giovedì 18 giugno 2015


Elogio della superficie?

Commento a margine di un articolo di Marino Niola su La Repubblica di oggi, Giovedì 18 Giugno, che, prendendo spunto dal libro di tal Giuliana Bruno (non conosco) “ Surface: matter of aestethics, materiality, and media (Superficie: questione di estetica, materialità e media), ancora non pubblicato in Italia, invita a riflettere sul….riscatto della ragione superficiale…..

Sostiene Viola, in accordo con quanto scritto dalla Bruno, che viviamo tempi, così segnati da confusione e tecnologia, che inducono al pensiero “superficiale”, tutt’altro che disprezzabile, basti pensare a buona parte del pensiero classico greco o al Nietzsche della “Gaia scienza”.

Ci sono nell’articolo stimolanti spunti in questo senso; sono stato colpito in particolare, dall’evidenziato passaggio dalla superficie dello schermo del cinema sul quale venivano proiettate ““da dietro” immagini che parlavano di pezzi del nostro inconscio, alla superficie dei moderni schermi di pc, tablet e smartphone, dove le immagini ci vengono proiettate “di fronte”, nel primo caso si andava noi verso l’immagine, nel secondo è l’immagine che viene a noi.

Ma sono passato all’articolo successivo con un senso di spaesamento e di perplessità.

E’ vero, riflettevo leggendo, che la superficie, le tante superfici che ci circondano, raccontano, a saperle leggere, molto di noi e del nostro tempo, ma sentivo una nota stonata. Provo a dirvela, a dirle perché in effetti sono due le note stonate.

La prima: non si corre forse il rischio, rincorrendo superfici che, specie di questi tempi, si estendono all’infinito in mille direzioni di perderci in un mare di suggestioni, di riflessioni, magari fascinosissime, ma alla lunga dispersive? Mi pare, molto spesso, che la proliferazione infinita di argomenti da conoscere, capire, seguire, che l’esercito numerosissimo di libri, saggi, dibattiti, che affrontano temi sicuramente intriganti, ma sempre più disparati, ci conducano ad uno stato confusionale, dove tutto vale tutto e nulla vale un pochino di più. Dove, scivolando su queste infinite superfici, rischiamo di perdere di vista il senso ultimo delle cose, di smarrire la ricerca di una direzione da seguire.

La seconda: da tempo sento, al contrario, l’esigenza di fermarmi, di provare a non scivolare più sulla superficie, di tentare, scavando, con tutti i miei limiti, di più in profondità, di rintracciare una chiave di lettura universale, una lente di ingrandimento che mi consenta di vedere oltre, di collocare ogni singolo aspetto in una cornice che permetta più ordine, più evidenti priorità, e quindi più chiarezza.

Ho letto, e qui sintetizzato “Babel” di Ezio Mauro e Zygmunt Bauman, affascinato dalla loro definizione di noi che viviamo in un tempo che al tempo stesso è un “non più” e un “non ancora”, sperando di trovare spunti proprio per iniziare a dotarmi di una prima chiave, una prima lente. Ne sono rimasto in gran parte deluso, perché, come gli stessi autori ammettono, mi sono trovato di fronte a molte domande e a pochissime, e generiche, risposte.

Eppure mi sa che insisterò, che non mi rassegnerò a scivolare sulle superfici, pur sapendo, ripeto, che molto affascinano e molto comunque dicono.

Farlo mi parrebbe una sconfitta, una ammissione di impotenza, una rinuncia ad intervenire sullo stato attuale delle cose, già alla superficie tutt’altro che bello.

1 commento:

  1. Ho letto con attenzione l’articolo su La Repubblica di cui parla Giancarlo in cui si tesse l’elogio della superficie e già sorge spontanea la domanda se questo elogio debba trasformarsi nell’elogio della superficialità. La lettura mi ha riportato alla mente un tema, sul quale ci eravamo come associazione interrogati, che era stato suscitato dalla lettura dei “Barbari “di Baricco quando avevamo affrontato il tema del grande mutamento e di conseguenza ci eravamo posti con sistematicità il problema dei nuovi saperi che avrebbero dovuto accompagnare il grande mutamento del mondo del lavoro.
    Baricco nel suo lavoro aveva proposto la tesi secondo la quale i tempi dell’approfondimento, per come era stato gestito nelle scuole superiori e nelle università, erano finiti, soppiantati dalle nuove tecnologie che andavano sostituendo al movimento verticale, dalla superficie alla profondità, una rete di connessioni tutte spalmate sulla superficie. Personalmente avevo cercato di contattare presso l’Università di Torino docenti che avessero affrontato il tema, ma non sono riuscita nell’intento.
    Ho giudicato inoltre stimolante la comunicazione di Giancarlo perché ci interpella come persone, come generazione, ma anche come associazione sempre alla ricerca di un equilibrio tra approfondimento e inclusione di nuovi temi che di volta in volta vengono riconosciuti accattivanti e importanti per la comprensione del nostro tempo.
    Mi viene da pensare che al di là di tutto, non si possa avere nostalgia per un sapere eterno, capace di farci conoscere una volta per sempre le essenze che si celano dietro il turbinio dei fenomeni. Neppure la scienza, che incarna attualmente la forma più strutturata e formalizzata di sapere, è in grado per proprio statuto, di assolvere a questa funzione. Penso però che la lezione hegeliana possa esserci utile là dove Hegel intende nella sua opera salvare i fenomeni, non per percorrerli con leggerezza, ma per ordinarli, metterli in relazione, in tensione, attraverso la fatica del pensare onde evitare che tutto si trasformi in una grande notte in cui tutte le vacche sono nere. Probabilmente se noi avessimo il tempo e la determinazione di navigare tra i temi che da un anno all’altro abbiamo proposto troveremmo, come è già accaduto in forma estemporanea, delle tracce di conoscenza non così irrilevanti, buone per nuovi più significativi approfondimenti.
    Massima

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