Confini e frontiere
La Moltiplicazione del lavoro nel mondo globale
Saggio di Sandro Mezzadra e Brett Neilson
……Fosco ed impuro, magico e violento: è questo il paesaggio che
sin dall’antichità avvolge il gesto di tracciare e istituire un confine. Fonti di
tutto il mondo ci raccontano storie splendide e spaventose sulla creazione di
linee di demarcazione tra il sacro ed il profano, il bene e il male, il privato
e il pubblico, il dentro e il fuori. Dalle esperienze liminali delle società
tribali alla delimitazione della terra in quanto proprietà privata, dal
fratricidio commesso da Romolo nei confronti di Remo all’espansione del limes
imperiale, queste storie ci parlano del potere produttivo del confine ovvero del ruolo strategico che
esso gioca nella fabbricazione del mondo……..
Sintesi per spunti
di riflessione – avvertenza preliminare
“Confini e frontiere” è un saggio
complesso e molto articolato. Attraverso la lente del “confine” (non per nulla nel
saggio definito come “metodo”) analizza aspetti e fenomeni, fra di loro
collegati, nell’ambito di una generale analisi del contemporaneo capitalismo
globalizzato e neo-liberista. In questo
intreccio molto ricco e variegato sta al tempo stesso la “forza” del saggio ed
il suo limite di lettura ed assimilazione. Troppa carne al fuoco verrebbe da
dire usando una frase fatta, ma mai come in questo caso appropriata. In questa
sintesi, finalizzata ad arricchire il percorso di studio della tematica del
“confine”, è su questo specifico aspetto che si è concentrata l’attenzione,
tralasciando quindi moltissime riflessioni e considerazioni analitiche di
grande valore, ma volte in prevalenza verso altre direzioni
Prefazione e Capitolo I (La proliferazione dei confini) = anticipano temi ed argomenti che saranno sviluppati nei
Capitoli successivi. Contengono alcune affermazioni illuminanti sui successivi
sviluppi analitici:
·
….cercheremo di
esplorare i complessi modi di articolazione tra diverse dimensioni del confine.
Nel farlo utilizziamo in modo intercambiabile parole come confine, limite,
delimitazione, mentre operiamo una chiara distinzione tra confine e frontiera
·
……il primo termine è
stato tipicamente considerato una linea mentre il secondo è stato costruito
come una spazio aperto ed espansivo
·
……il confine è un
dispositivo epistemologico al lavoro ogni volta che è fissata una distinzione
tra soggetto ed oggetto
·
…….i confini sono
essenziali per i processi cognitivi perché consentono di stabilire
tassonomia e gerarchie concettuali che
strutturano il movimento stesso del pensiero….i confini cognitivi hanno una
grande rilevanza filosofica in quanto descrivono una dimensione generale,
universale, del pensiero umano
·
…..parliamo del confine come metodo…..(facendo) riferimento ad
un processo di produzione del sapere che tiene aperta la tensione tra la
ricerca empirica e l’invenzione di concetti che la orientano…..significa
sospendere l’insieme di pratiche disciplinari che presentano gli oggetti della
conoscenza come già costituiti indagando invece i processi da cui questi
oggetti sono costituiti…..
Capitolo II – Fabrica mundi = partendo da una definizione ampia di
“confine”, e analizzando la sua traduzione in segni/mappe, inizia a precisare
il rapporto fra creazione dei confini e processi economici/sociali/di potere
·
I
confini sono solitamente compresi come costrutti prevalentemente geografici, i
primi a venire in mente pronunciando la parola “confine”
·
Costrutti
che si reggono su pratiche e tecnologie cartografiche, su “mappe”
·
Le
mappe “codificano” il mondo più di quanto lo “decodifichino”, sono potenti
dispositivi per creare conoscenza, ma in definitiva non sono altro che
rappresentazioni con incerta capacità di riflettere/controllare processi
storici, politici, geografici
·
Da
questo deriva una sorta di “ansia cartografica” (“crisi cartografica” secondo
Farinelli), anche perché dalle mappe si attende una sorta di “fabrica mundi”,
di costruzione bidimensionale del mondo reale a molte dimensioni
·
Non
a caso la moderna cartografia, nata sull’impulso rinascimentale della “fabrica
mundi”, emerge pienamente in contemporanea con nuove linee tracciate sul suolo
europeo a delimitare le “enclosures”, base della “accumulazione originaria”,
descritta da Marx , fondata su un processo di “appropriazione di spazi”
·
Farinelli
evidenzia l’affinità tra i simboli cartografici e la moneta delle società capitalistiche
entrambi svolgono un ruolo di “equivalenti”
·
….in quanto segno una
mappa si appropria di un oggetto spaziale inserendolo in un sistema di segni…..
·
Le
carte concretizzano, con i limiti suddetti, la natura bifronte dei confini:
connettono e dividono, così facendo “fabbricano” il mondo
·
I
continenti stessi sono stati “inventati” (andando contro la loro “deriva”) come
“individui geografici”
·
È
verso la fine del 1800, al culmine dell’età degli imperialismo, che lo studioso
svedese Kjellen conia il termine “geopolitica” per designare l’uso politico
della geografia piegata a ridisegnare confini in relazione a espansioni
politico/militari/economiche
·
E’
l’età del “mondo come bersaglio” (titolo di un saggio di Heidegger), un mondo
diviso (specie sulla spinta degli interessi espansionistici americani) in
“aree” (di influenza); nasce una vera e propria disciplina geografica “studi di
area”
·
Influisce,
non poco, la spinta a “normalizzare” il mondo uniformandolo all’ideologia
“fordista”
·
Tendenza
che si scontra con l’emergere, come reazione, dei nazionalismi; dei “stati-nazione”,
con confini sempre più segnati dalle lotte economico/politiche, quando non
spostasti dal loro esplodere in conflitti aperti
·
Nascono
i primi contrasti tra “confini” e migranti”, tra partiche di mobilità,
volontaria-forzata, e il rafforzamento, ondivago, dei confini
·
Dopo
il secondo conflitto le logiche economiche e politiche fanno prevalere la
divisione del mondo in blocchi continentali su quella in Stati-Nazione
·
Questa
formazioni dei blocchi (es. UE – NAFTA)
sono le caratteristiche della globalizzazione contemporanea
Capitolo III – FRONTIERE DEL CAPITALE =analizza in modo più
specifico il rapporto fra confini e processi legati al capitalismo, in
particolare nella sua versione globalizzata, finanziarizzata, con al centro il
fenomeno, ad essa collegato, della divisione internazionale del lavoro
·
I
primi anni Novanta producono immagini e termini che tentano di raccontare la
globalizzazione, sullo sfondo l’idea che i confini stanno scomparendo
·
Uno
delle ipotesi centrali del “confine come metodo” è che al contrario la
globalizzazione ha innescato una proliferazione di confini non più, o
quantomeno non solamente, fra Stati
·
Vero
è che lo “spazio globale” della globalizzazione ha cancellato antiche, e
comode, divisioni: Oriente-Occidente, Nord-Sud, Primo-Secondo-Terzo Mondo; non sono però scomparsi i tratti
economici, sociali, culturali, che li caratterizzavano, anzi in ogni parte del
mondo si trova tratti di Oriente-Occidente, di Nord-Sud, etc.
·
In
questo quadro i confini, che attraversano l’intero mondo in ogni direzione e
senso, sono diventati dei “laboratori del globale”
·
Sulla
creazione dello spazio globale ha sicuramente inciso la divisione
internazionale del lavoro attuata dal processo di globalizzazione
·
Il
processo di divisione internazionale del lavoro, ed il suo evidente impatto sui
confini, creando/annullando quelli geopolitici, creando/perfezionando quelli
economici, sociali, finanziari, ha origine nella natura stessa del mercato
capitalistico
·
Una
sua accentuazione deriva dalla necessità capitalistica di rispondere, ignorando
i confini nazionali, alle lotte ed alle conquiste operaie
·
Alla
base della divisione internazionale del lavoro vi è poi un’altra caratteristica
“genetica” del capitalismo: la moltiplicazione del lavoro, ossia la traduzione
in attività finalizzate al profitto di tecnologie innovative e dei collegati
prodotti/servizi
·
A
partire dagli anni settanta del secolo scorso la divisione internazionale del
lavoro, sollecitata da queste due tendenze, ha assunto tre specifiche
caratteristiche di:
Ø Intensificazione = coinvolgendo ogni
aspetto della vita umana, individuale e collettiva
Ø Diversificazione = con la creazione
continua di nuovi tipi di produzione/lavoro
Ø Eterogenerizzazione = abbracciando,
per convenienza, regimi giuridici e sociali diversi
·
Questa
ultima caratteristica, in particolare, ha un’incidenza rilevante sulla tematica
dei confini, creando, in relazione alle convenienze giuridico-sociali,
“regioni” che, non coincidendo necessariamente con antichi confini
geo-politici, mutano le linee di demarcazione del territorio globale e
producono una moltiplicazione dei confini
Capitolo IV – FIGURE DEL LAVORO = il processo di sviluppo della
divisione internazionale del lavoro implica un proliferazione/moltiplicazione
delle figure del lavoro abbattendo, di conseguenza, antichi confini non solo
geopolitici, ma anche all’interno della “classe” dei lavoratori e,
contemporaneamente, creandone di nuovi; questa analisi viene sviluppata anche
prendendo in considerazione figure professionali “simbolo” di questo stato di
cose: lavoratrici domestiche e trader finanziari
·
Centrale
è la constatazione che la proliferazione dei confini trascina con sé la
molteplicità dell’organizzazione del lavoro, innescando una corrispondente
proliferazione delle figure del lavoro
·
Questi
cambiamenti nella composizione delle figure lavorative hanno una ovvia ricaduta
sul sistema delle relazioni fra lavoratori
·
Il
concetto di “classe” (dei lavoratori) che astrattamente nell’analisi marxista
travalicava i confini nazionali trova oggi nuove declinazioni e, non producendo
nuove omogeneizzazioni fra lavoratori, crea spesso nuovi confini
·
E’
il concetto stesso di classe, e quello collegato di coscienza di classe,
espressi da Marx in termini astratti e già con la consapevolezza delle
difficile loro concretizzazione nella realtà, che faticano, a maggior ragione,
ad esprimersi nella realtà odierna
·
L’allargamento
della classe lavoratrice legata alla proliferazione delle figure del lavoro
pone certamente in crisi ma non elimina, anzi, la varietà di confini interni al
mondo del lavoro: lavoro produttivo-improduttivo, lavoro sotto padrone-lavoro autonomo,
lavoro formale--informale, lavoro manuale-lavoro intellettuale, etc.
·
In
questo ambito va collocata anche la questione del lavoro dei “migranti”; nella
fase degli Stati-Nazione il controllo dei confini consentiva un uso
“programmato” dei flussi migratori in funzione delle necessità del mercato del
lavoro interno, nella situazione globalizzata i migranti hanno assunto un ruolo
di “supplemento”, al tempo stesso necessari, quando necessario, e “minacciosi
estranei”, una sorta di “eccedenza turbolenta” che squilibra la stabilità
relativa del sistema e delle relazioni fra lavoratori quando con coincidenti
con la domanda di lavoro dei vari mercati
·
Hanno
così assunto caratteristiche simbolo della globalizzazione del lavoro nel
creare figure professionali “nuove”, una di queste è rappresentata dalla figura
delle” lavoratrici domestiche”
·
Di
lavoro femminile si tratta, di migrazione femminile si parla (vale il 50% dei
flussi migratori mondiali), di migrazione di donne molto spesso “sole”, ossia
senza famiglia al seguito.; le lavoratrici domestiche sintetizzano sia la
“femminilizzazione del lavoro” (avvenuta su scala mondiale) che la
“femminilizzazione delle migrazioni”
·
Caratteristica
distintiva del lavoro domestico è quella di andare oltre una definizione
tradizionale di lavoro per includere aspetti di coinvolgimento soggettivo, di
relazione, di familiarizzazione. Interessante è notare la dimensione di doppia
famiglia delle lavoratrici domestiche, quella di origine e quella di lavoro,
separate da diverse tipologie di confini (geografici, culturali, sociali,
economici)
·
Spesso
per queste lavoratrici scatta una sorta di “allargamento dell’orizzonte di
azione”, idi superamento dei vari confini portati con sé nell’attraversare i
confini reali della migrazione, vissuta inizialmente solo come necessità
·
Nell’ambito
di una analisi “classica” del lavoro è interessante notare che nel caso delle
lavoratrici domestiche la relazione tra lavoro “vivo” (l’attività
effettivamente svolta) e lavoro “astratto” (quanto resta “immobilizzato” nel
prodotto del lavoro, concetto base marxista) assume caratteristiche anomale
tali da superare i confini classici delle due forme di lavoro in quanto
l’astrazione del loro lavoro, che si definisce formalmente nel momento in cui
sono retribuite, si “immobilizza” in una serie complessa di relazioni fisiche,
affettive, emotive
·
Altra
figura simbolo è quella dei “trader finanziari”: al vertice opposto nella scala
dei redditi rispetto alle lavoratrici domestiche, ma obbligati a lavorare al
ritmo del 24/7 (ventiquattro ore per sette giorni)
·
I
trader sono diventati oggetto di quella che viene definita “la corsa per il
talento”; ricercati su scala mondiale, quando dimostrano la loro capacità, sono
“migranti” di lusso, il 15% dei trader mondiali sono “migranti”
·
Come
le lavoratrici domestiche i trader non vendono sul mercato del lavoro un
“insieme” definito di tratti lavorativi, ma la loro capacità e potenzialità di
diventare la “persona giusta” per quello specifico posto di lavoro
·
Per
ambedue queste figure professionali la cosiddetta “catena globale delle merci”,
che ingloba anche la merce “forza-lavoro” e che tiene conto delle divisioni
geografico-statali, non sembra avere più valore, gli spostamenti, volontari o
forzati che siano, scavalcano tutte le vecchie distinzioni fra aree, fra Primo
e Terzo Mando, fra Nord e Sud
·
Inoltre
ambedue sono esemplificative della immissione di “soggettività” nella merce
forza lavoro che vendono, scompaginando la definizione di lavoro vivo e lavoro
incorporato slla base delle catene globali delle merci.
·
In
questo senso sono anche altre le figure che si muovono fra queste
contraddizioni, si torna all’eterogeneità dei soggetti che compongono i
lavoratori del mondo, che appresentano la “moltiplicazione del lavoro”, e la
sua conseguente capacità di moltiplicazione di nuovi confini all’interno del
mondo, erroneamente ritenuto unitario, del lavoro
·
La
questione dell’unità del lavoro, e dei lavoratori, trova infatti nuove
declinazioni che vanno oltre quella “classica” fra lavoro “manuale” e lavoro
“intellettuale”, “immateriale”; i
confini fra i diversi lavori non viaggiano più sulla divisione “produttiva”, ma
all’interno della unificazione imposta dal lavoro globalizzato si ripresentano
come spazi eterogenei del capitale globale per quanto anch’essi soggetti a
costante e forte variabilità
Capitolo V – NELLO SPAZIO DEI CONFINI TEMPORALI = la globalizzazione
economica impone, ai flussi migratori in particolare, l’occupazione di diversi
tempi e spazi; all’interno di una apparente omogeneità sono nati, morti, rinati
confini che agiscono sui tempi di inclusione/esclusione e sugli spazi, fisici e
sociali, occupati
·
I lavoratori informatici indiani, e la catena di negozi ed
esercizi commerciali da loro utilizzati, hanno orari di lavoro allineati a
quelli dei loro clienti e differiscono di diversi fusi orari; un esempio fra i
tanti che dimostra come le organizzazioni globalizzate del lavoro abbattano
confini non solo spaziali ma anche temporali
·
Un altro confine temporale viene sconvolto dalla
globalizzazione: il tempo necessario per la produzione della propria forza
lavoro, la quota parte del lavoro che serve a coprire il mantenimento del
lavoratore (la quota residua, nell’analisi marxista, alimenta il profitto).
Questo tempo veniva calcolato, nel capitalismo classico, su base nazionale, la
globalizzazione nell’abbattere i confini nazionali del mercato del lavoro ha
abbattuto anche questo confine temporale, la cui scala si è plasmata su ambiti
sovrannazionali.
·
Un altro esempio significativo in questo senso è quello dei
lavoratori gestiti da agenzie internazionali con il meccanismo del body shop:
sono in prevalenza lavoratori informatici indiani che tramite queste agenzie
vengono affittati a industrie e società del settore nei vari Stati, con
contratti temporanei; quando non lavorano; restano fermi, “in panchina”
(benching); le agenzie spesso prolungano i tempo del benching per spuntare
contratti più vantaggiosi mentre i lavoratoti “in panchina” non guadagnano (spesso nell’attesa fanno
altri lavori molto più umili e manuali); il tempo necessario alla loro riproduzione
viene continuamente rispalmato su queste fasi di lavoro e panchina, ed i
confini temporali, e spaziali, sono di fatto resi inesistenti
·
Questo esempio dimostra inoltre che gli spostamenti dei
lavoratori migranti, con i loro confini scavalcati, annullano, nello stesso
individuo, le differenze fra lavoro qualificato e non qualificato
·
Dimostra inoltre, visto dalla parte delle imprese che
richiedono questo tipo di lavoratori, tramite il body shop, operanti nel
settore del “capitalismo cognitivo”, che i costi di formazione sono anch’essi
spalmati in modo globalizzato (la loro formazione avviene ovviamente nel paese
di origine) e che i movimenti migratori (quelli richiesti e sollecitati dal
mercato, altra cosa ovviamente sono quelli volontari di fuga da situazioni
estreme) sono sempre più gestiti sulla base dei parametri del just-in-time e
del to-the-point (al posto e nel tempo giusti)
·
Offre infine lo spunto per iniziare ad affrontare il tema dei
“migranti illegali”, figura che è emersa, anch’essa in coincidenza con
l’affermarsi della globalizzazione, a partire dagli anni settanta del secolo
scorso; è necessaria infatti la distinzione fra “migranti economici”, “migranti
illegali” e “rifugiati”, figure che pera altro spesso si sovrappongono
annullando i correlati confini gestionali
·
E’ assai difficile distinguere queste figure, condividono
infatti percorsi, difficoltà, esperienze, nemici, obiettivi, sono gestiti quasi
ovunque sulla base di leggi e norme che li equiparano
·
In molti casi il rafforzamento del confine statale,
giustificato dalla necessità di contenimento dei flussi, ha creato l’economia
parallela ed illegale dello scavalcamento del confine stesso ed ha riproposto
sulla scena storica ambiti quali “campi di detenzione” “centri di ricevimento,
controllo, filtraggio, smistamento e respingimento”
·
Spazi destinati non solo a “detenere” ma che, assurti a istituzioni
sociali, secondo l’interpretazione foucaultiana, occupano un ruolo fondamentale
nel processo binario di inclusione-esclusione
·
Questi spazi diventano una dimensione spaziale/temporale: il
tempo di permanenza in essi, prima di divenire formalmente inclusi o esclus,i è
il discrimine per la spazialità occupabile
·
Discrimine che interviene anche per spazi non necessariamente
“temporanei”, vale infatti anche per le dimensioni urbane destinate/occupate
dalle ondate di migranti; le banlieue francesi sono paradigmatiche in questo
senso, chi ne esce è di solito chi dopo un certo tempo va ad occupare spazi di
maggiore inclusione, chi vi resta, pur disponendo della formale cittadinanza, è
condannato ad una sospensione temporale in cui non si è del tutto dentro ma
neppure del tutto fuori dal più generale contesto sociale urbano
·
Esperienze come quelle delle successive ondate di migranti
indiani in Australia evidenziano inoltre la nascita di un “confine interno”
alla stessa etnia in cui la diversa temporalità di migrazione sancisce una
diversa spazialità sociale
·
Ed è l’intero spazio e tempo della nazione, di ogni nazione, ad
essere investito da questa esplosione di confini interni; all’interno di esse i
diversi nuclei sociali ed etnici vivono occupando spazi divisi e con tempi
diversi; i processi di inclusione/esclusione formalizzano questi confini
·
In aggiunta, per nulla secondaria, si tenga inoltre conto che
questi confini sono quantomeno sdoppiati se applicati alle componenti maschili
e femminili di quasi tutti i nuclei sociali ed etnici
·
Lungo l’insieme di questi confini, spaziali e temporali,
corrono quindi elementi di inclusione/esclusione razziali, socio-economici, di
sesso, generazionali
Capitolo VI – LA MACCHINA SOVRANA DELLA GOVERNAMENTALITA’ =
Esaminate le dinamiche che annullano/creano confini, in senso lato,
l’attenzione si sposta sulle dinamiche, spesso tragiche, legate ai confini
propriamente detti, quelli geo-politici, ed ai movimenti epocali del loro
attraversamento da parte dei migranti. Su questi confini si misura l’evoluzione
di concetti fondativi quali: sovranità statale, nazioni-enti sovrannazionali,
regimi, governi, governance, governamentalità
·
Si è detto degli “spazi detentivi” sorti in quasi tutti gli
stati-nazione per la gestione dei flussi migratori, spazi che annullando e
modificando la temporalità, decidono della inclusione/esclusione; per svariate
ragioni, spesso anche solo di convenienza elettorale, da tempo si cerca di
spostare off-shore questi “spazi-centri di accoglienza”, ossia fuori dai
confini nazionali, possibilmente in una delle zone di “partenza-smistamento”
lungo i percorsi migratori (ad es. Libia)
·
Un processo che, sulla base di alcune vicende esemplari,
tragicamente esemplari, si è sviluppato da almeno due decenni, ma che è ben
lungi dall’aver raggiunto sufficiente stabilità e definizione, in quanto
attorno ad esso entrano in gioco concetti base per la gestione democratica di
processi di massa
·
Si manifestano lungo i confini geopolitici, la loro difesa e
la loro permeabilità a flussi migratori, l’incapacità degli strumenti
“standard” di governo di affrontare e risolvere fenomeni epocali che li stanno
investendo
·
Foucault, in tempi precedenti all’esplosione dell’attuale fenomeno
“migrazioni di massa”, ebbe già modo di ridefinire i confini geo-politici con
il termine “confini bio-politici”, ossia linee che tendono a definire e
regolare le relazioni tra Stati (politici) e che, ciò facendo con un processo
di reciproca influenza, incidono sulla popolazione (bio) in termini di
movimento, sicurezza, benessere e salute
·
Esistono importanti differenze fra il concetto di popolazione
e quello di popolo, sempre secondo Foucault: il concetto di popolo privilegia
una logica “giuridica” della sovranità e della cittadinanza, quello di
popolazione ha una correlazione più ampia con il suo essere composta da individui
portatori di diritti esistenziali (bio)
·
Quanto da decenni avviene sui confini rilancia pienamente la
definizione degli stessi in termini di confini “bio-politici”
·
Le operazioni finora messe in atto sui confini e la loro
“difesa” non solo si muovono al contrario ancora all’interno della logica dei
confini “geo-politici”, ma evidenziano l’incapacità di una gestione “liscia e
senza attriti” della migrazione
·
“Duro ma umano” è lo slogan usato dal Primo Ministro
australiano nel 2009 per descrivere la politica adottata dal suo governo per
respingere le ondate migratorie verso l’Australia: duro, nel senso che i
confini erano fissati come invalicabili, umano, nel senso che le azioni
conseguenti erano mitigate da “premure” umanitarie; questo slogan riassume
quanto attuato da buona parte degli Stati
·
Il “duro ma umano” non ha certo risolto il problema ed ha al
contempo evidenziato la crisi non solo
delle modalità ma anche dei principi e dei valori che le hanno ispirate
·
Sono stati posti in crisi concetti come “sovranità nazionale”, incapace del suo e
troppo spesso invocata per sfuggire ad impegni derivanti dalle relazioni
internazionali, come “governance” (l’insieme di soggetti ed
iniziative pubbliche e private che affronta uno specifico problema e/o settore), altrettanto
incapace quando non delegante in toto alle ONG (non tutte così disinteressate e
“umanitarie”), come “governo”, niente e nessuno ha sinora dimostrato di
riuscire ad esercitare un reale governo del fenomeno migratorio,
·
Il risultato è stato l’affermarsi di una sorta di regime di
“migration management”, sollecitato dalla consapevolezza dell’inefficacia di
strumenti governamentali del fenomeno (quali il sistema di quote; si è spostata
la questione dal semplice “controllo dei confini” alla gestione permanente di
una situazione di crisi che stravolge le “normali” procedure di selezione e
individuazione di eventuali “aventi diritto a…..” e molti assunti, collegati a questa
definizione, alla base del Diritto Internazionale, così come finora codificato
·
Il confine è diventato il luogo, reale ed astratto, nel quale
entrano in conflitto permanente governi nazionali, Enti sovrannazionali, organizzazioni
intergovernamentali e internazionali, movimenti degli stessi migranti, gli
elementi applicabili di Diritto nazionale ed internazionale, trattati ed
accordi, relazioni con tutti i paesi coinvolti nella filiera della migrazione
·
Si produce, attorno e sul confine, un “assemblaggio di potere
e di poteri” che destruttura il concetto base di sovranità e le sue
articolazioni). La globalizzazione, i fenomeni migratori da questa prodotti
ed il loro impatto sui confini, ha evidenziato in particolare l’inconsistenza
della pretesa dei singoli Stati ad esercitare un potere esclusivo su uno
specifico e delimitato territorio, essendo costretti sempre di più a muoversi
in quel “assemblaggio” (questo dato di fatto non impedisce, è ovvio, la
permanenza di una “retorica del confine” e conseguenti conflitti anche armati
lungo le linee di confinei)
·
Ne consegue la creazione, in
nuce, di una nuova sovranità frutto e sintesi del conflitto fra quanto
resta, anche nelle sue manifestazioni di difesa armata dei confini, della
sovranità del singolo Stato e la sovranità del capitale globale, specie per la
sua tendenza innata a creare, spostare, fermare, chiamare, la forza lavoro
indispensabile alla sua esistenza
Capitolo VII – ZONE, CORRIDOI E GEOGRAFIE POST SVILUPPISTE =
Analizza la creazione di particolari confini spazio-temporali nelle “zone di
confine” fino a pochi decenni fa poste ai margini dello sviluppo capitalistico
·
L’irruzione,
in parte voluta in parte imposta dalla globalizzazione, della governamentalità neo-liberista
in ogni area del mondo, comprese quelle, fino al secondo dopoguerra, ai margini
dello “sviluppo” capitalistico, ha inciso profondamente sulla “sovranità” dei
singoli Stati creando, al loro interno, nuove connessioni e nuovi confini in
grado di operare “sopra lo Stato-sotto lo Stato-attraverso lo Stato”
·
L’attenzione
è volta a fornire una fotografia molto circostanziata delle modalità con le
quali tale tendenza si è evoluta in modo particolare in Cina ed in India
(lCindia) e, meno analiticamente, nel Centro-Sud America
·
Sia
in Cina che in India, Stati che hanno preso il posto di precedenti “imperi”, ha
giocato un ruolo specifico l’eredità culturale di una diversa concezione del
“confine”: lo Stato-Nazione richiede e impone confini espliciti, l’Impero,
ossia l’assemblaggio sotto un unico dominio di più realtà statali, “intende
come propri entrambi i lati dei confini e delle frontiere comuni”
·
Ciò
ha consentito in Cindia l’affermarsi di un modo di produzione neo-liberista che
ha creato all’interno di un più vasto contenitore una molteplicità di isole,
distretti, zone, ed una collegata eterogeneità spazio-temporale, che hanno
prodotto linee di confine particolari (città-campagna, produzioni specifiche
con differenti regimi lavorativi, vecchio-nuovo, inclusi-esclusi, migrazioni
interne epocali)
·
Questa
zone di confine interne, che incidono, fatto non trascurabile, sulle esistenze
di centinaia di milioni di lavoratori, sono luoghi specifici, isole a sé
stanti, delimitate ed stranee al resto del territorio, in cui molteplici
confini interni favoriscono, e danno un volto, alle nuove “frontiere del
capitale”, giungendo a produrre una particolare ed originale forma di
“accumulazione originaria”
·
Queste
nuove “enclosures”, a differenza di quelle alla base della nascita del moderno
capitalismo industriale in Inghilterra, non si manifestane, come nel caso
“classico” inglese, solo come
appropriazione di terra e risorse naturali, non espellono soltanto dalle
campagne creando disponibilità di forza-lavoro, ma attraversano conoscenze,
sistemi consolidati di relazioni sociali locali, ricreando nuove linee di
divisione e nuovi confini anche interni alla forza-lavoro
Capitolo VIII – PRODUZIONE DI SOGGETTIVITA = I confini, che fermano,
bloccano, si attraversano, si abbattano, si rafforzano, in che modo incidono
sulla “soggettività” delle persone che con loro sono costrette a misurarsi? A
questa domanda i due autori rispondono con riflessioni profondamente legate
alla teoria marxista dello sfruttamento e della creazione di “forza lavoro”
personificata
·
Dimostrata
l’’inconsistenza dell’idea che il capitale, specie finanziario, sia globale
mentre il lavoro resti ristretto entro confini nazionali, e la validità di
quella contrapposta che vede nella globalizzazione da una parte il superamento
dei confini geo-politici e dall’altra la corrispondente creazione di altri e
nuovi confini spazio-temporali, occorre capire come questi nuovi confini
ridefiniscano la soggettività di chi con essi deve fare i conti
·
Anche
in questo caso è al “lavoratore” che occorre guardare, ossia al portatore
fisico di “forza –lavoro” in quanto egli rappresenta la base per la sua stessa
definizione come persona; esperienze fra loro apparentemente diverse e lontane
evidenziano che per tutta la fase del capitalismo tradizionale, compresi i
paesi che hanno sperimentato sistemi sociali alternativi (Stachanov nella
Russia Sovietica), la figura che emerge è quella del lavoratore-cittadino, ossia
una figura che, racchiusa entro i confini nazionali, attribuisce al singolo lo
status di cittadino in quanto produttore di lavoro, in quanto lavoratore
·
I
diritti individuali, la stessa “soggettività” sociale che ne rediva, sono
posseduti sulla base del legame fra la persona ed il suo “sfruttamento”; i
sistemi di welfare, da questo punto di vista, hanno in parte garantito
l’estensione del diritto di “cittadinanza” anche a chi subiva un allentamento
di questo rapporto
·
La
globalizzazione ha modificato in profondità questo quadro ma non lo ha
pienamente spezzato, resta un innegabile nesso tra cittadinanza e lavoro, e la
testimonianza più certa è la lotta dei migranti, in ogni area del mondo, per il
suo ottenimento
·
Alla
base sta la dicotomia tra le figure del “soggetto politico”, della “persona
giuridica”, del “lavoratore”
·
Alla
piena “cittadinanza” si sono affiancati per i migranti i concetti di
“cittadinanza parziale” e di “semi-cittadinanza”, anche questi però sempre
connessi al livello di inserimento nella catena del lavoro, della produzione ed
in grado di definire processi di “produzione di soggettività” in un duplice
senso: essere nel ciclo della produzione definisce la singola soggettività,
l’individuale modo di essere e di sentire, ed al tempo stesso illumina
l’apporto che la soggettività dà alla produzione
·
Questa
“produzione di soggettività”, allargata in modo specifico alle figure dei
migranti, ed inserita nel contesto della globalizzazione neo-liberista, implica
il superamento di concetti come “massa” e “classe” e la possibile adozione di
nuovi termini-concetto (moltitudine?)
·
Le
politiche neo-liberiste sfumano il confine tra la sfera economica privata e
quella politica, implicando la creazione del “soggetto come imprenditore di sé
stesso” ridefiniscono lo stesso concetto di “soggettività”, non si è più
cittadini solo perché lavoratori, ma perché si entra nello status, più ampio e
variegato (inglobando ad es. il ruolo di consumatore), di “homo aeconomicus”
·
Si
è di fronte ad un processo più complesso ed articolato della semplice
contrapposizione tra “inclusione” ed “esclusione”, che mette in crisi il modo
con cui, finora, si è risolto il contrasto tra la fase delle lotte (per
ottenere diritti) e quella del riconoscimento (costituzioni e norme del
welfare), un modo che, all’interno del singolo Stato, produceva, per l’appunto,
la figura del cittadino “normale” individuato con criteri di classe, genere,
razza, “estraneità”, realizzando in questo modo una sorta di “macchina di
differenze”
·
Dal
punto di vista della teoria marxista della soggettività resta centrale la
figura della “persona”, ossia del soggetto umano portatore della merce
“forza-lavoro”, una figura “astratta” che cuce insieme la merce ed il diritto
·
La
moltiplicazione dei confini nel mondo contemporaneo ha sì frantumato la figura
unitaria del cittadino e dell’”umano” nei campo dei diritti , ma non ha
definitivamente annullato la figura della “persona” portatrice di forza-lavoro
· In questo quadro frammentato e
contraddittorio si muovono le “lotte di confine” ossia le tensioni che
investono i flussi dei migranti quando si scontrano con i confini, lotte che
non implicano solo il superamento degli stessi, ma la ridefinizione stessa
della soggettività dei migranti nel momento stesso del superamento/abbattimento
del confine (la
protagonista del film “Machete” , un film sulle lotte al confine Usa-Mexico,
dice una frase che è la perfetta sintesi di questo duplice aspetto “non abbiamo
attraversato il confine, è il confine che attraversa noi”)
·
Ed
è in questo tratto che si manifesta la persistente validità della visione
marxista della “persona”: la ridefinizione di una nuova soggettività del
migrante a confine superato sta proprio nella sua capacità/possibilità di
acquisire questo status di inclusione, mancando il quale persisteranno, bel
oltre il loro aspetto giuridico, condizioni di “cittadinanza parziale”, di
“semi-cittadinanza”
·
La
stessa necessità di comunicazione linguistica, di acquisizione di nuove lingue
e vocabolari, della “traducibilità” delle parole e dei concetti in altre lingue
ne è una ulteriore controprova: si condividono realmente parole e concetti
quando queste e questi si legano ad una comune condivisione di esperienze di
vita e di situazioni esistenziali, a partire da quelle lavorative, quando ci si
confronta con gli stessi confini
Capitolo IX – TRADURRE IL COMUNE = Quali valori, al di là ed in
aggiunta a quelli classici della solidarietà e della fratellanza, possono
entrare in gioco nella lotta alla gestione capitalistica dei confini?
·
Dimostrato
che il capitalismo persegue politiche dei confini in funzione delle proprie
necessità, adottare il paradigma del “confine come metodo” significa accettare
la conseguenza che il confine è in quanto tale terreno di confronto e lotta,
significa il tentativo di declinare i confini, abbattendoli quando necessario,
verso altre finalità e valori
·
Va
inoltre ribadito, a sintesi, il meccanismo di creazione e formazione di molti
dei confini esistenti: il capitalismo contemporaneo, globalizzato e
neo-liberista, nel momento stesso in cui, per le proprie convenienze, supera ed
annulla un confine, ne fa sorgere altri.
·
Ne
consegue che il superamento dei confini capitalistici, perseguibile solo sulla
base di valori alternativi, deve preoccuparsi di non ripetere lo stesso
meccanismo; tali valori devono avere la capacità di essere il più possibile
“inclusivi” e “articolati”
·
Il
tema dei “bene comune”, dei “beni comuni” (commons), del “comune” in senso
lato, ossia nel senso di tutto quello, materiale e immateriale, che l’umanità
deve necessariamente condividere, si può prestare ad essere un primo valore sul
quale puntare
·
Va
da subito precisato che il “comune” non va confuso con il generico’ ”universale”;
questo è un predicato frutto di un atto intellettuale di definizione, il primo
è “una realtà indipendente dall’intelletto”, è un dato di fatto “reale”
·
Da
questa consapevolezza non può però derivare l’illusione che il comune sia
valore acquisito e consapevole, la sua adozione richiede una precisa e
ragionata articolazione; ed il processo della sua articolazione si innesca immediatamente
con la tematica dei confini
·
Storicamente
l’umanità è intervenuta sul comune sia con i processi che hanno prodotto la
proprietà privata sia con quelli che hanno creato la proprietà pubblica,
definendo in tal modo i confini dei terreni, delle proprietà, degli Stati e
delle loro articolazioni
·
L’epoca
attuale continua a muoversi in questo senso, rimodellando i confini, creandone
di nuovi, in una sorta di continua fase di “enclosures”, di “accumulazione
originaria”
·
Sta
nelle lotte che in ogni parte del mondo si oppongono a questa perenne creazione
di “limes” lo spazio per definire una diversa idea del “comune”
·
E’
un percorso certamente non facile, tale da imporre riflessioni, anche critiche
su, concetti apparentemente corretti e positivi, quali quello stesso di
“comunità”; la quale, proprio per la propria affermazione, spesso si trascina
la tendenza a porre confini
·
Un’altra
difficoltà nasce dalle complessità di “traduzione” (nel senso già
evidenziato nel Cap. VIII)
non sempre lotte che riguardano la stessa problematica di gestione del comune
riescono a “parlare la stessa lingua”, ad entrare immediatamente in relazione
·
Le
lotte nelle zone di confine, le lotte lungo i confini, pur nelle
contrapposizioni talvolta tragiche che spesso innescano, pur con le contraddizioni che inevitabilmente
implicano, possono essere uno straordinario momento di crescita in questo senso
Ho appena finito di leggere un libro pubblicato qualche anno fa da Toni Morrison (premio Nobel 1993) intitolato "Amatissima"(premo Pulitzer 1987), ne avevo sentito alla radio alcune puntate recitate da una
RispondiEliminabravissima attrice Maria Paiato ed ero molto incuriosita.
Parla dei neri che dal 1500 al 1800 furono deportati in America,non si conoscono le cifre esatte ma si parla di dieci-quindici milioni di individui dei quali tre su quattro morivano prima e durante la traversata, niente di nuovo sotto il sole di questo tempi.
Era come dice Toni Morrison "una storia da non tralasciare".
Ma la cosa che si collega, a proposito di confini, tralasciando la storia piena di torture, assassini, violenze di ogni genere è la percezione dei neri di non essere individui e quando, dopo la guerra di secessione americana, i neri pian piano scoprono di conoscere e possedere se stessi (soprattuto le donne) e, come suggerisce Morrison, significa essere in grado di riconoscere i propri confini, il luogo dove termina il sè e comincia il mondo significa distinguere se stessi dagli altri e riconoscerli come distinti da sé.
Questo mi ha fatto riflettere su un altro significato di "confine" che per me é sempre stato parte normale nella mia percezione di individuo ed ecco perchè, tra gli immigrati, io provo sempre molta pena ( non so se è la parola giusta e comprensiva di questo sentimento che mi sta dentro) per le persone di colore
diverso dal mio.