Articolo pubblicato sulla
rivista
PSICOLOGIA CONTEMPORANEA N.249 2015
editore GIUNTI
SILVIA BONINO - DIPARTIMENTO di PSICOLOGIA UNIVERSITA' degli studi di TORINO
La
strage dei giornalisti e vignettisti francesi di CHARLIE EBDO ha riacceso la
discussione intorno alla libertà di satira e ai suoi eventuali limiti, così
come sulle reazioni delle vittime. Le implicazioni dell'argomento - morali, politiche
storiche e giuridiche - sono amplissime, ma anche la psicologia può dare un
contributo. Partiamo da una constatazione: la satira è una forma di attacco a
un avversario, nella quale l'aggressione non avviene in forma fisica bensì
verbale e grafica, con un intento morale. La satira attacca l'avversario non in
modo fisico, ma simbolico: essa non utilizza contro l'altro il corpo o le armi,
e non prende il corpo altrui come bersaglio. Le armi della satira sono i
simboli verbali e grafici, usati nella forma diretta dell'insulto, ma in quella
indiretta della rappresentazione: elementi diversi vengono collegati in modo
inconsueto, così da evidenziare incongruenze e assurdità. La satira è quindi
una forma molta evoluta di aggressione, che utilizza il pensiero e le sue
manifestazioni - cioè il linguaggio e l'immagine - per colpire non il corpo
dell'altro, ma le sue idee, credenze e azioni. Per le sue intenzioni etiche, il
bersaglio privilegiato della satira è il potere in tutte le sue forme:
politico, religioso, economico, ideologico, culturale, mediatico, lobbistico,
ecc.
Sul
piano individuale, la satira è il punto di arrivo di uno sviluppo complesso,
che coinvolge aspetti emotivi, cognitivi e sociali. Se nel bambino piccolo
l'aggressione si esprime soprattutto in modo fisico ( picchiare, mordere,
scalciare), quando questi impara a
parlare si realizza un salto di qualità. Per quanto molti adulti non ne siano
consapevoli, aggredire verbalmente un coetaneo anziché picchiarlo è un
progresso, anche se per la sua primitività l'insulto verbale può facilmente
degenerare nell'attacco fisico. Di conseguenza, rispondere ad una offesa
verbale anche grave con le parole, non a pugni, è considerato un punto di
arrivo nell'educazione dei bambini nella cultura occidentale, che giustamente
considera la violenza fisica una modalità primitiva e inadeguata di affrontare
i conflitti. Per questo, un adulto che reagisce a pugni a una violenza verbale
viene riprovato assai più di un bambino. Con lo sviluppo cognitivo diventa
gradualmente possibile raffinare la risposta verbale, che da grossolano insulto
si trasforma in ironia e sarcasmo. La componente aggressiva è sempre presente,
ma la lotta si sposta da un piano verbale ancora fortemente intriso di emozione
ad uno più distaccato. La satira rappresenta in massimo grado questa capacità
di aggredire l'avversario senza infliggergli alcun danno fisico e senza
ricorrere alla rozza ingiuria, ma mettendo in ridicolo le sue credenze,
atteggiamenti e comportamenti. Per questo la satira richiede capacità di
astrazione che si sviluppano pienamente solo in adolescenza.
A
livello sociale, la satira si realizza in uno spazio specifico ad essa
dedicato: un giornale, una rubrica, una trasmissione, una rappresentazione
teatrale. Si crea così una dimensione di distacco dalla realtà, che può essere
definita di "come se" o di
finzione; in essa è consentito sbeffeggiare anche in modo forte, con modalità
che non sarebbero permesse nella vita di tutti i giorni. Così come nel teatro -
che non a caso per molto tempo è stato il luogo di elezione della satira -si
mette in scena una rappresentazione della realtà e a nessuno viene in mente di
saltare sul palcoscenico per salvare l'attore che sta per essere ucciso,
ugualmente il lettore è consapevole che la satira non va presa alla lettera, ma
nel suo significato allusivo e simbolico. Per andare oltre una lettura
letterale della satira occorre però avere un distacco sufficiente, che proviene
sia dall'abitudine culturale sia dal controllo emotivo. Anche quando dispone
della prima, spesso chi ne è bersaglio non ha il secondo, perché troppo cocente
è la sofferenza provata nel vedere dileggiare persone o credenze cui si è
profondamente attaccati.
Nell'attuale
mondo globalizzato, gli usi e i riferimenti culturali sono molto diversi e
quella che appare a un gruppo una critica simbolica viene vissuta da un altro
gruppo umano come una offesa bruciante.
Le credenze, e non solo quelle religiose, sono profondamente intrise di affetti
e vedere sbeffeggiato ciò che ai propri occhi è talmente caro da risultare
intoccabile non può che suscitare tensione. Che questa tensione provochi
reazioni violente di aggressione fisica, o addirittura militarizzata,
rappresenta una regressione inaccettabile. Anche a chi offende gli affetti più
cari non si può rispondere con i pugni e tanto meno con le armi: sarebbe
un'involuzione che la nostra società giustamente rifiuta, dopo avere fatto tanta
fatica nella sua storia per cercare di superare il più possibile la violenza
fisica.
Non
bisogna però mai dimenticare che la
satira riguarda una relazione umana, tra individui e gruppi: chi la fa deve
essere consapevole che non sta compiendo un'azione neutra o un puro gioco
intellettuale , ma un atto aggressivo socialmente rilevante, per quanto
raffinato. Come tale esso va ponderato, chiedendosi quali effetti può
avere e quali risultati si vogliono
ottenere. Dal canto suo, chi subisce la satira dovrebbe imparare a coglierne
gli aspetti positivi, poiché essa costringe, per quanto dolorosamente, a vedere
la realtà con i critici occhi altrui e a considerare le proprie credenze da un
punto di vista differente. Ne può risultare un utile decentramento da sé e dal
proprio egocentrico punto di vista, con vantaggi per la convivenza.
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