mercoledì 24 maggio 2017

Sintesi delle conferenza del Prof. Giuseppe Berta - 19 Maggio 2017


Sintesi della conferenza del Prof. Berta del 19 Maggio 2017



La conferenza del Prof. Giuseppe Berta ha chiuso il nostro programma 2016-2017 alla presenza di un pubblico davvero numeroso ed attento, sicuramente attratto dallo spessore intellettuale del relatore e dalla pressante attualità del tema all’ordine del giorno:
Le trasformazioni del tessuto industriale ed economico nel torinese e nella Valle di Susa.
Non fosse bastato il richiamo all’importanza della tematica fatto, nella presentazione della serata e del relatore, dalla nostra Presidente Massima Bercetti l’intervento di saluto del Sindaco Angelo Patrizio ha immediatamente testimoniato il peso sociale della questione. Era egli infatti reduce da una assemblea pubblica, tenutasi appena prima nel pomeriggio, per discutere della drammatica situazione occupazionale della Ditta Savio di Chiusa San Michele che ha annunciato un centinaio di esuberi su un totale di trecento addetti. Traspariva evidente dalla sue parole una sentita e preoccupata amarezza per il forte impatto della vicenda, accentuata dalla constatata impotenza delle risposte istituzionali attivabili in sede locale e dalla consapevolezza di avere di fronte problematiche, legate ai meccanismi riconducibili alla concorrenza universale imposta dalla globalizzazione, che appaiono insuperabili anche da parte di imprese, quale sembra essere la stessa Savio, che hanno accettato e tentato di gestire la sfida del mercato. Ulteriormente stimolato da questa drammatica presentazione il Prof. Berta ha subito chiarito il taglio che intendeva dare alla sua relazione, proprio per tentare di rispondere all’accorato appello di “capire cosa sta succedendo”. Non avrebbe fornito più di tanto dati e statistiche, magari correndo il rischio di “spiazzare” in qualche modo le aspettative del pubblico, per cercare piuttosto di evidenziare i processi più di fondo che stanno determinando il quadro molto problematico che si ha di fronte. A suo avviso infatti il vero problema non consiste soltanto nel dimensionare la questione e, su questa base, di ipotizzare provvisorie vie di uscita, ma piuttosto nella difficoltà a collocare azioni di risposta, le più efficaci e sostenibili possibili, nelle tendenze di fondo che, quindi, diventa indispensabile conoscere ed analizzare. Ci ha in sostanza invitato a puntare la nostra attenzione non solo sul “cosa sta succedendo”, anche in sede locale, ma soprattutto sul più impattante “perché sta succedendo”. Passaggio indispensabile anche per cercare di dare risposte al senso diffuso di “spaesamento” che ha inevitabilmente colpito tutti noi di fronte a fenomeni così sconvolgenti e che hanno inoltre un forte carattere di “indecifrabilità”.

In questa direzione, con queste finalità, ha preso le mosse la sua relazione.
Che non poteva comunque non partire da alcuni dati che danno immediatamente senso e sostanza alla sua analisi. Le due tabelle illustrate, e dalle quali si è sviluppata la conferenza, evidenziano l’evoluzione nel trentennio 1986-2016 dell’incidenza dei quattro macro-settori “Agricoltura-Manifatturiero-Costruzioni-Servizi” sul totale dell’economia piemontese:





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(N.B. = per aiutare tutti noi a meglio comprendere il quadro di riferimento abbiamo ritenuto opportuno integrare i dati forniti dal Prof. Berta con alcuni altri, reperiti nel sito ufficiale della Regione Piemonte, relativi alla evoluzione del PIL e del tasso di disoccupazione regionali
Dinamica del Pil in Piemonte (valore in milioni di euro) Fonte Istat


Tasso di disoccupazione sul totale della popolazione attiva (15 - 64 anni)     Fonte Istat

Sono facilmente rilevabili il crollo del PIL in coincidenza con la crisi del 2007/2008, seguito da una ripresa debole ed incerta che si accompagna però con una crescita, anch’essa iniziata nel 2008, costante del tasso di disoccupazione)
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Le denominazioni dei quattro macro-settori sono di facile comprensione per agricoltura – costruzioni – manifattura, più difficile è determinare con sufficiente precisione cosa si debba intendere per servizi.
Questa denominazione non può più essere assimilata soltanto a quella del “terziario”, che individua una serie di attività di servizio correlate agli altri tre macro-settori ed alcuni settori “tradizionali” (commercio, turismo, settore pubblico in genere) , ma ingloba ormai una serie di attività e figure professionali molto più vasta e cresciuta di molto con l’avvento delle tecnologie informatiche e di comunicazione via rete, e della stessa crisi del Welfare.
Fatta questa doverosa precisazione emerge chiaramente che a fronte di una relativa stabilità dell’incidenza dell’agricoltura e delle costruzioni nel trentennio preso in considerazione (1986-2016) si è verificato una diminuzione molto significativa del peso della manifattura a fronte della corrispondente crescita dei servizi.
Questo è un dato di grande importanza sul quale riflettere: non è infatti una anomalia “piemontese” ma è perfettamente in linea con una tendenza presente in tutte le economie occidentali, una tendenza “centrale” per tentare di meglio  comprendere quel “perché sta succedendo”.
Il prof. Berta ha infatti evidenziato che, nell’ambito della globalizzazione, lo spostamento (tuttora crescente) di una quota molto significativa della produzione manifatturiera verso altre aree (fenomeno che ha colpito in modo pesante la nostra economia) ha accelerato una trasformazione “strutturale” delle economie del vecchio mondo messa in moto dalle potenzialità operative frutto dell’evoluzione tecnologica, specie informatica, degli ultimi decenni.
In sostanza nei prossimi anni, ed è un orizzonte “a breve”,  si completerà per la parte del mondo che comprende i paesi storicamente più ricchi un processo, dal Prof. Berta giudicato inarrestabile, di passaggio da una economia basata sulla “logica di produzione” ad una fondata sulla “logica del servizio”., ossia una economia nella quale la gran parte delle prestazioni non sarà più quella della produzione-vendita di beni e manufatti ma quella della “fornitura integrata” di servizi anche associati a beni e manufatti.
I  numeri piemontesi 1986-2016, nel loro "piccolo",  sono pertanto solo la punta di un iceberg decisamente più grande che sta ineluttabilmente montando, sono l’anticipo, un piccolo assaggio,  di una nuova e profonda “rivoluzione economica”.
L’esempio più significativo di questa tendenza è fornito proprio dal “prodotto” simbolo dell’economia consumistica novecentesca: l’automobile.
L’industria automobilistica mondiale tutta, ma non a caso anche i giganti del Web, stanno concentrando ricerca ed investimenti sull’evoluzione dell’auto in un “servizio di trasporto”, alla cui base resterà certamente un “prodotto” (ma profondamente modificato: elettrico, connesso, a guida automatica, non più di mono-possesso e quindi realizzato su scale minori di unità prodotte) che fornirà un “servizio integrato” di spostamento e trasporto messo a disposizione di una pluralità di utenti. Non è fantascienza, è la prossima frontiera dell’auto degli anni venti prossimi venturi.

Ma più in generale questa tendenza investe ormai tutte le manifatture “intelligenti”, ossia quelle ad alto contenuto tecnologico, per le quali la vendita del prodotto sempre più stabilmente si accompagna alla fornitura di un servizio costante di assistenza, controllo, implementazione, adattamento. Queste attività di servizio correlate alla produzione, già oggi, valgono mediamente un quarto del volume complessivo di fatturato delle imprese che ne sono protagoniste.

L’intreccio, all’interno della dimensione del settore “servizi”, di attività di diversa natura sta così creando una sorta di “catene”, sempre più articolate e onnicomprensive, che non modificano solo il rapporto fra produttore e consumatore, ma implicano una corsa di continuo adattamento alle innovazioni tecnologiche che, indipendentemente dallo specifico comparto nel quale si realizzano, modificano immediatamente, proprio per questo stretto intreccio, l’intera filiera industriale.

Questo significa, tornando al cuore del problema della ricadute sul mercato del lavoro, una costante modificazione delle figure professionali: il mondo del lavoro, contrariamente a quanto succedeva nella classica produzione di fabbrica del secolo scorso, è investito da continui cambiamenti non esistendo più competenze, e quindi “qualifiche e mestieri”, stabili ed acquisite.

In questo quadro il “posto di lavoro” diventerà sempre più una sorta di conquista continua,  un perenne “aggiornamento”, con esiti facilmente prevedibili in termini di precarietà ed incertezza occupazionale (per meglio comprendere questo trend il Prof. Berta ha consigliato la lettura del saggio di Martin Ford “il futuro senza lavoro” – Edizioni Il Saggiatore – 2017).

Come se tutto ciò già non bastasse occorre poi considerare il crescente impatto sui livelli occupazionali, più direttamente collegati alla “produzione”, della “robotica”, (la cosiddetta “fabbrica 4.0). La logica di realizzazione di profitto mediante la leva inesorabile di “abbattimento” dei costi si sposa facilmente con le potenzialità di crescenti automazioni offerte dalla tecnologia.

Inoltre un posto di rilievo nei processi di trasformazione in atto è ormai stabilmente assunto dalla dimensione del “on-line”, che sta sempre più modificando le attitudini e le abitudini dei consumatori; anche la commercializzazione e la distribuzione di prodotti da una parte sfruttano al meglio la “robotica” e dall’altra rientrano in pieno nella “economia di servizi”.

La conseguenza più significativa, ancora una volta soprattutto come impatto sul mercato del lavoro, è la scomparsa delle figure intermedie, ossia di buona parte di quelle figure professionali che, nello storico comparto ampio dei “servizi” ossia del "terziario", assicuravano una parte importante delle prestazioni.

L’informatica spinta, il Web, hanno consentito l’affermarsi di un fenomeno sempre più impattante di “disintermediazione”. Si fanno acquisti on line, si gestiscono conti bancari, si prenotano viaggi e vacanze, comodamente dal proprio pc, tablet o smartphone, (in casa o come si è detto dall’auto), ma questa apparente “comodità” sta anch’essa inesorabilmente, e con una incidenza sin qui decisamente sottovalutata, cancellando posti di lavoro.

A fronte di questo contesto tendenziale, messe meglio a fuoco alcune delle spiegazioni più di fondo sul “cosa sta succedendo e perché”, quali possono essere le azioni da mettere in campo per non esserne stravolti? Come si colloca in questo quadro la situazione specifica italiana e con essa quella piemontese e torinese? Quali sono gli eventuali punti di forza e quali i ritardi da recuperare?

Il Prof. Berta si è in primo luogo concentrato su alcuni nodi irrisolti che, allo stato attuale, stanno penalizzando l’adattamento del tessuto economico e produttivo, anche locale, al processo verso l’economia di servizi. Questi nodi sono essenzialmente quattro:

     DIGITALIZZAZIONE = è ancora insufficiente e non adeguata la trasformazione tecnologica dei sistemi produttivi

     ASSETTO D’IMPRESA = tuttora sospeso fra i residui della grande impresa e dimensioni aziendali spesso non adeguati al contesto di mercato

     INTERNAZIONALIZZAZIONE = lo sguardo sui mercati da seguire non si apre a sufficienza verso orizzonti più ampi

     QUALITA’ E PRODUTTIVITA’ DEL CAPITALE UMANO = non possiamo contare su un numero adeguato di laureati, non si investe a sufficienza su (ri)qualificazione professionale, non si incentiva abbastanza l’utilizzo delle nuove competenze.

Terminata questa prima parte della conferenza il Prof. Berta ha poi avuto modo di precisare, rispondendo alle numerose domande, alcuni passaggi:

·      La tecnologia e l’innovazione sono ormai un fattore di traino ineliminabile, ma non pochi loro aspetti “pericolosi” giustificano ampiamente la necessità di “codici etici” che possano essere di giusto bilanciamento

·      La finanza rappresenta un mondo a è stante, slegato da qualsivoglia finalità diversa dalla creazione di denaro mediante denaro, e va sicuramente regolamentata; la fiscalità può essere uno strumento fondamentale per incidere su questi squilibri e sull’aumento delle diseguaglianze economiche, in particolare è urgente intervenire sulla massa incredibile di profitti realizzati dai padroni del Web che a tutt’oggi sfuggono ad una equa tassazione

·      La politica è la grande assente in tutti questi processi, lo è per il ruolo che le dovrebbe competere di “governo” di queste dinamiche, lo è perché non riesce ad attuare politiche che le accompagnino intervenendo sulle contraddizioni che si trascinano dietro, lo è, ancora di più, quando vestendo la maschera dei populismi, promette soluzioni semplicistiche che non sono assolutamente praticabili e ancor meno risolutive

·      Il vuoto della politica investe anche il processo di unificazione europeo che ancora sconta il peccato originale di aver introdotto una moneta unica prima di creare una maggiore compenetrazione negli altri aspetti fondamentali dell’economia (legislazione del lavoro, politiche fiscali e del welfare)

·      I costi sociali delle trasformazioni in atto saranno sicuramente altissimi, prima di poter attuare le necessarie modifiche ed adeguamenti, sperando che non tardino ulteriormente, sarà inevitabile fare i conti con gravi problemi occupazionali. Ancora una volta la politica è chiamata a definire politiche di contenimento e gestione che, a suo parere, non possono consistere unicamente in assistenzialismo (reddito di cittadinanza, ad esempio) che rischiano solo di incentivare arrendevolezza se non pratiche clientelari

Infine, riprendendo più sollecitazioni e richieste di chiarimento, Il Prof. Berta ha tentato di fornire un percorso per gestire sul breve periodo quanto si sta delineando. Tutti i processi illustrati richiederanno comunque tempo per realizzarsi pienamente, c’è spazio, se tutti gli attori chiamati ad intervenire faranno la loro parte, per prepararsi agli scenari futuri e per intervenire sui contesti attuali ed intermedi. L’Italia, Piemonte e Torinese compresi, deve avere più consapevolezza dei suoi attuali punti di forza. Così come evidenziato nel suo ultimo saggio “Che fine ha fatto il capitalismo italiano” (da noi sintetizzato e pubblicato come post nel nostro blog di CircolarMente) e così come confermato da altri studi ed inchieste (citiamo in particolare un interessante articolo di Luca Piana apparso sull’ultimo numero dell’Espresso del 21 Maggio dal titolo “Ci restano solo le industrie sbagliate”) l’economia italiana vanta due punti di forza: alcune imprese statali di grandi dimensioni (Enel, Eni, Leonardo) e la rete delle imprese in gran parte di medie dimensioni, ma più innovative come apertura ai mercati ed alle tecnologie, in grado di formare (ovvero di mantenere) quel reticolo di attività omogenee insistenti su territori ben delimitati che formano i cosiddetti “distretti” (del tessile, dell’agro-alimentare, del dolciario, della ceramica, dei componenti auto-motive e dell’automazione, per citarne alcuni).

Da questa realtà bisogna (ri)partire sapendo che la complessità dell’economia dei servizi lascerà inevitabilmente scoperti i suoi estremi, la fascia più alta  di grande qualità e la fascia più bassa delle attività non compenetrabili nelle future strutturazioni.

Dai distretti attuali e da quelli, potenziati, del futuro, così come dall’agricoltura e dall’artigianato di qualità, possono venire insospettate, perché sin qui sottovalutate, potenzialità di tenuta.

In un ultimo passaggio della sua conferenza, rispondendo ad una domanda sul ruolo della Università, il Prof, Berta ha fornito una risposta che sicuramente è stata apprezzata dai soci e dal pubblico di Circolarmente: l’Università non deve solo fornire conoscenze e competenze ma deve dotare i suoi studenti di “coscienza critica”, verso la società ed il mondo circostanti, dote indispensabile per capire dove si sta andando e “cosa e perché sta succedendo”.

In fondo, nel nostro piccolo, è quello che cerca di fare CircolarMente.

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