BABEL
Libro/dialogo di
Zigmunt Bauman ed Ezio Mauro
La
crisi dell’autorità, della politica e della modernità
Noi
che viviamo nell’interregno fra il “non più” e il “non ancora”
CAPITOLO
3
Solitari
interconnessi
EM – Torna in ballo
la questione della “responsabilità” in un contesto che, al contrario, tende a
deresponsabilizzare, a farla percepire
come un peso da evitare delegando, rifiutando, guardando altrove. Sembra, così
facendo, di raggiungere una stato di maggior libertà, ma si è soltanto svuotati
di socialità, di vere connessioni umane. E questo, non a caso, succede in un
momento del cosiddetto “progresso” caratterizzato, all’apparenza, proprio dalla
continua connessione. Ma è una connessione che sfalsa il piano della
conoscenza; saltano le esperienze, “vere”, quelle che diventano conoscenza, quelle
la cui crescita diventa sapere consolidato, sostituite da messaggi istantanei,
semplice testimonianze di fatti. Questo essere costantemente immersi nel “qui
ed ora” annulla la sequenza, cancella il tempo, e con il tempo l’esperienza, la
conoscenza, la competenza. Tutto questo ha ovvie conseguenze sulla formazione
delle coscienze individuali e della coscienza collettiva, l’impressione ha
preso il posto dell’opinione. Come si può parlare ancora di “responsabilità” in
un quadro così?
ZB – In un test alla Yale University venne chiesto ad un
gruppo selezionato di studenti, istruiti, intelligenti ed informati, di
somministrare scariche elettriche molto dolorose ad alcuni soggetti nell’ambito
di uno studio dell’apprendimento, presentato come “scientifico”. Ebbene il 65%
degli studenti si dichiarò disponibile a procedere ad una azione chiaramente
crudele in virtù della sua “scientificità”; la stessa percentuale venne a suo
tempo misurata in un battaglione di poliziotti tedeschi chiamati ad ubbidire
all’ordine di uccidere ebrei nella zona di Lublino, ordine che aveva l’aureola
di provenire dall’alto, da chi ne sapeva di più. Il denominatore comune è, e vale prese le
debite misure anche ai giorni nostri, l’istinto a sfuggire alla
“responsabilità”, alla scelta individuale. Passando al ruolo della Rete: a differenza
delle vecchie comunità la Rete è in buona misura una rubrica di nomi e
indirizzi selezionata come estensione del sè, così come viene sommariamente
percepito. Spesso come riparo, come rassicurazione e scudo contro un ambiente
percepito come ostile. La rete è una “comunità recintata”.
Ed è bene non sottovalutare la raffinata abilità dei provider di
Internet, Google in testa, grazie ad investimenti in tecniche di analisi e
controllo degli utenti, di fornire ad ognuno di noi “suggerimenti” che
rafforzano questa recinzione. Salta di conseguenza quella che Max Weber ha
definito la “razionalità
strumentale” dell’uomo moderno, ossia il mirare ad una azione
intenzionale, facendola precedere dalla selezione di uno scopo e dalla ricerca
degli strumenti utili a raggiungere quello scopo ed a concretizzare
l’intenzione. Oggi lo schema si è esattamente rovesciato, capovolgendo anche
l’assunto machiavellico, oggi i fini giustificano i mezzi
EM – E’ come se la
tecnologia pretendesse di diventare, tout court, cultura, politica, una nuova
moralità; non sono in discussione i limiti della scienza, ma la delega che noi
stessi diamo alla tecnica, come se pensassimo che se la scienza, la tecnica
rendono possibile un fatto allora è giusto farlo. E se ciò che tecnicamente è
possibile diventa comunque lecito allora ciò che è efficace diventa opportuno
anche se non è legale. Ciò che va perduto nei passaggi riduttivi, resi
possibili dalla tecnologia, è la traccia dei fatti, il loro peso, la loro sostanza”.
Ed è proprio alla sostanza dei fatti che dobbiamo puntare per ricostruire una
conoscenza che consenta di andare avanti. E questa “sostanza” non è ciò che
succede, ma il segno che lascia. Ed ancora una volta dobbiamo diffidare
dell’informazione in tempo reale che la tecnologia ci offre. C’è differenza fra
guardare e vedere, tra conoscere e capire. L’informazione di Internet ha un
valore immenso che realizza il vecchio sogno di raccontare in tempo reale a
tutti o quello che sta accadendo. Ma questo flusso continuo di notizie va
scremato, va selezionato, valutato, interpretato, per poterlo “vedere” e
“capire”. L’operazione fondamentale è l’inserire il flusso di notizie in un
“contesto” che sappia spiegarlo, renderlo intellegibile. L’attuale sistema
ipertecnologico di Internet alimenta il flusso ma crea una sorta di pandemonio,
una moderna BABELE di lingue che si
sovrappongono, di continue notizie che si auto-sostituiscono prima di produrre
idee.
ZB – In realtà tutta l’informazione ci arriva
pre-interpretata, chi decide, e su quali basi, quali sono i “fatti reali” che
hanno maggiore o minore rilevanza? E Mille informazioni, o il milione di siti
proposti da Google in risposta ad una ricerca, non fanno conoscenza.
EM – Sembra di
essere tutti quanti ineriti in un flusso ininterrotto di “fatti”, al di là
delle modalità con le quali vengono selezionati, in grado di farci sentire al centro della
realtà; ogni riflessione sul “dietro il fatto”, ogni ragionamento in grado di
farmi vedere la foresta oltre i singoli alberi, non interessano più sostituiti
dalla forza del focus continuo su fatti ed avvenimenti. E questo status rende
marginale anche il ruolo degli “esperti”, di qualcuno che possa aiutare a capire,
ad interpretare il flusso, se il web mi tiene al centro dei fatti quello che
conta è solo più la mia personale percezione di essi. La Rete sta realizzando
una sorta di “amatorializzazione di massa”, ci illudiamo tutti di sapere, di capire, ma,
ammesso che sia in qualche misura vero, ciò avviene ad un livello sempre più
basso di vera conoscenza. Non solo: nella rete siamo uguali all’apparenza, uno
vale uno, ma diventiamo “più uguali”. Nel senso che nell’universo della Rete la
tendenza è di scegliere quelli che, aprioristicamente, percepisco come affini,
quelli che sembrano essere in sintonia con il mio pensiero, il mio status: Si
crea così un imbuto tra le opinioni che, rispetto ad ogni singolo, sono
percepite come dissonanti, e quindi scartate, e quelle concordanti, di conseguenza
sempre valide ed accettate. E questa non è vera uguaglianza, perlomeno quella
otto-novecentesca che aveva una valenza sociale, politica, questa uguaglianza
vuol solo più dire concordanza. Ha ragione Clay Shirky “quando cambiamo il modo
in cui comunichiamo cambiamo la società”.
ZB – Internet eccelle in una impresa particolare: quella
di creare con facilità, con abilità da bambini, una comunità, operazione che,
al di fuori della Rete, è un compito quasi proibitivo. Inoltre offre la
possibilità supplementare di stare contemporaneamente in più comunità, nelle
quali si entra e si esce senza problemi. Si cerca, in sostanza, di riempire il
vuoto del dissolvimento dei legami sociali con una sorta di “mercato delle
identità illimitate”. Restando
poi sullo specifico della qualità dell’informazione circolante in Rete occorre
rilevare che essa non è certamente immune dalla commercializzazione. Anche
quella apparentemente “scientifica ed asettica” è ormai in mano a giganti
dell’editoria on-line che hanno “prezzato” gli studi e le ricerche più
avanzate, creando delle barriere per molti (istituzioni scolastiche pubbliche
comprese) invalicabili e ributtando la gran massa nel bazar di siti che offrono
il più delle volte mezze verità. Appare ormai evidente che, anche nella Rete,
il mercato dell’informazione non è distinto da quello del lavoro e della
finanza. Ciò detto emerge un altro tema cruciale: il tema del “significato”,
della logica che si nasconde dietro lo spessore delle parole in un ambiente,
quello della Rete, che ci inonda di “significati”. Questo tema è stato a suo
tempo analizzato da George Simmel, uno dei fondatori della sociologia moderna,
in relazione al significato delle parole, dei discorsi, nell’universo delle
metropoli, viste come ambienti in cui l’individuo era, già decenni addietro,
bombardato da messaggi, visivi, sonori, verbali, sublimali. La tremenda
moltitudine di suoni, immagini, cose, che riempie l’individuo, allora nelle
metropoli oggi anche nella Rete, non
crea il “villaggio globale” di McLuhan, ma un ottundimento totale, la perdita
del “significato” di questa impressionante marea di messaggi. Non c’è spazio e
tempo per investigare a fondo, per ricostruire gli specifici significati di
questa folla di impressioni, le logiche che stanno dietro
EM – Siamo
certamente di fronte ad un meccanismo di conoscenza decisamente nuovo, basato
su un processo in cui la percezione ha sostituito la cognizione. Per il Web la
realtà è già tutta rivelata, la conoscenza tutta definita e tutta a
disposizione, il sapere un qualcosa da scaricare più che da conquistare. Siamo
lontanissimi da Foucault che invitava a diffidare dei significati precostituiti
e a concepire il discorso come una…..violenza
che noi facciamo alle cose…Ma è indubbio che vivere nel flusso continuo
della Rete, nutrirsi di stimoli sensoriali più che di nozioni, amplifica la nostra percezione, passaggio di
per sé stesso non necessariamente negativo, ma la domanda che ne segue è: a che
serve questa capacità percettiva amplificata? Se ci spostiamo sul terreno
sociale è innegabile che percezioni, sensazioni, impressioni, emozioni, non
formano un’opinione pubblica.. I cittadini della Rete sono come la folla
descritta da Gustave Le Bon nel 1895: un’anima collettiva, transitoria,
volubile ed incostante, attirata da idee con forma semplicissima ed al tempo
stesso colpita più dall’immaginazione che dai fatti. I gruppi della Rete, come
la folla del 1895, non si saldano perciò sulla base di appartenenze profonde e
stabili. E la ricostruzione realistica dei fatti ha smitizzato l’epopea delle
rivolte, come le primavere arabe, nate sul richiamo di tweet; la ricostruzione
più attenta e ragionata dei fatti ha evidenziato non solo che i tweet non hanno
svolto un ruolo così importante, come alcune impressioni immediate lasciavano
intendere, ma anche che, visto l’uso in senso inverso che spesso viene fatto, le
tecnologie non sono altro che “attrezzi senza manico”
ZB – il valore “politico” di Internet non è solo
inferiore a quello che è stato concretamente messo in atto, ma presenta aspetti
contraddittori e pericolosi: consente un controllo di massa, si presta ad usi
strumentali e a facili manipolazioni; è ancora una volta la vecchia storia
dell’accetta, la si può usare per spaccare legna o per tagliare teste, e l’uso
non è deciso dall’accetta ma da chi la maneggia. Ma dietro la crescita della
percezione rispetto alla conoscenza si può intravedere un cambio di paradigma.
Freud prima e Norbert Elias poi hanno evidenziato che la storia moderna è stata
anche un “processo
di civilizzazione” consistente,
nella finalità di rendere possibile la convivenza democratica, nella
repressione delle manifestazioni di ostilità cruenta, di aggressione, fino a
rendere in qualche misura vergognosa la stessa manifestazione di emozioni in
pubblico. Ma è innegabile che questo processo, se in qualche modo ha inciso
sulla “manifestazione” non lo ha fatto sulle “emozioni”, non ha reso l’uomo
moderno più morale, amichevole, disponibile verso gli altri. Alle
manifestazioni di violenza aperta si sono semmai sostituite pratiche di
esclusione di intere categorie di persone giudicate scomode. In questo quadro
Internet offre opportunità in tutti i sensi non ultimo prestandosi ad essere
utilizzato nelle situazioni di odio umano senza tempo. Ma può essere uno strumento
utile anche per un vero dialogo? Richard Sennet ha di recente definito le
caratteristiche di un dialogo che voglia davvero favorire la coabitazione: deve
essere informale, slegato cioè da regole e procedure, aperto, ossia sostenuto
dalla voglia di parlare ma anche di ascoltare, cooperativo, finalizzato quindi
non a stabilire vinti e vincitori ma all’arricchimento di tutti. Obiettivo
tutt’altro che facile da raggiungere ma è l’unica possibilità di andare oltre
l’ipocrisia di contenere le manifestazioni e non le emozioni, la violenza
incontrollata, e le pratiche di esclusione
EM – Una delle
conseguenze della globalizzazione è che, come afferma Ulrich Beck….ogni paese è diventato il confinante quasi
immediato di ogni altro paese ed ogni uomo sente la scossa di eventi che si svolgono all’altra estremità
del globo….. Il rischio è che questa “unità del mondo” dia spazio ad un
aumento dell’odio, ad una irriducibile esplosione del tutti contro tutti. In un
contesto in cui l’Europa ha smesso di essere, come nei due secoli precedenti,
un punto di riferimento, nel bene e nel male. Oggi i popoli che l’Europa un
tempo dominava rifiutano le norme prodotte da quella storia; sono tornati a
decidere la propria storia. Noi Europei reagiamo, ad esempio dopo i fatti di
Parigi, sorpresi dal fatto che la terra della democrazia diventi un bersaglio,
spesso da parte di qualcuno che è ormai cittadino europeo, scopriamo che gli
obiettivi fatti bersaglio sono luoghi in cui va in scena la grandiosa normalità
della nostra democrazia materiale. Viene alla luce che spesso il nostro
presunto multiculturalismo è una debole fascinazione per la diversità, un flirt
con ciò che appare esotico, ma ignora quanto di non negoziabile esiste nelle
altre culture. Eppure la nostra democrazia mantiene un valore immenso; la
libertà di parola, quella che è stata attaccata a Parigi, è il nume tutelare
della libertà religiosa. Parigi, Londra, New York sono piene di moschee, a
Riyahd le chiese sono vietate e chi porta lì una Bibbia rischia la morte. A
costo di rinegoziare ogni volta la sua traduzione pratica questa democrazia va
difesa. La democrazia come abitudine quotidiana dei gesti, degli spazi, è ciò
che da forma al nostro stile comune di vita. Tornando ai nostri dubbi
sull’intreccio tra percezione ed conoscenza, sulle attuali modalità di
formazione dell’opinione, individuale e pubblica, dobbiamo comunque dire che
resta indispensabile una democrazia che funzioni. Poi certo resta la denuncia di
Elias Canetti sul fallimento della “parola”, l’amarezza di George Steiner nel
constatare che arte e cultura non hanno mai fermato guerre e barbarie. Ma ciò è
nella natura umana, dipende da noi, il destino del mondo sta nelle mani
dell’uomo; e risuona sempre valida la domanda di Pilato nel lavarsi le mani: quid est veritas? Che cos’è la Verità?
ZB – Domanda che, non solo nei Vangeli, non ha ancora
risposta soddisfacente, specie in questa epoca in cui è morto il nostro
“imperialismo culturale” occidentale. E non possiamo rispondere semplicemente
resettando tutto; oggi il “lavaggio del cervello”, espressione che ha origine
nell’antico insegnamento taoista e che, diventata di moda nel 1950, è stata
riciclata su ampia scala nella Cina della Rivoluzione Culturale, non funziona
più. Indicava una sorta di “rito di passaggio” da una assegnazione/condizione
ad un’altra e funzionava se la realtà si presentava salda, sicura e coerente.
Oggi non è più così; i confini da attraversare per passare da una
assegnazione/condizione ad un’altra sono confusi, porosi, i passaggi sono
sempre reversibili. Non esiste lavaggio del cervello quando i contenuti del
cervello sono un flusso in continuo cambiamento. Con cosa sostituirlo in questa
fase in cui ci viene chiesto dalla realtà di operare profondi passaggi? L’unica
strada è quella di aprirci al confronto, al dialogo, rifiutando presunzioni di
possesso di verità assolute ed aprendoci a “relazioni interpretative”.
L’esercizio dell’ascolto delle credenze diverse dalle nostre comporta inevitabilmente
il sorgere del “dubbio” sulle nostre, ma rafforza il rifiuto dei dogmatismi,
specie se violenti. Dobbiamo avere, noi occidentali, consapevolezza della
lunghezza del cammino, durato millenni, che abbiamo percorso per abolire la
pena di morte, per vietare la schiavitù, per promuovere l’uguaglianza dei
sessi, e sono risultati ancora non completi e non diffusi ovunque. Dobbiamo
quindi attrezzarci per un cammino altrettanto lungo, ed il dialogo, serio e
sincero fondato sui parametri indicati da Sennet, è uno dei veicoli utili a
percorrere questa strada. Le tendenze attuali non annunciano nulla di buono in
questo senso, alcune vanno in senso opposto. Non è certo dialogo, vero e
sincero, quello basato sul fenomeno chiamato “slacktivismo” (attivismo lento),
quello praticato da molti internauti che con un “mi piace”, un tweet,
aderiscono in Rete a campagne su questioni pubbliche. Ci si illude così di fare
qualcosa di buono senza alzarsi dalla sedia. Il vero attivismo è altra cosa.
Resta sempre valido e vero il motto antico….il frutto che avrai sarà pari al
lavoro che ci avrai messo…