Ci sembra
interessante l’ultimo saggio di Roberto Calasso dal titolo
“L’innominabile
attuale”
in quanto si collega
a tematiche affrontate nei nostri programmi precedenti e ad alcune che affronteremo a breve.
Così cita il
risvolto di copertina:+
……..Turisti, terroristi, secolaristi, hacker,
fondamentalisti, transumanisti, algoritmici: sono tutte tribù che abitano e
agitano l'innominabile attuale. Mondo sfuggente come mai prima, che sembra
ignorare il suo passato, ma subito si illumina appena si profilano altri anni,
quel periodo fra il 1933 e il 1945 in cui il mondo stesso aveva compiuto un
tentativo, parzialmente riuscito, di autoannientamento. Quel che venne dopo era
informe, grezzo e strapotente. Nel nuovo millennio, è informe, grezzo e sempre
più potente. Auden intitolò L'età dell'ansia un poemetto a più voci ambientato in un bar
a New York verso la fine della guerra. Oggi quelle voci suonano remote, come se
venissero da un’altra valle. L’ansia non manca, ma non prevale. Ciò che prevale
è l’inconsistenza, una inconsistenza assassina. È l’età dell’inconsistenza……..
E questa è la sintesi
critica, molto bella, che Marco Belpoliti ne fa sulla rivista on-line “Doppio Zero” (sito caldamente
consigliato)
…………..Roberto Calasso è interessato ai terroristi.
Non quelli del passato, ma a quelli del presente: i terroristi islamici. Sono
l’incarnazione di una questione che lo ossessiona dai tempi della Rovina di Kasch (1983): il
sacrificio. I giovani terroristi suicidi di Parigi, Londra, Berlino, Nizza,
Barcellona con il loro sacrificio protraggono nel mondo contemporaneo – l’età
dell’inconsistenza, come la chiama Calasso – un rituale fondamentale che
sembrava scomparso nel regno della modernità. Attraverso i ragazzi dell’Isis e
di al-Queda il sacrificio celebra nuovamente i suoi fasti: “Il terrorismo
islamico è sacrificale: nella sua forma perfetta, la vittima è l’attentatore”.
Un ritorno al passato? Non proprio. C’è una differenza sostanziale rispetto al
sacrificio arcaico del mondo ciclico evocato nella Rovina di Kasch. In quel libro, costruito per frammenti,
giustapposizioni, montaggi, l’antica macchina sacrificale “era concepita per
stabilire un contatto e una circolazione tra visibile e invisibile”, mentre
l’attentatore che oggi uccide morendo è perfettamente visibile, misurabile,
quantificabile, fotografabile. In L’innominabile
attuale, volume appena pubblicato da Adelphi, Calasso aggiorna il libro
del 1983, aggiunge 180 pagine di postille trent’anni dopo. Il mondo è cambiato,
ma la lettura che Calasso ne dà resta imperniata sull’asse cosmico, con una
differenza di prospettiva: “Come i missili, l’attentato sacrificale punta verso
il cielo, ma ricade sulla terra”. Nel nuovo sistema sacrificale dei terroristi
islamici il Cielo non è raggiunto. Lo scambio tra visibile e invisibile,
quantità e qualità, non accade più, e tuttavia il paradigma sacrificale di
Calasso resta identico. Come aveva notato Italo Calvino, recensendo all’epoca La rovina di Kasch, con la nascita
della modernità il sacrificio cruento aveva lasciato le ragioni del sacro per
trasformarsi in “esecuzioni ispirate dalla ragion politica o dagli stermini nel
corso di qualche esperimento
che dovrebbe avvicinarci alla felicità umana”. Un nome per tutti: Pol Pot e i Khmer
rossi, uno dei più sconvolgenti genocidi della seconda metà del XX secolo
condotto in nome dell’ideologia. E ora? Quale novità ci racconta Calasso? Il
suo libro è intriso di malinconia e insieme cinismo, di catastrofismo e
lucidità; è un libro scritto sull’orlo di un precipizio con lo scopo di
reiterare la propria condanna del mondo contemporaneo, una condanna che
continua con costanza e intelligenza da molti anni. Calasso coglie però in
questo libro il tema fondamentale del terrorismo islamico attuale e lo mostra
in poche frasi: le vittime sono i terroristi, non i morti. Sono loro, le
vittime, che uccidendosi rendono perfetto l’omicidio di decine di persone. Una
verità che è stata spiegata benissimo da Albert Camus in L’uomo in rivolta (1951), un libro
che stranamente Calasso non cita, e che è la più lucida disanima del terrorismo
dall’epoca del suo debutto nella Russia zarista nel XIX secolo. Ora
“predominano gli attentati degli assassini-suicidi che si fanno esplodere”. Perché
lo fanno? Il loro gesto contiene una grandezza, o presunta tale, che a noi
sfugge: io mi uccido, dice il terrorista islamico, per ciò in cui credo; lo
faccio contro i vostri valori, quelli per cui voi invece vivete: i valori del
materialismo, a partire dal consumismo. Voi vivete per questo, io mi sacrifico
contro questo. L’autore di L’innominabile
attuale non scandaglia le ragioni psichiche o sociali di questi giovani,
preferisce tenere il discorso su un piano che un tempo si sarebbe detto
“ideologico”, e che, nel suo caso, è più giusto chiamare “metafisico”. Calasso
ragiona solo per grandi orizzonti, evidenziando le immense forze che muovono il
mondo, spesso a nostra insaputa. Egli osserva quello che accade dall’alto, da
una posizione elevata. Paradossalmente è proprio quest’altezza dello sguardo,
il titanismo implicito nella sua posizione, titanismo che si sposa spesso a un
sarcasmo pungente, che gli permette di cogliere dettagli decisivi alla
comprensione del tutto. Il primo è la coincidenza tra il terrorismo islamico e
la diffusione della pornografia in rete. Negli anni Novanta attraverso
internet, scrive, diventa disponibile “ciò che avevano sempre fantasticato e
desiderato”. Loro sono gli islamici, gli ultimi credenti, stando allo stesso
Calasso, che in questa definizione coglie nel segno: l’Islam è oggi l’ultima
religione (ne aveva scritto nel 1981 Naupaul in Tra i credenti, poi tradotto da Adelphi). Scrive: “Il mondo
secolare aveva invaso la loro mente con qualcosa d’irresistibile, che li
attirava e al tempo stesso li irrideva e li esautorava”. Gli uomini di fede
islamica erano attratti e contemporaneamente scandalizzati. La pornografia
mostrava loro un eccesso con una doppia valenza: negava tutti i valori della
loro cultura tradizionale, e questo li faceva infuriare; e insieme mostrava che
l’eccesso era possibile, compreso quello dell’attacco all’Occidente corrotto.
Un complesso davvero difficile da districare. Il brano solleva una questione
che spesso in Occidente viene ignorata, o peggio sottovalutata: la connessione
che esiste tra sesso e terrorismo. Negli anni Settanta, agli albori del
terrorismo di sinistra, della lotta armata, Pier Paolo Pasolini aveva indicato
in un articolo su un giornale, “Tempo”, proprio nell’eccesso di libertà
sessuale la causa del terrorismo stesso. Ne ha scritto di recente anche
Houellebecq in Sottomissione
(Bompiani ). Con il suo tono icastico e insieme apocalittico Calasso scrive che
la risposta dei giovani islamici alla pornografia in rete sarebbe stata: andare
“oltre”. Aggiunge: “di là dal sesso, c’è solo la morte. Una morte sigillata dal
significato”. Osservazione apodittica, ma non priva di fondamento e perfetta
per la sua lettura sacrificale. Calasso ha scandagliato, oltre al sacrificio,
anche questo aspetto fondamentale che al sacrificio si lega, ovvero la
sessualità, protagonista assoluta di almeno un paio di suoi libri. Un
continente che lo scrittore ha esplorato nel suo aspetto storico e culturale
forse più complesso: l’India del Kamasutra. Quello che di nuovo hanno i
terroristi islamici – e qui sta il punto centrale della sua lettura – è il
“terrore secolare”. Così lo definisce, e subito spiega: il nuovo terrorismo non
è né religioso né politico né economico né rivendicativo, bensì fondato sul caso. Questo è il tema che gli
permette di saldare le prime pagine dedicate al terrorismo con quelle centrali
del saggio “Terroristi e turisti”; il tema è quello del dominio della casualità
moderna imperniata sul numero – l’algoritmo nella sua versione materialista.
Anche a questo riguardo Houellebecq ne ha fatto materia di narrazione in Piattaforma nel 2001 (Bompiani).
“Secolare” è un aggettivo che Calasso aborrisce: sta per secolarizzazione, cioè
ciò che ha distrutto in Occidente il Sacro. Il nuovo terrorista si differenzia
da quello nichilista – i russi del XIX secolo, ma anche gli anarchici del XX e
probabilmente persino i brigatisti rossi, culmine del nichilismo, seppure
questo non lo dica esplicitamente. “Il terrorismo secolare – scrive – vuole
innanzitutto uscire dalla coazione sacrificale. Passare al puro assassinio”. Qui
starebbe la differenza, ammesso che si possa davvero differenziare tra i
terroristi nichilisti del passato, del passato prossimo, e i nuovi terroristi
del presente, gli islamici. Il terrorismo casuale sarebbe “la forma di
terrorismo più corrispondente al dio
dell’ora”. Chi è il “dio dell’ora”? Il nostro dominatore, il tempo degli
orologi, il tempo rettilineo, opposto al tempo dell’eterno ritorno, al tempo
circolare. A questo punto del libro il suo discorso sembra girare in tondo,
ritornare su se stesso. Non può proseguire dal momento che la differenza
effettiva non sta nel terrorismo nichilistico e quello che Calasso chiama
terrorismo casuale. Cosa sarebbe il caso
cui si appella? L’uccidere a caso, come nell’azione con il camion, come a
Nizza, o con le bombe sui treni come alla stazione di Atocha a Madrid? Non
aveva fatto così anche Mario Buda, l’attentatore di New York, l’inventore
dell’autobomba nel 1920? L’anarchico italiano aveva colpito a caso a Wall
Strett. Calasso definisce il regime sacrificale del passato mediante “la scelta
della vittima”: non è mai a caso. Ma non basta dire che il terrorismo causale
non fa discriminazione di ceto o di età, come scrive, perché tutti coloro che
sono morti in questi anni di terrorismo suicida hanno una cosa in comune, e non
sono affatto casuali. Sono miscredenti, i nemici dell’Islam o, in versione
minore, gli islamici tiepidi. I terroristi sono i “supermusulmani” come lo
psicoanalista francese d’origine tunisina Fethi Benslama. Tutti i non-credenti
meritano di morire, secondo i predicatori dell’Isis. In una cosa Calasso però
coglie nel segno parlando del nuovo terrorismo: l’uccidere uccidendosi. Il
martire è un suicida, solo così giustifica la sua azione, solo così merita il
Paradiso di Allah dove lo attende la schiera delle vergini. Questa è la chiave
per comprendere il terrorismo islamico attuale. Non c’è metafisica che tenga:
la nuda verità materiale sta in questo gesto assurdo dal punto di vista della
psicologia occidentale (l’idea del martire era ben presente alla chiesa
cristiana delle origini, bagnata dal sangue del sacrificio dei martiri, ma non
si trattava di suicidi). Il sacrificio rende puri, per questo il terrorista può
uccidere: l’attende, non solo il Paradiso, ma prima di tutto l’assoluzione
preventiva da ogni senso di colpa. Ci si uccide per uccidere. Se il terrorista
sopravvive alla propria azione, è un fallito. Per lui ogni strada è chiusa. Non
solo quella del Paradiso. Nessuna organizzazione terrorista, dall’Isis ad
al-Qaeda, ha previsto di “salvare” i martiri sopravissuti: sono abbandonati a
loro stessi. La parte centrale del primo saggio, ricca d’intuizioni,
immagini e connessioni impreviste – nel cortocircuito sta la forza della prosa
di Calasso, che porta il lettore in cima alle montagne russe e lo fa
precipitare di colpo nel breve giro di una frase –, lavora intorno al nodo del
secolarismo, ovvero al medesimo nucleo di La rovina di Kasch dove, come aveva visto Calvino nella sua
recensione, si riconosceva come unico valore possibile in questo mondo
secolarizzato la leggerezza. Ora in L’innominabile
attuale la leggerezza è scomparsa, annegata nella metafisica degli
ultimi giorni dell’umanità. Non che Calasso sia per l’apocalisse. Le sue pagine
procedono piuttosto nell’ambito dell’apocatastasi, ovvero nella zona che è
definita dal penultimo. Tutto per lui è penultimo, mai ultimo. Le sue frasi non
si chiudono mai su se stesse, lasciano sempre qualcosa d’inconcluso, come la
struttura stessa dei suoi libri, lascia sempre una menda, un foro, da cui si
può fuggire, perché i tempi penultimi permettono questo. Gran parte del
pensiero, della letteratura, che lo scrittore ha radunato sotto le bandiere
della casa editrice, che dirige dagli anni Settanta, sono pensatori del
penultimo, non dell’ultimo. A partire da Bobi Bazlen, che è stato il mentore,
il maestro di Calasso. Bazlen era un genio del penultimo. Ebbene questa parte
centrale, per quanto elegante e affascinante (ad esempio la figura dei
“transumanisti” contrapposti ai “secolaristi”), non porta molto di nuovo
rispetto al libro del 1983. Il secondo termine che dà forma al titolo – turisti
– suona invece nuovo. La diade “terroristi e turisti” sa molto di Adorno,
dell’autore dei Minima moralia,
un modello che Calasso ha sempre tenuto d’occhio anche quando ha respinto il
pensiero del francofortese (e qui, nell’abbozzo di critica del Turismo c’è pure
qualche traccia di Enzensberger, nipotino di Adorno e Horkheimer). In comune
terroristi e turisti hanno l’extraterritorialità e la condizione di apolidi.
Sono degli inappartenenti. Scrive Calasso: “Se i turisti vengono osservati con
qualche imbarazzo e un accenno di riprovazione, è l’umanità che guarda se
stessa e sospetta di aver perduto qualcosa. Non sa bene che cosa, ma sa che non
sarà recuperabile. Qualcuno ha detto che con la democrazia viene esteso a tutti
il privilegio di accedere a cose che non sussistono più”. Per l’autore il
turismo è il modello della realtà virtuale: una realtà seconda. In queste
pagine la passione metafisica dell’autore va crescendo, centrando spesso
l’obiettivo dell’aforisma, ispirato da un altro dei suoi modelli, questo sì
palese: Karl Kraus. Ma davvero il turista è questa cosa, una realtà seconda?
Nel 1773 il dottor Johnson in una lettera a Hester Thrale scriveva: “L’utilità
del viaggiare è di regolare l’immaginazione per mezzo della realtà e invece di
pensare come le cose possono essere, vederle come sono”. Il viaggiare di cui
parla Johnson è il turista? Nel 1869 Mark Twain, come ricorda Marco d’Eramo in
un recente libro dedicato al turismo (Il
selfie del mondo, Feltrinelli), pubblicò un libro fondamentale con cui
comincia ufficialmente l’Età Turista: Innocents
Abroad (Gli innocenti
all’estero). Si trattava del resoconto della crociera a bordo del Quaker City, la prima organizzata
negli Stati Uniti per visitare l’Europa, che definì “il progresso dei nuovi
pellegrini”. Twain si poneva il problema dello sguardo: che cosa attrae il
turista? La risposta a questa domanda è quella che distingue il viaggiatore dal
turista, l’eccezionale dal banale. Viviamo in un’epoca in cui non è più
possibile differenziare in modo preciso cosa cerca, e vede, l’uno, e cosa
cerca, e vede, l’altro. Il turista è anche lui, come il terrorista, un essere
secolarizzato, scrive Calasso. Nessuna possibilità di cavarcela, se lo seguiamo
su questa strada. Il problema, come ci ricorda D’Eramo, è che in questi ultimi
cinquant’anni non è cambiata solo la nostra relazione con il tempo (tempo di
lavoro e tempo libero), ma anche e soprattutto la relazione con lo spazio. Un
gruppo di uomini e donne seduti nella sala di aspetto di un aeroporto, in
attesa di salire su aereo di linea e di dirigersi nel medesimo luogo, da cui
poi dipartirsi verso ulteriori e differenti mete, non è davvero nel medesimo
luogo. Le tecnologie digitali le rendono abitanti (o turisti) di realtà
diverse: multidimensionali. Una sta ascoltando un brano musicale di un cantante
caraibico, l’altro conversa con la cugina australiana, un altro guarda la
partita di calcio sul visore del suo smartphone, un altro ancora legge un
quotidiano di Città del Capo. Bello o brutto, giusto o sbagliato che sia,
viaggiamo in un mondo plurimo, pluriverso, molto lontano da quello che Calasso
postula nel suo libro, un mondo, il nostro, dove l’idea di “contatto” è
declinata in forme nuove rispetto al passato. Non necessariamente il nuovo è
migliore, ma in ogni caso è. Questo è il punto. L’universo entro cui si chiude
Calasso – un mondo a suo modo spazioso – non è il nostro stesso mondo. Per
capire questa differenza basta leggere la seconda parte del libro, intitolata La società viennese del gas. Si
tratta di una serie di brevi pezzi disposti in sequenza temporale, dal gennaio
1933 al maggio 1945, ciascuno scandito da una data e con un racconto: puro
storytelling. Una sequenza in cui l’autore descrive “l’autoannientamento” che
l’umanità ha tentato, il tutto compreso tra l’ascesa al potere di Hitler e la
fine del secondo conflitto mondiale. Qui davvero siamo agli “ultimi giorni
dell’umanità”. Sono pagine bellissime, abbacinanti, dove il genio per il
dettaglio di Calasso brilla per rapidità, capacità di sintesi, e anche per
indugio, pausa, sosta. Sono decine di micro-storie che danno da pensare, ma che
fanno anche capire la prospettiva storica, e dunque temporale, con cui questo
autore pensa al futuro. Viviamo oggi sospesi in un mondo penultimo, quello
dominato da Donald Trump, il più farsesco dei personaggi storici apparsi negli
ultimi 70 anni. Le pagine di Calasso non lo nominano, ma il suo faccione
sgarbato e la capigliatura color polenta fa capolino nelle pagine di L’innominabile attuale (che sia lui
l’Innominabile?), pagine sinistre: stiamo precipitando nel medesimo baratro del
1933? Davvero un piccolo paese come la Corea del Nord è in grado di scatenare
le follie di un insano dottor Stranamore? L’attuale non è però innominabile. Al
contrario: è perfettamente nominabile. Ci sono altri pensatori e altri libri
che ci possono venire in soccorso, altre parole per rispondere alla
provocazione di Calasso che finisce per definire quest’epoca, la nostra, inconsistente.
Nonostante tutto consiste. Nonostante i terroristi e i turisti. Anzi forse
proprio grazie a loro.
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