giovedì 11 giugno 2015

Satira e violenza - Articolo di Silvia Bonino (proposto da ML)


Articolo pubblicato sulla rivista
PSICOLOGIA CONTEMPORANEA N.249 2015  editore GIUNTI
SILVIA BONINO   -  DIPARTIMENTO di PSICOLOGIA   UNIVERSITA' degli studi di TORINO
 
 
 
 
 
La strage dei giornalisti e vignettisti francesi di CHARLIE EBDO ha riacceso la discussione intorno alla libertà di satira e ai suoi eventuali limiti, così come sulle reazioni delle vittime. Le implicazioni dell'argomento - morali, politiche storiche e giuridiche - sono amplissime, ma anche la psicologia può dare un contributo. Partiamo da una constatazione: la satira è una forma di attacco a un avversario, nella quale l'aggressione non avviene in forma fisica bensì verbale e grafica, con un intento morale. La satira attacca l'avversario non in modo fisico, ma simbolico: essa non utilizza contro l'altro il corpo o le armi, e non prende il corpo altrui come bersaglio. Le armi della satira sono i simboli verbali e grafici, usati nella forma diretta dell'insulto, ma in quella indiretta della rappresentazione: elementi diversi vengono collegati in modo inconsueto, così da evidenziare incongruenze e assurdità. La satira è quindi una forma molta evoluta di aggressione, che utilizza il pensiero e le sue manifestazioni - cioè il linguaggio e l'immagine - per colpire non il corpo dell'altro, ma le sue idee, credenze e azioni. Per le sue intenzioni etiche, il bersaglio privilegiato della satira è il potere in tutte le sue forme: politico, religioso, economico, ideologico, culturale, mediatico, lobbistico, ecc.
Sul piano individuale, la satira è il punto di arrivo di uno sviluppo complesso, che coinvolge aspetti emotivi, cognitivi e sociali. Se nel bambino piccolo l'aggressione si esprime soprattutto in modo fisico ( picchiare, mordere, scalciare), quando questi impara  a parlare si realizza un salto di qualità. Per quanto molti adulti non ne siano consapevoli, aggredire verbalmente un coetaneo anziché picchiarlo è un progresso, anche se per la sua primitività l'insulto verbale può facilmente degenerare nell'attacco fisico. Di conseguenza, rispondere ad una offesa verbale anche grave con le parole, non a pugni, è considerato un punto di arrivo nell'educazione dei bambini nella cultura occidentale, che giustamente considera la violenza fisica una modalità primitiva e inadeguata di affrontare i conflitti. Per questo, un adulto che reagisce a pugni a una violenza verbale viene riprovato assai più di un bambino. Con lo sviluppo cognitivo diventa gradualmente possibile raffinare la risposta verbale, che da grossolano insulto si trasforma in ironia e sarcasmo. La componente aggressiva è sempre presente, ma la lotta si sposta da un piano verbale ancora fortemente intriso di emozione ad uno più distaccato. La satira rappresenta in massimo grado questa capacità di aggredire l'avversario senza infliggergli alcun danno fisico e senza ricorrere alla rozza ingiuria, ma mettendo in ridicolo le sue credenze, atteggiamenti e comportamenti. Per questo la satira richiede capacità di astrazione che si sviluppano pienamente solo in adolescenza.
A livello sociale, la satira si realizza in uno spazio specifico ad essa dedicato: un giornale, una rubrica, una trasmissione, una rappresentazione teatrale. Si crea così una dimensione di distacco dalla realtà, che può essere definita  di "come se" o di finzione; in essa è consentito sbeffeggiare anche in modo forte, con modalità che non sarebbero permesse nella vita di tutti i giorni. Così come nel teatro - che non a caso per molto tempo è stato il luogo di elezione della satira -si mette in scena una rappresentazione della realtà e a nessuno viene in mente di saltare sul palcoscenico per salvare l'attore che sta per essere ucciso, ugualmente il lettore è consapevole che la satira non va presa alla lettera, ma nel suo significato allusivo e simbolico. Per andare oltre una lettura letterale della satira occorre però avere un distacco sufficiente, che proviene sia dall'abitudine culturale sia dal controllo emotivo. Anche quando dispone della prima, spesso chi ne è bersaglio non ha il secondo, perché troppo cocente è la sofferenza provata nel vedere dileggiare persone o credenze cui si è profondamente attaccati.
Nell'attuale mondo globalizzato, gli usi e i riferimenti culturali sono molto diversi e quella che appare a un gruppo una critica simbolica viene vissuta da un altro gruppo  umano come una offesa bruciante. Le credenze, e non solo quelle religiose, sono profondamente intrise di affetti e vedere sbeffeggiato ciò che ai propri occhi è talmente caro da risultare intoccabile non può che suscitare tensione. Che questa tensione provochi reazioni violente di aggressione fisica, o addirittura militarizzata, rappresenta una regressione inaccettabile. Anche a chi offende gli affetti più cari non si può rispondere con i pugni e tanto meno con le armi: sarebbe un'involuzione che la nostra società giustamente rifiuta, dopo avere fatto tanta fatica nella sua storia per cercare di superare il più possibile la violenza fisica.
Non bisogna  però mai dimenticare che la satira riguarda una relazione umana, tra individui e gruppi: chi la fa deve essere consapevole che non sta compiendo un'azione neutra o un puro gioco intellettuale , ma un atto aggressivo socialmente rilevante, per quanto raffinato. Come tale esso va ponderato, chiedendosi quali effetti può avere  e quali risultati si vogliono ottenere. Dal canto suo, chi subisce la satira dovrebbe imparare a coglierne gli aspetti positivi, poiché essa costringe, per quanto dolorosamente, a vedere la realtà con i critici occhi altrui e a considerare le proprie credenze da un punto di vista differente. Ne può risultare un utile decentramento da sé e dal proprio egocentrico punto di vista, con vantaggi per la convivenza.
 

 

Nessun commento:

Posta un commento