mercoledì 1 aprile 2015

La parola del mese - APRILE 2015


 
 
LA PAROLA DEL MESE
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
                                               APRILE 2015
 CONFINE =
Dal latino cum (con) + finis (limite)
 La parola indica un confine comune. Trattiene al proprio interno la tensione tra la separazione e la condivisione.
Nel “Grande dizionario della lingua italiana UTET” compaiono i seguenti significati:
Ø  termine, limite estremo che circoscrive un territorio, una proprietà
Ø  linea che denota una circoscrizione amministrativa o il territorio di uno Stato
Ø  per estensione l’oggetto (pietra, cippo) che serve a segnare i confini
Ø  pena consistente nella relegazione in un luogo determinato
Ø  limite, margine estremo
passare i confini = trascendere
senza confini = illimitato, smisurato
 

 

3 commenti:

  1. Nella sua “ Grammatica della Fantasia” Gianni Rodari ci insegnava a giocare con le parole, gettandole nella mente come sassi nello stagno e osservando le onde di superficie e di profondità che esse provocano muovendo oggetti, richiamandoli in vita dal loro sonno e obbligandoli a reagire, ad entrare in contatto fra loro: a guardare dunque che cosa accade nella mente, ben sapendo che essa non si limita ad assistere passiva alla rappresentazione, ma interviene continuamente per accogliere o respingere, collegare o censurare, costruire o distruggere.
    Così ho fatto anch’io, accogliendo ancora dopo tanti anni il suo invito e gettando nella mente intorpidita la parola- sasso “confine”, senza preoccuparmi, perlomeno a livello cosciente, di impostare un discorso coerente e ben argomentato ma lasciandola procedere per suo conto, pur nella consapevolezza di non poter distinguere nettamente fra l’osservatore e l’attore del lancio.
    Ecco dunque comparire le prime onde di superficie che via via si allargano:
    1. Con che cosa confina? A lezione di geografia…
    Chissà perché, a venirmi in mente come prima cosa è stato un banale momento di studio con il mio nipotino decenne. Mi capita solo occasionalmente di essere chiamata ad assolvere il compito di maestra-zia, quindi tengo d’occhio il testo con grande circospezione per non apparire troppo “impreparata”: dobbiamo ripassare alcune regioni italiane, e la geografia non è certo il mio forte! Comincio dunque con uno sguardo attento alla cartina per verificare che, da parte sua, non ci siano esitazioni nell’indicare correttamente dove si trova ciascuna regione, con che cosa confina…
    Sul momento, nonostante la serie dei vari “confina a ovest con… a nord con…“ che andiamo snocciolando, e benché io già sia avvertita che la parola del mese sarà proprio questa, non scatta nulla nella mia mente (in caso contrario, avrei ben potuto provare a chiedergli quale fosse il suo modo di intendere la parola “confine”: le idee dei bambini sono spesso sorprendenti).
    Ma adesso che il sasso è stato lanciato, non posso non ricordare come sempre, durante il mio percorso di insegnante – e sottolineo “sempre” - io abbia iniziato il discorso geografico definendo il “chi” e il “che cosa” attraverso un “dove”, che presupponeva ovviamente l’esclusione di ciò che non stava in quel luogo e che non era quella cosa lì: il confine, dunque, come ciò che isola e che proprio attraverso questa separazione identifica e definisce. Non che ci fosse qualcosa di sbagliato o negativo in questo, naturalmente! Anche in quegli anni di scuola fortemente innovativa e creativa uno sguardo alla cartina andava ben dato… E però io so bene che il modo in cui entriamo in argomento racconta molto di noi, di come ci muoviamo nel mondo, di come ci rapportiamo all’interno dei confini: di come li tracciamo o li sottolineiamo o altrimenti li sorvoliamo e li attraversiamo, e registro quel bisogno di sicurezza che il mio approccio, sempre nitidamente definitorio ( non solo in geografia…), mi garantiva, escludendone altri.
    Mentre rifletto su questa mia accentuata predisposizione metodologica e sul retroterra mentale sottostante, mi rendo conto che dovrei spostarmi su di un ordine diverso e meno personale del discorso, anche se è sempre attraverso il nostro modo di essere che percepiamo il mondo.
    Volgo dunque lo sguardo alla mia parola-sasso sperando che si sia posata su di un oggetto più pertinente. In effetti ha urtato un libro (“La mente del viaggiatore”, di Eric J. Leed) che se ne stava chiuso e immoto sulla scrivania, riaprendo una pagina già consultata senza che il riferimento al tema in questione mi si fosse palesato.
    Passo dunque ad illustrare questo secondo movimento ondoso. (continua)

    RispondiElimina
  2. 2. Il potere “imperiale” dei nomi:
    In questo passaggio del testo l’autore sta analizzando, all’interno di un discorso sul viaggio come elemento centrale della storia umana, quel momento particolare della storia della cultura europea in cui si passa dalla concezione cristiano medioevale dei sensi come sentieri del peccato e della corruzione alla rivalutazione dell’osservazione sensibile della natura, come attività moralmente accettabile e intellettualmente feconda: un cambiamento forte di prospettiva a cui Bacone darà piena dignità filosofica utilizzando un tipo di argomentazione che gli consentirà di sfuggire abilmente ai pregiudizi del cristianesimo e del razionalismo tradizionale. Egli infatti non si sottrae alla sfida di misurarsi con la concezione cristiana della caduta come risultato dell’arrogante pretesa umana di assumere su di sé il diritto di autoregolarsi moralmente, attraverso la conoscenza del bene e del male, anzi la fa sua in pieno: sottolinea però che fu solo questa pretesa ad essere causa e mezzo della tentazione, e non già la conoscenza della natura che non solo non era stata impedita, ma di fatto era stata comandata da Dio: è in obbedienza a questo comando infatti che Adamo “diede il nome alle cose ricavandolo dalle loro proprietà”.
    Non mi sfugge, ripensandoci ora, il perché il mio sasso abbia urtato proprio questo passaggio. Non Bacone, su cui avevo posto la mia attenzione leggendo il testo, ma Adamo è quello che sto cercando, colui che per supposto comando divino dà il nome alle cose e nominandole le trasferisce ad un piano diverso di esistenza; benché esse gli preesistessero, e certo vivessero di vita propria prima del suo apparire, nondimeno tutto cambia quando l‘uomo entra in scena, perché la sua nominazione non solo le definisce, stabilendo per loro un preciso confine, ma nel contempo le sottopone ad un “legamento”, ad una potestà, ad un imperio.
    E qui la parola sasso incontra, con un movimento rapidissimo, altri personaggi simbolo di questa avventura umana che comincia col mito per farsi storia, anche se mai priva di risvolti simbolici. Perché il reale e l’immaginario si incontrano nuovamente in quel periodo storico centrale nella storia europea in cui le scoperte geografiche segneranno l’inizio dell’ occidentalizzazione del mondo, quando gli europei usciranno dai loro confini, navigatori visionari in testa, esploreranno terre prima ignote suggellandole con un nome attraverso il quale esse diventeranno oggetti di brame proprietarie da parte di re e principi, punti su mappe cartografiche, laboratori per gli studiosi della natura…
    Confini che si allargano, nuovi confini che vengono tracciati in questo impeto espansivo in cui il conoscere, il nominare, il misurare, il prendere possesso, il tutelare e lo sfruttare si uniranno in un intreccio insieme mirabile e inquietante. Perché ciò che si scopre e si nomina, tracciandone il confine, diventa subito preda – osserva Peter Sloterdijk in un testo che sta lì accanto all’altro, con esso apparentandosi (“L’ultima sfera”) - secondo una legge non scritta ma ferrea molto simile, dice, a quella in vigore fra i balenieri descritti da Melville, ben consapevoli della differenza fra “pesce libero” e “pesce legato”, che appartiene a chi lo ha visto per primo. Un riferimento quanto mai pertinente, quest’ultimo, dal momento che in questo momento dell’avventura storica europea il mare è davvero l’elemento cardinale…
    Ed è così che la parola “confine”, legandosi con la nominazione che appartiene, perlomeno a mio giudizio, allo stesso ambito semantico e concettuale, mi appare davvero come parola di soglia, Giano Bifronte, apertura e chiusura, bisogno e vincolo, garanzia e potestà

    RispondiElimina
  3. 3. Un nesso insopprimibile:
    Ma ora è tempo di lasciar concludere il percorso alla mia parola- sasso che ha già soggiornato troppo a lungo sulla scrivania, non solo contravvenendo alla legge di gravità ma rischiando di far sembrare questa indagine ondulante una sorta di riassunto libresco.
    Un ultimo sguardo mentre cade sulla fanghiglia del fondo, intorbidendola, per poi posarsi, lasciando che la vita nello stagno riprenda tranquillamente. Perché c’è molta vita nascosta, in questo stagno, e questo mi porta a chiedermi quale sia il rapporto fra vita e confine, nel lento costituirsi della coscienza individuale che necessita inevitabilmente di struttura e confine per emergere dall’indistinto e poter dire “IO”. Abbiamo bisogno infatti di sapere chi siamo e di sentirci distinti da ogni altro prima di poter accostare con pienezza di senso le parole “TU”, “NOI”, “MONDO” , ma nello stesso tempo esse non possono davvero vivere in noi se non facciamo loro posto, diventando almeno in parte trasformabili e “porosi”.
    Il confine dunque come momento ineliminabile e necessario di un’ avventura della coscienza che implica e in qualche misura impone il suo superamento, e in cui peraltro il bisogno di ritrarsi nella conchiglia di un luogo, di una comunità, di una stirpe che ci appaia permeata dalla stessa tonalità del nostro IO è sempre presente, come ben vediamo se solo poniamo attenzione a quanto sta avvenendo in modo sempre più accentuato in questo nostro tempo confuso e violento, in cui i confini continuamente si spostano, si confondono, si ricreano…
    Una parola veramente atta, dunque, a fare da contenitore aperto (accompagnandola magari con qualche ulteriore specificazione) di un percorso di lavoro che si profila molto interessante e in cui interessi diversi possono davvero incontrarsi e convergere.

    RispondiElimina