giovedì 30 luglio 2015

"Confini e frontiere"


Confini e frontiere
La Moltiplicazione del lavoro nel mondo globale
 
Saggio di Sandro Mezzadra e Brett Neilson

……Fosco ed impuro, magico e violento: è questo il paesaggio che sin dall’antichità avvolge il gesto di tracciare e istituire un confine. Fonti di tutto il mondo ci raccontano storie splendide e spaventose sulla creazione di linee di demarcazione tra il sacro ed il profano, il bene e il male, il privato e il pubblico, il dentro e il fuori. Dalle esperienze liminali delle società tribali alla delimitazione della terra in quanto proprietà privata, dal fratricidio commesso da Romolo nei confronti di Remo all’espansione del limes imperiale, queste storie ci parlano del potere produttivo del confine ovvero del ruolo strategico che esso gioca nella fabbricazione del mondo……..

Sintesi per spunti di riflessione – avvertenza preliminare
“Confini e frontiere” è un saggio complesso e molto articolato. Attraverso la lente del “confine” (non per nulla nel saggio definito come “metodo”) analizza aspetti e fenomeni, fra di loro collegati, nell’ambito di una generale analisi del contemporaneo capitalismo globalizzato e neo-liberista.  In questo intreccio molto ricco e variegato sta al tempo stesso la “forza” del saggio ed il suo limite di lettura ed assimilazione. Troppa carne al fuoco verrebbe da dire usando una frase fatta, ma mai come in questo caso appropriata. In questa sintesi, finalizzata ad arricchire il percorso di studio della tematica del “confine”, è su questo specifico aspetto che si è concentrata l’attenzione, tralasciando quindi moltissime riflessioni e considerazioni analitiche di grande valore, ma volte in prevalenza verso altre direzioni

Prefazione e Capitolo I (La proliferazione dei confini) = anticipano temi ed argomenti che saranno sviluppati nei Capitoli successivi. Contengono alcune affermazioni illuminanti sui successivi sviluppi analitici:

·         ….cercheremo di esplorare i complessi modi di articolazione tra diverse dimensioni del confine. Nel farlo utilizziamo in modo intercambiabile parole come confine, limite, delimitazione, mentre operiamo una chiara distinzione tra confine e frontiera

·         ……il primo termine è stato tipicamente considerato una linea mentre il secondo è stato costruito come una spazio aperto ed espansivo

·         ……il confine è un dispositivo epistemologico al lavoro ogni volta che è fissata una distinzione tra soggetto ed oggetto

·         …….i confini sono essenziali per i processi cognitivi perché consentono di stabilire tassonomia  e gerarchie concettuali che strutturano il movimento stesso del pensiero….i confini cognitivi hanno una grande rilevanza filosofica in quanto descrivono una dimensione generale, universale, del pensiero umano

·         …..parliamo del confine come metodo…..(facendo) riferimento ad un processo di produzione del sapere che tiene aperta la tensione tra la ricerca empirica e l’invenzione di concetti che la orientano…..significa sospendere l’insieme di pratiche disciplinari che presentano gli oggetti della conoscenza come già costituiti indagando invece i processi da cui questi oggetti sono costituiti…..

 

Capitolo II – Fabrica mundi = partendo da una definizione ampia di “confine”, e analizzando la sua traduzione in segni/mappe, inizia a precisare il rapporto fra creazione dei confini e processi economici/sociali/di potere

· I confini sono solitamente compresi come costrutti prevalentemente geografici, i primi a venire in mente pronunciando la parola “confine”

· Costrutti che si reggono su pratiche e tecnologie cartografiche, su “mappe”

· Le mappe “codificano” il mondo più di quanto lo “decodifichino”, sono potenti dispositivi per creare conoscenza, ma in definitiva non sono altro che rappresentazioni con incerta capacità di riflettere/controllare processi storici, politici, geografici

· Da questo deriva una sorta di “ansia cartografica” (“crisi cartografica” secondo Farinelli), anche perché dalle mappe si attende una sorta di “fabrica mundi”, di costruzione bidimensionale del mondo reale a molte dimensioni

· Non a caso la moderna cartografia, nata sull’impulso rinascimentale della “fabrica mundi”, emerge pienamente in contemporanea con nuove linee tracciate sul suolo europeo a delimitare le “enclosures”, base della “accumulazione originaria”, descritta da Marx , fondata su un processo di “appropriazione di spazi”

· Farinelli evidenzia l’affinità tra i simboli cartografici e la moneta delle società capitalistiche entrambi svolgono un ruolo di “equivalenti”

· ….in quanto segno una mappa si appropria di un oggetto spaziale inserendolo in un sistema di segni…..

· Le carte concretizzano, con i limiti suddetti, la natura bifronte dei confini: connettono e dividono, così facendo “fabbricano” il mondo

· I continenti stessi sono stati “inventati” (andando contro la loro “deriva”) come “individui geografici”

· È verso la fine del 1800, al culmine dell’età degli imperialismo, che lo studioso svedese Kjellen conia il termine “geopolitica” per designare l’uso politico della geografia piegata a ridisegnare confini in relazione a espansioni politico/militari/economiche

· E’ l’età del “mondo come bersaglio” (titolo di un saggio di Heidegger), un mondo diviso (specie sulla spinta degli interessi espansionistici americani) in “aree” (di influenza); nasce una vera e propria disciplina geografica “studi di area”

· Influisce, non poco, la spinta a “normalizzare” il mondo uniformandolo all’ideologia “fordista”

· Tendenza che si scontra con l’emergere, come reazione, dei nazionalismi; dei “stati-nazione”, con confini sempre più segnati dalle lotte economico/politiche, quando non spostasti dal loro esplodere in conflitti aperti

· Nascono i primi contrasti tra “confini” e migranti”, tra partiche di mobilità, volontaria-forzata, e il rafforzamento, ondivago, dei confini

· Dopo il secondo conflitto le logiche economiche e politiche fanno prevalere la divisione del mondo in blocchi continentali su quella in Stati-Nazione

· Questa formazioni dei blocchi (es. UE – NAFTA)  sono le caratteristiche della globalizzazione contemporanea

Capitolo III – FRONTIERE DEL CAPITALE =analizza in modo più specifico il rapporto fra confini e processi legati al capitalismo, in particolare nella sua versione globalizzata, finanziarizzata, con al centro il fenomeno, ad essa collegato, della divisione internazionale del lavoro

· I primi anni Novanta producono immagini e termini che tentano di raccontare la globalizzazione, sullo sfondo l’idea che i confini stanno scomparendo

· Uno delle ipotesi centrali del “confine come metodo” è che al contrario la globalizzazione ha innescato una proliferazione di confini non più, o quantomeno non solamente, fra Stati

· Vero è che lo “spazio globale” della globalizzazione ha cancellato antiche, e comode, divisioni: Oriente-Occidente, Nord-Sud, Primo-Secondo-Terzo  Mondo; non sono però scomparsi i tratti economici, sociali, culturali, che li caratterizzavano, anzi in ogni parte del mondo si trova tratti di Oriente-Occidente, di Nord-Sud, etc.

· In questo quadro i confini, che attraversano l’intero mondo in ogni direzione e senso, sono diventati dei “laboratori del globale”

· Sulla creazione dello spazio globale ha sicuramente inciso la divisione internazionale del lavoro attuata dal processo di globalizzazione

· Il processo di divisione internazionale del lavoro, ed il suo evidente impatto sui confini, creando/annullando quelli geopolitici, creando/perfezionando quelli economici, sociali, finanziari, ha origine nella natura stessa del mercato capitalistico

· Una sua accentuazione deriva dalla necessità capitalistica di rispondere, ignorando i confini nazionali, alle lotte ed alle conquiste operaie

· Alla base della divisione internazionale del lavoro vi è poi un’altra caratteristica “genetica” del capitalismo: la moltiplicazione del lavoro, ossia la traduzione in attività finalizzate al profitto di tecnologie innovative e dei collegati prodotti/servizi

· A partire dagli anni settanta del secolo scorso la divisione internazionale del lavoro, sollecitata da queste due tendenze, ha assunto tre specifiche caratteristiche di:

Ø  Intensificazione = coinvolgendo ogni aspetto della vita umana, individuale e collettiva

Ø  Diversificazione = con la creazione continua di nuovi tipi di produzione/lavoro

Ø  Eterogenerizzazione = abbracciando, per convenienza, regimi giuridici e sociali diversi

· Questa ultima caratteristica, in particolare, ha un’incidenza rilevante sulla tematica dei confini, creando, in relazione alle convenienze giuridico-sociali, “regioni” che, non coincidendo necessariamente con antichi confini geo-politici, mutano le linee di demarcazione del territorio globale e producono una moltiplicazione dei confini

Capitolo IV – FIGURE DEL LAVORO = il processo di sviluppo della divisione internazionale del lavoro implica un proliferazione/moltiplicazione delle figure del lavoro abbattendo, di conseguenza, antichi confini non solo geopolitici, ma anche all’interno della “classe” dei lavoratori e, contemporaneamente, creandone di nuovi; questa analisi viene sviluppata anche prendendo in considerazione figure professionali “simbolo” di questo stato di cose: lavoratrici domestiche e trader finanziari

· Centrale è la constatazione che la proliferazione dei confini trascina con sé la molteplicità dell’organizzazione del lavoro, innescando una corrispondente proliferazione delle figure del lavoro

· Questi cambiamenti nella composizione delle figure lavorative hanno una ovvia ricaduta sul sistema delle relazioni fra lavoratori

· Il concetto di “classe” (dei lavoratori) che astrattamente nell’analisi marxista travalicava i confini nazionali trova oggi nuove declinazioni e, non producendo nuove omogeneizzazioni fra lavoratori, crea spesso nuovi confini

· E’ il concetto stesso di classe, e quello collegato di coscienza di classe, espressi da Marx in termini astratti e già con la consapevolezza delle difficile loro concretizzazione nella realtà, che faticano, a maggior ragione, ad esprimersi nella realtà odierna

· L’allargamento della classe lavoratrice legata alla proliferazione delle figure del lavoro pone certamente in crisi ma non elimina, anzi, la varietà di confini interni al mondo del lavoro: lavoro produttivo-improduttivo, lavoro sotto padrone-lavoro autonomo, lavoro formale--informale, lavoro manuale-lavoro intellettuale, etc.

· In questo ambito va collocata anche la questione del lavoro dei “migranti”; nella fase degli Stati-Nazione il controllo dei confini consentiva un uso “programmato” dei flussi migratori in funzione delle necessità del mercato del lavoro interno, nella situazione globalizzata i migranti hanno assunto un ruolo di “supplemento”, al tempo stesso necessari, quando necessario, e “minacciosi estranei”, una sorta di “eccedenza turbolenta” che squilibra la stabilità relativa del sistema e delle relazioni fra lavoratori quando con coincidenti con la domanda di lavoro dei vari mercati

· Hanno così assunto caratteristiche simbolo della globalizzazione del lavoro nel creare figure professionali “nuove”, una di queste è rappresentata dalla figura delle” lavoratrici domestiche”

· Di lavoro femminile si tratta, di migrazione femminile si parla (vale il 50% dei flussi migratori mondiali), di migrazione di donne molto spesso “sole”, ossia senza famiglia al seguito.; le lavoratrici domestiche sintetizzano sia la “femminilizzazione del lavoro” (avvenuta su scala mondiale) che la “femminilizzazione delle migrazioni”

· Caratteristica distintiva del lavoro domestico è quella di andare oltre una definizione tradizionale di lavoro per includere aspetti di coinvolgimento soggettivo, di relazione, di familiarizzazione. Interessante è notare la dimensione di doppia famiglia delle lavoratrici domestiche, quella di origine e quella di lavoro, separate da diverse tipologie di confini (geografici, culturali, sociali, economici)

· Spesso per queste lavoratrici scatta una sorta di “allargamento dell’orizzonte di azione”, idi superamento dei vari confini portati con sé nell’attraversare i confini reali della migrazione, vissuta inizialmente solo come necessità

· Nell’ambito di una analisi “classica” del lavoro è interessante notare che nel caso delle lavoratrici domestiche la relazione tra lavoro “vivo” (l’attività effettivamente svolta) e lavoro “astratto” (quanto resta “immobilizzato” nel prodotto del lavoro, concetto base marxista) assume caratteristiche anomale tali da superare i confini classici delle due forme di lavoro in quanto l’astrazione del loro lavoro, che si definisce formalmente nel momento in cui sono retribuite, si “immobilizza” in una serie complessa di relazioni fisiche, affettive, emotive

· Altra figura simbolo è quella dei “trader finanziari”: al vertice opposto nella scala dei redditi rispetto alle lavoratrici domestiche, ma obbligati a lavorare al ritmo del 24/7 (ventiquattro ore per sette giorni)

· I trader sono diventati oggetto di quella che viene definita “la corsa per il talento”; ricercati su scala mondiale, quando dimostrano la loro capacità, sono “migranti” di lusso, il 15% dei trader mondiali sono “migranti”

· Come le lavoratrici domestiche i trader non vendono sul mercato del lavoro un “insieme” definito di tratti lavorativi, ma la loro capacità e potenzialità di diventare la “persona giusta” per quello specifico posto di lavoro

· Per ambedue queste figure professionali la cosiddetta “catena globale delle merci”, che ingloba anche la merce “forza-lavoro” e che tiene conto delle divisioni geografico-statali, non sembra avere più valore, gli spostamenti, volontari o forzati che siano, scavalcano tutte le vecchie distinzioni fra aree, fra Primo e Terzo Mando, fra Nord e Sud

· Inoltre ambedue sono esemplificative della immissione di “soggettività” nella merce forza lavoro che vendono, scompaginando la definizione di lavoro vivo e lavoro incorporato slla base delle catene globali delle merci.

· In questo senso sono anche altre le figure che si muovono fra queste contraddizioni, si torna all’eterogeneità dei soggetti che compongono i lavoratori del mondo, che appresentano la “moltiplicazione del lavoro”, e la sua conseguente capacità di moltiplicazione di nuovi confini all’interno del mondo, erroneamente ritenuto unitario, del lavoro

· La questione dell’unità del lavoro, e dei lavoratori, trova infatti nuove declinazioni che vanno oltre quella “classica” fra lavoro “manuale” e lavoro “intellettuale”,  “immateriale”; i confini fra i diversi lavori non viaggiano più sulla divisione “produttiva”, ma all’interno della unificazione imposta dal lavoro globalizzato si ripresentano come spazi eterogenei del capitale globale per quanto anch’essi soggetti a costante e forte variabilità

Capitolo V – NELLO SPAZIO DEI CONFINI TEMPORALI = la globalizzazione economica impone, ai flussi migratori in particolare, l’occupazione di diversi tempi e spazi; all’interno di una apparente omogeneità sono nati, morti, rinati confini che agiscono sui tempi di inclusione/esclusione e sugli spazi, fisici e sociali, occupati

· I lavoratori informatici indiani, e la catena di negozi ed esercizi commerciali da loro utilizzati, hanno orari di lavoro allineati a quelli dei loro clienti e differiscono di diversi fusi orari; un esempio fra i tanti che dimostra come le organizzazioni globalizzate del lavoro abbattano confini non solo spaziali ma anche temporali

· Un altro confine temporale viene sconvolto dalla globalizzazione: il tempo necessario per la produzione della propria forza lavoro, la quota parte del lavoro che serve a coprire il mantenimento del lavoratore (la quota residua, nell’analisi marxista, alimenta il profitto). Questo tempo veniva calcolato, nel capitalismo classico, su base nazionale, la globalizzazione nell’abbattere i confini nazionali del mercato del lavoro ha abbattuto anche questo confine temporale, la cui scala si è plasmata su ambiti sovrannazionali.

· Un altro esempio significativo in questo senso è quello dei lavoratori gestiti da agenzie internazionali con il meccanismo del body shop: sono in prevalenza lavoratori informatici indiani che tramite queste agenzie vengono affittati a industrie e società del settore nei vari Stati, con contratti temporanei; quando non lavorano; restano fermi, “in panchina” (benching); le agenzie spesso prolungano i tempo del benching per spuntare contratti più vantaggiosi mentre i lavoratoti “in panchina”  non guadagnano (spesso nell’attesa fanno altri lavori molto più umili e manuali); il tempo necessario alla loro riproduzione viene continuamente rispalmato su queste fasi di lavoro e panchina, ed i confini temporali, e spaziali, sono di fatto resi inesistenti

· Questo esempio dimostra inoltre che gli spostamenti dei lavoratori migranti, con i loro confini scavalcati, annullano, nello stesso individuo, le differenze fra lavoro qualificato e non qualificato

· Dimostra inoltre, visto dalla parte delle imprese che richiedono questo tipo di lavoratori, tramite il body shop, operanti nel settore del “capitalismo cognitivo”, che i costi di formazione sono anch’essi spalmati in modo globalizzato (la loro formazione avviene ovviamente nel paese di origine) e che i movimenti migratori (quelli richiesti e sollecitati dal mercato, altra cosa ovviamente sono quelli volontari di fuga da situazioni estreme) sono sempre più gestiti sulla base dei parametri del just-in-time e del to-the-point (al posto e nel tempo giusti)

· Offre infine lo spunto per iniziare ad affrontare il tema dei “migranti illegali”, figura che è emersa, anch’essa in coincidenza con l’affermarsi della globalizzazione, a partire dagli anni settanta del secolo scorso; è necessaria infatti la distinzione fra “migranti economici”, “migranti illegali” e “rifugiati”, figure che pera altro spesso si sovrappongono annullando i correlati confini gestionali

· E’ assai difficile distinguere queste figure, condividono infatti percorsi, difficoltà, esperienze, nemici, obiettivi, sono gestiti quasi ovunque sulla base di leggi e norme che li equiparano

· In molti casi il rafforzamento del confine statale, giustificato dalla necessità di contenimento dei flussi, ha creato l’economia parallela ed illegale dello scavalcamento del confine stesso ed ha riproposto sulla scena storica ambiti quali “campi di detenzione” “centri di ricevimento, controllo, filtraggio, smistamento e respingimento”

· Spazi destinati non solo a “detenere” ma che, assurti a istituzioni sociali, secondo l’interpretazione foucaultiana, occupano un ruolo fondamentale nel processo binario di inclusione-esclusione

· Questi spazi diventano una dimensione spaziale/temporale: il tempo di permanenza in essi, prima di divenire formalmente inclusi o esclus,i è il discrimine per la spazialità occupabile

· Discrimine che interviene anche per spazi non necessariamente “temporanei”, vale infatti anche per le dimensioni urbane destinate/occupate dalle ondate di migranti; le banlieue francesi sono paradigmatiche in questo senso, chi ne esce è di solito chi dopo un certo tempo va ad occupare spazi di maggiore inclusione, chi vi resta, pur disponendo della formale cittadinanza, è condannato ad una sospensione temporale in cui non si è del tutto dentro ma neppure del tutto fuori dal più generale contesto sociale urbano

· Esperienze come quelle delle successive ondate di migranti indiani in Australia evidenziano inoltre la nascita di un “confine interno” alla stessa etnia in cui la diversa temporalità di migrazione sancisce una diversa spazialità sociale

· Ed è l’intero spazio e tempo della nazione, di ogni nazione, ad essere investito da questa esplosione di confini interni; all’interno di esse i diversi nuclei sociali ed etnici vivono occupando spazi divisi e con tempi diversi; i processi di inclusione/esclusione formalizzano questi confini

· In aggiunta, per nulla secondaria, si tenga inoltre conto che questi confini sono quantomeno sdoppiati se applicati alle componenti maschili e femminili di quasi tutti i nuclei sociali ed etnici

· Lungo l’insieme di questi confini, spaziali e temporali, corrono quindi elementi di inclusione/esclusione razziali, socio-economici, di sesso, generazionali

Capitolo VI – LA MACCHINA SOVRANA DELLA GOVERNAMENTALITA’ = Esaminate le dinamiche che annullano/creano confini, in senso lato, l’attenzione si sposta sulle dinamiche, spesso tragiche, legate ai confini propriamente detti, quelli geo-politici, ed ai movimenti epocali del loro attraversamento da parte dei migranti. Su questi confini si misura l’evoluzione di concetti fondativi quali: sovranità statale, nazioni-enti sovrannazionali, regimi, governi, governance, governamentalità

· Si è detto degli “spazi detentivi” sorti in quasi tutti gli stati-nazione per la gestione dei flussi migratori, spazi che annullando e modificando la temporalità, decidono della inclusione/esclusione; per svariate ragioni, spesso anche solo di convenienza elettorale, da tempo si cerca di spostare off-shore questi “spazi-centri di accoglienza”, ossia fuori dai confini nazionali, possibilmente in una delle zone di “partenza-smistamento” lungo i percorsi migratori (ad es. Libia)

· Un processo che, sulla base di alcune vicende esemplari, tragicamente esemplari, si è sviluppato da almeno due decenni, ma che è ben lungi dall’aver raggiunto sufficiente stabilità e definizione, in quanto attorno ad esso entrano in gioco concetti base per la gestione democratica di processi di massa

· Si manifestano lungo i confini geopolitici, la loro difesa e la loro permeabilità a flussi migratori, l’incapacità degli strumenti “standard” di governo di affrontare e risolvere fenomeni epocali che li stanno investendo

· Foucault, in tempi precedenti all’esplosione dell’attuale fenomeno “migrazioni di massa”, ebbe già modo di ridefinire i confini geo-politici con il termine “confini bio-politici”, ossia linee che tendono a definire e regolare le relazioni tra Stati (politici) e che, ciò facendo con un processo di reciproca influenza, incidono sulla popolazione (bio) in termini di movimento, sicurezza, benessere e salute

· Esistono importanti differenze fra il concetto di popolazione e quello di popolo, sempre secondo Foucault: il concetto di popolo privilegia una logica “giuridica” della sovranità e della cittadinanza, quello di popolazione ha una correlazione più ampia con il suo essere composta da individui portatori di diritti esistenziali (bio)

· Quanto da decenni avviene sui confini rilancia pienamente la definizione degli stessi in termini di confini “bio-politici”

· Le operazioni finora messe in atto sui confini e la loro “difesa” non solo si muovono al contrario ancora all’interno della logica dei confini “geo-politici”, ma evidenziano l’incapacità di una gestione “liscia e senza attriti”  della migrazione

· “Duro ma umano” è lo slogan usato dal Primo Ministro australiano nel 2009 per descrivere la politica adottata dal suo governo per respingere le ondate migratorie verso l’Australia: duro, nel senso che i confini erano fissati come invalicabili, umano, nel senso che le azioni conseguenti erano mitigate da “premure” umanitarie; questo slogan riassume quanto attuato da buona parte degli Stati

· Il “duro ma umano” non ha certo risolto il problema ed ha al contempo evidenziato  la crisi non solo delle modalità ma anche dei principi e dei valori che le hanno ispirate

· Sono stati posti in crisi concetti come  “sovranità nazionale”, incapace del suo e troppo spesso invocata per sfuggire ad impegni derivanti dalle relazioni internazionali, come “governance” (l’insieme di soggetti ed iniziative pubbliche e private che affronta uno specifico problema e/o settore), altrettanto incapace quando non delegante in toto alle ONG (non tutte così disinteressate e “umanitarie”), come “governo”, niente e nessuno ha sinora dimostrato di riuscire ad esercitare un reale governo del fenomeno migratorio,

· Il risultato è stato l’affermarsi di una sorta di regime di “migration management”, sollecitato dalla consapevolezza dell’inefficacia di strumenti governamentali del fenomeno (quali il sistema di quote; si è spostata la questione dal semplice “controllo dei confini” alla gestione permanente di una situazione di crisi che stravolge le “normali” procedure di selezione e individuazione di eventuali “aventi diritto a…..” e molti assunti, collegati a questa definizione, alla base del Diritto Internazionale, così come finora codificato

· Il confine è diventato il luogo, reale ed astratto, nel quale entrano in conflitto permanente governi nazionali, Enti sovrannazionali, organizzazioni intergovernamentali e internazionali, movimenti degli stessi migranti, gli elementi applicabili di Diritto nazionale ed internazionale, trattati ed accordi, relazioni con tutti i paesi coinvolti nella filiera della migrazione

· Si produce, attorno e sul confine, un “assemblaggio di potere e di poteri” che destruttura il concetto base di sovranità e le sue articolazioni). La globalizzazione, i fenomeni migratori da questa prodotti ed il loro impatto sui confini, ha evidenziato in particolare l’inconsistenza della pretesa dei singoli Stati ad esercitare un potere esclusivo su uno specifico e delimitato territorio, essendo costretti sempre di più a muoversi in quel “assemblaggio” (questo dato di fatto non impedisce, è ovvio, la permanenza di una “retorica del confine” e conseguenti conflitti anche armati lungo le linee di confinei)

· Ne consegue la creazione, in  nuce, di una nuova sovranità frutto e sintesi del conflitto fra quanto resta, anche nelle sue manifestazioni di difesa armata dei confini, della sovranità del singolo Stato e la sovranità del capitale globale, specie per la sua tendenza innata a creare, spostare, fermare, chiamare, la forza lavoro indispensabile alla sua esistenza

Capitolo VII – ZONE, CORRIDOI E GEOGRAFIE POST SVILUPPISTE = Analizza la creazione di particolari confini spazio-temporali nelle “zone di confine” fino a pochi decenni fa poste ai margini dello sviluppo capitalistico

· L’irruzione, in parte voluta in parte imposta dalla globalizzazione, della governamentalità neo-liberista in ogni area del mondo, comprese quelle, fino al secondo dopoguerra, ai margini dello “sviluppo” capitalistico, ha inciso profondamente sulla “sovranità” dei singoli Stati creando, al loro interno, nuove connessioni e nuovi confini in grado di operare “sopra lo Stato-sotto lo Stato-attraverso lo Stato”

· L’attenzione è volta a fornire una fotografia molto circostanziata delle modalità con le quali tale tendenza si è evoluta in modo particolare in Cina ed in India (lCindia) e, meno analiticamente, nel Centro-Sud America

· Sia in Cina che in India, Stati che hanno preso il posto di precedenti “imperi”, ha giocato un ruolo specifico l’eredità culturale di una diversa concezione del “confine”: lo Stato-Nazione richiede e impone confini espliciti, l’Impero, ossia l’assemblaggio sotto un unico dominio di più realtà statali, “intende come propri entrambi i lati dei confini e delle frontiere comuni”

· Ciò ha consentito in Cindia l’affermarsi di un modo di produzione neo-liberista che ha creato all’interno di un più vasto contenitore una molteplicità di isole, distretti, zone, ed una collegata eterogeneità spazio-temporale, che hanno prodotto linee di confine particolari (città-campagna, produzioni specifiche con differenti regimi lavorativi, vecchio-nuovo, inclusi-esclusi, migrazioni interne epocali)

· Questa zone di confine interne, che incidono, fatto non trascurabile, sulle esistenze di centinaia di milioni di lavoratori, sono luoghi specifici, isole a sé stanti, delimitate ed stranee al resto del territorio, in cui molteplici confini interni favoriscono, e danno un volto, alle nuove “frontiere del capitale”, giungendo a produrre una particolare ed originale forma di “accumulazione originaria”

· Queste nuove “enclosures”, a differenza di quelle alla base della nascita del moderno capitalismo industriale in Inghilterra, non si manifestane, come nel caso “classico” inglese,  solo come appropriazione di terra e risorse naturali, non espellono soltanto dalle campagne creando disponibilità di forza-lavoro, ma attraversano conoscenze, sistemi consolidati di relazioni sociali locali, ricreando nuove linee di divisione e nuovi confini anche interni alla forza-lavoro

Capitolo VIII – PRODUZIONE DI SOGGETTIVITA = I confini, che fermano, bloccano, si attraversano, si abbattano, si rafforzano, in che modo incidono sulla “soggettività” delle persone che con loro sono costrette a misurarsi? A questa domanda i due autori rispondono con riflessioni profondamente legate alla teoria marxista dello sfruttamento e della creazione di “forza lavoro” personificata

· Dimostrata l’’inconsistenza dell’idea che il capitale, specie finanziario, sia globale mentre il lavoro resti ristretto entro confini nazionali, e la validità di quella contrapposta che vede nella globalizzazione da una parte il superamento dei confini geo-politici e dall’altra la corrispondente creazione di altri e nuovi confini spazio-temporali, occorre capire come questi nuovi confini ridefiniscano la soggettività di chi con essi deve fare i conti

· Anche in questo caso è al “lavoratore” che occorre guardare, ossia al portatore fisico di “forza –lavoro” in quanto egli rappresenta la base per la sua stessa definizione come persona; esperienze fra loro apparentemente diverse e lontane evidenziano che per tutta la fase del capitalismo tradizionale, compresi i paesi che hanno sperimentato sistemi sociali alternativi (Stachanov nella Russia Sovietica), la figura che emerge è quella del lavoratore-cittadino, ossia una figura che, racchiusa entro i confini nazionali, attribuisce al singolo lo status di cittadino in quanto produttore di lavoro, in quanto lavoratore

· I diritti individuali, la stessa “soggettività” sociale che ne rediva, sono posseduti sulla base del legame fra la persona ed il suo “sfruttamento”; i sistemi di welfare, da questo punto di vista, hanno in parte garantito l’estensione del diritto di “cittadinanza” anche a chi subiva un allentamento di questo rapporto

· La globalizzazione ha modificato in profondità questo quadro ma non lo ha pienamente spezzato, resta un innegabile nesso tra cittadinanza e lavoro, e la testimonianza più certa è la lotta dei migranti, in ogni area del mondo, per il suo ottenimento

· Alla base sta la dicotomia tra le figure del “soggetto politico”, della “persona giuridica”, del “lavoratore”

· Alla piena “cittadinanza” si sono affiancati per i migranti i concetti di “cittadinanza parziale” e di “semi-cittadinanza”, anche questi però sempre connessi al livello di inserimento nella catena del lavoro, della produzione ed in grado di definire processi di “produzione di soggettività” in un duplice senso: essere nel ciclo della produzione definisce la singola soggettività, l’individuale modo di essere e di sentire, ed al tempo stesso illumina l’apporto che la soggettività dà alla produzione

· Questa “produzione di soggettività”, allargata in modo specifico alle figure dei migranti, ed inserita nel contesto della globalizzazione neo-liberista, implica il superamento di concetti come “massa” e “classe” e la possibile adozione di nuovi termini-concetto (moltitudine?)

· Le politiche neo-liberiste sfumano il confine tra la sfera economica privata e quella politica, implicando la creazione del “soggetto come imprenditore di sé stesso” ridefiniscono lo stesso concetto di “soggettività”, non si è più cittadini solo perché lavoratori, ma perché si entra nello status, più ampio e variegato (inglobando ad es. il ruolo di consumatore), di “homo aeconomicus”

· Si è di fronte ad un processo più complesso ed articolato della semplice contrapposizione tra “inclusione” ed “esclusione”, che mette in crisi il modo con cui, finora, si è risolto il contrasto tra la fase delle lotte (per ottenere diritti) e quella del riconoscimento (costituzioni e norme del welfare), un modo che, all’interno del singolo Stato, produceva, per l’appunto, la figura del cittadino “normale” individuato con criteri di classe, genere, razza, “estraneità”, realizzando in questo modo una sorta di “macchina di differenze”

· Dal punto di vista della teoria marxista della soggettività resta centrale la figura della “persona”, ossia del soggetto umano portatore della merce “forza-lavoro”, una figura “astratta” che cuce insieme la merce ed il diritto

· La moltiplicazione dei confini nel mondo contemporaneo ha sì frantumato la figura unitaria del cittadino e dell’”umano” nei campo dei diritti , ma non ha definitivamente annullato la figura della “persona” portatrice di forza-lavoro

·  In questo quadro frammentato e contraddittorio si muovono le “lotte di confine” ossia le tensioni che investono i flussi dei migranti quando si scontrano con i confini, lotte che non implicano solo il superamento degli stessi, ma la ridefinizione stessa della soggettività dei migranti nel momento stesso del superamento/abbattimento del confine (la protagonista del film “Machete” , un film sulle lotte al confine Usa-Mexico, dice una frase che è la perfetta sintesi di questo duplice aspetto “non abbiamo attraversato il confine, è il confine che attraversa noi”)

· Ed è in questo tratto che si manifesta la persistente validità della visione marxista della “persona”: la ridefinizione di una nuova soggettività del migrante a confine superato sta proprio nella sua capacità/possibilità di acquisire questo status di inclusione, mancando il quale persisteranno, bel oltre il loro aspetto giuridico, condizioni di “cittadinanza parziale”, di “semi-cittadinanza”

· La stessa necessità di comunicazione linguistica, di acquisizione di nuove lingue e vocabolari, della “traducibilità” delle parole e dei concetti in altre lingue ne è una ulteriore controprova: si condividono realmente parole e concetti quando queste e questi si legano ad una comune condivisione di esperienze di vita e di situazioni esistenziali, a partire da quelle lavorative, quando ci si confronta con gli stessi confini

 

Capitolo IX – TRADURRE IL COMUNE = Quali valori, al di là ed in aggiunta a quelli classici della solidarietà e della fratellanza, possono entrare in gioco nella lotta alla gestione capitalistica dei confini?

· Dimostrato che il capitalismo persegue politiche dei confini in funzione delle proprie necessità, adottare il paradigma del “confine come metodo” significa accettare la conseguenza che il confine è in quanto tale terreno di confronto e lotta, significa il tentativo di declinare i confini, abbattendoli quando necessario, verso altre finalità e valori

· Va inoltre ribadito, a sintesi, il meccanismo di creazione e formazione di molti dei confini esistenti: il capitalismo contemporaneo, globalizzato e neo-liberista, nel momento stesso in cui, per le proprie convenienze, supera ed annulla un confine, ne fa sorgere altri.

· Ne consegue che il superamento dei confini capitalistici, perseguibile solo sulla base di valori alternativi, deve preoccuparsi di non ripetere lo stesso meccanismo; tali valori devono avere la capacità di essere il più possibile “inclusivi” e “articolati”

· Il tema dei “bene comune”, dei “beni comuni” (commons), del “comune” in senso lato, ossia nel senso di tutto quello, materiale e immateriale, che l’umanità deve necessariamente condividere, si può prestare ad essere un primo valore sul quale puntare

· Va da subito precisato che il “comune” non va confuso con il generico’ ”universale”; questo è un predicato frutto di un atto intellettuale di definizione, il primo è “una realtà indipendente dall’intelletto”, è un dato di fatto “reale”

· Da questa consapevolezza non può però derivare l’illusione che il comune sia valore acquisito e consapevole, la sua adozione richiede una precisa e ragionata articolazione; ed il processo della sua articolazione si innesca immediatamente con la tematica dei confini

· Storicamente l’umanità è intervenuta sul comune sia con i processi che hanno prodotto la proprietà privata sia con quelli che hanno creato la proprietà pubblica, definendo in tal modo i confini dei terreni, delle proprietà, degli Stati e delle loro articolazioni

· L’epoca attuale continua a muoversi in questo senso, rimodellando i confini, creandone di nuovi, in una sorta di continua fase di “enclosures”, di “accumulazione originaria”

· Sta nelle lotte che in ogni parte del mondo si oppongono a questa perenne creazione di “limes” lo spazio per definire una diversa idea del “comune”

· E’ un percorso certamente non facile, tale da imporre riflessioni, anche critiche su, concetti apparentemente corretti e positivi, quali quello stesso di “comunità”; la quale, proprio per la propria affermazione, spesso si trascina la tendenza a porre confini

· Un’altra difficoltà nasce dalle complessità di “traduzione” (nel senso già evidenziato nel Cap. VIII) non sempre lotte che riguardano la stessa problematica di gestione del comune riescono a “parlare la stessa lingua”, ad entrare immediatamente in relazione

· Le lotte nelle zone di confine, le lotte lungo i confini, pur nelle contrapposizioni talvolta tragiche che spesso innescano,  pur con le contraddizioni che inevitabilmente implicano, possono essere uno straordinario momento di crescita in questo senso

1 commento:

  1. Ho appena finito di leggere un libro pubblicato qualche anno fa da Toni Morrison (premio Nobel 1993) intitolato "Amatissima"(premo Pulitzer 1987), ne avevo sentito alla radio alcune puntate recitate da una
    bravissima attrice Maria Paiato ed ero molto incuriosita.
    Parla dei neri che dal 1500 al 1800 furono deportati in America,non si conoscono le cifre esatte ma si parla di dieci-quindici milioni di individui dei quali tre su quattro morivano prima e durante la traversata, niente di nuovo sotto il sole di questo tempi.
    Era come dice Toni Morrison "una storia da non tralasciare".
    Ma la cosa che si collega, a proposito di confini, tralasciando la storia piena di torture, assassini, violenze di ogni genere è la percezione dei neri di non essere individui e quando, dopo la guerra di secessione americana, i neri pian piano scoprono di conoscere e possedere se stessi (soprattuto le donne) e, come suggerisce Morrison, significa essere in grado di riconoscere i propri confini, il luogo dove termina il sè e comincia il mondo significa distinguere se stessi dagli altri e riconoscerli come distinti da sé.
    Questo mi ha fatto riflettere su un altro significato di "confine" che per me é sempre stato parte normale nella mia percezione di individuo ed ecco perchè, tra gli immigrati, io provo sempre molta pena ( non so se è la parola giusta e comprensiva di questo sentimento che mi sta dentro) per le persone di colore
    diverso dal mio.

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