giovedì 6 giugno 2019

Il "Saggio" del mese - Giugno 2019


Il “Saggio” del mese

GIUGNO 2019

Come anticipato nella presentazione della “Parola del mese” anche il “Saggio” di questo mese affronta il tema, sempre più drammaticamente pressante, della crisi ambientale. 


Il richiamo del sottotitolo, “Saggio di ecologia politica” evidenzia da subito quale attenzione presti alla questione ambientale Razmig Keucheyan (professore di sociologia all’Università di Bordeaux, autore di diversi saggi fra i quali spicca un’antologia dei ”Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci). La tesi centrale del suo saggio è presentata con chiarezza già nell’introduzione ………la natura non sfugge ai rapporti di forza sociali.……. (le frasi estratte dal testo sono evidenziate in corsivo blu). RK ritiene infatti che il dramma ambientale abbia fortissime connotazioni politiche, che per affrontarlo sia indispensabile avere piena consapevolezza del suo essere caratterizzato da una precisa connotazione “di classe”, e che le reali possibilità di contenerlo e risolverlo passino pertanto, in ispecie per quanto concerne le sue ricadute, attraverso politiche economiche e sociali globali diverse da quelle fin qui attuate. La sua quindi non è una analisi della cause scientifiche del degrado ambientale e neppure una valutazione delle possibili soluzioni tecniche. La sua attenzione è mirata ad evidenziare le differenze di classe che si intrecciano con il quadro ambientale. Il che comporta una presa di posizione “partigiana” rispetto alle divisioni che attraversano le società e le economie, RK è pertanto consapevole di proporre una visione del problema alternativa a quella in qualche modo prevalente……… questo approccio contrasta radicalmente con una opinione oggi dominante secondo la quale per governare il problema del cambiamento ambientale l’umanità dovrebbe “superare le proprie divisioni”…… Una opinione dominante e  trasversale in quanto sostenuta dall’intero arco politico, tanto da essere assunta come uno dei temi più citati da chi, in moltissimi casi in modo strumentale, sostiene che la divisione fra destra e sinistra sia ormai obsoleta. Esistono peraltro sue versioni più sofisticate e accattivanti basate sull’idealismo sicuramente sincero di molti dei suoi proponenti. Non pochi intellettuali sostengono, ad esempio, che la crisi ecologica consentirebbe di ipotizzare che l’intero genere umano, l’umanità nella sua totalità, superando la divisione in componenti, possa essere protagonista di un cambiamento storico. Se è infatti innegabile che l’homo sapiens non abbia finora mai fatto esperienza di sé stesso come “specie” la lotta al disastro ambientale, secondo questa scuola di pensiero, potrebbe presupporre, per la prima volta, un’azione comune di tutta l’umanità mossa dalla consapevolezza di sé come unica “specie”. A sostegno di questa prospettiva sta l’affermazione che, a differenza di tutte le precedenti “crisi” della storia umana, quella climatica ed ambientale colpirebbe in ugual misura ricchi e poveri, privilegiati ed esclusi, Nord e Sud, Occidente e Oriente, che non esistono nel sempre più possibile disastro ambientale scialuppe di salvataggio per pochi eletti. RK è di opinione decisamente diversa…….la nostra analisi parte da un’ipotesi esattamente opposta. Se il cambiamento climatico è indotto a partire dalla metà del XVIII secolo dallo sviluppo economico e se questo sviluppo si chiama capitalismo è poco probabile che gli antagonismi di classe possano essere superati prima che sia stata trovata adeguata soluzione alla crisi ambientale, che unire la specie umana attorno a obiettivi comuni sia una condizione della soluzione………… E quindi non ha senso, non è realistico, ma al contrario antistorico, chiamare ad una unità di specie, per quanto accattivante, dal punto di vista intellettuale, possa essere questa idea. Occorre, più realisticamente, più giustamente, più efficacemente, intervenire sulle cause ultime del disastro ambientale, sulle ragioni che determinano vistose differenze nelle sue ricadute, proprio perché la loro mancata rimozione inficerebbe l’intero percorso di rientro nei limiti di compatibilità ambientale. Per farlo diventa inevitabile ……la radicalizzazione degli antagonismi, vale a dire la radicalizzazione della critica al capitalismo…… Questa prospettiva ispira l’intero saggio e spiega il suo stesso titolo “La natura è un campo di battaglia”. RK per dare sostanza alla sua opinione analizza tre specifiche caratteristiche del dramma  ambientale che, per quanto in apparenza non rientrino nell’elenco degli effetti ad esso collegabili più citati, rappresentano, a suo avviso, non soltanto un necessario completamento del quadro di insieme, ma aspetti illuminanti, esemplari, per comprendere che di “campo di battaglia” si deve parlare:
1.    razzismo ambientale
2.    finanziarizzazione dei rischi ambientali
3.    militarizzazione
CAPITOLO PRIMO
Razzismo ambientale
Nella memoria collettiva il nome Katryna è ormai fermamente associato ad uno dei cataclismi simbolo delle conseguenze violente del cambiamento climatico. Agosto 2005: un uragano sommerge la città di New Orleans, in alcuni punti l’acqua raggiunge i sette metri di altezza, provocando la morte di 2.000 suoi abitanti, ma ……..chi furono le vittime di Katryna?….. I residenti dei quartieri più segregati dal punto di vista razziale, ossia la popolazione nera, in gran prevalenza povera, costretta ad abitare nelle zone più a rischio essendo già sotto il livello del mare. Si salva al contrario la minoranza bianca in grado di pagarsi le abitazioni molto più care della parte alta della città. Katryna rappresenta un caso emblematico di una situazione molto diffusa relativa ………al rapporto tra le disuguaglianze sociali, e razziali, e le catastrofi naturali…… Negli USA a partire dagli anni Novanta due movimenti, per altro più orientati ai diritti civili che a quelli strettamente ambientali, quello per la “giustizia ambientale” e quello per la “giustizia climatica”, hanno via via evidenziato una situazione che dimostra come le conseguenze dell’inquinamento, dei rischi ambientali e quelle del cambiamento climatico non colpiscano la popolazione americana in modo uguale, omogeneo; tali fenomeni, che compongono il quadro globale del dramma ambientale,  investono, per un insieme di ragioni tutte comunque riconducibili alle disuguaglianze sociali di base, la parte più debole, quella più povera, in buona misura composta dalle minoranze etniche. Quelle, Katryna lo dimostra, costrette a vivere nelle zone più a rischio, quelle che di più subiscono l’insediamento di impianti impattanti di smaltimento, quelle in maggior misura obbligate a convivere con la vicinanza di stabilimenti industriali inquinanti. Questa relazione con l’elemento razziale emerge ovviamente con forza nei paesi come gli USA, il Regno Unito, la Francia, dove per ragioni storiche da tempo convivono più etnie, ma le stesse considerazioni possono valere per tutte le fasce deboli, povere, emarginate, delle popolazioni di tutto il pianeta. Il termine …….razzismo ambientale……. può quindi essere sicuramente  inteso in modo estensivo. Il rapporto tra disuguaglianze sociali e ricadute del disastro ambientale appare però al tempo stesso tanto evidente, inoppugnabile, quanto sottovalutato, fino ad essere considerato una sorta di condizione così scontata da apparire, ironia terminologica, “naturale”. …….l’ambiente passa per essere estraneo ai rapporti di forza sociali……. Lo è stato ed in buona misura ancora lo è per gran parte dello stesso movimento ambientalista La comprensibile, ed in molti casi condivisibile, polemica verso i frequenti esempi di NIMBY (Not In My BackYard – non nel mio cortile) andrebbe, ad esempio, più correlata alla situazione sociale, e all’eventuale già pesante handicap ambientale ad essa collegato. Il “razzismo ambientale”, nell’accezione suggerita da RK, si concretizza in una sua precisa dimensione spaziale, in una sua “spazialità”. …..che sia rurale o urbano lo spazio si struttura secondo linee di frattura sociale (razziale)…… Linee, determinate dalle diverse possibilità di fronteggiare i rischi ambientali e climatici,  che da una parte definiscono il diverso valore di mercato delle zone, delle aree, e dall’altra, di conseguenza, fissano la loro assegnazione “sociale” e, con un passaggio di fatto automatico, la loro penalizzazione ambientale, che non consiste tanto nel non possedere …….particolari risorse ambientali quanto per la maggior incidenza di handicap e rischi ecologici…… Per essere meglio compresa, ampliandone e precisandone le caratteristiche costitutive, questa stretta relazione tra rapporti sociali e ambiente, tra condizione di classe e “natura”, intesa in senso lato non limitandoci quindi alle sole ricadute, rimanda allo stesso concetto di…… “spazio naturale”……, a come esso sia stato progressivamente costruito, a come viene comunemente inteso nelle scienze sociali e nello stesso senso comune odierni. RK evidenzia come il concetto di “spazio naturale”, nelle sue ricadute complessive, appartenga pienamente alla modernità, essendosi formato a partire dalla prima rivoluzione industriale e via via definito, nella sua accezione attuale, in stretta relazione con l’estendersi globale delle logiche di mercato capitalistico e con i fenomeni che le hanno caratterizzate: esplosione demografica, “invasione” antropologica dell’intero pianeta, progresso tecnologico tanto impattante quanto incontrollato, mito del progresso e della crescita, omogeneizzazione consumistica degli stili di vitai. A lungo nella storia l’intera dimensione spaziale umana, con la sola limitatissima eccezione di poche aree fortemente urbanizzate, è stata comunque e sempre considerabile, e considerata, spazio naturale, l’intero svolgersi delle attività umane coincideva, senza separazione alcuna, con la natura. Semmai, non di rado, la natura ……..è stata considerata  come l’opposto della civiltà, come un elemento spesso ostile…..  La consapevolezza, più o meno diffusa, più o meno elaborata nelle sue logiche conseguenze, del processo storico di rottura dell’unità storica fra spazi dell’uomo e spazio naturale si è pienamente affermata solo a partire dal secondo dopoguerra essendo in qualche modo imposta delle crescenti evidenze del drammatico impatto antropologico sulla natura.  Purtroppo, secondo RK, anche questo processo di moderna costruzione del concetto di “spazio naturale” è stato troppo poco finalizzato a far emergere le vere cause ultime, ossia l’evidente peso dei rapporti di forza sociali. Alla fotografia, sempre più drammatica della riduzione e del degrado dello “spazio naturale”, e dei fenomeni ad essi connessi, non si è sovrapposta una correlata adeguata riflessione sui meccanismi economici e sociali che li stavano provocando, fino al punto di incidere negativamente sulla stessa idea complessiva di “spazio naturale”, troppo spesso identificato ad una visione edulcorata di “natura”.  Ne sono testimonianza empirica le precedenti considerazioni di RK sulla spiegazione sociale delle ricadute del disastro ambientale e ne sono interpretazione politica alcune provocanti  riflessioni di Theodor Adorno sullo stretto legame fra idea dello spazio naturale, della natura, e della alienazione umana …………la natura vede aumentare il suo prestigio nei periodi di sconfitta e di normalizzazione politiche quando le passioni investite nella trasformazione rivoluzionaria della società sono andate deluse…… Adorno rifletteva, negli anni Settanta, su come si fosse affermata, all’indomani della fine dell’illusione di cambiamento radicale dei movimenti degli anni sessanta, una sorta di idealizzazione contraddittoria della natura in sé troppo slegata dalla critica alle ragioni vere di spiegazione del disastro ambientale, giudicandola come l’inevitabile conseguenza di una sconfitta politica. A questo versione naturalistica si è peraltro giunti lungo un percorso che ha via via collegato fra di loro concezioni che partivano da lontano, da quella ………estetica del sublime la cui forma moderna è stata fissata da Kant……. a quella  del mito ottocentesco del selvaggio, dell’esotico ed infine a quella, molto più pragmatica e consumistica, della natura come conforto, riparazione turistica allo stress moderno. Fino a realizzare una compiuta costruzione “di classe” del concetto di “spazio naturale”, ossia di una natura che “si affianca”, essendone separata, come complemento a sé stante dello spazio umano, mai posto veramente in discussione nelle sue regole e logiche. Una operazione che ha acquisito fin dai suoi inizi una evidente connotazione “razziale” …….in altre parole nell’epoca moderna razza, classe, genere e natura sono state oggetto di una co-costruzione. L’emergere della wilderness (il mito della natura selvaggia) è inseparabile dalla whiteness (l’idea della superiorità della razza bianca)………  Da una parte si sorvola, non mettendone mai in luce la valenza sociale di classe, sulle conseguenze nefaste della “società dei consumi”, in sostanza accettate e tollerate come prezzo ineliminabile del mito di un falso “benessere”, dall’altra si esalta un’idea di natura pulita, incontaminata, depurata, ma, in quanto tale apprezzata, e “consumata”,  dalla sola cultura “bianca”, distinta dalla oscurità, dall’impurità di chi non sa, o non vuole, amarla. RK cita l’idea di Carolyn Merchant (filosofa americana, teorica dell’ecofemminismo) che ….esiste una storia ambientale della razza, ossia in altre parole che la whiteness e l’esperienza di sé che l’accompagna sono definite in termini ambientali…….  Si spiegano così esperienze emblematiche come la diffusione in tutto il pianeta del modello statunitense, nato già ai primi dell’Ottocento, dei parchi naturali e delle oasi protette, che in non pochi paesi ha talvolta assunto carattere di “scontro” con le popolazioni locali, mai realmente coinvolte in una concezione della natura estranea alle loro culture e che di fatto imponeva una ……..limitazione dell’ecologia a problemi di tutela e di conservazione….. Prevale una sorta di atteggiamento paternalistico basato sull’idea che le popolazioni locali, quelle direttamente interessate, siano incapaci di prendersi direttamente cura delle loro risorse naturali. Da qui l’idea avanzata da alcuni storici che …..l’ecologia e lo stesso concetto moderno di natura trovino una delle loro origini nella stessa colonizzazione e più precisamente nel controllo della natura delle regioni colonizzate…… RK nel completare la sua disanima della sottovalutazione delle origini sociali del dramma ecologico, specie nella sua versione di razzismo ambientale non è meno severo nel giudicare, rispetto a quello dell’ambientalismo “classico, il rapporto con la dimensione sociale dell’ecologia da parte del “movimento operaio”, delle sinistre occidentali”. E’ sempre di fatto prevalsa una difesa ad oltranza dei posti di lavoro, dei diritti sindacali intesi in senso stretto, una visione “produttivistica” del rapporto con la natura in stretta relazione con il mito sovietico del progresso e della crescita. Al momento dell’inevitabile insorgere di conflitti tra danni ambientali e le attività produttive che li creano la posizione di sindacati e partiti di sinistra  è sempre stata, e tuttora lo è al di là di comode dichiarazioni di principio, quella di privilegiare in qualche modo il ruolo delle seconde. In questo quadro si aggiunge poi una storica distinzione tra due dimensioni ……..il lavoro ed il “al di fuori del lavoro”….. che ha di fatto prodotto una netta separazione tra movimenti sindacali, e partiti di sinistra, e l’associazionismo ambientale, aggiungendo quindi a quelli di quest’ultimo altri limiti e contraddizioni non meno pesanti, quasi come se …….il lavoro non fosse collegato alla società civile…….. Si è così determinata una incapacità di coniugare le problematiche di sicurezza sui posti di lavoro con quelle dell’impatto ambientale, quando invece le une sono strettamente collegate alle altre in quanto ambedue prodotto delle logiche capitalistiche. Solo raramente si sono concretizzate efficaci azioni e politiche che di più e meglio coniugassero diritti del e sul lavoro con le ricadute ambientali, che “ibridassero”  ……..all’interno di una idea complessiva di “quadro di vita”…… lotte sindacali ed ambientali.
CAPITOLO SECONDO
Finanziarizzare la natura, l’assicurazione dei rischi climatici
Nel Capitolo Secondo, anche in questo caso partendo da un particolare aspetto della questione, RK prende in considerazione alcuni dei mezzi che il capitalismo utilizza per attenuare, per gestire, i conflitti che nascono dalle disuguaglianze ambientali. Questo aspetto particolare consiste nel fatto che ……..oltre al valore di scambio e di uso le merci hanno anche un valore assicurativo, generano cioè valore in quanto il momento della loro possibile distruzione è previsto……. L’istituto della “assicurazione” ha fin dall’inizio delle moderne attività di commercio e di produzione costituito una risorsa importante sia per il loro svolgimento che per il contributo, decisivo, all’affermarsi della “finanza”. Forme moderne di assicurazione compaiono già con l’apertura delle rotte atlantiche verso le Americhe e conoscono un impulso straordinario con la tratta degli schiavi. …….man mano poi che l’economia cresce a seguito della rivoluzione industriale il valore di ciò che si può perdere e che dunque può essere assicurato aumenta….. Ai giorni nostri gli stessi rischi ambientali e climatici sono rientrati nel novero delle variabili assicurabili, con una crescita esponenziale dell’intreccio fra finanza e natura tale da dare sostanza ad un settore specifico ormai conosciuto come ……..finanza ambientale…… Questa crescita, particolarmente significativa negli ultimi tre decenni, può essere meglio spiegata guardando all’intreccio che si è venuto a creare fra gli effetti della crisi economica che, fra alti e bassi, ormai connota l’economia dopo la fase irripetibile di crescita del secondo dopoguerra e quelli della crisi ecologica che, nello stesso arco di tempo, ha iniziato a manifestarsi in modo sempre più acuto. Questo intreccio ha progressivamente aumentato …..l’instabilità del capitalismo e ha richiesto di conseguenza che il dispositivo di protezione degli investimenti, ossia l’assicurazione e la finanza più in generale, sia rafforzato…… Sono ovviamente molte le ragioni che spiegano la progressiva finanziarizzazione dell’economia mondiale, fra queste RK punta, all’interno di questa sua analisi specifica, la sua attenzione su quelle che meglio aiutano a capire come la natura sia sempre più strettamente connessa alla finanza, fino a divenire una importante fonte di profitto finanziario. Per comprenderlo occorre entrare sinteticamente nel merito dei meccanismi che regolano le attività assicurative. Alla loro base, tradizionalmente, stanno due “principi”: quello tecnicamente definito il ……..principio della mutualizzazione dei rischi…… ossia la necessità per le società assicuratrici di avere un numero di assicurati sufficientemente consistente a coprire, con i premi che vengono pagati, gli eventuali indennizzi., e quello, ancor più importante, chiamato …….inversione del ciclo di produzione……. ossia il pagamento anticipato da parte degli assicurati dei premi prima che l’imprevisto assicurato si avveri indipendentemente dal fatto che questo si verifichi o meno. Le compagnie assicurative devono pertanto avere la capacità di monitorare sia le dimensioni del mercato a cui guardano sia le possibilità statistiche del manifestarsi dei rischi assicurabili. Queste regole di base …….hanno portato i teorici dell’assicurazione a distinguere il rischio dall’incertezza……. essendo il rischio un’ipotesi di evento calcolabile, e dunque più facilmente assicurabile e l’incertezza, al contrario, un orizzonte molto meno definibile e quindi assicurabile con un surplus di cautele. Nel primo caso l’attività assicurativa procede lungo i binari consolidati mentre nel secondo impone un supplemento strutturale: l’attività assicurativa assicura sé stessa, per cautelarsi dall’eccessivo peso di eventi “incerti”,  con un meccanismo assicurativo esattamente identico a quello di base …….l’assicurazione moderna è inseparabile dalla riassicurazione……  che, come da logica, interviene per i sinistri meno misurabili ma soprattutto per quelli più costosi. Nell’ultima parte del secolo scorso prendono però sempre più consistenza eventi che sfondano queste logiche assicurative …………terrorismo, catastrofi naturali, incidenti tecnici di produzione e trasporto……. I quali richiedono, per l’impatto devastante che sempre più comportano, un ulteriore balzo in avanti nella finanziarizzazione delle procedure assicurative.  Le catastrofi naturali sono i fenomeni che di più incidono in questo senso sia per l’alto livello di imprevedibilità sul dove e quando potranno precisamente colpire sia per l’altissima ricaduta come costi. Tecnicamente parlando la letteratura assicurativa opera una precisa distinzione fra ……..catastrofe …….. un evento che comporta danni superiori a 25 milioni di dollari, e ………cataclisma……. un accadimento che supera i 5 miliardi di dollari. Sono però dati del 1997, poiché da allora i costi sono decisamente aumentati queste cifre dovrebbero essere aggiornate. Per meglio comprendere la scala dei valori in gioco si deve considerare che Katryna, il disastro più caro della storia, ha comportato danni globali per 150 miliardi di dollari di cui la metà esatta, 75 miliardi, coperti da assicurazione. Seguono come incidenza, a partire dal 1970, lo tsunami del 2011 in Giappone (Fukushima) con 35 miliardi, l’uragano Andrews del 1992 negli USA con 25 miliardi e gli attentati dell’11 Settembre 2001 delle Torri Gemelle con 24 miliardi. Questa sorta di graduatoria è importante anche perché si rivela una significativa testimonianza delle disuguaglianze ambientali fra paesi ricchi e paesi poveri, e quindi dello stesso paradigma del razzismo ambientale: i disastri che colpiscono i primi vedono sempre una maggiore incidenza dei costi finanziari rispetto ai costi in vite umane, il loro impatto infatti colpisce di norma zone ad alta densità infrastrutturale più che abitativa, questa situazione si rovescia completamente per i paesi poveri, qui il costo in vite umane supera di molto quello dei danni materiali. Le catastrofi con maggior numero di morti, sempre a partire dal 1970, sono infatti: le inondazioni provocate dal ciclone Bhola in Bangladesh ed in India nel 1970 con 300.000 morti ed il terremoto di Haiti del 2010 con 222.000 morti. L’ondata di calore che colpì l’Europa nel 2003 provocando la morte di ben 35.000 persone, la più significativa catastrofe con perdite umane nei paesi ricchi, si attesta solo al dodicesimo posto. Siamo comunque di fronte ad un quadro complessivo che, al di là delle pur opportune distinzioni, certifica che l’umanità è definitivamente entrata, a cavallo del nuovo millennio, in quella che Ulrich Beck (1944-2015 sociologo tedesco) ha definito la “società del rischio”, al punto di individuare proprio nel criterio della …….assicurabilità…… quello decisivo per ……spiegare il passaggio dalla modernità alla post-modernità……. Vero è che Beck, scrivendo queste cose subito dopo Chernobyl nel 1986, era influenzato soprattutto dai rischi tecnologici, ma questa sua provocazione, per quanto intellettualmente stimolante, è stata in gran parte attenuata proprio dall’ulteriore salto di qualità nella finanziarizzazione dei rischi ambientali. Un salto imposto da due caratteristiche dei disastri ambientali: le dimensioni dei danni che ne possono conseguire sono tali che con le soluzioni assicurative tradizionali …….assicuratori e riassicuratori non sono in grado di sostenerle……. e la loro specificità tecnica  è a sua volta tale da non consentire l’individuazione di “responsabilità” specifiche  atte ad essere invocate come attenuanti per limitare i rimborsi, siamo in effetti di fronte ad eventi che ……..non sono imputabili a qualcuno, non sono il prodotto di individuabili intenzionalità, ma sono insite nell’ordine naturale delle cose……. La soluzione “tecnica” per fronteggiare questo quadro, ingestibile con le procedure tradizionali, è stata mutuata da pratiche ormai diffusissime in ogni ambito finanziario, a partire dalla gestione di crediti, mutui e finanziamenti, ed è quella della ……cartolarizzazione…… Uno dei prodotti finanziari più efficaci per la cartolarizzazione dei rischi naturali ……..è conosciuto con il nome di cat bond, diminuitivo di catastrophe bond, vale a dire obbligazione catastrofe….. ed è esemplare per comprendere lo stesso meccanismo generale della cartolarizzazione. La società che attiva una assicurazione sui danni, sia privati che pubblici, derivanti da una possibile catastrofe naturale, ed esponendosi conseguentemente per cifre altissime seppure a fronte di interessi altrettanto elevati, vende (cartolarizza) sul mercato finanziario frazioni dell’importo assicurato garantendo al compratore interessi proporzionati a quelli spuntati con l’assicurazione e sicuramente accattivanti perché superiori alla resa media dei prodotti finanziari sul mercato. ………l’obiettivo dei cat bond è quello di ripartire i rischi il più ampiamente possibile nello spazio e nel tempo in modo da renderli finanziariamente impercettibili……… La dimensione mondiale del mercato finanziario ………che negli soli Stati Uniti vale 29.000 miliardi di dollari e globalmente arriva alla stratosferica cifra di  60 trilioni (un miliardo di miliardi) di dollari…….. garantisce da una parte l’attenzione di operatori costituzionalmente votati alla massima diversificazione possibile dei loro portafogli e dall’altra la sostenibilità dei costi eventuali dei rischi assicurati e cartolarizzati. E’ chiaro che in un mare magnum di questa grandezza anche le pur impressionanti cifre dei danni, ad esempio, di Katryna, 150 miliardi di cui 75 assicurati, rappresentano un importo facilmente gestibile La caratteristica dei cat bond che di più colpisce  è però quella di avere come substrato la “natura”, o meglio il dramma ambientale”  che - per quanto sia ovvio che non tutti gli effetti dei cambiamenti climatici possono essere assicurati, non lo sono ad esempio la desertificazione e l’innalzamento dei mari - diventano fonte di vorticose transazioni finanziarie. I cat bond sono stati creati nel 1994 e da allora hanno conosciuto una significativa proliferazione, si tratta ormai di diverse centinaia, arrivando a coprire anche altre forme di rischio ad alto impatto finanziario quali le pandemie sanitarie. L’incrocio fra la loro quantità e gli importi assicurati hanno reso la loro cartolarizzazione una voce significativa nel mercato finanziario nonostante che, per via della caratteristiche dei rischi assicurati, non siano bene classificati dalle agenzie di rating. Aspetto che tuttavia  non è stato di impedimento all’estensione della cartolarizzazione anche ad altri rischi ambientali e climatici ……per esempio quelli delle conseguenze sulla produzione agricola degli sbalzi di temperatura e della piovosità…….. Un fenomeno che, storicamente già adottato nei settori agricoli dei paesi avanzati, si è enormemente diffuso negli ultimi decenni nei paesi più poveri coniugandosi strettamente con il parallelo sviluppo del micro-credito tanto da assumere la definizione di micro-assicurazione ………la micro-assicurazione e sintomatica dell’attuale finanziarizzazione della vita quotidiana ed il moltiplicarsi dei fenomeni legati al cambiamento climatico prospetta un futuro radioso a questo settore…….  Sono quindi diventate fonte di reddito finanziario, rientrando pienamente nelle logiche di profitto che lo guidano, non soltanto i macro rischi ambientali ma anche le “normali” più ridotte ricadute sulle produzioni agricole di base in tutto il mondo. La cartolarizzazione delle assicurazione dei rischi ambientali non è l’unico aspetto che testimonia della trasformazione della natura e della crisi ambientale ………in una merce…….. ad essa, in parte precedendola in ordine temporale, si aggiunge il prospero mercato dei ……..derivati ambientali …….. Si tratta di un’altra forma di strumento finanziario che, allo stesso modo dei cat bond, evidenzia come la “mercificazione” della natura si sia progressivamente concretizzata mediante quel processo di “astrazione”, già lucidamente evidenziato da Marx, ovvero quel processo che, nel mercato capitalistico, rende possibile per qualunque “oggetto” il passaggio dal valore d’uso a valore di scambio. Sono tre le fasi attraverso le quali si concretizza il processo di mercificazione: la costruzione di una entità, una unità di misura di una potenziale merce, l’estrazione di questa entità, il suo renderla indipendente dai contesti e quindi valida ovunque e sempre, ed infine la sua calcolabilità, ovvero la possibilità concreta di essere commisurata in uno scambio.  Nel mercato odierno questo processo di mercificazione avviene in buona misura ………attraverso la “modellizzazione” ossia l’applicazione ai nuovi prodotti da inserire nel mercato di modelli matematici sempre più sofisticati per delinearne il valore di scambio…….. La natura e la crisi ambientale non sfuggono a questi modelli e quindi al processo di mercificazione ……..nessun caso illustra meglio questa formazione del valore capitalistico della “merce natura” dei mercati del carbonio o mercati delle quote di emissione……. Il mercato del carbonio, idealmente creato come strumento per il contenimento delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, si basa su due meccanismi: un sistema di quote, una quota equivale convenzionalmente ad una tonnellata di carbonio immettibile in atmosfera, attribuite, con una progressione temporale a diminuire, ad ogni attività inquinante, vale a dire “costruzione di una entità” e sua “estrazione” ed un sistema di compensazione, grazie al quale le quote eventualmente avanzate da una attività possono essere vendute a quella che al contrario le sta superando. Ovvero se una industria, od un intero paese, sfonda il totale delle sue quote può comprane, appunto a compensazione, da un’altra industria, da un altro paese, più virtuoso che ne ha in eccedenza. Perfetta testimonianza della  calcolabilità”.  Si è così creato il “mercato delle quote” che altro non è che il mercato nel quale la natura, e buona parte dei processi che determinano il suo degrado, sono diventati a tutti gli effetti “merce”. Al punto che essa viene commerciata anche con  ……..l’intervento di intermediari finanziari che non hanno direttamente bisogno di ridurre le loro emissioni ma che acquistano e rivendono quote sul mercato secondario….. esattamente come farebbero con qualsiasi altra merce. RK evidenzia infine un aspetto fondamentale di sostegno dell’intera impalcatura che ha reso la natura, ed il dramma ambientale, una merce, e più precisamente un prodotto finanziario: il ruolo dello Stato. L’assicurazione e la micro-assicurazione dei rischi climatici, la sua cartolarizzazione, il mercato dei derivati ambientali, necessitano di un quadro normativo di forme di sostegno e di incentivo, di un sistema di garanzie di ultima istanza, in sostanza di un co-protagonista, di un cliente che operi su grandi numeri. Tutti questi requisiti possono essere assicurati unicamente dallo Stato, dal “pubblico”. Il quale è di fatto obbligato a svolgere questo ruolo di sostegno e di incentivo, e a vestire i panni del grande cliente, per la semplice ragione che i rischi ambientali e climatici sono ormai così drammaticamente pressanti e pesanti da rischiare seriamente di far saltare del tutto il già delicato equilibrio dei bilanci pubblici di tutto il mondo.  …….a causa della crisi fiscale gli Stati sono sempre meno in grado di fronteggiare in prima persona le catastrofi climatiche, ovvero la loro assicurazione, con mezzi convenzionali vale a dire principalmente con la tassazione…… In sostanza la crisi dei bilanci pubblici, la crisi ambientale, e la finanziarizzazione sono tre fenomeni tra di loro legati in modo indissolubile. Questo intreccio è la base fondamentale sulla quale poggia la capacità del capitalismo di trarre profitti dal dramma ambientale provocato dalla sua stessa avidità. Karl Polanyi (1886-1964 sociologo economista e filosofo ungherese) ha definito “merci fittizie” quei pre-requisiti, quelle condizioni preliminari indispensabili per la produzione; tali sono ad esempio il lavoro, la terra, la moneta, le risorse naturali.  …….man mano che il capitalismo si sviluppa indebolisce, fino a distruggerle, queste stesse merci fittizie…… Lo Stato moderno può e deve essere il regolatore del loro uso, e soprattutto deve essere l’interfaccia tra il capitale e la natura. Ma di certo non nel modo in cui lo è stato, quando lo è stato, finora. ……E’ per questo che il problema centrale di ogni movimento ecologista degno di questo nome dovrebbe essere lo Stato…….
CAPITOLO TERZO
Le guerre verdi o la militarizzazione dell’ecologia
Lo stretto rapporto tra “argent”, l’economia, e la “guerre”, la guerra, non è certo una novità, Ma cosa succede quando in questo rapporto irrompe la natura ed il suo degrado? Che ruolo gioca in tutto questo il braccio armato dello Stato? E’ quanto viene affrontato nel terzo capitolo…….
L’intreccio fra apparati e logiche militari ed il crescente dramma ambientale si dipana lungo due direttrici fondamentali: l’adattamento dello stesso apparato militare ai nuovi scenari ambientali e la modifica delle proprie strategie per fronteggiarli in tutte le sue possibili ricadute. Nel 2010, sotto la presidenza Obama, un documento del National Security Strategy affermava con chiarezza che ……per il suo impatto sull’ambiente e sulle popolazioni il cambiamento climatico dovrà necessariamente essere introdotto nel calcolo strategico dell’esercito statunitense……. Un cambio di paradigma radicale rispetto al precedente analogo documento redatto nel 2002, presidenza Bush, che conteneva quello, tristemente famoso, della “guerra preventiva”, a riprova di due sensibilità completamente diverse, ma che completa un lungo processo di riaggiustamento delle strategie militari iniziato già a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso. E’ una caratteristica costitutiva delle strategie militari quella di avere orizzonti lunghi di riferimento, dovuta innanzitutto alla altrettanto lunga tempistica di riadattamento delle proprie strutture. A differenza della politica sempre più concentrata, non fosse altro che per ragioni di consenso elettorale, su scenari a breve se non brevissimo periodo, di norma le strategie militari ragionano su tempi calcolabili di alcuni decenni. Un arco temporale che, stando alle attuali gravi tendenze, sarà sicuramente quello entro il quale di dispiegherà la forza d’urto del dramma ambientale. Le forze armate americane non sono le sole a muoversi con una crescente attenzione a questi cambiamenti ambientali e climatici, tutti gli eserciti delle grandi nazioni si stanno rimodulando in questo senso. Ma, iniziando dal primo dei due aspetti evidenziati da RK, quello in cui gli apparati militari sono essi stessi  “vittime” dell’impatto ambientale, è negli USA che sono stati redatti e resi pubblici i documenti militari che meglio testimoniano questo cambio di paradigma,. E’ possibile infatti leggervi che . …….. il cambiamento climatico condizionerà la missione delle forze armate in vari modi….modificherà l’ambiente operativo…….avrà impatto sulle strutture e gli equipaggiamenti……..renderà più praticabili per le azioni militari nuove aree, la regione artica ad esempio, mentre altre al contrario diverranno molto più difficilmente utilizzabili …..complicherà la disponibilità di combustibili e riserve di acqua……. Queste previsioni dimostrano quanto seriamente i militari tengano in conto le conseguenze del cambiamento climatico, e come, in linea con la loro attitudine a ragionare su tempi lunghi, si stiano conseguentemente riadattando ad iniziare dalle loro localizzazioni, i loro equipaggiamenti, e l’intera loro strutturazione. Ma, ovviamente, l’attenzione di RK  si concentra soprattutto sul secondo aspetto: quello che vede diventare decisivo il ruolo dell’esercito nel gestire, in piena sintonia con le logiche “capitalistiche” di governo del dramma ambientale, i futuri scenari, tanto da rendere legittima, a suo avviso, la nozione di ………“militarizzazione ambientale” …………. Ad iniziare da una prima “missione” già svolta in più occasioni con indiscutibile efficienza, quella che sempre più vedrà ………le forze armate esercitare la funzione di “specialisti del caos”……….. Ossia quella di mettere in campo le loro capacità organizzative e la forza dei loro apparati in occasione di catastrofi naturali sia per gestire la sempre più complessa e gigantesca macchina dei soccorsi che, allo stesso tempo, per “pacificare” da turbolenze le aree colpite. Due eventi che testimoniano questa tendenza sono le esperienze post cataclisma dello tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano e ancora una volta dell’uragano Katryna nel 2005. La disperazione delle popolazioni colpite dalle catastrofi, aggravata dal loro essere, come si è visto nel primo capitolo, già vittime di “razzismo ambientale” e dalle oggettive difficoltà delle operazioni di soccorso, può infatti facilmente sfociare in proteste, saccheggi, e fare da detonare per più ampi movimenti di lotta del tutto ingestibili da parte dei soli apparati di polizia e di soccorso tradizionale. Ma non c’è dubbio alcuno che il compito principale degli eserciti resterà quello, da sempre a loro affidato, di prepararsi al meglio per i possibili conflitti che potranno avere origine proprio da nuove tensioni innescate dai cambiamenti ambientale e climatico. In questo fondamentale aspetto una espressione che è facile ritrovare in documenti sulle future strategie militari è quella, riferita al disastro ambientale, di ……….moltiplicatore di minacce…….. Non necessariamente quindi si tratterà di gestire minacce di nuovo tipo ma più facilmente ……..si aggraveranno alcune problematiche da sempre presenti nell’economia capitalistica…….. a partire da quella del controllo delle risorse. La “moltiplicazione delle minacce” riguarderà quindi innanzitutto …….l’acqua…… Sarà così in Africa, …..si calcola che già nel 2020 tra 75 e 250 milioni di africani avranno grossi problemi di accesso all’acqua potabile…… Sarà così in una ampia regione nevralgica nel cuore dell’Asia interessata dallo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya e dalle mire cinesi, e indiane, di assorbire la maggior quantità possibile di “oro blu”, a danno degli Stati confinanti. E’ già cosi in Palestina: il conflitto israeliano–palestinese, che ha ovviamente molteplici spiegazioni, ha una matrice significativa nella scarse risorse idriche con: da una parte il crescente fabbisogno israeliano dall’altra la collocazione di due falde acquifere, sulle tre da cui questo fabbisogno dipende, nel territorio palestinese della Cisgiordania. Ed è da tempo così per il petrolio, che, per quanto si possa dire sul superamento dalla sua centralità, resterà ancora nei prossimi cruciali decenni la fonte energetica primaria. Lo è  per gli stessi eserciti se si pensa che, ad esempio …..l’80% del petrolio consumato dallo Stato americano è utilizzato dalle forze armate…… L’elenco delle aree già interessate pesantemente dalle tensioni per il controllo dei pozzi petroliferi è tanto lungo quanto di dominio pubblico. In questo preoccupante quadro che testimonia il crescente ruolo dei militari nei conflitti legati alla questione ambientale merita attenzione una considerazione centrale presente in tutti i documenti strategici di tutti gli eserciti ………….il cambiamento climatico rischia di indebolire soprattutto gli Stati già deboli e strategicamente sensibili…… quelli che in gergo sono definiti “failed States”, gli Stati falliti. Questo aspetto segna una svolta radicale rispetto alla gran parte dei conflitti armati di una certa rilevanza del secolo scorso che hanno quasi sempre visto come protagonisti, in prima persona, gli Stati forti. Questi Stati non hanno certo smesso di rivaleggiare su più fronti e di combattersi sul piano delle corsa degli armamenti, ma lo scontro armato vero e proprio si è sempre più svolto per interposta persona, delegandolo, non a caso, proprio agli Stati falliti e facendolo quindi avvenire in aree strategiche per il controllo delle risorse naturali. Su queste stesse aree insiste, ancora una volta non a caso, un secondo decisivo fattore: il loro ospitare attive centrali di terrorismo. Ed è ormai acclarato che …….la preoccupazione dei militari per il cambiamento climatico è strettamente legata al paradigma strategico dominante del dopo guerra fredda: la lotta contro il terrorismo…… E d’altronde, aprendo una finestra sulla concezione odierna di “guerra” RK evidenzia come, non soltanto per la comparsa del terrorismo, l’idea stessa di conflitto armato sia radicalmente mutata. La fine della guerra fredda e la caduta del Muro di Berlino hanno segnato in effetti una svolta  per gli scenari di guerra dando luogo, da una parte, a quello che Noam Chomsky (1923, linguista, teorico della comunicazione, attivista politico e saggista statunitense) ha definito “nuovo umanitarismo militare”, ossia la presunta esportazione della democrazia mediante imposizione militare, dall’altra  rafforzando tendenze che erano già manifestate in modo importante nei conflitti novecenteschi, soprattutto nella Seconda Guerra. Quelle che hanno fatto cadere definitivamente le distinzioni fra combattenti e non combattenti, fra civili e militari, fra fronte e retrovie, fino all’annullamento della dimensione spazio-temporale della guerra, che non si apre più in un dato momento ed in un certo luogo, ma che investe, in forme più o meno evidenti, in forma continua l’intero pianeta. Alcuni studiosi della “teoria della guerra” …….ritengono addirittura che oggi la distinzione tra guerra e pace  sia obsoleta e che abbia lasciato posto a “condizioni di violenza” permanenti……Ed in effetti i conflitti convenzionali, dal secondo dopoguerra in qua, sono limitati (India vs Pakistan, Iran vs Iraq, Stati Arabi vs Israele sono alcuni esempi) ……..la maggior parte dei conflitti sono a bassa intensità nel senso che non coinvolgono gli Stati in quanto tali…….. ma praticamente molto diffusi e molto frequenti Se Von Clausewitz (1780-1931, generale e teorico della guerra prussiano) poteva sostenere che “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” la scomparsi dei suoi protagonisti classici induce a ritenere che, diminuendo la sua componente in qualche modo “razionale” (la logica politica e la teoria classica della guerra, essa…….tende ad aumentare la sua parte di irrazionalità……. Ma come si legano queste specifiche tendenze militari con l’intreccio militarizzazione-questione ambientale, con le “guerre verdi”? La relazione è molto stretta e queste nuove modalità di conflitto armato sono strettamente legate alla dimensione ambientale …….la scarsità di risorse e più in generale il degrado degli ecosistemi contribuiscono al sorgere di guerre proprio di questo tipo…… Se è da sempre vero che la causa di una guerra non è mai univoca ma è la sommatoria di più fattori scatenanti è altrettanto vero che molti degli attuali conflitti e la totalità di quelli futuri sono, e saranno, sempre più legati a quella che sempre più si configura come una autentica ………guerra per l’esistenza, per la sopravvivenza…….. Ed in condizioni così estreme l’irrazionalità del modo di guerreggiare è destinata ad aumentare ulteriormente. Anche per l’incidenza di un altro decisivo fattore: a partire dal secondo dopoguerra il maggior freno all’innescarsi di conflitti armati su larga scala è consistito nella cosiddetta “deterrenza nucleare”, ovvero in una potenza devastatrice degli arsenali atomici talmente elevata da rendere di fatto non auspicabile e non attivabile una guerra nucleare. Si è trattato in sostanza dell’uso razionale di una potenziale potenza distruttrice del tutto irrazionale. La logica delle guerre legate al cambiamento climatico ed al degrado ambientale è del tutto diversa: si è qui in presenza di un’alta probabilità, per non dire di una certezza, dell’innescarsi di conflitti non frenati da alcun deterrente, non gestiti sulla base di approcci razionali. Una guerra nucleare presupponeva inoltre una precisa intenzionalità e ciò creava comunque margini per attivare valutazioni, anticipazioni e negoziazioni. La natura ed il cambiamento ambientale non sono invece sostenuti da alcuna intenzionalità, la natura, il dramma ambientale, e le loro ricadute, non sono configurabili come nemici convenzionali dotati di un piano, di interessi identificabili e di portavoce legittimi……. la storia naturale e la storia umana si trovano sempre più intrecciate al punto di diventare inscindibili questo tuttavia non le rende più intellegibili……. E ciò di fatto, se nulla verrà seriamente messo in atto per fronteggiare davvero il disastro ambientale, annulla ogni possibilità di anticipazioni e negoziazioni, ogni margine per una razionalità preventiva. Anche questa decisiva caratteristica delle possibili “guerre verdi” spiega la crescente militarizzazione dell’ambiente e la scelta del capitale di delegare al braccio armato la gestione di buona parte delle tensioni che sicuramente ne deriveranno. Hans Jonas (1903-1993, filosofo statunitense di origini tedesche) sosteneva che sarà sempre più possibile che la stessa umanità accetti una sospensione della libertà come prezzo necessario per la salvezza fisica …….solo una dittatura benevola è in grado di adottare le misure necessarie  per assicurare la sopravvivenza fisica…… Ed è vero che la cura strategica con la quale le forze armate si stanno preparando, in tutto il pianeta, per essere in grado di gestire la crisi ambientale, e le sue ricadute, sempre più le porrà nella condizione di essere seri candidati al ruolo di “dittatura benevola”.
CONCLUSIONE
Fine del gioco?
Per buona parte del Novecento il pensiero di sinistra di ispirazione marxista si è articolato attorno ad una convinzione erroneamente derivata da alcuni concetti marxiani: quella che il capitalismo sarebbe inevitabilmente caduto per il peso delle sue insanabili contraddizioni economiche. Alla sinistra non restava quindi che farsi trovare pronta per quando ciò sarebbe accaduto. Una illusoria ed errata idea ben presto criticata da chi, come Gramsci, aveva intuito sia la forza del capitalismo di reggere alle proprie contraddizioni sia la conseguente necessità di costruire una reale alternativa senza attendere un esito tutt’altro che scontato. Walter Benjamin (1892-1940, filosofo, critico letterario, saggista tedesco di origini ebraiche) così scriveva negli anni Trenta nel suo libro sui Passages di Parigi …….l’esperienza della nostra generazione?: il fatto che il capitalismo non morirà di morte naturale…….. Venendo ai giorni nostri nulla nella sostanza di questa convinzione sembra essere mutato salvo una variazione di scenario: al posto delle contraddizioni economiche, la mitica caduta tendenziale del saggio di profitto, troviamo la crisi ambientale ed i suoi effetti ingestibili per le logiche capitalistiche al punto da portarle all’autodistruzione. RK afferma con totale convinzione l’esatto contrario, e questo suo saggio mira proprio a denunciare l’assurdità di questa nuova concezione catastrofista. Parafrasando Benjamin si deve affermare con forza che ancora una volta …….il capitalismo non morirà di morte naturale per la semplice ragione che ha i mezzi per adattarsi alla crisi ambientale…….. non solo è capace di adattarsi ………ma anche di trarne vantaggio…… Lo è non tanto per intrinseche doti di autocontrollo ma perché il suo rapporto con la natura non è immediato, ma è ……ammortizzato e strutturato dallo Stato……. Come per la regolazione del mercato così per il rapporto con la natura il capitalismo lasciato a sé stesso sfrutterebbe le risorse naturali fino ad esaurirle in breve e sarebbe incapace di gestire gli effetti catastrofici del degrado ambientale.  Per tutto questo c’è lo Stato …….regolando l’accesso alle risorse e facendosi carico delle conseguenze negative esso opera a favore degli interessi di lungo periodo delle classi dominanti e permette che la natura possa essere costantemente sfruttata…… I tre aspetti della crisi ecologica esaminati nel saggio, razzismo ambientale – finanziarizzazione e assicurazione – militarizzazione, evidenziano esattamente questo ruolo centrale dello Stato nell’organizzare la natura e nel metterla a disposizione del capitale. Quale alternativa allora ad un catastrofismo che è ben lungi dal realizzarsi da sé? La risposta è la stessa di Gramsci e Benjamin per il catastrofismo dei loro tempi: politicizzare la crisi ……….in altre parole demolire il trittico formato dal capitalismo, dalla natura e dallo Stato impedendo che quest’ultimo operi a favore degli interessi del primo……


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