Relazione sulla conferenza
della dottoressa Mirella Rostagno:
“La trasformazione dei
ruoli e delle identità nella famiglia che cambia”
Per riflettere sui cambiamenti che si sono
verificati, nel corso degli ultimi decenni, rispetto alle modalità del “fare
famiglia” – intendendo con questa espressione un insieme di elementi relativi
all’interpretazione dei ruoli parentali, agli stili educativi, ai valori e ai
riti – la dottoressa Mirella Rostagno ha potuto attingere, oltre alla sua
competenza psicoanalitica, ad una collaudata esperienza di perito e collaboratrice dei giudici minorili presso il
Tribunale di Torino e di socia del Centro studi di psicologia forense. Questo
ha dato al suo intervento un’ampiezza teorica e insieme una concretezza di
riferimenti che sono stati particolarmente apprezzati dal pubblico di
CircolarMente, anche se non possono trovare in questa relazione necessariamente
riassuntiva tutto lo spazio necessario per disporsi con interezza.
* Da Edipo a Narciso:
Dopo questa precisazione, che ci pare giusto
evidenziare, veniamo ai temi più importanti che sono emersi nel discorso, a
partire dalle due immagini simboliche di derivazione psicanalitica di cui la
relatrice si è avvalsa per marcare una differenza forte fra la famiglia del
passato e la famiglia di oggi. Basata,
la prima, sulla chiara definizione di due distinti ruoli parentali e sulla
centralità dell’adulto rispetto al bambino, con modalità educative che pur non
prescindendo dall’affetto ponevano l’accento sulla gestione della quotidianità
e su di un preciso impianto normativo, con regole che si supponevano
inderogabili e la cui trasgressione era in generale severamente sanzionata
dall’esterno e vissuta con ilteriori sensi di colpa; una famiglia certo stabile
e fornitrice di sicurezze, ma cristallizzata nella tradizione e certamente poco
incline a valorizzare le differenze individuali rispetto alla conservazione di
un preciso ordine familiare e sociale.
Un modello che ha visto nel giro di pochi decenni un
cambiamento sostanziale, rovesciandosi talora nel suo opposto col contrapporre
alla centralità dell’adulto quella del bambino, che diventa in questo caso il
destinatario di modalità educative intese ad esaltare la libera espressione
della sua individualità, incapaci peraltro di assicurare quel contenimento
educativo indispensabile alla crescita. Una famiglia in cui i genitori talvolta
si pongono come “amici” dei figli, mostrando di non saper distinguere la
differenza che è espressione di mero potere e che è giusto rifiutare da quella
che nasce dall’esperienza, dalla consapevolezza e soprattutto dalla
responsabilità educativa, e che chiede pertanto venga invece riconosciuta
quella chiara distinzione fra “grande” e “piccolo” la cui mancanza lascia di
fatto il bambino da solo in uno spazio
vuoto. Ora è davvero il tempo, secondo il giudizio della relatrice che non
nasce da una posizione ideologica ma da un impianto teorico nutrito e
vitalizzato dall’esperienza, di cambiare le regole del gioco recuperando il
dovere dell’adulto di costruire, facendosene carico in prima persona, un quadro
coerente di regole che siano credibili e in cui si aprano spazi importanti di
condivisione, per fondare un vero “patto
educativo” con chi ha l’esigenza di essere guidato con le modalità corrette ad
una progressiva assunzione di autonomia personale.
Parlare di regole condivise si può prestare in
effetti a possibili fraintendimenti, pertanto la dottoressa Rostagno,
rispondendo ad alcuni interventi del pubblico, ha specificato che condividere non
significa mettere sulle spalle del bambino la gestione delle norme e delle
scelte familiari: l’adulto ha certamente non solo il diritto, ma anche il
dovere di prendere in prima persona
delle decisioni, prevedendo
tuttavia che il bambino possa fare lui stesso, ogni qualvolta sia
possibile, delle scelte assumendosene la responsabilità, perché la coerenza si
impara anzitutto sperimentandola attraverso esperienze reali, per non
risolversi in qualcosa di puramente formale e alla lunga fittizio.
Certo non è facile l’esercizio della responsabilità
genitoriale, nondimeno bisogna essere consapevoli, secondo la relatrice, che la
perdita della funzione contenitiva della regola produce guasti che dal suo
punto di osservazione di terapeuta e di collaboratrice del Tribunale dei minori
le risultano evidenti, assieme ad altri problemi che si sono fatti via via più
inquietanti. Nella nostra società narcisistica, dove l’immagine è tutto, quando
il bisogno di rispecchiarsi nello sguardo degli altri cercando attraverso di essi
il riconoscimento di sé non viene soddisfatto, quando questa immagine si
incrina, chi è più fragile può avvertire
questa mancanza come un tradimento insopportabile della coerenza
interna, che lo induce a ritirarsi dallo sguardo che annulla fino ad annullare
a volte se stesso.
La cronaca ci mostra ormai con drammatica evidenza
che la vergogna ha preso il posto, come foriera di sofferenza psichica, di quel
senso di colpa che nella società edipica derivava dalla trasgressione di regole
che venivano percepite come emanazione da un’autorità superiore, e che anche se
negate rimanevano pur sempre presenti
sullo sfondo: un sentimento altrettanto doloroso, pur tuttavia passibile di
riscatto, mentre secondo la dottoressa Rostagno è ancora più difficile superare
la svalorizzazione della propria immagine, soprattutto nei soggetti giovani e
insicuri. Per questo motivo oggi si pone molta attenzione nel predisporre, per
i ragazzi che si sono resi responsabili di un reato, dei percorsi riparatori
che non mettano ulteriormente in crisi l’immagine di sé, offrendo loro una
possibilità di maturazione attraverso esperienze formative senza macchiare
ulteriormente e in modo indelebile il loro profilo esteriore ed interno.
* Dal ruolo alla funzione:
Dopo aver affrontato il tema della responsabilità
genitoriale, che non a caso ha sostituito anche a livello legislativo il
termine ormai desueto di potestà, la dottoressa Rostagno ha messo a fuoco, con
il concetto di “funzione”, un altro elemento fondamentale del cambiamento relativo
ai ruoli parentali e alla connessa identità di genere.
Nella famiglia del passato venivano infatti
riconosciuti e addebitati ai genitori competenze e doveri differenziati: alla
donna e madre l’accudimento, la gestione del quotidiano e lo spazio dell’intimità,
all’uomo e padre il sostegno economico della famiglia attraverso il lavoro e il
ruolo di garante normativo dell’ordine familiare e sociale. Questa suddivisione
di compiti così netta e “sessuata” oggi non è certo proponibile nella stessa
forma, e i ruoli parentali appaiono sempre più orientati verso
un’intercambiabilità che può essere molto evolutiva, arricchendo l’identità di
ognuno di competenze, saperi, esperienze trasformative (pensiamo solo a cosa
può significare sul piano emotivo e relazionale, per un uomo, l’accudimento dei
figli – il cosiddetto “maternage” – come per una donna la possibilità di
esplicare le proprie capacità non solo come moglie e madre). Naturalmente
l’entrare ognuno nel campo dell’altro può generare conflitti – non è più così chiaro
cosa tocca fare a chi – ma questo non dipende tanto dallo sfumare della
separazione fra i ruoli quanto dalla eventuale carenza di quelle capacità di
mediazione e di negoziazione che risultano indispensabili e vanno ovviamente
potenziate. Quello che è invece importante evidenziare, secondo la relatrice, è
come il riconoscimento della maggiore ampiezza delle potenzialità interne ad
ogni persona conduca a parlare non solo di madri e padri bensì di “funzione”
materna e paterna: in altri termini non è il ruolo che va sancito ma la
funzione, che non deve mancare nella buona crescita di un bambino e che può
essere esercitata adeguatamente da ciascuno dei due genitori, a seconda della
loro attitudine personale.
Questo ci fa comprendere come nelle separazioni sia
oggi non solo possibile, ma in certi casi addirittura opportuno l’affidamento
dei figli al padre indipendentemente dall’età di questi ultimi, e come la
pratica ormai diffusa dell’affidamento congiunto riposi sia su principi di
parità che su di un dato esperienziale ormai acquisito culturalmente. Allo
stesso modo non sono attualmente escluse dall’affido di minori in difficoltà le
famiglie omosessuali, qualora si riscontri in esse la capacità di rispondere
all’esigenza del bambino di poter usufruire di entrambe le funzioni. Diverso
peraltro è il caso dell’adozione: non
perché queste famiglie vengano a priori ritenute inadeguate ad assicurare una
buona crescita (dal punto di vista psicologico, ormai suffragato da ricerche
importanti, soprattutto statunitensi, risulta ormai con sufficiente evidenza
che i bambini cresciuti in famiglie omosessuali non si discostano dai loro coetanei quanto a salute psichica e
a maturazione identitaria) ma perché in un ambiente sociale in cui i germi
dell’omofobia purtroppo sono ancora abbastanza vitali, si ritiene per ora di
dover tutelare, in virtù di questo, dei bambini che hanno già subito il trauma
della mancanza dei genitori.
* Criticità
e potenzialità:
la
famiglia alla sfida del presente e del futuro
Da qui in avanti, la dottoressa Rostagno ha
allargato la conversazione a temi diversi, intrecciandoli nel discorso, dopo
aver ulteriormente ribadito – a proposito di separazioni - come la
responsabilità genitoriale dovrebbe costituire in questi casi un vero e proprio
monito, sufficiente ad evitare quella svalorizzazione dell’altro che
costituisce a suo giudizio il rischio maggiore di ricaduta negativa sulla
tenuta psicologica dei figli e sul loro modo di pensare e di vivere poi la
famiglia e la relazione di coppia.
Si tocca anche con particolare incisività il
problema della violenza, che pur non costituendo lo specifico dell’incontro è
ben presente sullo sfondo, dal momento che la riflessione sulle trasformazioni
della famiglia è stata organizzata da CircolarMente come momento di
partecipazione al progetto “Impronte”,
presentato a inizio serata dall’
Assessore alle pari opportunità, dott.sa Rossella Morra.
Nell’indicarne le linee guida, l’assessore ha
spiegato come l’amministrazione abbia cercato - nella consapevolezza
dell’accentuarsi dei conflitti familiari e dell’acuirsi della violenza di cui
sono spesso vittime le donne - di dare vita ad alcuni interventi intesi da un
lato ad aiutare le associazioni che lavorano sul campo a fare rete, fornendo dei materiali informativi, dall’altro ad
offrire alle donne tutta una serie di opportunità ludiche, sportive e culturali
utili per uscire dall’isolamento, agendo nel contempo a livello di prevenzione
col proporre alle scuole dei momenti di approfondimento e col valorizzare l’impegno
degli insegnanti che sono sensibili a questi temi.
Ora è indubbio, secondo la relatrice (che preferisce
porre l’attenzione sulla violenza tout court, senza declinazioni di genere) che
la trasformazione del ruolo delle donne può aver messo in difficoltà quegli
uomini che basavano il proprio riconoscimento su di un ruolo di potestà e che
non hanno sufficiente consapevolezza e maturità per accettare la perdita di
queste sicurezze, per quanto fragili. Tutti abbiamo infatti bisogno di essere
riconosciuti per riconoscerci, e la violenza diventa talvolta un modo
patologico e deviato per riaffermare questo bisogno che non sa esprimersi
diversamente e che la sanzione sociale non basta a contenere, oltre al fatto
che dovrebbe essere ancora più avvertita a livello di coscienza collettiva.
Secondo la dottoressa Rostagno peraltro è molto importante ricordare che per
proteggere davvero le donne bisogna aiutare gli uomini a ritrovare il loro
valore, perché possano riuscire a
costruire un’identità nuova e più evoluta (si vanno organizzando infatti percorsi specifici di aiuto per quegli uomini
che si rendono conto di essere in difficoltà, e che nel gruppo spesso riescono
a riconoscere la violenza come un male interno, recuperando in molti casi
la possibilità di ricostruire percorsi
di vita che hanno reso gravidi di
infelicità per gli altri e per se stessi).
E’ indispensabile, oggi, dare vita ad una diversa
alleanza, che consenta a uomini e donne di affrontare insieme le difficili
sfide che attengono non solo alla strutturazione interna alla famiglia, ma
dipendono dal contesto sociale. E’ infatti su di esse che si ragiona nella
parte conclusiva dell’incontro, evidenziando dapprima alcuni problemi a cui la
relatrice stessa fa riferimento a partire dalla sua esperienza professionale
(in particolare, menzionando le difficoltà del confronto, anche a livello
giuridico, con modalità culturali diverse di pensare e di fare famiglia, oltre
all’emergere di nuove patologie e sofferenze psichiche che si manifestano in
coloro che si trovano sbalzati all’interno di società molto diverse da quelle
di appartenenza, e che devono costruire non facili percorsi di integrazione).
In altri casi si segue invece il filo degli interventi del pubblico, che
mettono in rilievo sia la precarizzazione del lavoro, che rende davvero difficile, per i giovani, impostare
un progetto di vita familiare, che la progressiva riduzione del Welfare, che
obbliga le famiglie a sopperirne le carenze, e ancora, in un allargamento
ulteriore dello sguardo, la dissociazione fra una società dove la deregolazione
sta diventando sempre più evidente e una famiglia che dovrebbe invece impostare
su regole coerenti il suo lavoro educativo, senza contare certi venti di
reazione che spirano un po’ ovunque
attivando nostalgie di ritorno ad un
mitico “ordine” del passato.
Su questi temi peraltro la dottoressa Rostagno ha
aperto immagini di speranza, evocando il valore della resilienza, che ci spinge
a non dismettere le nostre idealità e a riconfermare i gesti del quotidiano che
le accompagnano, sapendo che i venti possono anche mutare e le voci urlate
affievolirsi alla prova della realtà, e soprattutto sottolineando l’importanza
di lavorare sulle sfumature, senza sottovalutare l’emergere nelle nuove
generazioni di creatività e talenti
inaspettati che ci fanno porre
fiducia nella loro capacità di
affrontare il futuro.
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