La parola del mese
A
turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di
aprirsi verso nuove riflessioni
NOVEMBRE 2017
RETROTOPIA
In effetti non è parola già riconosciuta come vocabolo “ufficiale”, in
quanto non è stata finora inserita in nessuno dei dizionari titolati a dare
tale riconoscimento, ma è il titolo dell’ultimo saggio di Zigmunt Bauman, sociologo
polacco recentemente scomparso, che ha scelto tale termine, accoppiando “retro”
(passato) a (u)”topia”, per sintetizzare la tesi, contenuta nel suo saggio, che nella società contemporanea l'utopia -
di norma rivolta verso orizzonti futuri per la realizzazione di ideali ed il
raggiungimento di progresso e migliorie -
guardi al contrario al passato considerato più rassicurante di ogni
scenario futuro
Il brano che segue, tratto da tale saggio, uscito a Settembre 2017 per i
titoli di Laterza, fornisce una traccia di quanto sostenuto da Bauman…………
L'utopia di Tommaso Moro di
instaurare "il Cielo sulla Terra" non esiste più perché il futuro,
troppo incerto e spaventoso, è considerato inaffidabile e ingestibile. Così,
mentre prende piede l'individualismo che cancella il senso di comunità, il
passato si trasforma in una condizione rassicurante e nell'unica prospettiva
accettabile Ecco — per chi le avesse dimenticate — le parole con cui all'inizio
degli anni Quaranta Walter Benjamin, nelle Tesi di filosofia della storia,
commentava l'Angelus Novus — da lui ribattezzato " angelo della
storia" — dipinto nel 1920 da Paul Klee: "L'angelo della storia ha il
viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una
sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai
suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre
l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue
ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge
irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle
rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa
tempesta". A quasi un secolo da quella lettura, di imperscrutabile e
incomparabile profondità, a guardar bene l'opera di Klee si scorge di nuovo
l'angelo della storia ad ali spiegate. Ma ciò che forse colpisce di più
l'osservatore è il cambio di rotta, come se quell'angelo fosse colto nel bel
mezzo di un'inversione di marcia: il volto dal passato si rivolge al futuro, le
ali vengono respinte dalla tempesta che, stavolta, spira dall'inferno del futuro
(mmaginato, previsto e temuto prima ancora che accada) verso il paradiso del
passato (un passato probabilmente solo raffigurato a posteriori, dopo averlo
perduto e visto andare in rovina). Ma le ali dell'angelo sono schiacciate,
adesso come allora, con una violenza tale " che egli non può più
chiuderle". La possibile conclusione è che in quel disegno il passato e il
futuro sono colti mentre si scambiano i rispettivi vizi e virtù registrati da
Klee — come ci spiega Benjamin — un secolo fa. Tocca ora al futuro, deprecato
perché inaffidabile e ingestibile, finire alla gogna ed essere contabilizzato
come voce passiva, mentre il passato viene spostato tra i crediti e rivalutato,
a torto o a ragione, come spazio in cui la scelta è libera e le speranze non
sono ancora screditate. La nostalgia — dice Svetlana Boym, docente di
Letterature slave e comparate a Harvard — "è un sentimento di perdita e
spaesamento, ma è anche una storia d'amore con la propria fantasia". Nel
Seicento la nostalgia era considerata una malattia da cui si poteva guarire:
per curarla i medici svizzeri, ad esempio, raccomandavano oppio, sanguisughe e
una gita in montagna; ma " nel ventunesimo secolo quella lieve
indisposizione si è trasformata in una condizione insanabile. Il ventesimo secolo,
iniziato con un'utopia futurista, si è chiuso con la nostalgia". Boym
conclude diagnosticando " un'epidemia globale di nostalgia" e
avverte: « Il pericolo della nostalgia è che tende a confondere la casa vera
con quella immaginaria » . […] Cinquecento anni dopo che Tommaso Moro diede il
nome di Utopia al millenario sogno umano di tornare in paradiso o di instaurare
il Cielo sulla Terra, l'ennesima triade hegeliana formata da una doppia
negazione si avvia a completare il proprio giro. A partire da Moro, le aspettative
di felicità dell'uomo sono state sempre legate a un determinato topos ( un
luogo stabilito, una polis, una grande città, uno Stato sovrano, tutti retti da
un sovrano saggio e benevolo): ma una volta sganciate e slegate da qualsiasi
topos, individualizzate, privatizzate e personalizzate ("
subappaltate" ai singoli esseri umani che le portano con sé come le
chiocciole la propria casetta), adesso tocca a loro essere negate da ciò che
avevano coraggiosamente e quasi vittoriosamente cercato di negare. Dalla doppia
negazione dell'utopia in stile Tommaso Moro ( prima negata e poi risorta)
affiorano oggi " retrotopie": visioni situate nel passato perduto/
rubato/ abbandonato ma non ancora morto, e non — come la loro progenitrice due
volte rimossa — legate al futuro non ancora nato, quindi inesistente […] La
privatizzazione/ individualizzazione dell'idea di " progresso" e
degli sforzi per migliorare costantemente l'esistenza fu offerta dai
governanti, e accolta da gran parte dei governati, come una liberazione che
poneva fine ai severi obblighi della sottomissione e della disciplina, in
cambio della rinuncia ai servizi sociali e alla protezione dello Stato. Per
tante persone — sempre di più — quella liberazione si rivelò una fortuna e
insieme una disgrazia, o forse una fortuna adulterata da una dose notevole e
crescente di disgrazia. Ai disagi dei vincoli subentrarono — non meno
umilianti, spaventosi e gravosi — i rischi, che inevitabilmente finirono per
saturare quella condizione di autonomia imposta per decreto. Se la paura di non
dare un contributo ( con le sanzioni che ciò comportava) poteva essere tenuta a
bada dal conformismo e dall'obbedienza che fino a ieri imperavano al posto dove
oggi vige l'autonomia, a quella paura è subentrato il terrore, non meno straziante,
di risultare inadeguati. Mentre le vecchie paure scivolavano lentamente
nell'oblio e le nuove si ingigantivano e si intensificavano, promozione e
declassamento, progresso e arretramento si scambiavano le parti — e si
moltiplicavano sempre più gli individui che, come pedine su una scacchiera,
erano ( o si sentivano) condannati alla sconfitta. Ecco così spiegata la nuova
inversione di rotta del pendolo della mentalità e degli atteggiamenti pubblici:
le speranze di miglioramento, a suo tempo riposte in un futuro incerto e
palesemente inaffidabile, sono state nuovamente reinvestite nel vago ricordo di
un passato apprezzato per la sua presunta stabilità e affidabilità. Un simile
dietrofront trasforma il futuro, da habitat naturale di speranze e aspettative
legittime, in sede di incubi: dal terrore di perdere il lavoro e lo status
sociale che esso conferisce, a quello di vedersi " riprendere" la
casa e le cose di una vita, di rimanere impotenti a guardare mentre i propri
figli scivolano giù per il pendio del binomio benessere- prestigio, di
ritrovarsi con abilità che, sebbene faticosamente apprese e assimilate, hanno
perso qualsiasi valore di mercato. La via del futuro somiglia stranamente a un
percorso di corruzione e degenerazione. Il cammino a ritroso, verso il passato,
si trasforma perciò in un itinerario di purificazione dai danni che il futuro
ha prodotto ogni qual volta si è fatto presente. Gli effetti di un simile
cambiamento […] si vedono e si toccano a tutti i livelli della convivenza
sociale, nella nascente visione del mondo e nelle strategie di vita che tale
visione insinua e prepara. Il fenomeno che definisco " retrotopia"
deriva dalla negazione della negazione dell'utopia, che con il lascito di
Tommaso Moro ha in comune il riferimento a un topos di sovranità territoriale:
l'idea saldamente radicata di offrire, e possibilmente garantire, un minimo
accettabile di stabilità, e quindi un grado soddisfacente di fiducia in sé
stessi. Al tempo stesso, la retrotopia si discosta dall'eredità di Moro in
quanto approva, fa proprie e assimila le contribuzioni/ correzioni apportate
dal suo precedessore immediato, che aveva rimpiazzato l'idea di "
perfezione assoluta" con l'assunto di non- definitività e di endemico
dinamismo dell'ordine delle cose, ammettendo in tal modo la possibilità (e
desiderabilità) di una infinita successione di cambiamenti ulteriori, che
l'originaria idea di utopia delegittimava e precludeva a priori. Fedele allo
spirito dell'utopia, la retrotopia è spronata dalla speranza di riconciliare
finalmente la sicurezza con la libertà: impresa mai tentata — e, in ogni caso,
mai realizzata — né dalla visione originaria né dalla sua prima negazione. […]
Le più significative tendenze di " ritorno al futuro" che si
riscontrano in questa incipiente fase " retropica" della storia
dell'utopia […] ovviamente, non rappresentano un ritorno diretto e immediato a
una modalità di vita praticata in passato: sarebbe semplicemente impossibile,
come ha ben dimostrato Ernest Gellner. Essi rappresentano invece — per
richiamare la distinzione concettuale proposta da Derrida — tentativi
consapevoli di iterazione (e non reiterazione) dello status quo che esisteva, o
si immagina esistesse, prima della seconda negazione, sulla base di un'immagine
in ogni caso riciclata e modificata significativamente attraverso un processo
di memorizzazione selettiva strettamente intrecciata all'oblio selettivo. Come
che sia, nel tracciare la strada che porta a Retrotopia, i principali punti di
riferimento sono gli aspetti veri o presunti del passato che, pur avendo dato
buoni risultati, sarebbero stati inopportunamente abbandonati o
irresponsabilmente mandati in rovina. Per collocare nella giusta prospettiva
l'innamoramento retrotopico per il passato, è opportuno premettere un altro avvertimento.
Boym nota che un'epidemia di nostalgia " spesso segue le
rivoluzioni", e saggiamente aggiunge che nel caso della Rivoluzione
francese del 1789 " non fu solamente l'ancien régime a produrre la
rivoluzione, ma anche la rivoluzione, per certi versi, a produrre l'ancien
régime, dandogli una forma, un senso di compiutezza e un alone di
rispettabilità". Fu invece il crollo del comunismo a far nascere l'idea
che gli ultimi decenni dell'impero sovietico fossero stati " un'età
dell'oro di stabilità, forza e normalità, che è l'immagine oggi prevalente in
Russia". In altri termini, ciò a cui di solito " torniamo" nei
nostri sogni nostalgici non è il passato " in quanto tale" — wie es
ist eigentlich gewesen, com'è stato davvero — quel passato che Leopold von Ranke
raccomandava di recuperare e rappresentare ( come diversi storici hanno cercato
di fare, con scarsi consensi). […] Ci sono buone ragioni per ipotizzare che
l'avvento del World Wide Web e di Internet abbia segnato il declino dei "
Ministeri della Verità", ma non certo il tramonto della " politica
della memoria storica", di cui ha semmai moltiplicato le possibilità di
applicazione, reso infinitamente più accessibili gli strumenti per praticarla e
potenzialmente spinto all'estremo le conseguenze. In ogni caso, la scomparsa
dei "Ministeri della Verità" (ossia del monopolio incontrastato
dell'autorità costituita sulle sentenze in materia di veridicità) non ha certo
spianato la strada ai messaggi inviati alla coscienza pubblica da chi per
mestiere ricerca e comunica la "verità dei fatti", ma ha semmai reso
quella strada ancora più accidentata, tortuosa, infida e incerta.
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