Dal 2007, anno della sua
comparsa, al 2022 sono stati venduti 15 miliardi e 224 milioni di smartphone,
di questi circa 7 miliardi sono ancora attivi. Questa dato non significa che
l’85% della popolazione mondiale ne possegga uno, il numero di persone che ne
dispone è stimato in circa 4 miliardi persone (un
altro miliardo e mezzo, sparso nelle zone più povere del pianeta, ancora
utilizza un cellulare di vecchio tipo)
vale a dire comunque circa la metà della popolazione mondiale. Negli
ultimissimi anni le vendite di smartphone stanno conoscendo un rallentamento (nel 2022 ne sono stati venduti “solo”
1,2 miliardi, il valore più basso degli ultimi dieci anni) a dimostrazione che è ormai un
dispositivo talmente diffuso da ridurre i suoi acquisti quasi esclusivamente “alla sostituzione”.
Per
conoscerlo ne prendiamo uno, lo apriamo per capire quali sono i suoi organi,
come sono connessi tra di loro, che ruolo hanno per il suo funzionamento
Anatomia dello smartphone
Lo schermo tattile = E’ la caratteristica che lo differenzia
immediatamente dai vecchi cellulari, per la straordinaria differenza della
qualità d’immagine (dovuta
all’altissimo numero di pixel, l’unità minima che compone la superficie di una
immagine digitale, più pixel ci sono più è nitida e precisa), ma
soprattutto perché grazie alla tecnologia touch screen (schermo
tattile ossia schermo sensibile al tocco) è attraverso di esso
che si attua la catena dei comandi funzionali. Questa potenzialità, chiamata “capacitiva”,
è resa possibile da una particolare pellicola conduttiva (capace cioè
di condurre, trasmettere, calore e elettricità),
che ricopre lo schermo vero e proprio (fatto
di vetro di alta qualità) che
traduce il contatto di un polpastrello in una coordinata di comando (una caratteristica tecnologica tanto
brillante quanto delicata perché richiede che il tocco sia a sua volta
conduttivo, il touch non funziona con le unghie ed i guanti e nemmeno con una
pelle troppo secca come quella di molte persone anziane).
Al di sotto sta poi lo schermo vero e proprio, le cui tecnologie costruttive
sono sostanzialmente due: quella a cristalli liquidi (LCD)
e quella a diodo-organico (OLED) decisamente
migliore e presente solo negli smartphone di gamma alta (sta già prendendo piede una sua
evoluzione, la AMOLED, che consente di realizzare
schermi flessibili).
La batteria = Come tutti i dispositivi elettronici
portatili lo smartphone ha bisogno di una batteria (accumulatori
agli ioni di litio)
adeguata a reggere il suo consumo energetico (il
cui standard è calcolato in un giorno di uso) e di dimensioni
contenute. Le attuali batterie consentono alcune centinaia di ricariche prima
di iniziare a perdere capacità. Se paragonati
a quelli di altri prodotti tecnologici i consumi degli smartphone sono
contenuti (alcuni kWh
all’anno, per un costo di due/tre euro), l’impatto energetico resta
però impressionante stante il loro numero nel mondo
Il sistema-su-un-chip = Chip (letteralmente
= scheggia, truciolo e anche patatina fritta) è una parola da
tempo entrata nel linguaggio corrente (visto
che ogni anno ne sono prodotti circa mille miliardi!),
ma non per questo del tutto conosciuta, e d’altronde ha una definizione tecnica
parecchio complicata (circuito
integrato sviluppato planarmente su un substrato di silicio atto a implementare
componenti elettronici, prevalentemente diodi e transistor, con funzioni
logiche o di memoria). Quelli usati nello smartphone, chiamati SOC (System On Chip),
sono lo sviluppo di un chip speciale, il microprocessore (chiamato anche CPU,
unità di elaborazione centrale, collocato su una scheda
madre, inventato negli anni settanta dalla INTEL per contenere
tutte le istruzioni per far operare un personal computer), e
gestiscono tutte le sue funzionalità (elaborazione
grafica, elaborazione immagini, memoria di sistema, decodifica video, unità di
machine learning, connessione radio, modem integrati, Wi-Fi, Bluetooth, e la tendenza è quella di continuare ad
aggiungerne). Lo sviluppo tecnologico del
sistema-su-un-chip si gioca sul fronte delle dimensioni: chip sempre più
piccoli (più lo sono e più
sono potenti, ma anche, va da sé, più costosi) e
con sempre più transistors fotoincisi sulle loro superfici (e quindi con più potenzialità di
operazioni, i SOC più avanzati, quelli dell’Iphone 14, ne contengono ormai più
di 15 miliardi)
La memoria =
come per i pc anche lo smartphone ha bisogno di due memorie (componenti elettronici in cui sono
archiviati dati e informazioni): una volatile denominata DRAM, più veloce ma più costosa, che serve
per l’esecuzione di programmi ed una permanente denominata FLASH, più
lenta e più economica, che immagazzina i dati ed i software [La crescita di documenti (foto, audio,
email, file) da archiviare ne imporrebbe, con notevoli sovrapprezzi, l’aumento
delle dimensioni, ma la tendenza che viene più incoraggiata è quella di ricorrere
ai servizi del cloud (archiviazione su server esterni
gestiti da società private) vale a dire diventare clienti (sempre più paganti)
per accedere ai propri dati personali]. Completano le componenti
solide (hardware) dello smartphone: la macchina video-fotografica, il
microfono e l’altoparlante
in effetti esistono anche alcuni “sensori”, dispositivi, denominati anche trasduttori, che convertono segnali di una
data natura (acustica, elettrica, meccanica, termica, ecc.) in un segnale di
natura diversa. Sono almeno sei quelli più presenti: sensore di prossimità,
misuratore di luminosità, accelerometro, giroscopio, magnetometro, radio-navigatore
La macchina video-fotografica (che ha in gran misura sostituito le
macchine fotografiche digitali) è ormai divenuta una
componente fondamentale dello smartphone (molti
acquisti di smartphone sono ormai decisi proprio sulla base delle
caratteristiche della componente fotografica). La qualità delle
immagini, sempre più di ottimo livello, è data da quella delle sue due
componenti: la
lente, quasi sempre multipla (però,
per insuperabili ragioni di spazio, piccola e a focale fissa e quindi di
limitate prestazioni in condizioni di scarsa luce ambientale) ed
il sensore
ottico. Il microfono, da sempre
componente di base per tutti i telefoni portatili, ha a sua volta conosciuto
una notevole evoluzione tecnica abbinata a quella dell’altoparlante (ormai almeno due: uno in alto per le
conversazioni telefoniche, ed uno in basso per la riproduzione di audio)
che deve garantire il miglior ascolto possibile di musica e di altri prodotti
come i podcast (una
funzionalità molto utilizzata dagli utenti più giovani)
Connettività senza
fili = è la caratteristica
fondamentale dello smartphone che solo con essa è operativo. La modalità di
accesso alla Rete avviene tramite appositi ricevitori di segnale (di molto ottimizzata con il progressivo
miglioramento della velocità di connessione da 3G a 4G ed ora a 5G) ed
è garantita, accanto alla consolidata copertura esterna offerta dalle “torri” (i ripetitori)
che coprono una “cella”
(con potenza 4G vale, in
ambiente urbano, circa un chilometro quadrato) anche dalla rete locale Wi-Fi, LAN, (che oramai copre il 62% del traffico
dati)
presente nelle residenze, nei posti di lavoro ed in molti luoghi pubblici. In
aggiunta alle connessioni cellulari e WiFi uno smartphone ha almeno due altri
tipi di connessione senza fili: il Bluetooth, una rete personale, PAN, che
consente di collegarsi ad altri dispositivi analogamente dotati in un raggio di
alcuni metri, e la NFC (Near Field Communication) che permette collegamenti molto ravvicinati (come quelli sempre più usati di
pagamento su idonei POS). Ed infine non meno importante è la
componente software:
innanzitutto il Sistema
Operativo = costituito dalle
istruzioni di base che consentono la gestione operativa di tutte le funzioni
dello smartphone, sia quelle automatiche interne sia quelle opzionali, è il
sistema operativo che decide che cosa è possibile fare e come lo si debba fare.
Sono due i principali sistemi operativi: lo Ios prodotto dalla Apple (arrivato nel 2023 alla versione 17
presente nel 27,6% dei dispositivi) e l’Android della Google (versione 13 del 2022 presente nel
71,8%). Il sistema operativo contiene anche una particolare app
(un programma che, aggiunto
al software di base, consente di gestire attività di vario genere purchè compatibili
con l’hardware posseduto) che, in aggiunta a quelle già preinstallate
dal produttore, è quella che consente di scaricare quelle scelte dall’utente, denominata
(come un vero e proprio
negozio) app store (quello
della Apple offre l’acquisto di circa 1,7 milioni di app e circa 460.000
giochi. Nel caso di Android si arriva a circa 3,5 milioni di app).
Gli elementi che lo compongono = ed è infine utile conoscere i materiali
con cui tutti questi organi sono costruiti: per il 40% sono metalli (sono di sessantadue tipi diversi, prevalgono rame, oro,
argento, tellurio, cobalto, manganese, tungsteno, ma incidono non poco le
cosiddette terre rare), 40% plastica, 20% ceramica e altri materiali
Conclusioni: lo
smartphone è quindi a tutti gli effetti un vero e proprio computer portatile,
la cui definizione ultima potrebbe essere quella di un oggetto ideato, progettato e costruito da
alcuni esseri umani che consente alla restante umanità di fare certe cose, e
non altre, e che fissa il modo di farle sulla base di precise scelte di
progettazione. Per metterle in luce, per meglio comprenderle, è necessario
un secondo passaggio preliminare:
Da dove viene e dove finisce
Il
percorso che ha portato alla creazione dello smartphone è stato relativamente
lungo e non poco articolato e si è sviluppato in parallelo a quello dei
classici telefoni cellulari (che
a loro volta hanno conosciuto una notevole evoluzione dalla comparsa, nel 1973,
del primo modello, il Motorola DynaTAC, che pesava circa un 1,5 Kg e poteva
memorizzare un massimo di 30 numeri telefonici) i
cui passaggi più significativi sono:
Ø
1980 =
nascono gli HHC (Hand
Held Computer) i
primi computer “che stanno in una mano”
Ø 1984 = entrano sul mercato
i PDA
(Personal
Digital Assistent), alias palmtop, computer tascabili le cui funzioni principali
sono quelle di agenda e di rubrica
Ø 1992 = escono due
dispositivi molto innovativi: il NEWTON della Apple e il SIMON della IBM, in
particolare quest’ultimo è il primo serio tentativo di fondere un PDA con un
telefono cellulare (per di più con uno schermo tattile)
Ø 1992 – 1997 = in parallelo le
grandi imprese europee produttrici dei classici telefoni cellulari (la svedese Ericsson,
la tedesca Siemens, e soprattutto la finlandese Nokia, che hanno una posizione
dominante grazie allo standard per la telefonia mobile digitale GSM) cercano di rendere
più smart i loro cellulari, ma non investono più di tanto nella ricerca di differenti
prodotti tecnologici (una scelta perdente che metterà per sempre fuori gioco
l’Europa)
Ø 1998 = debutta il primo lettore MP3, un
lettore musicale digitale, piccolo e leggero, con una notevole capacità di
memoria
Ø 2001 = il successo del
formato MP3 induce la Apple a progettare una sua versione avanzata l’iPOD.
In appena tre anni diventa un dispositivo di culto
Ø 2005 = sulla scia di
questo successo Steve Jobs, carismatico leader della Apple, investe ingenti
risorse per progettare un dispositivo che sappia abbinare le potenzialità di un
cellulare, di un lettore multimediale, di un dispositivo di accesso alla Rete (un browser), di alcune funzioni
di un pc, gestite da uno schermo tattile all’altezza del compito, il tutto gestito
da un esclusivo (non utilizzabile da altri) sistema operativo
Ø 2007 =
il 9 Gennaio Steve Jobs annuncia l’iPhone 1, il primo vero
smartphone che contiene davvero tutte quelle potenzialità, gestite dal sistema Ios.
Per gli standard attuali è un modello
con limiti considerevoli, ma al tempo innescò una autentica rivoluzione
Ø 2010 =
Google, la principale protagonista del WEB che già stava lavorando ad un
proprio smartphone, spiazzato dal successo dell’Iphone rafforza la
collaborazione con una piccola impresa americana, la Android, per puntare soprattutto sulla messa a punto di un sistema
operativo per smartphone, denominato per l’appunto Android, che in alternativa
allo Ios della Apple è però “open source” ossia liberamente
utilizzabile anche da altri produttori
Ø 2012 =
la battaglia è vinta: i vecchi cellulari vanno in soffitta, lo smartphone è lo
standard globale, il computer portatile, la macchina che fa tutto ha inglobato
il telefono. Ios e Android formano, per quanto diversi, un solido duopolio.
Al
culmine di questo percorso (che
ha visto l’uscita di scena di brand celebri come BlackBerry, Nokia, Sony, LG,
rimasti troppo legati alla vecchia tecnologia) sono tre i
produttori ed i paesi rimasti in gioco: gli USA con l’Apple (ma
la sua produzione è in Asia, soprattutto in Cina), la Corea del Sud con
Samsung (che
produce anche in altri paesi asiatici) e la Cina con Xiaomi e altri (fino a pochi anni addietro la cinese
Huawei competeva al livello di Apple e Samsung, è stata poi penalizzata
dall’amministrazione Trump che l’ha incriminata come rischio per la sicurezza
nazionale, giudizio poi confermato da Biden, estromettendola così dal mercato
occidentale e restando attiva (molto) solo su quello cinese). Se
la Apple ancora mantiene la quota di vendite più elevata, pari al 25% degli
smartphone venduti, la Cina, con marchi differenziati, è però ampiamente il
primo produttore mondiale con ben il 67% del totale (la
sola BBK Electronics, brand del tutto sconosciuto in Occidente, copre il 25%
degli smartphone prodotti).
Non meno importante, per completare la conoscenza del mondo smartphone,
è l’aspetto della sua riparazione e del suo smaltimento. Come si è visto lo
smartphone è un oggetto molto complesso e soprattutto molto chiuso, accedervi
per una eventuale operazione
(anche solo quella di sostituzione delle batteria) è
davvero difficile. Questo comporta che a fronte di un qualche malfunzionamento
o della necessità di sostituire qualche componente (oltre
alla batteria ad esempio il display) i tempi dell’eventuale
intervento sono molto lunghi e sempre molto cari. Condizioni che inducono
l’utente, che di esso ormai non può più fare a meno, a disfarsene e a
sostituirlo (mediamente
ciò avviene intorno ai tre anni di vita). Qualcosa però si sta
muovendo (soprattutto in
Europa dove è in corso di definizione una più ampia direttiva per promuovere la
“riparazione dei beni”, dispositivi
elettronici e smartphone compresi) e la pressione di
movimenti in difesa dei consumatori sta inducendo i produttori a progettare
modelli più accessibili per riparazioni e sostituzioni (Apple ha iniziato a farlo con l’ultimo
modello l’Iphone 14 e la Samsung con i modelli di punta della serie Galaxy).
Per ora però il numero di smartphone che finiscono nei rifiuti resta
impressionante: sono miliardi quelli che ogni anno vengono buttati e che si
aggiungono a miliardi di altri dispositivi elettronici (nel 2019, ultimo dato certo, sono
stati stimati in 53,6 milioni di tonnellate pari a 7,3 chilogrammi per persona
sul pianeta. Nel 2030 se ne prevedono 74,7 milioni, In numeri assoluti è l’Asia
a produrne di più, seguita dalle Americhe e dall’Europa che però è quella che ne produce di più pro capite, 16,2 chilogrammi). Che fine fanno questi
rifiuti? L’Europa si riscatta riuscendo a riciclarne il 42,5% con il
resto del mondo fermo a percentuali molto più basse. I dispositivi non
riciclati (pari a oltre 44
milioni di tonnellate, dato 2019) prendono la strada, più o
meno legale, dei paesi più poveri del mondo (dove in
minima parte vengono riutilizzati), per essere nella quasi
totalità avviati ad artigianali siti di recupero dei componenti senza alcun
adeguato controllo dell’inevitabile inquinamento atmosferico e delle acque.
Conclusioni: Vale
anche per lo smartphone, come per tutti i prodotti soprattutto se tecnologici,
la constatazione che l’utente medio è di norma all’oscuro di tutta la filiera
che precede l’acquisto e di quella che segue il suo divenire rifiuto. Le
conseguenze di questa inadeguata conoscenza sono vieppiù accentuate dal suo
essere il dispositivo tecnologico più diffuso e più utilizzato proprio perché
predisposto a molti usi. E’ necessario esplorarle.
Le
conseguenze
Il
potere dello smartphone, ovvero le conseguenze del suo uso così diffuso,
pervasivo e frequente, è attestato non solo dalla sua consistenza numerica, ma
anche dai modi e dalla frequenza di utilizzo, che possono ovviamente variare
molto a seconda del contesto culturale locale, dell’età, della classe sociale,
del tipo di occupazione e di relazioni sociali (aspetti
che molto incidono anche sulla varietà di app scaricate ed usate),
ciò detto alcuni dati, che fotografano la situazione media, molto dicono al
riguardo:
Ø
nel
2022 nei principali dieci mercati lo smartphone è stato utilizzato, per tutte
le sue opzioni, cinque ore al giorno
Ø
sempre
nel 2022 sono state scattate, utilizzando lo smartphone, 1.720 miliardi di foto,
il 90% del totale di quelle postate
Ø
attualmente
gli accessi a Internet avvengono per il 55% tramite smartphone, per il 42% tramite pc con il
rimanente 3% legato ai tablet. E’ opinione acquisita che a breve perlomeno il 75% accederà alla Rete solo più con lo smartphone
Che
conseguenze provoca sul nostro organismo un utilizzo così intenso e costante?
Ø
sul corpo = già con vecchi cellulari la
principale preoccupazione si concentrava su possibili danni dovuti all’esposizione
delle onde elettromagnetiche emesse
durante una comunicazione telefonica. Premesso che ancora mancano adeguate
certezze scientifiche al riguardo (i
possibili danni emergono sul lungo periodo e sono accertabili solo con adeguati
screening di massa, ancora nel 2000 solo il 12% della popolazione mondiale
usava abitualmente un cellulare)
è però possibile ipotizzare che lo smartphone non abbia accentuato questo
rischio visto che il suo utilizzo come puro telefono si è ridotto rispetto al
cellulare essendo mirato ad altri usi. In compenso stanno emergendo, ma anche
in questo caso occorre essere cauti mancando adeguati studi, altre possibili
problematiche legate al suo peso (i
migliori modelli di cellulare pesavano dagli 80 ai 90 grammi, quelli dello
smartphone superano i 200 grammi)
alla postura imposta dall’uso dello schermo (braccia e mani in posizione di
sostegno, testa chinata in avanti, uso intenso del pollice) intensa e ravvicinata esposizione alla luce dello schermo, la sua pulizia (accertata
presenza di batteri sulla sua superficie). Sembra purtroppo lecito che, su tempi lunghi, emergano
ricadute negative di ordine osteo-muscolare, visive, e malattie trasmissibili
Ø
sulla mente = le conseguenze principali sono due: dipendenza e ridotta capacità di concentrazione. Ambedue sono problemi (ormai
accertati da diversi studi) che
derivano dalla esplicita scelta progettuale (fatta
anche con l’apporto di neuro-scienziati e psicologi) di catturare costantemente l’attenzione
dell’utente (notifiche
sonore e visive, vibrazioni). Lo smartphone non è stato concepito per essere lasciato inutilizzato. Indagini statistiche (fatte negli USA nel 2023 dal Ministero
della Salute) hanno
accertato che a partire dal 2010/2012 l’utilizzo (spesso non
controllato e non seguito da adulti) delle
reti sociali tramite smartphone ha provocato, nei bambini di età inferiore ai
dodici anni, un preoccupante aumento di vari problemi di ordine psicologico (fino alla propensione al suicidio), accentuati dal collegato fenomeno del cyberbullismo, (non a caso nel 2023 l’UNESCO ha pubblicato
uno specifico rapporto al fine di bandire gli smartphone nei primi ordini di
scuola)
Non meno significative sono
le conseguenze su ambiente e informazione:
Ø sull’ambiente =
si è già visto che il consumo energetico diretto (ricarica
batteria) di uno
smartphone non è particolarmente significativo, ma occorre tenere in debita
considerazione gli impressionanti numeri di dispositivi attivi nel mondo ed
inoltre i consumi energetici dell’intera sua filiera di produzione, delle
infrastrutture della rete e di Internet, dei server che gestiscono la
circolazione e l’archiviazione dati, ed anche quelli legati alle attività
indotte a cascata. Anche in questo caso è complesso avere delle stime esatte (stante la difficoltà di scorporare il
consumo energetico per smartphone da quello totale di tutti i dispositivi
elettronici). Una
stima molto approssimativa individua una sua incidenza, sul consumo energetico
totale (nel quale il solo
Internet vale per un 7%)
in un range che va dal 3,5% al 5%. Una percentuale che si ribalta su
quella della connessa produzione di Co2. (Dell’impatto
ambientale derivante da smaltimento e recupero si è già detto)
Ø sull’informazione = Non c’è
ormai dubbio alcuno su come e quanto siano cambiate le modalità di informazione
nell’era della rivoluzione telematica. Il ruolo della “carta” si è di molto ridotto
parallelamente al crescere del “digitale” (mediamente
a livello globale si stima che l’acquisizione di notizie avviene per il 53% con
dispositivi digitali, per il 33% via televisione, per il 7% via radio e appena
il 5% con carta), al cui
interno lo smartphone è ormai divenuto uno dei principali strumenti di
informazione (vale la
percentuale di accesso alla Rete rispetto agli altri dispositivi indicata in
precedenza). A
questo suo utilizzo voluto e consapevole si deve però aggiungere la dimensione
delle informazioni che l’utente riceve passivamente ogni qualvolta accede ai
vari social ed utilizza le app. Soprattutto attraverso i ben conosciuti e molto
invasivi cookies sono veicolate a tutti gli utenti una massa di informazioni
sempre più individualizzate (e cioè
calibrate da specifici algoritmi sulle base delle preferenze e degli interessi
che ogni utente rivela di sé ogniqualvolta accede alla Rete, aspetto che verrà
analizzato in seguito) e finalizzate
a catturare costantemente la nostra attenzione per puri fini di mercato. Si
tratta di un meccanismo opaco e del tutto incontrollato che non ha, questo è
certo, alcuna finalità di informazione obiettiva per la residua parte che a
questa viene dedicata. L’utente potrebbe cioè non essere informato di fatti,
anche importanti, se questi non fossero ritenuti rilevanti, sulla base dei
suddetti parametri, dall’algoritmo di turno. L’opacità totale con cui tutto ciò
avviene lascia una porta spalancata a dubbi di manipolazione interessata e di
controllo di massa. [nel
Luglio 2023 le riviste “Science” e “Nature” hanno pubblicato articoli
scientifici di valutazione statistica del fenomeno che hanno ridimensionato
parte dei timori (l’informazione scorretta viaggia in gran prevalenza tramite deliberate
fake news), ma al tempo stesso hanno riscontrato un significativo impatto sulla
presunzione degli utenti di essere correttamente informati].
Conclusioni: Queste ultime considerazioni portano ad
affrontare infine il tema centrale del potere dello smartphone, di chi è in grado di
esercitare potere sulla macchina più importante di questa prima metà del XXI
secolo. E
quindi capire: chi controlla ciò che serve per costruirlo, chi controlla i suoi
principali componenti, chi decide come assemblarli, chi controlla i sistemi
operativi, chi decide quali applicazioni possono essere installate, chi ha
accesso ai dati (quali e a quali
condizioni)
e chi ne gestisce i flussi
Chi controlla lo smartphone
Chi controlla
l’oggetto fisico?:
Ø
elementi e materiali = Come si è già visto gran parte dei
materiali necessari alla costruzione dello smartphone e dei suoi componenti
sono ritenuti “critici”, ossia materie prime di non
semplice approvvigionamento (fanno
parte di due appositi elenchi: uno europeo con 30 elementi ed uno americano con
50 elementi, che in buona misura si sovrappongono). Vi compaiono ovviamente le famose
terre rare (17 elementi chimici
della tavola periodica) ed
l’ormai citatissimo litio (essenziale
per tutte le batterie ricaricabili, non solo quelle dello smartphone). La questione della loro
disponibilità, della loro raffinazione (molte
di quelle terre tanto rare non sono, ma è complessa la loro estrazione), della loro commercializzazione e
trasporto, è da tempo al centro del dibattito geopolitico e meriterebbe del suo
ben altre valutazioni. Limitandoci al quadro generale dei paesi produttori, i loro
veri padroni (ovunque
è di competenza statale la concessione all’estrazione, primo fondamentale
passaggio della filiera)
emerge il fatto che tre paesi dei BRICS (inizialmente
l’alleanza tra Brasile, Russia, India, Cina, SudAfrica, che si sta allargando
in alternativa ai paesi del G7)
posseggono ben il 72% delle riserve di terre rare (Cina 37%, Vietnam 18,3%, Brasile e
Russia 17,5%). Per
quanto riguarda il litio al momento (molti
paesi, USA in testa, stanno cercando alternative) ben il
97% è prodotto in soli quattro paesi:
Australia 47%, Cile 30%, Cina 15%, Argentina 5%. A fronte del suo 15% estratto
la Cina è però il primo produttore di batterie al litio con una quota di mercato di circa il
79%. E’ un quadro in costante evoluzione ed in grado di incidere sull’evoluzione
delle relazioni geopolitiche che di certo vede una forte dipendenza della parte
ricca del mondo dai paesi emergenti
Ø
componenti = il primo, e più essenziale, è il
sistema-su-un-chip, che è prodotto da diverse imprese (solo una, la coreana Samsung è in grado di
progettarli e di produrli) le quali,
Apple inclusa, devono sottostare al monopolio di quella che è definita la “fonderia di silicio”: la
taiwanese TEMC che detiene il 90% del mercato dei circuiti integrati di punta. (vero è che sono non poco complessi gli
intrecci di mercato perché a sua volta la TEMC dipende da sofisticatissime
macchine litografiche olandesi, da prodotti chimici giapponesi, e da specifici
software messi a punto negli USA, una situazione paradigmatica della compiuta
globalizzazione). Va da
sé che USA ed UE stanno tentando, per tutti i tipi di chip, (in particolare l’Europa conta di
raddoppiare la sua attuale quota di mercato del 10%) di sottrarsi da questo monopolio
Ø
il dispositivo = è lo smartphone che in ultima istanza
decide quello che si può davvero fare. A ben vedere sono proprio poche, quelle
elementari (volume, luminosità,
connessioni), le
funzionalità che sono controllate dall’utente, tutto
il resto (a partire dallo stesso completo
spegnimento) è sotto controllo esclusivo del dispositivo. L’utente deve convivere con un elevato
grado di incertezza su tutto quello che il dispositivo (acceso o spento che sia) sta facendo. Questo rimanda a successive
domande.
Chi controlla i
sistemi operativi? =Non solo non si ha mai completamente sotto
controllo l’attività del dispositivo, ma
anche quando l’utente ne avvia un uso consapevole deve sottostare ai vincoli
imposti dal sistema operativo. Sono limiti e vincoli che valgono per qualsiasi
tecnologia, ma se in generale il mercato offre un ventaglio di scelte, per lo
smartphone, ed il suo sistema, si ha a che fare, come si è visto, con un duopolio: Apple o
Android. E’ un dato di fatto che incide, oltre che sulle
potenzialità di innovazione (in un mercato con più concorrenti è
meglio incentivata), sull’enorme potere in capo a due imprese
statunitensi di decidere le modalità e le finalità di utilizzo dello
smartphone. Un esemplare esempio della pericolosità di questo accentramento di
potere è stato globalmente vissuto nel 2020 durante la prima fase della
pandemia da Covid-19. Fu evidente, fin dall’inizio, la necessità di tenere
sotto controllo la diffusione del contagio mettendo in atto un tracciamento dei
contatti e quindi la possibilità di sfruttare in tal senso la grande
capillarità degli smartphone. L’idea, condivisa da tutti i principali governi,
fu quella di una apposita app che potesse registrare in tempo reale la catena
di contatti avuti da una persona contagiata. Furono pertanto avviati contatti
con Apple e Google per concordarne la fattibilità. Si trattava (senza entrare più di tanto nei
dettagli tecnici) di “entrare” nei due rispettivi sistemi
operativi per installare una apposita procedura, però ideata e posta sotto il controllo
esterno delle strutture sanitarie statali. Apple e Google, i signori dei sistemi
operativi, rispondono congiuntamente (cosa
mai successa prima e nascondendosi dietro il pretesto del rispetto della
privacy dei loro clienti) che la cosa poteva essere fatta solo mantenendo
in capo a loro l’ideazione dell’app. Ed è quello che è successo: in una
economia di mercato basata sulla proprietà privata tutti i governi si sono dovuti piegare al volere
di due imprese a capo di un duopolio (in Italia l’app così ideata sarà acquisita con il
nome di “Immuni”, avrà quasi 22 milioni di
installazione, ma a poco servirà per i limiti organizzativi del sistema
sanitario)
Chi controlla i
negozi di app? = La
risposta è sempre la stessa: Apple e Google. Come già visto in precedenza gli
sviluppatori di app (a
differenza dei loro colleghi che sviluppano software per pc scaricabile dalla
Rete senza intermediari), devono anch’essi obbligatoriamente
passare dai loro due appstore. La ragione addotta per giustificare questa
scelta, garantire la sicurezza degli smarphone, non sta tecnicamente in piedi,
sono invece almeno tre le vere ragioni: il ritorno economico, il loro ruolo di
intermediazione non è certo gratuito e vale
un 30% del valore dell’app scaricata (il
che genera un giro di affari di decine di miliardi di dollari), il diritto di negare l’ammissione nell’appstore alle app giudicate, a loro piena
discrezione, non compatibili con il loro profilo aziendale (sono numerosi i casi di
discriminazioni verso app di denuncia sociale e di sostegno a cause “scomode”),
ed infine avere
un unico punto di controllo consente ad Apple e Google di trattare
con governi che desiderano farlo quali app debbano essere vietate in cambio,
ovviamente, di ritorni vantaggiosi (il
caso della Cina è esemplare: Apple ha ottenuto condizioni molto vantaggiose per
produrre lì i suoi smartphone in cambio di un rigido controllo delle app
fornibili e del diretto accesso ai dati dei suoi clienti cinesi)
Chi controlla le app? = Non bastasse il rigido filtro
dell’appstore le protagoniste del duopolio, i cui smartphone di norma interagiscono
direttamente con il WEB attraverso i browser (vedi
sopra) preinstallati, hanno assecondato un cambiamento importante avvenuto nel WEB:
moltissimi siti, tra cui tutti i più importanti, hanno sviluppato una propria
app per essere consultati (ad
esempio anziché consultare google.maps tramite la Rete si scarica l’omonima
app, lo stesso per acquistare su Amazon, o per accedere a YouTube o Facebook).
E’ una svolta che implica costi non indifferenti (di
progettazione e di gestione), ma che si é diffusa
rapidamente per alcune specifiche ragioni: di marketing (essere visualizzabili sullo schermo
dello smartphone è un costante richiamo
della propria esistenza), di rafforzamento del rapporto con l’utente (l’app
offre molte più funzionalità di quelle presenti con il solo accesso via
browser), di comodità di gestione del traffico in Rete
(l’app usa le risorse dello
smartphone e alleggerisce il carico dei server di Rete),
ma soprattutto di più ampio accesso ai dati dell’utente, aspetto limitato con
l’accesso via browser [si
parla di dati personali in senso stretto (rubrica, impegni in calendario, foto,
video) e di dati dello smartphone stesso (posizione, dettagli tecnici quali
sensori, connessioni, accesso, app installate)]. Ma chi è che controlla queste particolari
app? Tornano innanzitutto in ballo Apple e Google: tutte le app installate
sui loro smartphone devono passare attraverso un motore WEB (il WebKit della Apple, Blink per
l’Android di Google) e con questo (in
aggiunta all’ineliminabile filtro del sistema operativo)
devono quindi essere compatibili: è un sofisticato rafforzamento del loro
duopolio. Un secondo livello di controllo è quello dei creatori delle app che decide quali funzionalità devono essere contenute
e che registra tutto quello che l’utente fa. Interviene infine, in questa lunga
catena, un ulteriore aspetto: come si è visto le app sono milioni, ma sono
poche decine quelle di diffuso successo e sono quindi queste quelle che
consentono un autentico controllo dell’utente. Si tratta di un potere enorme
che nel vasto universo degli smartphone è concentrato (calcolato sul totale di ore di tempo
d’uso) in gran prevalenza su sette app: WeChat (19,5%), TikTok (17%), YouTube (12%), Facebook (9,2%), Chrome (8,1%) Instangram (4,6%). Molte
rientrano ancora nel mondo Apple e Google rafforzando così vieppiù il solito
duopolio (chi sfugge ad esso,
come TikTok non a caso sta conoscendo non poche traversie, replicando la
precedente vicenda degli smartphone Huawei)
Chi controlla i dati?
=
Appare chiaro, da quanto fin qui esposto, che lo smartphone, con la sua
incredibile capacità di produrre e gestire dati, ne implica la loro automatica
registrazione, il loro immagazzinamento, e, stante la sua connessione senza
fili, la possibilità della loro trasmissione. Si presuppone che quest’ultimo
passaggio possa avvenire solamente a dispositivo acceso e con consapevolezza dell’utente.
Non è proprio così. Anche quando è a riposo lo smartphone si connette alla casa
madre in media ogni 4/5 minuti (per
consentire la localizzazione), ma soprattutto invia
automaticamente dati alla casa madre ad intervalli prestabiliti [su ogni smartphone ogni dodici ore Android
invia circa 1 megabyte (mille Kilobyte) di dati ai server Google, Ios “solo” 52
Kilobyte. Sono inviati anche dati delle app presenti sullo smartphone, ma solo
se consentito dal sistema operativo]. Nulla che avvenga
segretamente, l’accesso ai dati è dichiarato nelle condizioni di acquisto
congiuntamente ad un formale impegno (privacy policy) a garantire una loro gestione rispettosa
della privacy dell’utente
Apple lo fa con un documento,
consultabile tramite link, che spiega con 4.000 parole quali dati vengono
raccolti dal sistema operativo Ios e con altre 70.000 quelli raccolti dallo
specifico prodotto. Un libro di medie dimensioni fitto di informazioni
tecnico-giuridiche. Difficile pensare che qualcuno le abbia lette, eppure in
sede di eventuale contenzioso valgono come acquisita informativa. Non molto
dissimile è l’informativa usata da Google
I dati
in questione sono di fatto tutti quelli che il dispositivo produce e gestisce
nel suo funzionamento e spaziano, ad esempio, da quelli relativi ai contatti
effettuati a quelli degli estremi di operazioni di pagamento, da quelli di
utilizzo di prodotti, servizi ed informazioni, a quelli sullo stato di salute
dell’utente (se
digitati in qualche comunicazione). L’utente potrebbe in
teoria bloccarne almeno una parte (molto
usato, perché facile da attivare, è quello della localizzazione),
ma la maggioranza degli utenti non è sufficientemente attenta, e magari neppure
attrezzata per farlo, a questo aspetto (persino
più complessa è la gestione di eventuali rifiuti all’utilizzo dati raccolti per
le app installate). Va quantomeno riconosciuto che Google e,
soprattutto, Apple stanno introducendo modifiche sui loro dispositivi di ultima
generazione per attenuare (almeno
in parte) questo impressionante flusso di dati
Conclusioni: Lo smartphone non è solo un dispositivo che
può essere utilizzato con rigide modalità, ma è anche una macchina
appositamente progettata per catturare, in maniera silenziosa e quasi sempre
senza che l’utente ne sia consapevole, quanti più dati riguardanti sia l’utente
sia l’ambiente in cui vive. Ciò è utile a rafforzare la dipendenza dal suo
pervasivo utilizzo e a monetizzare ogni possibile collegato ritorno economico
Manifesto
Che caratteristiche
dovrebbe allora avere uno smartphone ideale, se per ideale si intende un prodotto
tecnicamente valido e al tempo stesso attento ai diritti dell’utente, dei
lavoratori della sua filiera, dell’ambiente?
Per
arrivare al cuore del problema si impone innanzitutto una domanda: è così necessario che
l’uomo sia corredato da una macchina, qualunque essa sia, per poter lavorare,
studiare, divertirsi, insomma per vivere? Non è una domanda
retorica, l’impressionante diffusione e pervasività dello smartphone impone
innanzitutto che sia garantito il diritto al suo “non utilizzo”, che tutte le sue funzionalità non siano imposte a
tutti come unica modalità di svolgere attività fondamentali, deve cioè esistere
la libertà di vivere, in tutte le sue articolazioni, senza di esso. Inoltre,
con riferimento alle criticità fin qui evidenziate, le modifiche che dovrebbero
essere attuate sono riassumibili in venti punti:
1. deve essere certificato che tutti i
materiali ed i componenti sono stati estratti/prodotti rispettando ambiente e
diritti dei lavoratori
2. analoga certificazione per assemblaggio, collaudo e trasporto
3. e per il suo smaltimento finale
4. la sua progettazione deve puntare
alla facilità di riparazione, anche da parte dell’utente, rendendo disponibili,
a prezzo equo, pezzi di ricambio e informazioni tecniche
5. deve inoltre puntare a massimizzare
la vita media del dispositivo
6. e analogamente a massimizzare la
riciclabilità di materiali e componenti
questi primi
sei punti devono valere per ogni tipologia di dispositivo elettronico,
quelli seguenti sono specifici per lo
smartphone
7. la batteria deve essere facilmente
rimuovibile e sostituibile
8. il sistema operativo deve assicurare
il pieno controllo di sensori e funzioni
9. deve inoltre garantire la possibilità
di trasmettere dati da dispositivo a dispositivo
10.
i
produttori devono rendere pubblici i dati tecnici per favorire lo sviluppo di
sistemi operativi alternativi
11.
libertà
di installazione di qualsiasi sistema operativo compatibile
12.
deve
essere facilitato l’uso condiviso (per
es. in scuole, associazioni, uso occasionale)
13.
deve
essere ridotta il più possibile la possibilità delle app di controllo utente
14.
libertà
di installazione di qualsiasi app compatibile
15.
tutti
i dati generati dallo smartphone devono restare in locale, salvo specifica
autorizzazione dell’utente
16.
le
app di contatto utenti non devono memorizzare i metadati (chi ha interagito con chi)
17.
devono
inoltre poter accedere solo ai dati utili alla loro funzionalità
18.
sistemi
operativi e app devono facilitare la condivisione dati per utenti iniziative
collettive
19.
devono
inoltre segnalare utilizzi errati o pericolosi
20.
i
produttori di sistemi operativi e app devono rendere possibile l’accesso ai
propri dati e algoritmi per permettere a ricercatori indipendenti di valutarne la
correttezza
(una buona parte di queste regole sono
già state attivate da una linea di smartphone, i Fairphone
prodotto dalla omonima ditta dei Paesi Bassi)
Alcuni
di questi punti richiedono l’adozione di universali norme lavorative e
ambientali che inevitabilmente richiederanno anni di impegno e lavoro, altri
invece, specie quelli relativi ai software, potrebbero essere realizzati in
breve tempo. E’ in ogni caso indispensabile che maturi in modo diffuso e
condiviso la consapevolezza che la tecnologia, e tutte le sue realizzazioni,
non sono di per sé stessi dogmi indiscutibili …………
la tecnologia, infatti, è
per definizione un prodotto umano e come tale può e deve essere discussa nel
modo democraticamente più ampio possibile, e cioè sempre e ovunque deve poter
essere deciso se, quando e come, una determinata tecnologia può essere adottata