Il
“saggio” del mese
Giugno 2018
La recente
conferenza “Digital Twins” di Roberto Saracco ha fornito interessanti informazioni
sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale (IA), ossia dell’implementazione
di sistemi informatici con elevatissime capacità di memoria, calcolo,
computazione, in grado di compiere una gamma sempre più vasta di operazioni,
mentali e fisiche, ad un livello altissimo di prestazione.
Sono scenari, sempre
meno futuribili e sempre più a breve termine, con i quali sembra quindi
inevitabile misurarsi, innanzitutto cercando di conoscerli quanto meno nei loro
aspetti generali.
Sono molte, e
profonde, le perplessità e le preoccupazioni, alcune già emerse nel corso del
dibattito seguito alla conferenza di Roberto Saracco, così come a quella del
Prof. Balestrieri “Il futuro della procreazione”, che accompagna questa
evoluzione all’apparenza inarrestabile.
Sembra emergere la
necessità di un dibattito adeguato alla complessità della questione guidato
dalla domanda di fondo “cosa significherà in questo possibile futuro essere
umani?”
E’ questo il tema
che il seguente saggio di Max Tegmark (professore di fisica al MIT e Presidente
del Future of Life Institute) affronta da una angolazione prevalentemente
“tecnica”. Un testo quindi che non risponde a tutte le domande, le perplessità
e le critiche, ma che sicuramente le inquadra correttamente nella loro
dimensione concreta
Breve sintesi (il saggio è di 420 pag.)
Per meglio seguire e
comprendere il saggio di Tegmark (T) è
indispensabile condividere alcune definizioni di base ad iniziare da quella di
vita e, quindi, quella di vita 3.0.
Per (T) il termine “vita” definisce un “processo in grado
di mantenere la sua complessità e di replicarla, articolabile in tre stadi:
“vita 1.0” = lo stadio biologico in cui la parte corporea (l’hardware) e la
parte neuro-cerebrale (il software) sono completamente dipendenti
dall’evoluzione, sostanzialmente lo stadio “animale” – “vita 2.0” = lo stadio
culturale in cui (l’uomo) grazie alla cultura può progettare e migliorare il
software – “vita 3.0 = lo stadio tecnologico in cui (l’uomo) può intervenire e
modificare anche l’hardware.
L’intelligenza
artificiale (IA)
è lo strumento che l’uomo sta mettendo a punto per realizzare la
vita 3.0.
Nell’ambito
strettamente scientifico degli addetti ai lavori attorno alla IA, alle sue prospettive e le sue implicazioni, si
sono formate tre correnti di pensiero:
·
i
tecnoscettici = quelli che non credono realizzabile, se non su tempi
lunghissimi con mille incognite lungo il percorso, la costruzione di una vera IA, e
quindi mantengono un atteggiamento distaccato sulle sue implicazioni
·
gli
utopisti digitali = quelli che invece considerano l’IA
raggiungibile già nel corso di questo secolo e che la ritengono un obiettivo
altamente fecondo e positivo
·
l’IA benefica = quelli che la ritengono
possibile in tempi relativamente brevi ma che non danno per scontata una
ricaduta solo positiva e che invitano a sottometterla a forme di controllo e di
sicurezza molto stringenti
T appartiene alla corrente di pensiero della IA
benefica.
Ma cosa dobbiamo
intendere per “intelligenza”? la definizione adottata da T è “la capacità di realizzare
fini complessi”. Su questa base, per capire gli scenari futuri, dobbiamo
ovviamente partire dall’attuale stato dell’arte della IA, che oggi è in genere ancora
molto ristretta, in grado cioè di realizzare, seppure con livelli di
performance eccellenti decisamente superiori a quelli umani, solo fini e
compiti molto specifici, il paragone con l’intelligenza umana non è al momento
proponibile.
Occorre però
considerare, e T
lo fa con numerosi e interessanti esempi, che le facoltà della
memoria, della compiutazione, dell’apprendimento, del calcolo, sono
indipendenti dal substrato materiale che le realizza, possono essere attuate
sia da supporti biologici (i nostri neuroni cerebrali) sia da materiali
inorganici purchè debitamente sollecitati a rispondere a leggi della fisica.
In questo senso la
possibilità “teorica” che l’IA si impadronisca delle singole facoltà della
memoria, della computazione, dell’apprendimento e del calcolo, è illimitata.
In queste singole
facoltà è poi bene considerare che quando la potenza di una tecnologia si
rafforza può, nulla lo impedisce, essere a sua volta utilizzata per progettare
e costruire tecnologie dotate di una potenza ancora più elevata.
Già ora comunque l’IA svolge
un ruolo importante in molti settori, anche delicati, ed in molte attività
umane, già ora quindi sono necessarie,
ed in gran parte messe in atto, misure precise di verifica, validazione,
controllo e sicurezza.
Più lento sembra essere,
al momento attuale, l’adeguamento dei sistemi legislativi che restano
indispensabili per normare responsabilità e ricadute.
Allo stesso modo,
sempre con riferimento alle attuali potenzialità già acquisite dalla IA, è
urgente che la politica affronti le ricadute sul mercato del lavoro (umano)
sempre più a rischio di sostituzione da parte di robot e sistemi automatizzati
Ovviamente se lo
sviluppo della IA
raggiungerà, come sembra ormai possibile, lo stadio della realizzazione di una IAG
(intelligenza artificiale generale), ossia di una intelligenza strutturalmente
simile a quella umana ma dotata di maggiori potenzialità, i problemi della sua
convivenza con l’ “umano” saranno molto più grandi.
Ad iniziare dalla
sua “utilizzazione “in termini di potere. La storia della vita sul nostro
pianeta dimostra che essa si è auto-organizzata in forme sempre più complesse
in termini di collaborazione, competizione e controllo. Una IAG può
permettere sia una condivisione delle ricadute positive su scala planetaria
sia, al versante opposto, ad un controllo totalitario dall’alto.
Non si può inoltre
escludere, soprattutto nel caso di una IAG in grado di autoriprodursi ed auto-espandersi,
situazioni di conflitto fra macchine ed umani.
Occorre considerare
che, in linea teorica, gli sviluppi della IA sono definiti unicamente dalle leggi generali
della fisica, ma il margine potenziale di crescita è enorme se si considerano
le potenzialità di utilizzo, da parte di macchine dotate di IA, di
fonti di energia quali i raggi cosmici e le onde gravitazionali. Gli ordini di
grandezza di sviluppo teorico delle capacità di memora e computazione sono
incredibilmente alti rispetto agli standard attuali.
(In buona parte del saggio T esamina
nel dettaglio questi aspetti, talvolta con un eccesso di “futurismo”
sicuramente dovuto al suo essere “tecnicamente” coinvolto nella questione)
L’umanità,
progressivamente passata dal conseguimento del semplice fine della replicazione
alla ricerca di fini complessi suggeriti dai sentimenti e dalla cultura, sta,
in estrema sintesi, realizzando macchine dotate di IA il cui scopo ultimo non può che
essere il raggiungimento di questi stessi fini. Ne consegue che un obiettivo
fondamentale da raggiungere è che le macchine allineino i loro fini ai nostri,
e questo è possibile solo ponendole nella condizione di capirli, di adottarli e
di mantenerli.
Questo rimanda
innanzitutto al controllo democratico e trasparente dei fini “assegnati” alle
macchine, per evitare che ad esse siano dati fini egoistici e di potere
ristretto.
E quindi in ultima
istanza ciò pone al centro la condivisione dei fini “etici” da installare nelle
macchine, nella IA.
La questione si sposta pertanto dall’ambito tecnico (tutto è
progressivamente realizzabile) a quello filosofico e politico.
T affronta nell’ultimo capitolo una questione
cruciale: quello della “coscienza”, ovviamente strettamente collegata alla
gestione da parte della IA dei fini etici.
Questione davvero
complessa perché la “coscienza” è facoltà tutta da definire per lo stesso uomo,
a partire dal fatto che le neuroscienze da tempo hanno dimostrato che la mostra
esperienza cosciente è di fatto una sorta di riepilogo di informazioni non
coscienti. Il problema di comprendere l’ IA non va quindi confuso con tre distinti
problemi della coscienza:
1.
il
problema “molto difficile” di capire quali sistemi fisici siano “coscienti”
2.
il
problema “ancora più difficile” di prevedere i qualia, ossia gli aspetti
qualitativi costituenti una esperienza cosciente
3.
il
problema “davvero molto difficile” del “perché” qualcosa sia cosciente
Solo il primo problema
può essere affrontato in un contesto, almeno in parte, “scientifico”. Ma non è
condizione sufficiente per immaginare il formarsi di una coscienza in una IA. La
possibilità di creare, utilizzando componenti inorganiche, un substrato in
grado di sviluppare attività intelligenti non pare infatti applicabile alla
coscienza, una facoltà di elaborazione dell’informazione che, sulla base delle
attuali conoscenze neurologiche, non sembra richiedere un particolare tipo di
particella o di campo in qualche modo “fabbricabile”, essendo un “secondo”
livello di elaborazione delle informazioni che poggia, con criteri e fini sconosciuti,
sull’insieme del substrato neurologico.
Certo è che se alle
enormi potenzialità dell’ IA si sommasse una coscienza artificiale il mondo
delle macchine avrebbe potenzialità inimmaginabili, e per molti versi
problematiche.
T conclude, sulla base di questi ultimi
aspetti della IA,
con una considerazione che merita di essere riportata per esteso…….abbiamo
costruito la nostra identità sulla base di essere Homo sapiens, la specie più
intelligente in circolazione. Mentre ci apprestiamo a farci umiliare da
macchine sempre più intelligenti propongo di ridefinirci Homo sentiens…………
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