La Parola del mese
Una parola in grado
di offrirci nuovi spunti di riflessione
AGOSTO 2025
Solo in apparenza la
Parola di questo mese sembra essere in sintonia con il clima vacanziero di Agosto,
in effetti indica invece una caratteristica rilevante di questa fase
dell’umanità (perlomeno
di quella più benestante) intesa in senso lato.
L’allungamento
dell’età media di vita nelle società occidentali non rappresenta infatti
solamente un aspetto che ha un significativo impatto sociale ed economico, ma è
argomento che interroga diverse discipline scientifiche sulle sue spiegazioni e
sui suoi limiti teorici, sulle conseguenze medico-sanitarie che
l’invecchiamento inevitabilmente comporta, sulla possibilità, al momento altrettanto
teorica, di rappresentare una autentica svolta evoluzionistica. Non per ultima anche la filosofia è chiamata in causa per riflettere se e come l’estensione
degli orizzonti di vita possa incidere con l’idea stessa del nostro vivere.
Ciò detto non è certo
nostra intenzione turbare il rilassamento “agostale” (l’Accademia della
Crusca lo attesta come aggettivo nel significato “di agosto”) con un post troppo
impegnativo, prenderemo semplicemente spunto da questa Parola del mese per
riflettere in termini colloquiali su alcuni di questi aspetti, in particolare
sulla sua reale consistenza e sui possibili modi di viverla e padroneggiarla
LONGEVITA’
la cui stessa
etimologia e significato sono semplici e da tutti conosciuti
longevità (sostantivo
femminile derivato dal tardo latino longae vĭtas)
= Durata della vita degli organismi oltre il loro accertato limite medio (dal vocabolario on line Treccani)
La prima domanda alla quale rispondere è quindi
se davvero l’allungamento della vita media è un fenomeno da considerare,
esaminandolo sui tempi lunghi dell’evoluzionismo umano, stabilmente acquisito
dall’attuale umanità (vale quanto sopra).
La scienza sembra dividersi al riguardo, lo confermano in un apposito capitolo del loro recente saggio scritto a quattro mani (dal quale, lo confessiamo, abbiamo tratto lo spunto per questa Parola del mese, essendo intitolato, guarda caso, “longevità”), la cui lettura integrale è caldamente consigliata per i tanti spunti di conoscenza e riflessione che offre
Telmo Pievani (Professore di Filosofia delle Scienze Biologiche presso
l’Università di Padova, saggista e conosciuto divulgatore scientifico)
e Giuseppe Remuzzi (medico nefrologo,
Direttore dell’Istituto di ricerche farmaceutiche Mario Negri)
in questo loro testo evidenziano che secondo
alcuni esperti, le possibilità che offre il continuo progresso scientifico in
campo medico (in
particolare della medicina predittiva), sono sempre più in grado di
intervenire preventivamente sull’insorgenza delle malattie che aggravano
l’accumulo, fisiologico, dei danni biologici causati dal naturale invecchiamento.
Studi di biologia dell’invecchiamento indicano
che solo il 20-30% della variabilità della vita umana è attribuibile a fattori
genetici, il restante 70-80% è collegato a quelli ambientali e agli stili di
vita. Ciò detto intervenire su alcuni varianti genetiche potrebbe comunque consentire
una più efficace attività dei telomeri (porzioni di DNA) che hanno un ruolo
importante nella duplicazione cellulare e quindi sui meccanismi di
invecchiamento. Allo stesso modo è accertato che alcune cellule linfocitarie,
se debitamente aiutate, sono in grado di innescare meccanismi di riparazione
cellulare dei danni ossidativi alla base dell’invecchiamento. Altri studi
farmacologici stanno mettendo a punto molecole senoletiche in grado di
eliminare selettivamente le cellule senescenti
Un miglioramento, che viene dato per costante, così efficace da rafforzare il già consolidato trend di allungamento medio della vita che, in moltissimi paesi, si è ormai assestato attorno agli ottant’anni in un quadro globale di generale avanzamento, ben evidenziato dal successivo grafico che compara la globale aspettativa di vita registrata nel 1800 (immagine in alto), nel 1950 (immagine centrale) e nel 2011 (immagine in basso). I più ottimisti ritengono addirittura che le potenzialità insite nel patrimonio cellulare umano, se messe in condizione di realizzarsi al loro meglio, siano tali da prefigurare la possibilità per l’uomo di raggiungere la venerabile età di 120 anni.
Ma l’attenzione di
Pievani e Remuzzi è concentrata soprattutto sulle risultanze di un accurato
studio, pubblicato ad Ottobre 2024 sulla rivista “Nature aging”, coordinato da Jay Olashansky (epidemiologo e
biostatistico dell’Università di Chigaco) che sembra andare controcorrente
rispetto a questi ottimistici scenari
perchè mette in dubbio
la sostenibilità di tali prospettive, in particolare quella dell’obiettivo dei
120 anni di vita, e perché ritiene, su basi scientifiche, che al contrario sia
già stato raggiunto il picco della durata della vita umana al momento
fissabile, come dato medio, ben sotto i
novant’anni. Lo fa sulla base di una analisi dettagliata dei dati
raccolti nei paesi in cui già oggi si vive di più (Giappone ed Italia
innanzitutto, e poi Australia, Francia, Corea del Sud, Spagna, Svezia e
Svizzera).
Ne ripercorriamo qui, sinteticamente, le risultanze:
in tutte le popolazioni prese in esame,
quelle che nel corso del secolo scorso hanno raggiunto una maggiore longevità, si è assistito dal 1990 in poi ad una
contrazione di tale trend sceso negli ultimi trent’anni a soli 6,5 anni dopo che
era quasi raddoppiata nei settant’anni precedenti
sono dati che lasciano intuire che la crescita
dell’età media di vita consentita dalla medicina abbia raggiunto il suo limite
biologico, per
quanto i suoi progressi stiano proseguendo a ritmi vertiginosi si stanno
infatti registrando miglioramenti
incrementali sempre più ridotti nella longevità, testimoniati proprio dal rallentamento del trend di aumento
registrato fino al 1990
l'aumento annuale medio registrato in
tutte le popolazioni prese in esame è infatti decelerato al di sotto di 0,2
anni all'anno a fronte del 0,3 (è la linea tratteggiata orizzontale del
grafico) necessario
per mantenere le precedenti previsioni
sebbene sia probabile che sempre
più persone possano raggiungere i 100 anni, queste saranno
ancora un’eccezione perché, dati alla mano, sembra probabile che tale traguardo
possa riguardare al massimo il 15% della popolazione femminile ed il 5% di
quella maschile così come è indicato dal grafico seguente nel quale la linea
nera tratteggiata che corre verso l’alto indica il grado necessario di crescita
della longevità media necessaria per
raggiungere tale obiettivo su larga scala
il fatto è che le tendenze demografiche
sono vincolate da rigidi parametri matematici: per realizzare un aumento di 1
anno di longevità media, stante l’attuale livello di
invecchiamento della popolazione, sarebbe necessario ridurre il tasso di
mortalità della attuale popolazione femminile del 20,3% e del 9,5% per quella
maschile. Ambedue sono traguardi impossibili per i pur eccellenti standard
medico/sanitari finora raggiunti
i trend che si stanno registrando dal
2019 in poi lasciano tutt’al più prevedere che nel 2039 l'aspettativa di vita
alla nascita possa assestarsi a 88,68 anni per le femmine e a 83,17 anni per i maschi, attualmente le donne vivono
mediamente fino a 85,3 anni e gli uomini fino a 80,5 anni. Un progresso di tutto
rispetto, ma ben lontano dagli orizzonti ottimistici prefigurati da alcuni
La considerazione
finale che i dati raccolti da questo studio consentono sembra quindi essere
quella che, allo stato attuale delle conoscenze mediche (quelle che potranno
essere raggiunte in un futuro più o meno lontano non sono scientificamente determinabili
allo stato attuale della ricerca), la battaglia
dell'umanità per una maggiore longevità sia stata in gran parte compiuta.
Ciò non significa che
ulteriori miglioramenti della mortalità a tutte le età (soprattutto in età
avanzata)
non siano più possibili, che la durata di una vita in salute non possa più
essere migliorata attraverso la modifica dei fattori di rischio e la riduzione
delle disuguaglianze di sopravvivenza. Ma questi auspicabili successi non
saranno comunque in grado, stante la rigidità matematico/statistica dei trend
di crescita, di raggiungere traguardi al momento davvero troppo ambiziosi.
Una consapevolezza che
nulla toglie alla considerazione, oggettiva, che l’umanità nel suo insieme (ferme restando le
profonde ingiuste differenze fra le aree del mondo) ha alle sue spalle un
secolo di crescita straordinaria della longevità
media, raggiunto grazie ad un miglioramento del livello medio di salute
pubblica e di progresso medico che hanno permesso all'umanità di avere il
sopravvento sulle cause di morte che avevano fin qui pesantemente limitato la
durata della vita umana.
Va comunque detto, per dovere di
esattezza, che l’aspettativa media di vita è un dato calcolato sul tasso di
mortalità della popolazione intera ed è quindi influenzato dalle morti in età
precoce (nel 1800, ma ancora nel 1950, erano molto più rilevanti, anche per
l’incidenza della mortalità infantile, di quelle registrate nel 2011), sarebbe
quindi più corretto considerare solo quello relativo all’età in cui muore la maggior
parte delle persone
Entrambe queste due
considerazioni, sul successo e sul suo progressivo rallentamento,
indubitabilmente valgono anche per la situazione specifica italiana. Lo
attestano alcuni dati Istat, riferiti all’anno 2024, aggiungendo inoltre un
aspetto altrettanto determinante: la longevità
(aspetto
importante ma non fine a sé stesso) vissuta il
più possibile in buona salute (intesa nella
definizione data nel 1948 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS: “uno stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale, che non consiste soltanto in assenza di malattia):
l’aspettativa di vita per le donne si è
assestata a 85,5
anni, era a 85,1 nel 2014
ma di questi quelli vissuti in buona
salute si fermano, mediamente a 57,1 anni, erano a 56,6 nel 2014
l’aspettativa di vita per gli uomini si
è assestata a 81,4 anni, era a 80,3 nel 2014
ma di questi quelli vissuti in buona
salute si fermano, mediamente a 59,8. Erano a 59,2 nel 2014
E’
questo un aspetto fondamentale: uscendo dal mero aspetto biologico della durata
media di vita dei “corpi” e prendendo in
esame quella delle “persone”, così come
definite in salute dall’OMS, il discorso assume davvero tutt’altra valenza.
Incide
su questo il dato citato in precedenza: la longevità è determinata per un 20-30% dalla
genetica e per un 70-80% dall’ambiente (naturale e sociale) e dagli stili di vita (quelli scelti e
quelli subiti). I
progressi della medicina (consentiti da quelli straordinari della scienza) possono incidere molto sul 20-30%, ma
sul restante 70-80% restano molto più determinanti i contesti sociali,
economici, culturali, ambientali, relazionali.
Ma qui la nostra riflessione “agostale”, per mantenere una certa rilassatezza, si ferma, troppe e troppo complesse sono le connessioni che si potrebbero approfondire. Ci limitiamo a segnalare due contributi, non tecnici, sul tema della longevità:
Questo primo testo il cui autore è Pascal Bruckner (filosofo,
scrittore e saggista francese)
propone, restando
concentrato sulla situazione della parte ricca ed in salute del mondo, alcuni
spunti sui modi in cui l’umanità sembra gestire gli allungati spazi di vita che
l’accresciuta longevità sta offrendo.
Per Bruckner la
vecchiaia odierna si profila come una stagione della vita supplementare
- “l’estate indiana” la definisce lo scrittore francese - aperto a
sorprese, alla rinascita, alla creatività, a nuovi progetti, nuovi amori, nuove
identità, alle ripartenze in ogni ambito esistenziale. Una vitalità che si
esprime se si gode ancora di buona salute, ma non di rado anche in caso di
qualche accenno di declino fisico. Sono molti ormai coloro che nella vecchiaia
osano rimettersi in gioco. L'anziano di oggi è sempre più spesso una persona non
ossificata nelle proprie abitudini, ma un soggetto che, accumulando esperienza
e sapere, è capace di concepire visioni nuove, prospettive inedite, soluzioni
complesse e rivoluzionarie. Una risorsa quindi da valorizzare più che un
problema o un peso di cui liberarsi. Tanto più che sono molti gli anziani che
soffrono proprio perché non si sentono più utili.
La vecchiaia, come
ogni altra età della vita, rimane aperta all'inopinato, al rischio,
all'avventura, a nuovi destini. "Fino
alla fine bisogna dire sì alla vita", aggiunge Bruckner, anche
se condivide il paradosso di Oscar Wilde sintetizzato nell’aforisma: "Il dramma della vecchiaia è che si resta giovani".
Le considerazioni di Bruckner, per molti aspetti condivisibili e confortanti (anche se per chi scrive sembra sempre opportuno diffidare delle generalizzazioni in questioni che presentano situazioni molto differenziate), rappresentano soprattutto un invito a costruire collettivamente una “filosofia della longevità” vista come un dono, storicamente inaspettato fino a pochi decenni addietro, che richiede, in quanto tale, di essere valorizzato al meglio. Partendo dalla consapevolezza di ordine storico che è solo da dopo la Seconda Guerra Mondiale che in Europa “è stata inventata la pensione”, una situazione socio-esistenziale vissuta da persone che, attorno ai sessanta/settant’anni molto spesso ancora perfettamente in salute, si ritrovano a disporre di spazi di vita da riempire. Un nuovo “mestiere” tutt’altro che semplice, anzi un’autentica sfida che richiede una quotidiana costruzione che non può essere lasciata al caso o alla forza, troppo spesso negativa, delle abitudini. Per Bruckner la consapevolezza di questo passaggio implica il coraggio di fare proprie le kantiane domande: cosa posso sperare? cosa posso conoscere? cosa posso credere? le risposte non possono essere accademiche ma percorsi di vita reale da mettere in pratica nella propria esistenza. Ben sapendo che, riprendendo la massima di Oscar Wilde, il vero problema, a ben vedere, non è diventare vecchi, ma rimanere giovani, perché quello che invecchia è il corpo, mentre (in quelli che si sono, più o meno consapevolmente posti le domande di Kant) da dentro ancora si fa sentire una voce che ti fa sentire giovane, un contrasto che richiede una continua quotidiana negoziazione.
Una tensione
sicuramente individuale, ognuno sceglie un proprio percorso, che ha un evidente
risvolto collettivo: nel 2050 qui in
Europa gli anziani saranno più del doppio dei bambini, avranno quindi, per la
prima volta nella storia, un reale potere di maggioranza. Sarebbe
bello, così si augura Bruckner, esercitarlo in modo non egoistico.
Ha invece impostazione di ricerca storica il secondo testo che affronta il tema della longevità, intesa come “arte di prolungare la vita”
il cui autore è Luca
Tonetti (assegnista di ricerca in Storia della Scienza all'Università di
Bologna)
Il punto di partenza
della ricerca di Tonetti è la centralità, tanto utopica quanto economicamente
molto concreta, della ricerca del segreto della longevità.
Una sfida oggi di estrema attualità grazie alle molteplici innovazioni
tecnologiche che sono alla base delle attività di numerose startup, nate nella
Silicon Valley negli ultimi dieci anni, per rendere realizzabile il
prolungamento delle aspettative di vita dell’uomo. La longevità è quindi divenuta non più un
sogno, ma un concreto obiettivo che si stima possa raggiungere un valore di
mercato di oltre sessanta miliardi di dollari entro il 2026 nei soli Stati
Uniti d’America (non
sorprende quindi trovare tra i finanziatori di queste attività di ricerca anche
nomi come quello di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che guida la ricerca di
Altos Labs, e dei creatori di Google, che nel 2013, con un investimento di 2,5
miliardi di dollari, hanno fondato Calico Labs. Entrambe queste imprese impiegano
tutte le tecnologie all’avanguardia per comprendere i meccanismi molecolari
alla base dell’invecchiamento e delle malattie a esso correlate).
Le domande che muovono
queste ricerche, per quanto declinate in un contesto tecnologicamente del tutto
diverso, hanno attraversato da sempre la storia dell’umanità: come è possibile contenere o perfino arrestare il
naturale processo degenerativo del nostro corpo? Su quali argomenti si fonda questa sfida e che
valenza potranno avere in futuro come vita e morte? Come vedremo in futuro
l’essenza della natura umana e quali sono i reali limiti di intervento
dell’uomo su questo processo? Il principale merito dell’analisi di Tonetti è
quello di indagare quanto nel merito biologico è stato elaborato, ogni
volta con le potenzialità tecnologiche disponibili al momento e non di meno con
gli sviluppi del pensiero filosofico, dal Rinascimento alle soglie della
modernità. La chiamata in causa della filosofia è inevitabile perché la ricerca
tecnologica della longevità
è da sempre motivata da come i concetti stessi di vecchiaia e mortalità sono
andati mutando nel tempo, passando dall’essere visti come eventi inevitabili a
esiti di processi fisiologici monitorabili e misurabili che possono, quindi,
essere compresi, modulati e gestiti.
Passando dalla
riedizione cinquecentesca dei “Macrobii” dello scrittore greco Luciano,
un vero e proprio catalogo di uomini longevi, all’opera “Human longevity,
its facts, its fiction” pubblicata nel 1873 dallo scrittore inglese William
J. Thoms, Tonetti mostra come a cambiare non furono solamente le soluzioni
proposte, ma anche il rigore con cui la longevità
veniva studiata, andando a distinguere i casi veri da quelli non provati da
evidenze storiche e documentarie. In particolare, tra Seicento e Settecento, vennero
creati veri e propri cataloghi con informazioni sulla vita di uomini longevi,
perché dal loro studio poteva derivare la scoperta del “segreto della longevità”.
Il testo di Tonetti mostra
come il prolungamento della vita da desiderio diffuso sia divenuto
progressivamente un concreto progetto di ricerca con differenti soluzioni per
prevenire o ritardare tale processo, a partire dal controllo della dieta e
dall’adozione di differenti stili di vita. La ricerca della longevità è via via divenuto un
obiettivo concreto che può essere raggiunto cessando di vedere l’invecchiamento
come l’ineluttabile frutto dell’adattamento ambientale e della selezione
naturale darwiniana. Fin dal primo capitolo, dedicato allo scrittore Luciano,
Luciano Tonetti dimostra come già nel Cinquecento l’obiettivo non fosse
solamente vivere più a lungo, ma “conservare
intero sempre l’intelletto nella sua vivacità”. Vale a dire non un
mero prolungarsi della vita ottenuto ritardando la morte, ma una vecchiaia in
salute, supportata da forze mentali tali da garantire una vita attiva.
Restando sul piano
strettamente biologico l’invecchiamento viene sempre più
descritto come una malattia che, come tutte le altre patologie, poteva essere
contrastata, passando così dall’invecchiamento descritto da Erasmo da Rotterdam
come una inesorabile “morte lenta” all’idea dell’invecchiamento come un
processo che può essere gestito con la conoscenza e la padronanza di sé,
introducendo l’idea, al tempo decisamente innovativa, che la sobrietà sia alla
base di qualunque promessa di lunga vita. Una svolta che già al tempo dava
avvio a concreti programmi di ricerca, in cui ad essere studiate dovevano
essere le cause estrinseche e intrinseche dell’invecchiamento e la conseguente
possibilità di contrastarlo con rimedi che variano dall’uso di specifici elisir
al controllo della dieta. (alcuni dati pubblicati lo scorso anno sulla rivista
Science da un gruppo di studio del Politecnico di Losanna nei fatti supportano
questa idea, mostrando come la sequenza individuale di una decina di geni giochi
un ruolo particolarmente rilevante nell’invecchiamento, regolando la risposta
ad alcuni fattori estrinseci, tra cui proprio l’alimentazione).
Allo stesso modo in
uno studio del 1805 Christoph Wilhelm Hufeland, un medico tedesco, identificava
ben ventuno fattori da tenere in considerazione per il prolungamento della
vita, tra cui non solo dieta e stile di vita, ma anche un matrimonio fortunato (riferimento che può
far sorridere, però è interessante osservare che il Grant Study, progetto di
ricerca della Facoltà di Medicina di Harvard, ha indicato che le nostre
relazioni, e quanto siamo felici nel viverle, hanno una forte influenza sulla
nostra salute e quindi sul nostro invecchiamento)
Non a caso quindi per
Kant anche la filosofia aiuta a prolungare la vita, in quanto disciplina che
aiuta a regolare “l’agitazione dell’animo”. E’
l’ultima testimonianza che Tonetti, al termine del suo lungo viaggio, chiama in
causa per dimostrare che la longevità
lungi dall’essere un mito è un obiettivo conseguibile, se intesa però come
risultato di un lungo e complesso percorso di ricerca e maturazione e non come un mito fine a sè stesso.
Nessun commento:
Posta un commento