venerdì 1 maggio 2015

La parola del mese - MAGGIO 2015


LA PAROLA DEL MESE

A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni

MAGGIO 2015

OMBRA

Definizioni da vocabolario:

- zona di minore luminosità

- parte di una superficie non illuminata

- sagoma scura proiettata da ogni corpo

- figura indistinta

- fantasma, spettro, spirito

- vana apparenza

- leggera parvenza, piccolissima quantità

- manifestazione esteriore di malumore, turbamento, dolore

- difesa, protezione, riparo

- elemento o particolare poco chiaro

- pretesto, giustificazione

- nella teoria di C.G. Jung il lato oscuro, inferiore ed indifferenziato, della personalità

 

Introduzione ai commenti da parte di Nives………….Di primo acchito sembra una parola innocua, parola dolce, parola sinonimo di frescura durante l'estate, parola comune senza particolari velleità. Ed invece no. I suoi significati spaziano dalla dolcezza fino a giungere ad un significato simbolico spesso associato al male. In psicologia indica principalmente il lato oscuro della personalità……..

6 commenti:

  1. Mi sono imbattuta nella parola del mese all’interno di una storia filosofica della globalizzazione, dunque in un contesto diverso da quello dove avrei potuto presumere di incontrarla, anche perché l’autore del testo – Peter Sloterdijk – pur essendo sicuramente un pensatore fuori dagli schemi, non ha alcuna propensione per il linguaggio psicanalitico.
    Un motivo in più per indagare su di essa al di fuori del riferimento iunghiano, così profondo e affascinante, a cui l’avrei inevitabilmente collegata, senza ampliare questo termine ad altre accezioni (tanto è vero che sono rimasta addirittura sorpresa, sul momento, nel trovarmi di fronte le definizioni proposte da Carla e da Nives, che venivano a ricordarmi le piacevoli ombre che rinfrescano i giorni assolati consentendo rifugio e ristoro: dal che si evince facilmente come certi riferimenti culturali, se diventano monolitici, possano tanto aprire la mente quanto bloccarla su di una nota sola, il che nel mio caso avviene con una certa pericolosa frequenza…).
    Ma torniamo ora alla parola “ombra”, che compare con un’accezione decisamente originale nella parte conclusiva di una riflessione su quel fenomeno che chiamiamo globalizzazione e che siamo soliti considerare il portato di una rivoluzione nelle comunicazioni abbastanza recente. Nella prospettiva assunta da Sloterdijk, essa comincia invece da molto lontano, da quando attraverso i peripli dei naviganti, le spedizioni degli esploratori, le misure dei cartografi, questo corpo tondeggiante che chiamiamo Terra è stato percepito e vissuto come “globo”, da quando gli europei, negli anni che vanno dalla fine del quattrocento ai due secoli successivi, si sono trovati da un lato a dover abbandonare la convinzione di essere avvolti nel perfetto e protettivo sistema cattolico- aristotelico delle sfere, mentre dall’altro questa nostra “ultima sfera” (da qui il titolo del testo) andava aprendosi alla loro sete di scoperta, al loro zelo evangelico, ai loro appetiti colonizzatori, ai loro azzardi imprenditoriali.
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  2. Nel testo Sloterdijk fruga nelle pieghe di questa prima e fondamentale globalizzazione, mostrandoci come quello che oggi vediamo, vuoi deprecandolo, vuoi assistendovi impotenti, vuoi cavalcandone le opportunità, sia già stato ben presente in essa, benché allora fosse in qualche misura nobilitato dall’idea tutta rinascimentale della necessità di ricercare la “verità” sul mondo e sull’uomo, intendendola non più come qualcosa che si auto palesa, come nel concetto greco di physis, o che può essere rivelato solo attraverso la grazia divina, ma che si dà solo a chi mette in gioco tutto se stesso per scoprirla.
    C’era già, perlomeno in essere, la trasformazione di ciò che chiamiamo “luoghi”, intendendo qualcosa che può essere abitato da un particolare genio che lo rende diverso da ogni altro, in semplici “ubicazioni”, punti equivalenti ad ogni altro punto in uno spazio circolare contrassegnato dal traffico di uomini denaro merci da ritrasformare in denaro dopo averli fatti viaggiare lungo i mari del mondo; c’erano già le partite, giocate a tavolino, con i mappamondi e i planisferi al posto degli attuali monitor, attraverso i quali avere una visione d’insieme per strategie di penetrazione offensiva, vuoi militare vuoi economica o religiosa o culturale; c’era l’idea della forza che si trasforma in diritto, la proprietà assunta da chi arriva per primo, con la licenza autoconcessa di poter espropriare ciascuno dal suo territorio, dal suo idioma, dai suoi luoghi totemici per installarvi i propri, facendone l’oggetto di nuovi desideri (non è forse così anche oggi? Non desideriamo forse tutti le identiche cose, al di là del nostro essere i turisti o i vagabondi del mondo globale, tanto per usare le parole con cui Bauman definisce i vincenti e gli sconfitti della globalizzazione?); e certamente c’era l’idea forse più pervasiva di tutte, quella già presente nello stesso Colombo, di fare il proprio interesse con la convinzione di essere di beneficio agli altri (anche questo ci ricorda qualcosa di molto recente…).
    Cose che già sappiamo, naturalmente, ma che Sloterdijk analizza in modo davvero stringente, con grande efficacia comunicativa. Ci sarà comunque tempo per parlarne, dal momento che questo testo sarà oggetto di un seminario previsto per il prossimo anno: ora c’è la parola OMBRA che ci aspetta, o per meglio dire, ad aspettarci non è l’ombra bensì la sua mancanza.
    continua...

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    1. Osserva infatti Sloterdijk, nella parte conclusiva del testo, che questo nostro mondo ormai totalmente globalizzato, che si presenta come un corpo imprigionato in una fitta ragnatela di movimenti di traffico e di abitudini telecomunicative, che sembra essersi legittimato da sé in quanto esistente e che pertanto non lascia spazio alla critica, e in cui l’ibridazione fra genti e culture non ha prodotto alcun reale avvicinamento fra di esse, è un mondo il cui tempo è l’assoluto presente sincronico, e benché anche in futuro i paesi e gli uomini presso i quali ora è notte, continueranno a trovarsi nella parte in ombra della terra “il mondo in quanto mondo ha perso la sua ombra, non ha più notte, è caduto vittima di uno spietato imperativo del giorno; nella rappresentazione dello spazio globale non si danno più break…”.
      Non vado oltre nelle considerazioni di Sloterdijk, questo non è il luogo di una relazione ma di una riflessione personale su quello strano oggetto reale e concettuale che chiamiamo ombra e che qui mi ha rivelato una delle sue figurazioni, anche al di là di quello che effettivamente può intendere l’autore. Perché giunta a questo punto non ho potuto non chiedermi che cosa possa essere, in questo contesto, l’ombra, dal momento che l’esserne privi produce alienazione, se la sua perdita sia stata un involontario “danno collaterale” di qualcosa che in origine si riteneva buono e giusto, o se invece essa sia stata consapevolmente venduta, in una sorta di scellerato patto faustiano, come accadde all’incauto Peter Schlemihl della storia di Adalbert Von Chamisso, e ancora se il biancore accecante di un giorno perenne possa nuovamente essere attutito dal ritorno di più quieti tramonti.
      Non mi addentrerò certo in temi così complessi, non ho il respiro culturale sufficiente per farlo, e non sarebbe comunque questo il luogo più idoneo. Mi sento solo di poter azzardare un’interpretazione di quest’ombra mancante che rende faticoso il respiro del mondo, intendendola come un simbolo della possibilità, a molti negata, di poter abitare in luoghi in cui poter essere pienamente “persone” e in cui non si corra ad ogni istante il rischio di essere espropriati da se stessi, dal proprio lavoro, dalla propria vita, venendo esposti come nelle antiche ruote non tanto ai capricci del destino – cosa questa non sempre eliminabile dall’esistenza umana - ma ai movimenti di partite opache, che vengono giocate in luoghi sconosciuti da figure inafferrabili.
      continua...

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  3. ....Quanto alle incerte possibilità di mutamenti sostanziali, sono legate secondo me al fatto che non tutti ci stiamo chiedendo con la stessa intensità interrogativa a che punto è la notte (o meglio, per rimanere nella metafora, a che punto è il giorno). Perché non ci sono solo i sommersi nella globalizzazione, ma anche i salvati e quelli che chiamerei “i sospesi”, fra cui mi pongo. Quelli che abitano ancora in tiepide case, che possono ritrovare alla sera visi amici, che trovano facilmente rifugio in ripari frondosi in cui fare le cose che amano o per cui hanno talento (Sloterdijk li chiamerebbe “baldacchini immunitari”, anche se di fatto il loro potere protettivo non ci difende poi così tanto dalle difficoltà della condizione umana).
    Quelli che magari sentono l’animo inquieto, costretti come sono a chiedersi se sono ancora “uomini” non solo quelli che annaspano e spesso affondano cercando impossibili ripari alle nostre coste, ma anche più semplicemente quelli che perdono il lavoro e la dignità del vivere, o che sono costretti ad accettare condizioni disumane per conservarlo, e che pur tuttavia diffidano delle utopie rivoluzionarie e non hanno sicurezze granitiche sui passi che bisogna compiere per modificare l’esistente.
    Quelli che pur sentendosi attratti dalla sfida di una nuova possibile “ecumene” e consentendo sulla necessità di cominciare a percepire questa nostra terra in una prospettiva che Sloterdeijk definirebbe “sferologica” (cosa che per lui implica il riconoscersi tutti ugualmente rinserrati in una gabbia, ridotti ad essere semplici “indirizzi del capitale, che non vedono ma vengono visti, che non comprendono ma vengono compresi…”) sentono con sgomento la complessità delle azioni da intraprendere, e magari preferiscono porre ascolto alla lezione di Calvino, quando ne “Le città invisibili” parla di un agire umano che non affronta tutto insieme l’inferno del mondo, ma si adopera per conservare e creare spazi di non inferno ( spazi di OMBRA?), facendoli vivere e crescere…
    Quelli che chiudono ora con la parola del mese, riconoscendole il pregio di sollecitare interrogativi che stanno nel nostro progetto associativo e nei nostri personali percorsi, in attesa di ritrovarla declinata da Alessandro Croce in tutte le sue implicazioni psicologiche e geopolitiche.

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  4. Questa parola mi suscita emozioni contrastanti. Una prima emozione è rilassante ed evoca luoghi lieti e freschi in mezzo all'erba o nel folto di un bosco. Ma è anche il luogo del mistero, della zona d'ombra come nei libri di Conrad, del nascondersi , del non prendere posizione, del salvarsi nell'ombra
    o all'ombra di qualcuno che non sempre ti protegge.
    Mi torna in mente l'immagine dei bambini che, ritrosi, si nascondono dietro alla madre, alla sua ombra per essere protetti. Ma spesso capita anche agli adulti di pensare di nascondersi dietro qualche ombra, ma a volte si sbaglia ...l'ombra! e allora sono guai.
    Però preferisco la prima immagine che in qualche modo non solo mi protegge ma mi rassicura.

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  5. Le ultime parole del mese, confine e OMBRA, sembrano fatte apposta per farci viaggiare su strade diverse, parallele. Nulla di cui stupirci: sono ambedue parole “contenitore” nel senso più fecondo del termine, ossia parole che contengono vari significati ed inducono, quindi, a individuali interpretazioni. Non mi avventuro però, in questo primo commento, in mie suggestioni sull’ombra, mi limito a TENTARE di condividere con voi una sua descrizione, molto sui generis, in termini prosaicamente “fisici”. Che cos’è a tutti gli effetti l’ombra? Semplicemente l’interruzione del fascio di luce proveniente da una sorgente luminosa provocato da un corpo solido che vi si frappone. Senza luce non si ha ombra quindi. Ed infatti nei giorni grigi e nuvolosi le ombre ci abbandonano. L’ombra varia a seconda della natura della fonte luminosa: al sole cambia lentamente nel corso del giorno per poi svanire la notte, invece le ombre provocate da un fuoco fluttuano seguendo il gioco delle fiamme. Le ombre cambiano a seconda dell’inclinazione della sorgente luminosa: all’Equatore le ombre create dal sole sono corte, un piccolo cerchio ai piedi dell’oggetto o della persona, su al Nord invece le ombre sono lunghe, lunghe, e danno il nome a quei paesi. Le ombre seguono il corpo solido se questo è dotato di movimento; talvolta creano dei giochi simpatici se il corpo solido siamo noi. Chi di noi non ha rincorso e si è fatto rincorrere dalla propria ombra facendo strade illuminate da scarsi e distanziati lampioni? In noi umani l’ombra crea poi strane abitudini: ricordo di aver chiesto, anni fa, ad un collega di lavoro perché percorresse sempre il lungo e largo corridoio sul quale si affacciavano i nostri uffici, camminando rasente ai muri; mi rispose che non ci aveva mai fatto caso e che l’unica spiegazione era che veniva da un paesino al fondo della Sicilia e lì tutti, per via del sole caldissimo, camminavano addosso i muri delle case per sfruttare il filo di ombra che offrivano. Torno a noi, alla nostra ombra. So bene che le versioni ombrose che più ci intrigano sono quelle che raccontano dei nostri umori, delle nostre paure, di una parte dei nostri “io interiori”. Forse però, provate a pensarci un attimo, anche queste ombre si possono spiegare con un qualcosa, o un qualcuno, che interrompe la luce. Non so se vale anche in questo caso, ma talvolta usiamo parole che prendiamo per quello che provocano nel mondo fisico per descrivere aspetti “meta”fisici. In fondo è come camminare rasente ai muri

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