% considera
danneggiato soprattutto chi oggi si trova nell’età di mezzo e l’11,9% pensa
invece che siano lasciati indietro soprattutto gli anziani
Per
il 62,7% degli italiani il lavoro non è più centrale nella vita delle persone:
il senso che viene attribuito al lavoro discende direttamente dal reddito che
se ne ricava
Resta però molto diffusa l’opinione
che il lavoro oggi disponibile sia poco qualificato
Per il 72,8% i migranti svolgono
lavori necessari che gli italiani non vogliono fare, con percentuali che
arrivano al 76,0% nelle regioni del Sud.
Il 74,0% si
dice favorevole all’eutanasia
il 70,3%
approva l’adozione di figli da parte dei single
il 65,6% si
schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso
il 54,3% è
d’accordo con l’adozione di figli da parte di persone dello stesso sesso
il 34,4%
approva la gestazione per altri (Gpa)
il 72,5% è
favorevole all’introduzione dello ius soli (la concessione della cittadinanza ai
minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti)
il 76,8% è
favorevole allo ius culturae (la
cittadinanza per gli stranieri nati in Italia o arrivati in Italia prima dei 12
anni che abbiano frequentato un percorso formativo nel nostro Paese)
Chiudiamo infine con un passaggio del Rapporto che
indica un possibile percorso che si presenta ai sonnambuli al momento
dell’’auspicabile loro risveglio
……..Tutto
concorre a comporre un disegno, per la verità ancora piuttosto confuso, di una
società che, più che avviare un nuovo ciclo, sta sostituendo il modello di
sviluppo costruito a partire dagli anni ’60, nel quale si rivendicava il
lasciar fare, la copertura dei bisogni essenziali, il riconoscimento delle
identità e dei diritti collettivi, con un modello nuovo in cui sia assicurato
il lasciar essere, l’autonoma possibilità – specie per le giovani generazioni –
di interpretare lavoro, investimenti, coesione sociale senza vincoli
collettivi. Rimane sullo sfondo il dubbio che, se ciascuno conquisterà la
libertà di essere qualsiasi cosa, senza regole, senza vincoli, senza sciame,
non sapremo fare, insieme, le cose che da soli non siamo in grado di fare e non
sapremo essere, tutti insieme, ciò che da soli non siamo in grado di essere……
IL VOCABOLARIO DEL 2023
RispondiEliminaDa Armocromia a Patriarcato le parole per dire come siamo cambiati
DI STEFANO BARTEZZAGHI - LA REPUBBLICA 31 dicembre
Se poi ricercassimo su Google le parole più cercate , scopriremo un universo linguistico che ci rivela una realtà, per alcuni di noi, inimmaginabile.